domenica 29 ottobre 2023

Spagna, il sandalo romano perduto nel pozzo

Spagna, il sandalo romano rinvenuto nelle Asturie
(Foto: english.elpais.com)

Lucus Asturum, attuale Lugo de Llanera, nelle Asturie, nel nord della Spagna, era un tempo un insediamento romano che fungeva da centro amministrativo e snodo di comunicazioni nel nord della penisola iberica tra il I ed il IV secolo d.C. e che, data la sua importanza, l'astronomo e geografo greco Tolomeo riportò nella sua opera "Geografia". Lucus Asturum conteneva molti importanti edifici pubblici e privati.
Nel 2021, un team guidato dall'archeologa Esperanza Martìn ha individuato una grane casa con un cortile centrale e un pozzo. L'estate scorsa sono ripresi gli scavi nel sito e gli archeologi hanno deciso di scendere, utilizzando un sistema di carrucole per evitare di danneggiare i resti presenti, fino al fondo del pozzo.
All'interno, tra molti altri reperti romani, è stato ritrovato un sandalo smarrito da un uomo che cercò, probabilmente, di pulire il pozzo 2000 anni fa. Si tratta di un unicum, un oggetto archeologico senza eguali, perché è decorato con cerchi, ovali e figure falciformi. In Spagna non si conservano più di 20 sandali romani ma questo appena ritrovato è l'unico che presenta decorazioni. Il reperto si presenta in buono stato di conservazione, in quanto il limo presente sul fondo del pozzo ha generato un sistema anaerobico che ha impedito la riproduzione dei microrganismi.
L'esistenza di Lucus Asturum è nota fin dall'antichità, ma dell'insediamento si perse traccia secoli fa, finché la Commissione Provinciale dei Monumenti effettuò i primi scavi negli anni '30 del secolo scorso. Tuttavia il materiale archeologico ritrovato, unitamente alla relativa documentazione, è andato perduto o distrutto.
Nel 1989, l'équipe di Carmen Fernàndez Ochoa ha individuato un altare votivo nel sito, dedicato ai lares viales (divinità domestiche), una necropoli medioevale e resti alto-imperiali del I secolo d.C. Nel 2018, promossi e finanziati dal Comune di Llanera, sono ripresi gli scavi. In questa occasione gli archeologi hanno utilizzato tecniche non invasive, come il sistema di rilevamento laser Lidar, indagini geofisiche, immagini satellitari e termografia. Si è così scoperto che sotto l'erba del prato c'era un substrato archeologico comprendente alcune grandi terme ampiamente saccheggiate, oltre ad un canale ben conservato.
Nel 2021 l'équipe ha individuato una discarica utilizzata tra il I ed il IV secolo d.C., diversi edifici separati da una strada ed un grande nucleo residenziale con il pozzo che conserva i segni della muratura di chi lo aveva aperto due millenni fa. Ad una profondità di circa tre metri, gli archeologi hanno estratto parte della copertura lignea del pozzo, un pavimento piastrellato per la decantazione dei limi, diversi orci, semi, castagne, pinoli, molluschi, resti di fauna domestica e selvatica, un calderone, un piccolo anello di metallo e il sandalo tra gli altri numerosi reperti. 
Il sandalo è quasi conservato per intero, presenta ancora le tacche di taglio per i lacci che dovevano trattenerlo nella parte superiore della gamba. Gli archeologi pensano che sia stato perso da qualcuno che era entrato per ripulire il pozzo e che era rimasto praticamente intrappolato nel limo.

Fonte:
english.elpais.com



Turchia, scoperte le statue di uomo e di un cinghiale

Turchia, la scultura rinvenuta a Karahan Tepe
(Foto: Agenzia Anadolu, tramite Getty Images)

In Turchia gli archeologi hanno portato alla luce una statua di quasi 11000 anni fa, che potrebbe raffigurare un uomo gigante che stringe il suo pene, insieme ad una raffigurazione di un cinghiale a grandezza naturale. Le due statue provengono dai siti vicini di Gobekli Tepe e Karahan Tepe, che sono tra i siti religiosi più antichi del mondo.
La scultura raffigurante il cinghiale è stata scolpita in pietra calcarea, risale ad un periodo compreso tra l'8700 e l'8200 a.C. Misura 1,4 metri di lunghezza e 0,70 metri di altezza. Gli archeologi hanno rilevato pigmenti rossi, neri e bianchi sulla superficie della scultura. La scultura umana è alta 2,3 metri e raffigura un uomo con costole, spine dorsali e spalle particolarmente pronunciate, che farebbero pensare ad una persona defunta.
I ricercatori hanno anche trovato una piccola scultura di un avvoltoio nei pressi del sito di Karahan Tepe, che risale a circa 11000 anni fa. Gobekli Tepe è un vasto sito megalitico pieno di pilastri a forma di T e sofisticate sculture raffiguranti animali, simboli astratti e mani umane. Il sito veniva utilizzato, con tutta probabilità, per rituali funerari.
Lo scopo delle sculture ritrovate di recente non è ben chiaro. Ted Banning, Professore di antropologia dell'Università di Toronto, non coinvolto nella ricerca, ha suggerito che probabilmente la statua umana raffiguri un importante antenato defunto associato all'edificio nel quale è stata ritrovata. Il Professor Banning pensa che le strutture di Karahan Tepe e Gobekli Tepe potrebbero essere state utilizzate come templi e che fossero dipinte.

Fonte:
livescience.com

Grecia, i colori delle sculture del Partenone

Una sezione dei marmi del Partenone, V secolo a.C.
(Foto: markrhiggins, tramite Getty Images)

Le sculture del Partenone, i cosiddetti marmi di Elgin, furono realizzati intorno ai 2500 anni fa al fine di decorare l'esterno del tempio greco. Ora sono custoditi nel British Museum di Londra ed appaiono di colore bianco tenue, grigio e beige.
Un nuovo studio, però, rivela che i colori delle antiche sculture erano molto più vivaci. Si trattava di blu luminosi, bianchi e viola che un tempo ricoprivano le statue raffiguranti divinità e creature mitiche del V secolo a.C. Alcuni colori erano stati utilizzati per rappresentare l'acqua dalla quale erano emerse alcune figure, la pelle di un misterioso serpente marino, lo spazio vuoto e l'etere che faceva da sfondo alle figure umane. Inoltre i colori erano utilizzanti anche per rappresentare intricati motivi figurativi che decoravano le vesti delle divinità.
Per molto tempo gli archeologi hanno pensato che i greci lasciassero intenzionalmente le sculture senza colori. Questo ha portato i restauratori di un tempo a rimuovere le tracce delle passate pitture. Per indagare sul passato delle statue, gli archeologi hanno utilizzato l'imaging luminescente, una tecnica che fa brillare gli elementi chimici presenti nella vernice oramai non presente sulla superficie delle sculture. Questa tecnica ha permesso si scoprire i motivi nascosti che decoravano le superfici delle statue: disegni floreali e rappresentazioni figurative macchiate.
Sono stati individuati principalmente quattro pigmenti: il blu (creato per la prima volta dagli antichi egizi e che fu il colore principale utilizzato da greci e romani), una sfumatura di viola ottenuta da una ricetta sconosciuta (la maggior parte del viola veniva estratta dai crostacei del Mediterraneo antico, ma quello sulle sculture del Partenone non proveniva da questa fonte) e due tipologie di bianco, probabilmente ricavati dal gesso e dal bianco d'osso, un pigmento ottenuto dalla cenere d'ossa.
Probabilmente questi colori erano altrettanto importanti quanto le sculture. Erano quelli che permettevano a queste ultime di rimanere più impressi nella memoria di chi le guardava. I ricercatori hanno individuato anche tracce di colore sul retro delle sculture ed hanno dedotto che queste fossero completamente dipinte prima di essere collocate sul tempio.
Le 17 sculture, un tempo parte di un fregio in marmo lungo 160 metri raffigurante miti greci classici, vennero portate nel Regno Unito nel XIX secolo dopo che vennero trafugate dal Partenone da Thomas Bruce, settimo conte di Elgin ed ambasciatore britanni presso l'Impero Ottomano.

Fonte:
livescience.com


Israele, la Grotta delle Lettere e la tunichetta di un bambino

Israele, la tunichetta rinvenuta nella Grotta delle Lettere
(Foto: Israel Antiquities Authority)

Nel 1952, mentre conducevano al pascolo le loro bestie, un gruppo di pastori beduini scoprì una grotta, vicino al Mar Morto, la cui entrata si apriva a 15 metri d'altezza nella parete del canyon Nahal Hever.
All'interno di questa grotta, una decina d'anni più tardi, l'archeologo israeliano Yigael Yadin rinvenne 40 rotoli di pergamena e oltre 30.000 frammenti di altri testi, che determinò il nome del sito quale Grotta delle Lettere. La quantità e la varietà di testimonianze scritte restituite dal sito lo rendono un sito tra i più importanti per lo studio dell'archeologia e della storia del popolo ebraico.
I testi rinvenuti si datano in maniera uniforme al cosiddetto "Periodo del Secondo Tempio di Gerusalemme" (516 a.C. - 70 d.C.), concentrandosi soprattutto tra I e II secolo d.C., riflettendo le condizioni della comunità ebraica durante il periodo di sottomissione all'Impero Romano. Tra questi scritti, abbondano sezioni della Bibbia, fondamentali per filologi e biblisti per capire ed interpretare le modifiche ed evoluzioni subite dal testo biblico nel corso dei secoli. Non mancano poi testi di natura giuridico-amministrativa (testamenti, contratti matrimoniali, accordi commerciali...), che gettano luce sulla vita quotidiana, gli usi e i costumi del popolo ebraico durante il periodo sopra citato. Abbondano poi testi religiosi quali inni e preghiere, estremamente importanti per comprendere la vita e la cultura ebraiche, così intimamente legate alla loro religione.
I documenti certamente più interessanti, tuttavia, sono le decine e decine di lettere, di carattere privato e ufficiale, che delineano nella maniera più chiara e diretta possibile i tratti delle comunità ebraiche nel loro quotidiano. Dalla corrispondenza ufficiale tra i leader di diverse comunità giudaiche (tra cui alcune epistole collegate alla rivolta di Bar Kokhba, l'ultima grande e sanguinosissima sollevazione del popolo ebraico contro il giogo romano, repressa a viva forza dalle truppe dell'imperatore Adriano), ai carteggi tra autorità locali e governatori romani, fino alle più minute e personali lettere private di persone comuni, questo enorme epistolario, nella sua ecletticità, risulta tra i più preziosi della storia.
Ma non c'erano solo lettere, nella grotta, sono stati rinvenuti anche molti reperti che ne testimoniano la frequentazione come abitazione o, più probabilmente, come rifugio, pensato sia per i pastori nomadi sia, a tratti, per dissidenti in fuga dalle persecuzioni romane. La stessa tesaurizzazione di tutti i documenti sopra citati in questo luogo sembra suggerire che si trattasse di un rifugio segreto rimasto ignoto alle autorità imperiali. Tra questi reperti, recentemente è stato rinvenuto anche un fragilissimo e commovente capo di abbigliamento: una tunichetta, interpretata come "camicia da notte" dagli esperti, appartenuta ad un bambino.
Il piccolo indumento, cucito artigianalmente unendo due lembi di tessuto con un filo di lino lungo la linea delle spalle e dei fianchi, presenta chiari segni di un lungo utilizzo e buchi dovuti all'usura meccanica. Un altro particolare lo rende quasi unico nel suo genere: ai lembi inferiori parte del tessuto è stato cucito in piccoli nodi, tutti realizzati attorno ad un piccolo nucleo di materiali diversi, quali resina, sale, solfato di ferro, henné, semi e altro ancora. Queste piccole tasche sigillate sono state interpretate come amuleti, intimamente incorporati alla tunichetta, e questa curiosa caratteristica unita alla tecnica di realizzazione piuttosto grezza e imprecisa, ha lasciato intendere che l'abito sia stato realizzato da un non professionista, forse la madre stessa del bambino, per il suo piccolo, al duplice scopo di vestirlo e proteggerlo dal male.

Fonte:
mediterrraneoantico.it


sabato 28 ottobre 2023

Sudan, individuato un tatuaggio con il cristogramma su un defunto

Foto del piede con il cristogramma (Foto: Polish Centre
of Mediterranean Archaeology dell'Università di
Varsavia - Karl A. Guilbault)

Un gruppo di ricercatori polacco -sudanesi del Polish Centre of Mediterranean Archaeology dell'Università di Varsavia, ha scoperto un raro tatuaggio con riferimenti a Gesù Cristo su un corpo inumato 1300 anni fa. Il sito si trova nella zona dello Wadi Abu Dom, nel deserto del Bayuda, nel nord del Sudan, a circa 20 chilometri dalla moderna città di Karima.
Le indagini archeologiche effettuate nel monastero e nei quattro cimiteri presenti nel sito (all'interno dei quali sono presenti centinaia di sepolture) si sono svolte fino al 2018 sotto la guida del Dottor Artur Obluski. In questi ultimi anni, invece, lo studio si è concentrato sui resti umani, alla ricerca di indizi che potrebbero portare informazioni sia sulla provenienza della popolazione locale che sullo stile di vita delle persone lì sepolte.
E' proprio durante la documentazione fotografica effettuata nel laboratorio di bioarcheologia del Polish Centre of Mediterranean Archaeology che la Dottoressa Kari A. Guilbault, studiosa delle pratiche del tatuaggio della Purdue University (Indiana), ha identificato un tatuaggio sul piede destro di uno degli individui ritrovati nel 2016 e sepolti nel cimitero 1 di Ghazali.
In un primo momento la studiosa non era sicura di cosa si trattasse, ma il tatuaggio è diventato chiaramente visibile dopo una serie di esami post-scavo e grazie all'uso della fotografia full spectrum, e a questo punto qualsiasi incertezza iniziale è stata rimossa. La scoperta si è rivelata importante anche perché si tratta del secondo ritrovamento che attesti la pratica del tatuaggio nella Nubia meridionale.
Il tatuaggio di Ghazali rappresenta il simbolo Chi-Rho, ovvero un Cristogramma, una combinazione di lettere dell'alfabeto greco "chi" e "rho" che formano un'abbreviazione del nome di Cristo.
L'uso di unire insieme le due lettere precede il Cristianesimo e lo ritroviamo nell'Egitto dei Tolomei, ma riferito a un termine diverso: Chrestòs, che significa "utile, buono". Tolomeo III Evergete (seconda metà del III secolo a.C.), ne fece ampio uso nel coniare monete in bronzo. In riferimento al Cristo lo ritroviamo intorno al III secolo in contesti privati, soprattutto sui sarcofagi di defunti cristiani. Successivamente all'Editto di Milano il simbolo poté essere inciso su chiese e basiliche e godette di una grande diffusione. Accanto al Cristogramma sono vergate o incise le lettere alfa e omega dell'alfabeto greco, un riferimento al Libro dell'Apocalisse di Giovanni.
La posizione del tatuaggio sul piede destro è intrigante, fanno notare i ricercatori, poiché potrebbe voler indicare il punto in cui venne piantato il chiodo nel piede di Cristo durante la sua crocifissione. Anche se il tatuaggio dimostra che l'uomo era cristiano, non significa che fosse un monaco, in quanto non fu sepolto nel cimitero riservato ai religiosi del monastero, ma in un cimitero utilizzato da persone delle comunità vicine.
Dalla datazione al radiocarbonio si stima che la persona visse tra il 667 e il 774. A quel tempo, il cristianesimo era la religione principalmente praticata nella regione. Probabilmente l'uomo si spense tra i 35 ed i 50 anni di età.

Fonte:
mediterraneoantico.it


Vulci, nuove scoperte nella necropoli dell'Osteria

Montalto di Castro, alcuni dei reperti rinvenuti
nelle sepolture appena scoperte
(Foto: stilearte.it)

La campagna di scavo di Fondazione Vulci, condotta dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e per l'Etruria meridionale ha portato alla scoperta di una nuova sepoltura con un ricco corredo.
La necropoli dell'Osteria, che si trova a nord rispetto all'area archeologica di Vulci, è stata indagata nel XIX secolo, e dei suoi sepolcri più noti, la Tomba del Sole e della Luna e la Tomba Campanari, non rimangono che le descrizioni fatte all'epoca, oltre che la copia degli affreschi della Tomba Campanari, esposta al Museo archeologico nazionale di Firenze.
L'uso funerario dell'area inizia con il Bronzo Finale, indicato da materiali raccolti in superficie; materiali villanoviani sono documentati, su punti diversi della necropoli, sia da scavi che da ricognizioni. I sepolcri di questa necropoli erano per la maggior parte del tipo a camera. Gli scavi degli ultimi mesi stanno restituendo numerose altre sorprese.
Nei primi giorni di aprile 2023 era stata aperta, sempre qui, una sepoltura analoga, del VI secolo, costituita da una una piccola camera nella quale c'è un banco di pietra per ospitare le ceneri della defunta e una base sulla quale furono depositati i corredi e il braciere nel quale c'erano ancora i carboni e uno spiedo nel quale, ai tempi dell'ultima offerta, dovevano essere infilzati pezzi di carne. Il ritrovamento composto dei resti di un pranzo rituale è un atto piuttosto raro.
Tra il corredo della tomba femminile era stato trovato, questa primavera, una fuseruola  elegante, strumento usato per la filatura, oggetto che ha consentito di comprendere che il contesto è quello di una tomba femminile. La classe sociale della defunta era stata stata stabilita grazie alla sontuosità del materiale ceramico, posto alla base del banco di arenaria, sul quale è collocato il vaso delle ceneri.
Vulci, conosciuta nell'antichità come Velch o Velx in etrusco, è un'antica città etrusca situata tra Canino e Moltalto di Castro, nella provincia di Viterbo, nella Maremma laziale. Si trovava su un altopiano di circa 120 ettari ed era attraversata dal fiume Fiora, a poco più di dieci chilometri dalla costa del mar Tirreno. Questa città era una delle più importanti città-stato dell'Etruria, caratterizzata da un notevole sviluppo marittimo e commerciale ed era probabilmente parte della Dodecapoli etrusca.
I primi reperti archeologici risalgono a un periodo compreso tra la tarda Età del Bronzo e la prima Età del Ferro, indicando un progressivo spostamento delle popolazioni umane dalla valle del Fiora, più lontano dalla costa. Questo suggerisce una diminuzione delle esigenze difensive degli insediamenti umani in questa parte dell'Etruria.
L'Età del Ferro testimonia la presenza umana attraverso tombe a pozzo e a fossa, tra cui spiccano i sepolcri dell'Osteria, del Mandrione di Cavalupo, di Ponte Rotto e della Poledra. Questi sepolcri erano originariamente associati a quattro diversi nuclei abitati che in seguito si unirono per formare l'unico insediamento di Vulci.
La presenza di ricche risorse metalliche nelle Colline Metallifere e lungo la valle del Fiora favorì lo sviluppo di artigianato locale e scambi commerciali, inclusi quelli con la Sardegna. La Tomba dei Bronzi Sardi, scoperta nel 1958 nella necropoli di Cavalupo, datata tra l'850 e l'800 a.C., è un importante testimonianza di contatto tra gli Etruschi e i Sardi. Questa tomba conteneva una straordinaria statua in bronzo di un guerriero, ora esposta nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, e numerose fibule villanoviane che sono state trovate anche il Sardegna, evidenziando gli scambi commerciali. I commerci si estesero anche verso le colonie greche in Italia, come dimostrato dai reperti di origine cumana ritrovati nella regione.
Vulci continuò a prosperare nel campo della ceramica e della lavorazione della pietra fino al IV secolo a.C. Contribuì significativamente al commercio con i mercanti greci importando ceramiche corinzie, ioniche e attiche. A causa di queste attività commerciali, Vulci guidò più volte la Lega delle città etrusche contro Roma.
Tuttavia nel 280 a.C. la città subì una sconfitta per mano dell'esercito romano comandato dal console Tiberio Coruncanio. Questa sconfitta portò alla perdita di gran parte del suo territorio, che fu assegnato a Cosa e Forum Aurelii, l'attuale Montalto di Castro. Da quel momento iniziò il declino della città etrusca che, comunque, ottenne lo status di municipio romano nel I secolo a.C. e divenne una sede vescovile nel IV secolo. Alla fine Vulci fu definitivamente abbandonata in favore di Montalto di Castro nell'VIII secolo.

Fonte:
stilearte.it

Salamina, importanti ritrovamenti nella baia di Ampelaki

Salamina, Ambelaki. Veduta di parte di un edificio
(Foto: E. Kroustalis)

Una missione archeologica anfibia si è svolta sul lato nordoccidentale della baia di Ampelaki, rivelando importanti scoperte relative alla città classica di Salamina. Nel corso degli ultimi anni, questa baia è stata oggetto di una sistematica esplorazione dei resti sommersi di Salamina, tra cui spicca un porticato che si affacciava su una piazza. Questo luogo è nei pressi del punto in cui avvennero gli scontri armati della battaglia di Salamina (480 a.C.).
Il fulcro di questa recente esplorazione è stato un grande edificio pubblico, parzialmente sommerso, situato nell'angolo nordovest dell'attuale Ormos, un'area delimitata dalla diga marittima a sudest. Questa area era già stata oggetto di documentazione in anni precedenti, ma l'indagine ha portato a ulteriori scoperte significative.
Lo scavo di questo edificio è stata condotta utilizzando una tecnica di scavo "anfibio", che combina metodologie sia terrestri che subacquee. Per drenare l'area di scavo è stata installata una diga e utilizzate due pompe idrauliche, consentendo così il completo esame di una superficie marina di 60 metri quadrati.
L'edificio in questione, che ha una larghezza fissa di 6 metri e una lunghezza di 32 metri, mostra una notevole continuità architettonica nella sua porzione settentrionale lungo il litorale, mentre nella sua estremità meridionale presenta una proiezione quadrata. Dalle sue dimensioni, dalla forma e dalla disposizione degli spazi interni, così come da altri dettagli architettonici, è stato identificato come una stoà. La stoà, di origine greca antica e derivante da un verbo che significa "collocare", è una caratteristica struttura architettonica che consiste in passaggi coperti o portici destinati all'uso pubblico. Questi elementi sono situati all'interno di un edificio rettangolare allungato, caratterizzato da un luogo aperto e affiancato da colonne. Questa parte solitamente si affaccia su una piazza o una strada, mentre l'altro lato è chiuso da un muro. La copertura può variare da spioventi a terrazze, e l'edificio stesso può avere una parate superiore che ripete il modello del piano inferiore.
Salamina, Ambelaki. Parte superiore di colonna del IV
secolo a.C. con sezione a rilievo (Foto: 
Χρ. Μαραμπέα)
All'interno di questo edificio, sono stati individuati almeno 6-7 ambienti, con particolare attenzione ad uno di essi, che misura 4,7 x 4,7 metri e presenta un ampio pozzo di deposito situato nell'angolo nordovest. Le sue solide mura, spesse circa 0,60 metri, sono composte da grandi blocchi di pietra squadrata, dei quali oggi rimangono solo uno o due strati di pietre. Tuttavia, lungo il lato occidentale e le murature trasversali si appoggiano su una fondazione ben costruita.
I resti archeologici in questa zona sono stati in gran parte spogliati del loro materiale da costruzione, poiché questa zona è stata utilizzata per il recupero di materiale edilizio fino alla fine del XIX secolo. L'indagine della stoà ha portato alla luce un tesoro di reperti mobili, tra cui una vasta quantità di ceramica di varie epoche. Questa ceramica include frammenti di vasi di vario tipo e ceramiche risalenti all'epoca classica ellenistica. Di particolare importanza sono i vasi colorati e conchiglie ateniesi risalenti al periodo tardo classico (IV secolo a.C.).
Tra i reperti marmorei, due meritano particolare attenzione. Uno di essi è un frammento di colonna con una parte di iscrizione, mentre l'altro è la parte superiore di un'altra stele con una rappresentazione in rilievo che sembra raffigurare un eroe incoronante un uomo barbuto. Questi ritrovamenti sono datati al IV secolo a.C. e si collegano direttamente a una rappresentazione simile su una stele nel Museo Archeologico di Salamina, con l'eroe come figura principale nella celebre festa adolescenziale di Aianteia.
L'identificazione della stoà è di notevole importanza per lo studio della topografia e dell'organizzazione abitativa dell'antica città di Salamina. Si ritiene che questa struttura costituisse il confine orientale dell'area dell'agorà della città durante l'epoca classico-ellenistica, invece che essere direttamente associata al porto. La sua esistenza era stata menzionata dal viaggiatore Pausania nel II secolo d.C., e l'area in cui è stata scoperta era stata già proposta come ubicazione dell'agorà da W. Kendrick Pritchett nel 1999.

Fonte:
stilearte.it

Iraq, il ritorno del lamassu

Iraq, il lamassu di Khorsabad
(Foto: finestresullarte.info)

Notevole recupero archeologico in Iraq: nel sito archeologico di Khorsabad, noto anche come Dur-Sharrukin, antica capitale assira durante il regno di Sargon II (721-705 a.C.), situato nel nord del paese (vicino a Ninive), è infatti riemerso uno splendido lamassu, una divinità alata protettrice, presente in diverse civiltà mesopotamiche: si presenta come una creatura dal corpo di toro e leone, le ali di aquila e la testa umana
Il lamassu di Khorsabad, realizzato in alabastro, pesa circa 19 tonnellate e misura circa 3,8 per 3,9 metri. Il rinvenimento è opera del lavoro della missione franco-irachena della Sorbona, guidata da Ahmed Fakak Al-Badrani e Pascal Butterlin.
Il lamassu è intero, ad eccezione della testa, conservata nelle raccolte del Museo dell'Iraq di Baghdad, dopo che negli anni '90 del secolo scorso i funzionari della dogana iracheni riuscirono a sottrarla ai contrabbandieri di antichità. La statua, situata all'ingresso dell'antica città di Khorsabad, risale a 2700 anni fa: fu infatti realizzata proprio durante il regno di re Sargon II e fu installata alle porte della città come segno di protezione.
Menzionato per la prima volta nel XIX secolo dall'archeologo Victor Placer, il lamassu scomparve dal dibattito archeologico fino agli anni '90, quando le autorità irachene ritennero che fosse urgente un intervento sulla scultura. Fu proprio in quel periodo che i saccheggiatori di antichità portarono via la testa della statua e la fecero a pezzi per piazzarla all'estero. Fortunatamente il lamassu è stato risparmiato dalle distruzioni dei terroristi dell'Isis che invasero quest'area dell'Iraq (siamo vicini a Mosul) nel 2014: i residenti di Khorsabad lo nascosero prima di rifugiarsi nei territori ancora controllati dal governo iracheno. Adesso gli archeologi iracheni stanno cercando di capire se e come il corpo del lamassu potrà essere riunito alla sua testa.

Fonte:
finestresullarte.info

sabato 21 ottobre 2023

Tusculum, la resurrezione della ninfa delle terme...

Tuscolo, la statua romana raffigurante una ninfa
(Foto: A. Pizzo)

Nella città di Frascati, un tempo conosciuta come Tusculum, gli archeologi hanno fatto un'eccezionale scoperta. 
Un team della Scuola Spagnola di Storia e Archeologia di Roma ha portato alla luce una straordinaria statua in marmo risalente a 2000 anni fa, che offre allettanti indizi sul ricco passato della città. La statua è stata rinvenuta tra i resti di un complesso termale e rappresenta una figura femminile senza testa e senza braccia.
Fondata nel X secolo a.C., Tusculum fu una delle città più importanti della Lega Latina, antica confederazione che si opponeva all'espansionismo di Roma e che venne sconfitta nella battaglia del Lago Regillo del 496 a.C.
Secondo la leggenda Tusculum venne fondata dal figlio di Ulisse e Circe, Telegono, 20 anni dopo la distruzione di Troia. Qui gli archeologi hanno riportato alla luce, durante molte campagne di scavi, un complesso termale di epoca adrianea (II secolo d.C.).
La statua appena rinvenuta rappresenta una figura di donna a grandezza naturale, che probabilmente apparteneva alla decorazione architettonica più occidentale delle Terme di Adriano trovate in precedenza. Si tratta, secondo gli archeologi, della rappresentazione di una ninfa della mitologia greca, una divinità femminile che simboleggia la natura.
Tusculum, la statua della ninfa nella sua interezza
(Foto: mag1861.it)
Le ninfe, al pari di altre divinità femminili (escluse le Amadriadi), erano note per essere immortali. Venivano classificate in sottogruppi distinti: le Meliae, legate ai frassini; le Driadi, legate alle querce; le Naiadi, che abitavano in ambienti d'acqua dolce; le Nereidi che popolavano i mari e le Oreadi che abitavano nelle zone montuose.
I ricercatori ritengono, inoltre, che possa esserci un collegamento tra la statua della ninfa rinvenuta a Tusculum e il culto di Dioniso, dio del vino, figura affascinante dell'antica mitologia greca. Il suo culto comprendeva riti estatici con musica, danze ed abbondante consumo di vino.
Il ritrovamento della statua è stato veramente eccezionale, poiché è l'unica statua finora rinvenuta nelle terme pubbliche di Tusculum, dal 2015 oggetto di scavo dopo che nell'alta collina che ha di fronte Castelgandolfo e in fondo il mare, erano stati portati alla luce il teatro, la fontana arcaica, la "casa degli edili", il foro con i resti della basilica e di un piccolo tempio. E perché era adagiata sotto uno strato non troppo alto di materiali medioevali, collassati da una grande chiesa sorta sopra le terme.
Il manufatto pesa 270 chilogrammi ed il suo stato di conservazione, considerato il materiale che l'aveva ricoperto, è eccellente. Sul collo della statua è stata osservata una frattura antica, come di scalpellate ben assestate, che non hanno rovinato la faccia. Probabilmente, secondo i ricercatori, la statua era già in loco, gettata a terra nell'abbandono delle terme o buttata là in epoca medioevale  invece di essere riversata nella calcara.

Fonti:
zmescience.com
mag1861.it

Israle, la signora dello specchio...

Israele, lo specchio ritrovato in una tomba di 2300
anni fa (Foto: Emil Aladjem)

In Israele gli archeologi hanno scoperto quelli che credono siano i resti di una cortigiana greca. Si tratta dei resti di una giovane donna, rinvenuti sepolti in una grotta accanto ad uno specchio pieghevole in bronzo perfettamente conservato. La località del rinvenimento non è lontana da Gerusalemme.
Si ritiene che la sepoltura risalga ad un periodo compreso tra la fine del IV secolo e l'inizio del III secolo a.C., secondo uno studio congiunto condotto dall'Università di Tel Aviv e dall'Autorità Israeliana per le Antichità (IAA).
Gli archeologi impegnati nello scavo ritengono che i resti rinvenuti nella grotta appartengano ad un'hetaira, una sorta di cortigiana dell'antica Grecia. Probabilmente la giovane donna accompagnava una dei funzionari del governo ellenistico o un alto generale. L'età ellenistica, nel Medio Oriente e nel Mediterraneo orientale, individua un periodo compreso tra la morte di Alessandro Magno nel 323 a.C., e la conquista dell'Egitto da parte di Roma nel 30 a.C. Probabilmente la giovane donna è stata una dei primi Greci arrivati nella regione.
Lo specchio rinvenuto nella tomba è il secondo di questo tipo scoperto in Israele a tutt'oggi. Sono 63 gli specchi del genere conosciuti nel mondo ellenistico. La qualità dello specchio che accompagnava la giovane defunta è così elevata che è stato conservato in condizioni eccellenti. Specchi pieghevoli simili a questo sono stati documentati in tombe e templi del mondo greco ellenistico. Di solito erano decorati con incisioni o rilievi di figure o divinità femminili.
Solitamente le donne di alto rango ricevevano uno di questi specchi come parte di una dote, ma nel caso della donna sepolta nella grotta è del tutto improbabile che si tratti di una dote, in quanto le donne sposate raramente lasciavano le loro case in Grecia. Anche questa eventualità depone in favore dell'individuazione della defunta come hetaira.
Anche il fatto che i resti siano stati cremati può essere un indizio sulle origini della donna. La cremazione, infatti, era estranea nella terra d'Israele ed era altrettanto sconosciuta nella religione. La cremazione era vietata nel giudaismo e non sarebbe stata praticata nemmeno nell'impero persiano che, all'epoca della morte della donna, dominava la regione.
I quattro chiodi di ferro trovati assieme ai resti cremati della donna e allo specchio erano solitamente utilizzati per proteggere i defunti ma anche i vivi dai morti. I corpi venivano letteralmente inchiodati per garantire che non tornassero a disturbare i vivi.

Fonte:
edition.cnn.com


Turchia, trovata una "profumeria" di epoca romana

Turchia, materiali per il trucco di epoca romana
(Foto: aa.com.tr)

Gli archeologi che stanno lavorando nell'antica città di Aizanoi, nella Turchia occidentale, hanno scoperto resti di prodotti cosmetici unitamente a gioielli ed altri materiali per il trucco utilizzati dalle signore di 2000 anni fa.
La città di Aizanoi è nota per il Tempio di Zeus, che è stato inserito nel 2012 nella lista provvisoria del patrimonio mondiale dell'UNESCO.
La maggior parte dei reperti sono stati rinvenuti nell'agorà ad est del tempio di Zeus. Durante gli scavi sono venute alla luce diverse iscrizioni che forniscono informazioni sulla fondazione e sull'attività delle botteghe si affacciavano sull'agorà, permettendo di far luce sulla struttura commerciale e sociale dell'antica città. Proprio una di queste botteghe era dedicata alla vendita di prodotti cosmetici quali profumi, gioielli e materiali per il trucco. Sono state rinvenute numerose ampolle per i profumi, forcine per capelli e collane.
Uno dei risultati più sorprendenti per gli archeologi è la scoperta di pigmenti per il trucco simili al fard e agli ombretti moderni. Il loro stato di conservazione non è molto buono, sono stati recuperati frammenti di 1 o 2 millimetri di sostanze. Nell'Impero Romano i prodotti per il trucco delle matrone venivano spesso inseriti all'interno dei gusci delle ostriche, molti dei quali sono stati rinvenuti proprio nella bottega attenzionata dai ricercatori. I colori predominanti individuati vanno dal rosso al rosa ed altri 10 pigmenti di tonalità diverse.
L'antica città di Aizanoi vide il suo periodo aureo nel II e III secolo d.C. e divenne il centro dell'episcopato in epoca bizantina. Recenti scavi attorno al Tempio di Zeus indicano l'esistenza di diversi livelli di insediamento nella città, risalenti al 3000 a.C. Nel 133 a.C. fu conquistata dall'Impero Romano. Nel 1824, i viaggiatori europei riscoprirono l'antico sito.
Tra il 1970 ed il 2011 l'Istituto archeologico tedesco ha portato alla luce un teatro e uno stadio, oltre a due balnea pubblici, una palestra, cinque ponti, un edificio commerciale, necropoli e la grotta sacra di Meter Steune, un sito di culto che si ritiene fosse utilizzato prima del I secolo a.C.

Fonte:
aa.com.tr

Egitto, vino di 5000 anni fa...

Egitto, il deposito di giare di 5000 anni fa
(Foto: finestresullarte.info)

Nuova luce sulla regina egizia Meret-Neith, sovrana della I Dinastia (dal 3150 al 2925 a.C.) e tra i più antichi regnanti dell'Egitto. Una spedizione archeologica di Egitto, Germania e Austria, guidata dall'archeologa Christiana Kohler, ha scoperto un'iscrizione e diversi reperti che forniscono nuove informazioni sul regno di Meret-Neith. La spedizione sta lavorando sulla tomba della regina, che si trova nella regione di Umm al-Qaab ad Abydos (nel centro del paese, una delle più antiche città dell'Egitto): Meret-Neith potrebbe essere stata la prima sovrana donna dell'Egitto, anche se non si può stabilirlo con certezza.
Tra i reperti sono state rinvenute numerose giare di vino, alcune delle quali contenenti ancora resti di vino dell'epoca, oltre a una collezione di oggetti legati ai riti funerari (accanto al luogo di sepoltura della regina sono state trovate, infatti, 41 tombe dei suoi dignitari). Il materiale è in buone condizioni di conservazione, nonostante si stia parlando di oggetti di 5000 anni fa.
Gli scavi, fa sapere il Ministero delle Antichità dell'Egitto in una nota, sono riusciti anche a svelare nuove informazioni storiche sulla vita della regina e sul suo regno, e uno studio sulle iscrizioni di una delle targhe presenti all'interno della necropoli ha mostrato che la regina aveva una posizione di grande rilievo in quanto era responsabile degli uffici del governo centrale.
Studi condotti sul cimitero hanno indicato che la tomba della regina Meret-Neith è stata costruita con mattoni grezzi, argilla e tavole di legno e che la regina potrebbe essere l'unica donna della I Dinastia ad aver avuto una tomba ad Abydos.

Fonte:
finestresullarte.info

Francia, scoperta la necropoli di Argentoratae (Strasburgo)

Francia, la scoperta di una necropoli a Strasburgo
(Foto: stilearte.it)

Nelle recenti ricerche condotte nell'area della Porta Bianca, situata nel retro della stazione di Strasburgo, archeologi di Archéologie Alsace hanno riportato alla luce un prezioso tesoro dell'antichità: una necropoli romana contenente numerose tombe e sarcofagi. Questi reperti risalgono principalmente all'ultimo secolo della presenza romana nella regione, prima della devastazione causata dalle incursioni barbariche di Attila.
L'eccezionale scoperta include sarcofagi in arenaria e tombe adornate con preziosi oggetti in vetro e getta nuova luce sul passato di questa antica città. Tra i reperti più sorprendenti recuperati dagli archeologi c'è un obolo, una moneta romana, che è stata estratta con cura dalla mano di uno dei defunti, offrendo un toccante legame con il passato.
Francia, una delle sepolture scoperte nella
necropoli di Strasburgo (Foto: stilearte.it)
Le prime indagini sull'area risalgono al XIX secolo, quando Alexandre Straub condusse ricerche che portarono alla scoperta di 242 tombe, in gran parte risalenti al periodo del Basso Impero, ovvero la seconda metà del III e IV secolo d.C. Tra queste tombe si trovavano 20 sarcofagi monolitici in pietra arenaria, una dozzina di tombe con lastre di terracotta e altre con bare in legno o sepolture dirette. Questa zona, conosciuta come Argentoratae, ospitava un antico castrum romano, il cui nome oggi si associa alla moderna Strasburgo.
La presenza dei Romani in Alsazia iniziò nel 58 a.C. sotto il comando di Gaio Giulio Cesare, quando i Romani riuscirono a fermare l'invasione germanica di Ariovisto. Dopo la conquista e l'organizzazione della regione da parte di Marco Vipsanio Agrippa, generale di Ottaviano Augusto, il confine naturale fu stabilito sul fiume Reno. Argentoratae divenne un importante punto strategico e ospitò la Legio II Augusta fino al 43 d.C., quando la legione partì per la conquista della Britannia. Successivamente la Legio VIII Augusta fu posizionata a Strasburgo durante l'impero di Domiziano.
La necropoli appena scoperta rivela un periodo turbolento nella storia di Argentoratae. Nel 355 d.C., la città fu saccheggiata dagli Alemanni e due anni dopo l'esercito romano di Giuliano sconfisse le truppe alemanne guidate da Cnodomario proprio vicino Argentoratae. Tuttavia la città subì un destino tragico nel 451 d.C., quando fu distrutta durante l'invasione di Attila.

Fonte:
stilearte.it

Pompei, "intrighi" elettorali ed un larario con serpenti scoperti nella Regio IX

Pompei, il larario dipinto con serpenti
in stucco (Foto: archeomedia.net)

Iscrizioni elettorali all'interno di una casa. E' quanto emerge dagli ultimi scavi nell'area centrale dell'antica Pompei. I nuovi scavi in corso presso la Regio IX, si legge in una nota del Parco Archeologico, "sono finalizzati a migliorare le condizioni di conservazione delle case e delle botteghe lungo la via di Nola. Dopo la scoperta di una natura morta con focaccia e calice di vino ora è una serie di iscrizioni elettorali, l'equivalente antico dei manifesti e post elettorali di oggi, scoperte nell'ambiente che ospitava il larario, l'altare domestico della casa, a destare stupore".
Normalmente queste scritte si trovano sulle facciate esterne degli edifici, dove il popolo poteva leggere i nomi dei candidati alle magistrature della città. La presenza all'interno dell'abitazione potrebbe però trovare una spiegazione nella prassi di organizzare, all'interno delle case dei candidati e dei loro amici, eventi e cene allo scopo di promuovere la campagna elettorale.
Le iscrizioni invitano a votare un tale Aulus Rustius Verus, candidato per la carica di edile, un personaggio dell'ultima fase di vita di Pompei conosciuto già grazie ad altre iscrizioni e che, insieme a Giulio Polibio, proprietario di una splendida casa su via dell'Abbondanza, negli anni Settanta del I secolo d.C. raggiunse la carica più alta della città, quella di duumvir. La casa, attualmente oggetto di scavo, apparentemente appartenente ad un sostenitore di Aulo Rustio, forse un suo liberto o un amico, ospita anche un panificio caratterizzato da un grande forno, nei pressi del quale, alcuni mesi fa, furono trovate tre vittime dell'eruzione, due donne e un bambino, morti a causa del crollo del solaio durante la prima fase eruttiva.
La presenza del panificio è un fattore tutt'altro che secondario anche nell'ottica della campagna elettorale nell'antica Pompei, dove quello che oggi si definisce "voto di scambio" era all'ordine del giorno, spiega Maria Chiara Scappaticcio, professoressa di Latino presso l'Università Federico II di Napoli. Edili e fornai collaboravano ai limiti della legittimità e, plausibilmente come Giulio Polibio, Rustio Vero potrebbe aver capito fin da subito, quando ancora brigava per diventare edile e nel pieno della sua campagna elettorale, che di pane vive l'elettore. Ciò potrebbe spiegare anche perché le iniziali del candidato, A.R.V., appaiono su una macina di pietra vulcanica, appoggiata nell'atrio della casa, dove nel momento dell'eruzione si stavano facendo lavori di ristrutturazione. Aulo Rustio Vero finanziava, forse direttamente, l'attività del panificio con scopi sia economici che elettorali.
Sull'altare in muratura del grande Larario dipinto caratterizzato da due serpenti in stucco, noti in rarissimi confronti, sono stati, inoltre, rinvenuti resti di un'ultima offerta votiva, probabilmente avvenuta poco prima dell'eruzione. Le analisi archeobotaniche e archeozoologiche hanno permesso di identificare gli elementi che costituivano tale offerta e di riconoscere diverse azioni del rito effettuato. L'offerta era costituita principalmente da fichi e datteri che erano stati bruciati davanti all'altare. Il combustibile utilizzato è rappresentato dai numerosi resti frammentati di noccioli di oliva a cui era aggiunta la pigna con i pinoli, immancabile nei riti che caratterizzano soprattutto i larari. A chiusura del rito è stato posto un uovo intero direttamente sull'altare in muratura del larario. L'altare è stato poi coperto con una tegola.
Sono state inoltre individuate le tracce di precedenti offerte che, oltre a quelle già identificate, includono frutti della vite, pesce e carne di mammiferi.

Fonte:
napolitoday.it via archeomedia.net


Giugliano (Na), eccezionale scoperta di una necropoli e della Tomba del Cerbero

Giugliano, uno degli affreschi della Tomba del Cerbero
(Foto: archeomedia.net)

All'interno di terreni coltivati nel Comune di Giugliano in Campania, nell'ambito del programma di lavori condotti da Acqua Campania per il "completamento e adeguamento del sistema di alimentazione idrica dell'area Flegreo Domitiana", è stata rinvenuta la straordinaria Tomba del Cerbero: una tomba a camera, inviolata e in perfetto stato di conservazione.
Grazie a ricognizioni di superficie, in occasione delle indagini archeologiche preliminari prescritte dalla Soprintendenza per l'Area Metropolitana di Napoli, che hanno portato al riconoscimento di una dispersione di materiale di epoca storica, e a un'intuizione di Simona Formola, funzionario responsabile per il territorio, è stato posizionato un saggio di scavo in corrispondenza dell'area che si è rivelata ricca di sepolture, con riti diversi (sia ad inumazione che ad incinerazione), che testimoniano il lungo utilizzo dell'area a scopi funerari, con più livelli di frequentazione, dall'Età Repubblicana a quella Imperiale Romana.
Quasi a delimitazione dell'area di necropoli, la cresta di un muro in opera incerta si è rivelato essere il fronte di una monumentale tomba a camera, con l'ingresso ancora ben sigillato dall'originale lastra di tufo di chiusura, appena intaccata sulla sommità per creare un varco e permettere evidentemente l'accesso in una successiva fase di utilizzo del mausoleo, ben chiusa infine con tegole.
La camera sepolcrale presenta il soffitto e le pareti affrescate in perfetto stato di conservazione, con scene mitologiche, ittiocentauri che sorreggono un clipeo sulla parete frontale, festoni che girano tutt'intorno la camera e rappresentazioni figurate, tra cui spicca un cane a tre teste, da cui la denominazione convenzionale del mausoleo come Tomba del Cerbero.
E, inoltre, klinai dipinte e un'ara con vasi per libagioni, inumati ancora deposti sui letti funebri con ricco corredo. L'area della necropoli si pone significativamente in un punto nevralgico dell'ager Campanus, nei pressi di assi centuriali noti, ed equidistante dagli antichi assi stradali della via Cumis-Capuam e della via per Liternum. In particolare, da una prima analisi del contesto, sembra che la zona possa gravitare nella sfera culturale e politica di quest'ultima.

Fonte:
archeomedia.net

Battipaglia, una necropoli sconosciuta emerge da uno scavo di servizio

Battipaglia, la necropoli scoperta nel centro
della città (Foto: Soprintendenza Archeologia
Belle Arti e Paesaggio di Salerno e Avellino)

A Battipaglia, in provincia di Salerno, in via Belvedere, non lontano dal centro urbano, durante i lavori del Consorzio ASIS per la rimessa in funzione della rete idrica, è avvenuta una scoperta di eccezionale valore archeologico: è stata portata alla luce una porzione di una necropoli di età romana di notevole rilevanza.
Lo spazio funerario ospitava, all'interno di un recinto o di una monumento funerario, un sarcofago in marmo greco con coperchio, probabilmente databile al III secolo d.C. Il sarcofago reca, su uno dei lati lunghi, una decorazione con scanalature ondulate verticali disposte simmetricamente ai lati di un tondo centrale con sottostante campo rettangolare.
Generalmente il tondo e il campo sottostante erano rispettivamente occupati dal ritratto del defunto e da un'iscrizione dedicatoria, che qui mancano, mentre sono presenti evidenti segni di scalpellatura, forse a indicare che il sarcofago era rimasto incompiuto o era stato riutilizzato.
In una fase successiva, i defunti vennero sepolti in tombe disposte ai lati e al di sopra del sarcofago, realizzate con tegole e in un solo caso in un'anfora. Dai corredi delle tombe sono stati recuperati per lo più frammenti di oggetti in bronzo, monili femminili o elementi pertinenti ad oggetti in materiale deperibile.
Le sepolture, così come l'intero contesto, sono stati purtroppo danneggiati dalla messa in opera indiscriminata di precedenti sottoservizi, per cui si è potuto procedere solo ad un'indagine parziale di alcune tombe.
Inoltre la necropoli, sicuramente molto più vasta, si estendeva anche al di sotto dell'attuale SS18 e nella piazzola della vicina stazione di servizio, dove non è stato possibile estendere le indagini.
"Sicuramente siamo in presenza di un'importante necropoli con recinti e monumenti funerari disposti lungo un importante asse viario antico - dichiara il Soprintendente Raffaella Bonaudo - e questo ritrovamento apre nuove prospettive di ricerca per la conoscenza dell'antica organizzazione del territorio dell'attuale città di Battipaglia, aprendo numerosi interrogativi rispetto all'esistenza di un centro strutturato, cui il sepolcreto doveva afferire".

Fonti:
archeomedia.net
ansa.it


Siracusa, la cattedrale svela i resti del nascosto tempio greco

Siracusa, il crepidoma del tempio greco ritrovato
nella cattedrale (Foto: Arcidiocesi di Siracusa)

La cattedrale di Siracusa nascondeva, sotto un pavimento in legno risalente al secolo scorso, uno splendido tempio greco dedicato alla dea Atena e poi nascosto durante il VII secolo d.C., con l'avvento del cristianesimo. 
I bizantini decisero di costruire, sopra il tempio, una splendida cattedrale. per coprire il tempio pagano ma anche per fondare un culto cristiano nella città. La basilica, nel corso degli anni, cambiò aspetto più volte, anche a causa di alcuni terremoti. Per realizzare l'attuale facciata in stile barocco fu necessario raddoppiare la parete esterna rivolta verso la piazza: si creò così lo spazio per un vestibolo d'ingresso, con la porta affiancata da decorazioni a tralci e colonne tortili che richiamano quelle scanalate del tempio greco all'interno. La cattedrale subì ulteriori trasformazioni all'inizio del XX secolo, attraverso un imponente restauro promosso dal vescovo Luigi Bignami, concluso nel 1927.
I resti rinvenuti appartengono ad un crepidoma, vale a dire la struttura a gradini di pietra del tempio. I resti sono emersi mentre si svolgevano dei lavori di manutenzione di un locale che fungeva da deposito.
Il sovrintendente ai beni culturali di Siracusa, Salvatore Martinez, ha notato anche la mancanza di una colonna, forse tolta non si sa in quale epoca.

Fonti:
archeomedia.net
avvenire.it

venerdì 6 ottobre 2023

Francia, una necropoli ed un sarcofago femminile riemergono dal terreno

Francia, il sarcofago appena rinvenuto
(Foto: archeomedia.net)

Reims, conosciuta nell'antichità come Durocortorum, è in questi giorni il palcoscenico di straordinarie scoperte archeologiche che stanno svelando i segreti dell'antica capitale della Gallia dei Belgi, una delle città più importanti dell'impero Romano. La notizia di importanti ritrovamenti è stata data in queste ore dall'Inrap, l'Istituto nazionale francese di ricerche archeologiche preventive.
Il cuore delle ultime scoperte archeologiche si trova in rue Soussillon a Reims, dove gli archeologi hanno portato alla luce una porzione di una vasta necropoli romana. Questa area di 1200 metri quadrati è solo una piccola parte di ciò che un tempo era una necropoli estesa ben oltre i confini urbani. Qui sono state scoperte una ventina di sepolture in feretri chiodati e alcune tombe ad incinerazione, circondate da ampi fossati utilizzati dai Romani per drenare l'acqua proveniente dalla falda freatica in questa zona umida, precedentemente considerata inadatta a qualsiasi insediamento.
La vera sorpresa è stata la scoperta di un imponente sarcofago in pietra calcarea alto un metro e mezzo, lungo 1,65 metri e largo 0,80. Questo sarcofago, composto da pietra calcarea grossolana, potrebbe essere stato realizzato utilizzando blocchi riutilizzati dopo essere stati cavati da precedenti edifici. Il sarcofago è stato sigillato con otto gambe di ferro unite da piombo. Grazie all'uso di una macchina sollevatrice, gli archeologi sono riusciti a separare le due parti sarcofago, rivelando i resti di una donna.
Questi resti sono affiancati da un ricco corredo funerario che include lucerne, contenitori di vetro che recavano forse oli profumati, un piccolo specchio posizionato vicino alla testa della defunta, un anello d'ambra e un pettine. Questi oggetti rivelano dettagli sorprendenti sulla vita e la morte della donna, indicando che la sepoltura risale al II secolo d.C. Il DNA prelevato da uno dei denti dello scheletro verrà confrontato con 80 campioni per stabilire se questa donna appartenesse all'élite locale o provenisse da luoghi più lontani.

Fonte:
archeomedia.net

Egitto, i misteri della piramide di Sahura

Egitto, la piramide di Sahura
(Foto: archeomedia.net)

Una missione egiziano-tedesca ha portato alla luce, a seguito di lavori di restauro, otto nuove stanze mai osservate prima all'interno della piramide di Sahura, ad Abusir, costruita più di quattro millenni fa.
La piramide di Sahura, costruita più di quattromila anni fa, era la tomba di Sahura, secondo re della V Dinastia e il primo a farsi inumare ad Abusir.
La piramide è la più antica tra quelle scoperte ed è per questo che le autorità locali, sostenute dall'Antiquities Endowment Fund (AEF) dell'American Research Center in Egypt (ARCE), hanno avviato nel 2019 dei processi di conservazione per salvaguardarne la struttura. Gli sforzi del team si sono concentrati sulla pulizia delle stanze interne, stabilizzando la piramide e prevendo ulteriori crolli.
Durante uno scavo del 1836 l'egittologo John Perring aveva notato tracce di un passaggio inaccessibile a causa dei detriti. Era convinto che portasse ad ulteriori stanze. Tuttavia, durante un'ulteriore esplorazione della piramide da parte di Ludwig Borchardt, nel 1907, queste ipotesi furono messe in discussione e le ricerche abbandonate.
Oggi la missione egiziano-tedesca, guidata dall'egittologo Dottor Mohamed Ismail Khaled del Dipartimento di Egittologia della Julius-Maximilians-Universitat di Wurzburg, ha fatto un'eccezionale scoperta, proprio all'interno della piramide di Sahura. Durante i lavori di restauro, infatti, gli archeologi non hanno solo scoperto le dimensioni originali della struttura e sostituito i muri distrutti con nuovi di sostegno. Ma hanno effettivamente portato alla luce le tracce di un passaggio.
Dimostrando così che le osservazioni fatte da Perring durante le sue esplorazioni erano corrette. Infatti, gli studiosi hanno rinvenuto ben otto stanze, che avevano forse la funzione di magazzini destinati al deposito dei corredi funerari. Sebben il soffitto e il pavimento originale siano gravemente danneggiati, è ancora possibile vedere i resti del piano di costruzione originale.
Un'attenta documentazione della planimetria e delle dimensioni di ogni magazzino ha notevolmente migliorato la comprensione dei ricercatori dell'interno della piramide. Utilizzando, poi, una tecnologia all'avanguardia, tra cui la scansione laser 3D, il team egiziano-tedesco, collaborando con gli studiosi del 3D Geoscan, ha condotto delle dettagliate indagini all'interno della piramide.

Fonte:
archeomedia.it

Antichi rituali di sacrifici umani: l'incaprettamento femminile

Francia, le sepolture neolitiche rinvenute in grotta (Foto: stilearte.it) Uno studio, pubblicato da Science advances , ha portato alla luce ...