I
Marsi, antica popolazione italica affine agli Umbri e ai Sanniti, occupavano, un tempo, la
conca del Fucino, la
valle del Giovenco (affluente del Fucino da est) e l'alta
valle del Liri. Sulla sponda nord ovest del lago si trovavano gli
Equi nel cui territorio i Romani costruirono, nel
303 a.C., la città di
Alba Fucens.
Contemporanea alla fondazione di
Alba Fucens fu l'alleanza dei Marsi con i Romani, che pose fine a decenni di guerre. I Marsi adottarono la lingua e gli usi latini e furono fedeli ai Romani persino quando
Annibale arrivò a minacciare da vicino l'Urbe. Si ribellarono solo nel
91 a.C., guidando la rivolta degli Italici e dando luogo a quella che fu chiamata
Guerra Sociale. Obiettivo: l'integrazione nello stato romano, con pari diritti e pari dignità. I Romani vinsero la guerra ma concessero agli Italici ciò che avevano chiesto.
I Marsi furono
iscritti nella tribù Sergia. Fino a quel momento essi occupavano insediamenti fortificati d'altura (
oppida), non molto grandi, ai cui piedi sorgevano numerosi villaggi aperti (
vici). Esistevano, poi, diversi santuari che avevano una vita piuttosto ricca, aperta anche a influssi culturali esterni, soprattutto magnogreci. Con la conquista romana
Alba Fucens e le città come lei, divennero
municipia. Dove non esistevano centri abitati di una certa importanza, i Romani cercarono quelli più popolati e sviluppati e li promossero a rango di municipi, avviando il processo di fitta urbanizzazione del territorio.
L'indagine archeologica concorda con le fonti romane (
Plinio il Vecchio), riconoscendo tre centri principali, quindi tre municipi. Il primo era quello degli
Anxatini (o
Anxates)
Luceres, abitanti di
Anxa, sorta presso il
lucus Angitiae, il santuario del bosco sacro alla dea Angizia, la dea nazionale dei Marsi (identificato nell'attuale
Luco dei Marsi). C'erano, quindi, gli
Antinates, che abitavano ad
Antinum, odierna
Civita d'Antino, nella Valle Roveto. E poi, infine, la comunità più importante, quella dei
Marruvini detti
Fucentes, per distinguerli dagli abitanti di un centro omonimo nel reatino.
Questi centri prosperarono soprattutto tra il I e il II secolo d.C., usufruendo dei vantaggi proventi dalla bonifica del lago Fucino ad opera degli imperatori
Claudio,
Traiano e
Adriano.
Il nome
Marsi Anxates, ricordato da Plinio il Vecchio, presuppone l'esistenza di una città presumibilmente chiamata
Anxa, direttamente affine al nome della dea nazionale,
Angitia che, nella forma arcaica, compare come
A(n)ctia. Forse anche la
città mitica di Anchisia ha un collegamento con
Anxa.
Anchisia era ricordata come una delle
città troiane da
Dionigi di Alicarnasso. Già nel III secolo a.C.
Anxa, comunque, appare fortemente connessa alla dea
Angitia ed al suo culto. La
lamina bronzea di Caso Cantovios attesta intorno al
294 a.C. la dedica di un dono alla dea
A(n)ctia da parte di soldati Marsi che avevano combattuto al fianco dei Romani ai confini del territorio dei Galli.
Un culto estremamente complesso, quello di
Angitia, che le fonti vogliono fosse manipolatrice di serpenti e veleni, dal momento che i Marsi stessi avevano fama di essere incantatori di serpenti e conoscitori di erbe. In realtà
Angitia era connessa al ciclo solare ed agrario ed al mondo sotterraneo dei defunti.
Caso Cantovios, colui che fece incidere la lamina bronzea che reca il suo nome, era un
liberto del II secolo a.C., il che porta a pensare che anche
Angitia, come
Feronia, avesse un ruolo nella liberazione degli schiavi. Ad
Antinum è stata ritrovata una dedica nei pressi del santuario di Colle d'Angelo che la collega alle fonti.
In diverse iscrizioni peligne
Angitia compare con l'epiteto di
Cereia, il che fa pensare che, ad un certo punto, il suo culto fosse stato assommato a quello di Demetra e Persefone.
Il centro di
Anxa sorse già nell'Età del Ferro, quando fu costruita una cinta in opera poligonale che abbracciava un'area di 14 ettari intorno alle tre cime del monte Penna. Già allora
Angitia avea il suo santuario ai piedi del monte, sulle rive del lago, dove fu ritrovata la lamina di
Caso Cantovios. Originariamente doveva trattarsi semplicemente di un boschetto sacro, tant'è vero che il santuario continuò a chiamarsi
lucus Angitiae persino quando cominciò ad ospitare diversi edifici di culto. Successivamente fu costruita la cinta in opera poligonale i cui resti si possono oggi ammirare nei pressi della chiesa di S. Maria delle Grazie. Un'unica cinta, dunque, abbracciò sia il monte Penna che il santuario di
Angitia. Tra l'
oppidum e il santuario si venne ad avere un'area di 30 ettari che gli studiosi pensano sia stata edificata nel IV secolo a.C.. I ritrovamenti della campagna di scavo del 2003, in particolare l'eccezionale
statua di culto in terracotta, con la dea in trono, risalente al III secolo a.C. ed attribuibile ad un
artigiano greco, hanno confermato l'esistenza, tra il IV e il III secolo a.C., di profondi legami culturali tra le popolazioni dell'Appennino centrale e le colonie greche dell'Italia meridionale.
Il santuario di
Angitia mantenne la sua vitalità anche all'indomani delle guerre sociali e persino in età imperiale, quando fu restaurato e rinnovato. Nel
52 d.C. Claudio iniziò dei grandi lavori per la realizzazione dell'emissario artificiale del lago del Fucino.
Anxa funse da base operativa. Con Adriano l'opera venne portata a termine ed un ampia fascia del lago poté essere messa a coltura. Trent'anni fa, all'interno del lago, è stato recuperato un
cippo che segnava i nuovi confini dei municipi di
Alba Fucens,
Anxa e
Marruvium. Per indicare
Anxa si utilizzò il nome della dea
Angitia, dal momento che le terre strappate al lago erano state attribuite al santuario della dea.
Per un secolo, a partire da Claudio,
Anxa fu anche un distaccamento della
flotta imperiale di stanza a Ravenna con compiti, probabilmente, di manutenzione dell'emissario artificiale. Quando quest'ultimo perse la sua efficienza,
Anxa declinò rapidamente, finquando un
terremoto, nel
508 d.C., non mise definitivamente fuori uso il canale artificiale.