domenica 15 aprile 2012

Culti orientali a Roma - 2

Chiesa di S. Sabina sull'Aventino, abside.
Iseo della chiesa di Santa Sabina sull'Aventino
Sotto la chiesa di S. Sabina, nel corso di scavi condotti tra il 1855 ed il 1857 e tra il 1936 e il 1937, furono individuati alcuni ambienti edificati nel II secolo a.C., addossati alle mura serviane e riutilizzati nel II secolo d.C. come sede di una comunità isiaca, come si è dedotto da alcuni graffiti che parlano di adepti di bassa condizione sociale.
Il luogo di culto cessò la sua funzione nel III secolo d.C., quando al suo posto vennero installate delle terme.
Iseo e serapeo della III Regio
La III Regio si chiamò di Iside e Serapide per la presenza di un famoso santuario dedicato a queste divinità. Nel 1653, sulla via Labicana furono rinvenute le sostruzioni di un tempio recanti una decorazione a stucco dipinto che raffigurava Iside ed altre divinità egizie. Sopra queste sostruzioni venne riportato alla luce dal Lanciani un portico a colonne di granito ed una piscina, identificata dallo studioso con l'Isium Metellinum. Il santuario fu costruito in età flavia ed in parte ampliato in età adrianea.
Coarelli afferma che il santuario fu realizzato tra il 72 e il 64 a.C. da Q. Cecilio Metello per celebrare le imprese del padre durante la guerra contro Giugurta. Il luogo di culto era articolato in terrazze ad imitazione dei santuari ellenistici dedicati a divinità della salute o della fortuna (come il santuario dedicato alla Fortuna Primigenia a Palestrina). Il complesso fu riedificato in età flavia, epoca a cui appartiene la decorazione a stucco delle sostruzioni, e venne ampliato in età adrianea.
Il culto di Serapide venne accorpato a quello di Iside durante l'impero di Vespasiano. Tra il V e il VI secolo, per effetto degli editti di Teodosio, l'edificio venne smantellato e molti dei suoi arredi furono altrimenti reimpiegati. In un muro, ritrovato nel 1887 in prossimità delle sostruzioni, erano inserite iscrizioni e frammenti di statue tra cui teste di Iside, Serapide e Arpocrate.
S. Martino ai Monti, sotterranei
Il larario di via Giovanni Lanza
Nei pressi della chiesa di S. Martino ai Monti, sull'Esquilino, nel 1883 fu scoperto un larario a forma di edicola inserito in una domus costantiniana. Il monumento fu, in seguito, distrutto, ma al momento della scoperta conteneva ancora il suo corredo di statue. Attraverso alcune litografie è stato possibile ricostruire il tempietto e la collocazione della statua raffigurante Iside-Fortuna nella nicchia semicircolare della parete di fondo. Nelle nicchie laterali si trovavano dei ripiani con statuette e busti raffiguranti delle divinità egizie e greco-romane. Dietro il sacello si poteva accedere ad un mitreo sotterraneo ricavato in una cantina. Il tempietto è stato datato al II secolo d.C. e fu eretto negli horti imperiali dell'Esquilino. Tutte le sculture che conteneva erano di reimpiego: Venere, Eracle, Serapide, Ecate, Arpocrate ed altre divinità furono qui collocate in età tardoantica, quando il luogo fu occupato da una facoltosa famiglia aristocratica pagana.
L'iseo e il serapeo di Campo Marzio
Si tratta del più importante santuario pubblico dedicato ad Iside a Roma. Cassio Dione afferma che fu costruito nel 43 a.C. e fu l'ultimo baluardo della religione di Iside a Roma. Fu, forse, sostenuto finanziariamente dallo Stato e svolse un ruolo connesso con i sussidi elargiti alla popolazione di  Roma, il che spiegherebbe la sopravvivenza del culto fino al V secolo d.C.. L'edificio, racconta Dione, venne distrutto da un incendio nell'80 d.C.. Eutropio scrive che venne ricostruito da Domiziano. Le strutture vennero restaurate in età severiana (191 d.C.), a seguito di un altro devastante incendio. In quest'epoca il santuario di Iside accolse anche il culto di Serapide che, precedentemente, essendo associato al culto imperiale, era praticato in un altro luogo.
I Cataloghi Regionari e la Forma Urbis danno una collocazione precisa del santuario, che si trovava tra Santa Maria sopra Minerva e il Collegio Romano, da cui provengono diversi materiali egizi. Non sono, però, emersi, nel corso delle diverse indagini, resti monumentali per cui ci si deve affidare a quanto appare nella Forma Urbis. Nella sua ultima sistemazione, il santuario era strettamente collegato al culto nilotico delle divinità alessandrine e, oltre ad un ninfeo nella parte meridionale, possedeva condutture sotterranee per l'acqua, canali e file regolari di pozzi circolari scavati nel pavimento.
Torello hapi rinvenuto nell'Iseo di Campo Marzio
Il complesso doveva estendersi per circa 240 x 60 metri ed era suddiviso in tre parti. Al centro presentava un'area rettangolare alla quale si accedeva tramite archi monumentali. L'arco orientale, noto come Arco di Camilliano, rinvenuto in parte durante dei lavori in un edificio tra via Sant'Ignazio e piazza del Collegio Romano (1969), è in opera quadrata di travertino. Da questa zona provengono le statue del Nilo e del Tevere conservate nei Musei Vaticani e al Louvre.
Alcuni studiosi pensano che al centro del cortile si trovasse l'obelisco poi trasferito al Circo di Massenzio e che ora campeggia a piazza Navona ed una fontana presso la quale era collocata la pigna bronzea del Vaticano.
Una seconda parte del complesso giaceva tra il Collegio Romano e via del Seminario ed era costituita da una piazza scoperta all'interno della quale si trovavano diversi obelischi alternati a statue di sfingi. Forse il tempio di Iside si trovava al centro di quest'area mentre l'edificio absidato posto a sud del complesso poteva identificarsi come il tempio di Serapide.
Busto della cosiddetta Madama Lucrezia
Cassio Dione scrive che sul frontone del tempio di Campo Marzio era presente una statua di Iside Sothis. Accanto alla facciata della chiesa di San Marco è collocata una statua conosciuta popolarmente come "Madama Lucrezia", è possibile che fosse questa la Iside Sothis alla quale accenna Cassio Dione, realizzata durante il rifacimento dell'Iseo in età severiana. Il tempio sostanzialmente corrisponde all'attuale chiesa di S. Stefano del Cacco, il cui nome allude alla presenza di una statua cinocefala ritenuta, a torto, un macaco. Il grande piede di marmo che si può oggi vedere nella via omonima (via del Piè di Marmo, appunto) forse apparteneva alla statua di culto, mentre in via della Gatta si trova una statuetta raffigurante l'animale che faceva parte del complesso sacro.
Statua del Tevere dal Serapeo del Quirinale
Il Serapeo del Quirinale
I Cataloghi Regionari attestano la presenza, sul Quirinale (Regio IV), di un tempio dedicato a Serapide. Il santuario viene identificato con un edificio che è stato in parte scavato nei Giardini Colonna e in parte situato in piazza del Quirinale. Da qui provengono materiali egizi ed egittizzanti datati anteriormente al regno dell'imperatore Caracalla. Si tratta del più imponente tempio di Roma insieme a quello dedicato a Venere e Roma. Caracalla, forse, lo ridedicò. E' conservata, infatti, una lastra con dedica dell'aedes di Serapide da parte di Caracalla nel pavimento della chiesa di S. Agata dei Goti.
Il santuario, per quel che si sa, doveva avere ragguardevoli dimensioni, occupando un'area di 135 x 98 metri. Le sue colonne pare fossero alte più di 20 metri. Alcuni resti sono visibili nel cortile dell'Università Gregoriana e nei giardini di Villa Colonna.
Mentre alcuni studiosi (come il Coarelli, per esempio) leggono nelle strutture ritrovate un Serapeo, edificato, come quello di Alessandria, su una collina accessibile per mezzo di una scalinata monumentale, altri (il Santangeli Valenzani) pensano che i resti siano, piuttosto, pertinenti ad un santuario dedicato ad Ercole e Dioniso e collocano il Serapeo nell'area della chiesa di S. Silvestro al Quirinale.
Comunque sia dal Serapeo del Quirinale proverrebbero le statue del Nilo e del Tevere che Michelangelo volle collocare nella facciata di Palazzo Senatorio in Campidoglio. Queste statue furono probabilmente riadattate, in età severiana e nel IV secolo d.C. vennero collocati, con le due celebri statue dei Dioscuri, in un ninfeo delle terme del Quirinale, costruite, forse, da Massenzio. Probabilmente anche l'obelisco trasferito da Massenzio nel suo circo sull'Appia antica e oggi situato a piazza Navona proveniva da questo edificio.

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