domenica 11 maggio 2025

Tarquinia, uno scandinavo tra gli etruschi

Cerveteri, tomba dei rilievi, fine IV sec. a. C.
(Foto: wikimedia.com)

Sensazionale scoperta quella dell'Università degli Studi di Milano a capo di un progetto di scavi che coinvolge atenei da tutto il mondo. Scoperta su cui ora gli esperti si stanno interrogando, non avendo precedenti. La notizia ha fatto il giro del mondo, essendo stata pubblicata in un articolo recentemente redatto dal gruppo di ricerca nella prestigiosa rivista Nature-Scientific Reports. A entrare nel dettaglio sono stati gli studiosi durante l'incontro dal titolo "Alla scoperta degli allevatori etruschi: nuove tecniche di indagine al complesso monumentale di Tarquinia". Ad organizzarlo la cattedra di Etruscologia dell'Università degli Studi di Milano in partnership con la Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e per l'Etruria Meridionale, con il patrocinio del Comune di Tarquinia.
Si è parlato, durante la conferenza, di sacrifici di ovini, suini e bovini ma anche di anomale sepolture di individui alla Civita di Tarquinia. In particolare gli archeologi hanno approfondito gli studi su sei di questi corpi e dall'analisi delle ossa hanno accertato che uno di essi proveniva dalla Scandinavia.
I ricercatori hanno individuato le piante che erano coltivate, come era il clima, il cibo consumato dagli umani e dagli animali che vivevano, in passato, nel territorio controllato da Tarquinia. Ornella Prato, del Museo di Storia Naturale di Londra, si è soffermata sulle modalità di studio delle ossa rinvenute: "La nostra è un'indagine a tutto campo su una delle maggiori città etrusche. - Ha detto. - Ricerca mirata ad indagare l'intero arco della storia di Tarquinia, dalle origini, alla sua fioritura, fino alle soglie della romanizzazione. Lo studio ha permesso di gettare luce sulla provenienza degli animali, mostrando lo sfruttamento intensivo dei suini, la qualità della lana delle pecore e la produzione di latte e di formaggio".

Fonte:
ilmessaggero.it/viterbo

Canosa, memorie dalla Daunia: il frammento ritrovato

Canosa, un frammento di pittura murale dell'antica
Daunia (Foto: ilgiornaledellarte.com)

Si deve ai Carabinieri Tpc il merito di aver ritrovato un importante e raro frammento di pittura murale dell'antica Daunia esposto in anteprima nell'ultima tappa della mostra "Forme e colori dall'Italia preromana. Canosa di Puglia" (fino al 18 maggi, a cura di Massimo Osanna e Luca Mercuri) nella prima ala fruibile del nuovo Museo Archeologico Nazionale di Canosa.
Il repertorio è stato recuperato a maggio 2023 in un maxisequestro nel deposito londinese di un noto trafficante d'arte. Le analisi condotte dall'Istituto Centrale per il Restauro di Roma ne confermavano l'autenticità, evidenziando gli interventi ricostruttivi rispetto alle porzioni originali. Lo studio della vivace policromia ha confermato, inoltre, la presenza di pigmenti antichi come il blu egiziano, il cinabro e l'ocra, mescolati con particolari sostanze per ottenere diverse tonalità di viola. Il dipinto, che rappresenta un corteo funebre, conta cinque figure maschili e undici femminili (tra donne e bambine) realizzate su un fondo beige chiaro, identificabili da iscrizioni con caratteri apulo-messapici. L'uso dei colori, con una predominanza di toni rosa e viola, proprio come nei coevi vasi plastici dauni, è straordinario e contribuisce a definire forme e dettagli delle figure.
Nella ricostruzione proposta, il dipinto indicherebbe il viaggio nell'aldilà del giovane Artau. A lui il dio Hermes indica con la mano destra la via per un futuro ultraterreno in cui ad accoglierlo ci sono Dama Dameiza e Bodau Etareu, forse i suoi antenati. Lo circonda un corteo di familiari diviso in tre gruppi: un nucleo composto da un uomo, una donna e tre bambine, un gruppo di cinque donne e poi un uomo e una donna, forse una coppia. Un'altra lettura suggerisce che il defunto possa essere Bodau, alla sinistra di Hermes, la figura che il dio sfiora con la mano destra. Tutti, ad eccezione delle due bambine più piccole, hanno la mano tesa verso Hermes. Le donne, inoltre, sollevano un "flabellum" costituito da una foglia cuoriforme a stelo lungo.
Il tema espresso è quello della "deductio ad Inferos", ben attestato nelle pitture funerarie della Daunia tra IV e III secolo a.C. Le iscrizioni, sebbene non facilmente leggibili, identificano quasi tutti i personaggi con un nome proprio e un'apposizione nominale, forse un patronimico. L'analisi congiunta degli elementi tecnici e iconografici ha condotto gli specialisti ad ipotizzare che il dipinto facesse parte della facciata di un ipogeo canosino o arpano databile al III secolo a.C. L'originalità del repertorio, l'eccezionale stato di conservazione, la presenza delle iscrizioni nella lingua degli antichi Dauni, seppure nella consueta assenza di dati sul rinvenimento da scavi clandestini costituiscono una preziosa testimonianza dell'abilità artigianale, delle pratiche funerarie e della diffusione della scrittura in ambito locale.

Fonte:
ilgiornaledellarte.com

venerdì 9 maggio 2025

Svizzera, trovato un antico sito di età romana

Svizzera, scavo di un seminterrato nel sito di Kaiseraugust
(Foto: Freigelegter Keller/Kanton Argovia)

Nel nord della Svizzera, a Kaiseraugst, vicino al confine con la Germania, gli archeologi hanno portato alla luce un'antica strada romana ed una rara statuetta in bronzo raffigurante una pantera. La scoperta offre uno spaccato della vita quotidiana ad Augusta Raurica, fondata quasi 2000 anni fa.
Gli scavi sono stati effettuati tra maggio 2024 e marzo 2025, in vista di un progetto di costruzione di abitazioni residenziali e di un garage.
Il sito si trova all'interno della città bassa di Augusta Raurica, un insediamento romano fondato nel 44 a.C. vicino all'odierna Basilea e noto come una delle città romane meglio conservate a nord delle Alpi. Gli archeologi hanno anche identificato tombe di epoca romana successiva, parte di una necropoli più ampia.
Il tratto di strada tornato alla luce è largo quasi quattro metri. Nel corso del tempo la strada è stata riparata ed ampliata. Era fiancheggiata da fossati di drenaggio ed ombreggiata da camminamenti colonnati su entrambi i lati ed offriva una chiara immagine delle infrastrutture e della pianificazione urbana romana.
Nelle vicinanze, gli archeologi hanno scoperto diversi edifici, tra i quali una grande struttura in pietra con un seminterrato ed una casa parzialmente scavata. Questi spazi sotterranei erano ben conservati ed hanno restituito numerosi manufatti.
I ricercatori hanno trovato diversi fosse e pozzi rivestiti in pietra nei cortili delle abitazioni e stanno tuttora indagando sul loro uso, se come depositi o come latrine. Hanno documentato anche numerose sepolture di neonati situate all'interno delle case e nei cortili. In epoca romana i neonati venivano comunemente sepolti in casa, piuttosto che nelle necropoli pubbliche.
Il sito fu occupato dalla fine del I secolo fino al III secolo d.C., con tracce di un successivo utilizzo romano confermato dalle numerose monete ed oggetti rinvenuti. Tra le scoperte più sorprendenti vi sono una statuetta in bronzo raffigurante una pantera, un altare votivo ricavato da pietra tenera ed una fusaiola in vetro colorato realizzata utilizzando la tecnica del mosaico.

Fonte:
greekreporter.com


I misteri dei papiri di Ercolano...

Lettere greche sul rotolo di Ercolano conservato presso la
Biblioteca Bodleiana di Oxford (illus. Vesuvio Challenge)

Un rotolo carbonizzato, recuperato in una villa romana sepolta sotto la cenere durante l'eruzione del Vesuvio, è stato identificato come l'influente opera di un antico filosofo greco.
I ricercatori hanno scoperto il titolo e l'autore sul papiro di Ercolano dopo averlo sottoposto ai raggi X ed averlo virtualmente scartato al computer: è la prima volta che dettagli così importanti vengono ricavati con questo approccio.
Tracce di inchiostro visibili nelle immagini radiografiche hanno rivelato che il testo faceva parte di un'opera in più volumi, "Dei Vizi", scritta dal filosofo epicureo Filodemo nel I secolo a.C. Il rotolo è uno dei tre provenienti da Ercolano e conservati presso la Biblioteca Bodleiana di Oxford. Il rotolo è uno delle centinaia di reperti rinvenuti nella biblioteca di una lussuosa villa romana che si ritiene appartenesse al suocero di Giulio Cesare.
Gli scavi del XVIII secolo hanno portato alla luce molti degli antichi rotoli, la maggior parte dei quali è conservata presso la Biblioteca Nazionale di Napoli. Ma i documenti sono così gravemente danneggiati che si sbriciolano quando i ricercatori cercano di srotolarli e l'inchiostro sul papiro carbonizzato è illeggibile.
Accanto a "Dei Vizi" e "Filodemo", un numero presente sul rotolo suggerirebbe che potrebbe trattarsi del primo volume dell'opera. "Dei Vizi" contiene almeno 10 libri, mentre altri trattano argomenti quali l'arroganza, l'avidità, l'adulazione e la gestione domestica.
I ricercatori stanno riscontrando tracce di inchiostro in molti dei nuovi rotoli scansionati, anche se non le hanno ancora convertite in testo.

Fonte:
theguardian.com


venerdì 25 aprile 2025

Egitto, scoperta la sepoltura del principe User ef Ra

Egitto, la monumentale falsa porta 
della tomba di Userefra, V Dinastia
(Foto: MoTA)
L'Egitto continua a riservare straordinarie sorprese. E' stata, infatti, scoperta di recente una tomba di altissimo rango, la sepoltura del principe User-ef-Ra (o Waser-If-Ra), figlio del sovrano fondatore della V Dinastia Userkaf (2494-2487 a.C. circa). Userkaf non diede solo inizio alla sua Dinastia, ma fu anche promotore del culto di Ra, tanto che durante il suo breve regno lo introdusse come culto di Stato. Suo, infatti, è il primo tempio solare. Lo costruì ad Abu Ghurab. Dopo di lui questo genere di struttura verrà edificato da tutti i sovrani della V Dinastia. Seguendo il suo programma politico-spirituale diede ai sui figli - Userefra (titolare della sepoltura appena rinvenuta) e Sahura (successore al trono) - un nome legato alla divinità solare.
Nella sepoltura sono stati trovati importanti e monumentali manufatti risalenti non solo all'Antico Regno ma anche al Periodo Tardo.
Diversi sono gli elementi rinvenuti degni di nota, ma la monumentale falsa porta in granito rosa è la più grande mai rinvenuta in Egitto. Alta 4,5 metri e larga 1,15 metri, la falsa porta è incisa con testi geroglifici che riportano i titoli di Userefra, tra questi: "Principe Ereditario", "Governatore di Buto e Nekheb", "Scriba Reale", "Visir", "Giudice" e "Sacerdote Cantore". Ai suoi piedi una tavola per offerte in granito rosso dal diametro di 92,5 centimetri incisa con dettagliati elenchi di offerte rituali per il nutrimento del ka del principe defunto. Probabilmente doveva trattarsi di una base per colonna riadattata per l'uso.
Altro reperto davvero interessante e unico del suo genere è il gruppo scultoreo che rappresenta Djoser (III Dinastia) con sua moglie e le loro dieci figlie: finora non era mai stata trovata una statua di Netjerykhet raffigurato con la sua famiglia. Si tratta di un oggetto sicuramente fuori contesto, in quanto Djoser governò circa 160 anni prima di Userkaf. Gli studiosi ritengono che le statue inizialmente fossero ubicate in una cappella vicina alla Piramide a Gradoni e poi trasferite nella tomba del principe Userefra durante il Periodo Tardo suggerendo, quindi, un riuso postumo della sepoltura, come testimonia anche la presenza di una statua in granito nero della XXVI Dinastia (675-525 a.C. circa) di un personaggio maschile stante, alta 1,17 metri, con incisi sul petto il suo nome ed i suoi titoli. Era pratica comune, durante il Periodo Tardo, arricchire le sepolture con oggetti d'arte provenienti dall'Antico Regno per rievocare i fasti e la grandezza del passato.
Anche l'inusuale ingresso secondario fiancheggiato da due colonne di granito rosa individuato sulla facciata orientale della tomba suggerisce un riuso della sepoltura. Sull'architrave sono riportate iscrizioni poco leggibili con nome e titoli del proprietario della sepoltura e un cartiglio di Neferirkara (sovrano dal 2475 al 2465 a.C. circa): probabilmente la tomba fu utilizzata anche da un'altra figura elitaria della V Dinastia. Quando si riusciranno a leggere le iscrizioni si avrà maggiore chiarezza sul susseguirsi delle inumazioni in questa sepoltura.
Altro reperto di particolare spicco riportato alla luce è un raro gruppo scultoreo di 13 elementi maschili e femminili in granito rosa: ogni figura è seduta su una panca dallo schienale alto. Si ritiene rappresentino familiari e collaboratori del proprietario della tomba. Singolari sono alcune delle figure femminili, le cui teste sono scolpite in modo da essere più alte degli altri personaggi, probabilmente rappresentano le mogli del principe. Nello stesso contesto è stata rinvenuta una statua capovolta in granito nero alta 1,35 metri

Fonte:
mediterraneoantico.it


Spagna, frammenti di pitture dalla villa romana di Barberes sud

Spagna, i frammenti dipinti della villa romana di
La Vila Joiosa (Foto: finestresullarte.info)

Importante scoperta archeologica in Spagna durante gli scavi nella villa romana di Barberes Sud, nella città di La Vila Joiosa (comunità Valenciana, provincia di Alicante), che hanno portato alla luce più di 4.000 nuovi frammenti delle pitture che decoravano la residenza all'inizio del II secolo d.C.
L'ultima campagna di scavi condotta nella villa romana di Barberes Sud ha rinvenuto migliaia di frammenti delle pitture murali che decoravano le stanze signorili di una grande villa di età imperiale, situata accanto alla strada che collegava la città romana di Allon con la costa, nell'attuale regione di Marina Baixa. I lavori, svolti su una superficie complessiva di 842 metri quadrati, hanno permesso agli archeologi di scoprire parte della pianta della villa, realizzata durante il regno dell'imperatore Traiano, con una parte ad uso manifatturiero, un cortile o atrio con diversi ambienti (probabilmente ad uso della servitù) e infine un ampio spazio coperto, porticato con grandi colonne, destinato al giardino della casa e circondato da stanze signorili, all'epoca riccamente decorate. Di questa parte si sono conservate solo le fondamenta.
Le mura erano costruite in terra battuta (argilla pressata) e apparivano crollate all'interno delle stanze e del cortile porticato. Una delle sale signorili ha conservato integralmente gli stucchi delle sue pareti, il cui scavo ha richiesto un lavoro molto meticoloso poiché si sono conservati frammenti di intonaco dipinto. Ogni frammento o gruppo di frammenti è stato consolidato dai restauratori ed è stata realizzata la fotogrammetria di ciascuno degli strati di stucco, numerata e localizzata, il che permetterà di farsi un'idea della composizione originaria.
Una volta completati gli scavi, nel laboratorio di restauro di Vilamuseu sono iniziati i lavori di consolidamento e ricostruzione dei pannelli che decoravano la sala. Si comincia ad intravedere la ricca decorazione della sala, ed è stato addirittura possibile ricostruire parte di un pannello con 22 frammenti degli 866 documentati in questa sala, che mostra una ricca decorazione di ghirlande vegetali, alternate a uccelli e sormontate in alto da una modanatura.
Tra gli altri lacerti, in fase di inventariazione e restauro, spiccano frammenti di stucco curvilineo, decorato ad imitazione di colonne scanalate, che ricoprivano grandi colonne che sostenevano lo spazio porticato che circondava il giardino della villa romana.

Fonte:
finestresullarte.info
 

Libia, trovati resti mummificati di individui di una comunità isolata

Libia, mummia naturale di 7000 anni fa rinvenuta nel
riparo roccioso di Takarkori (Foto: Missione
archeologica dell'Università di Roma La Sapienza)

Settemila anni fa, quando il Sahara era ancora una distesa verde e fertile, un gruppo umano isolato abitava l'odierna Libia, senza contatti con le popolazioni subsahariane. Lo rivela un nuovo studio basato sull'analisi del DNA di due individui mummificati naturalmente, trovati nel riparo roccioso di Takarkori, nel Sahara centrale. I risultati, pubblicati da un team internazionale di ricercatori del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology con sede a Leipzig, Germania, ridefiniscono la storia genetica dell'Africa settentrionale, dimostrando che la regione non era un passaggio migratorio tra il nord ed il sud del continente.
I campioni genetici, tra i più antichi mai recuperati dall'area, presentano un'inedita finestra sulla vita durante il cosiddetto Periodo Umido Africano (tra 14500 e 5000 anni fa), quando il Sahara era attraversato da fiumi e costellato di laghi, favorendo la presenza umana e la diffusione del pastoralismo. La successiva desertificazione ha trasformato la regione del deserto più vasto del mondo, rendendo eccezionale la conservazione di materiale genetico.
"I nostri risultati suggeriscono che mentre le prime popolazioni nordafricane erano in gran parte isolate, hanno ricevuto tracce di DNA neanderthaliano a causa del flusso genico dall'esterno dell'Africa", ha affermato il Dottor Johannes Krause, direttore del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology.
Libia, il riparo roccioso di Takarkori, dove sono state trovate
le mummie (Foto: Missione Archeologica dell'Università
di Roma La Sapienza)
"Lo studio evidenzia l'importanza del DNA antico per ricostruire la storia umana in regioni come l'Africa centro-settentrionale, fornendo un supporto indipendente alle ipotesi archeologiche", ha detto il Dottor Davide Caramelli, dell'Università di Firenze.
Le analisi genomiche indicano che gli individui di Takarkori appartenevano ad una linea genetica nordafricana distinta, separatasi dalle popolazioni subsahariane circa 50.000 anni fa, ovvero nello stesso periodo in cui i moderni esseri umani iniziarono a diffondersi fuori dall'Africa. Questo lignaggio rimase geneticamente isolato fino al Periodo Umido Africano, suggerendo una continuità genetica nella regione per migliaia di anni. Sebbene oggi questa linea genetica non esista più nella sua forma originale, è ancora una componente centrale del patrimonio genetico delle popolazioni nordafricane. Il dato rivela che la storia genetica del Nord Africa è molto più complessa e stratificata di quanto ipotizzato in precedenza.
Lo studio dimostra che i flussi genetici tra le aree del Nord Africa e dell'Africa subsahariana rimasero limitati. Gli individui analizzati non mostrano alcuna traccia di ascendenza subsahariana, un dato che smentisce l'ipotesi del Sahara come ponte migratorio tra le due macro-regioni africane. La diffusione del pastoralismo nel Sahara, secondo i ricercatori, non sarebbe avvenuta attraverso lo spostamento delle popolazioni, bensì grazie a un passaggio di conoscenze culturali e tecnologiche. Questa scoperta ridimensiona, quindi, il ruolo delle migrazioni nella diffusione delle innovazioni nel Nord Africa preistorico.
Un altro elemento chiave emerso dalla ricerca è la connessione genetica tra gli individui di Takarkori e i cacciatori-raccoglitori vissuti in Marocco 15000 anni fa, nel sito di Taforalt. Questi ultimi erano associati all'industria litica iberomaurusiana, una cultura preistorica precedente al Periodo Umido Africano. Entrambi i gruppi risultano ugualmente distanti dalle popolazioni subsahariane, confermando che, nonostante il clima favorevole del Sahara Verde, le due aree rimasero geneticamente separate.
Lo studio offre anche nuove informazioni sul rapporto tra i primi nordafricani e i Neanderthal. L'analisi del DNA mostra che gli individui del Takarkori possedevano una quantità di materiale genetico neanderthaliano dieci volte inferiore rispetto alle popolazioni non africane attuali, ma superiore a quella delle popolazioni subsahariane contemporanee. Lo studio segna quindi un passo fondamentale nella comprensione delle dinamiche umane nel Sahara preistorico. La scoperta di un lignaggio genetico rimasto isolato per oltre 50000 anni e la conferma della scarsa interazione con l'Africa subsahariana impongono una revisione delle teorie sulle migrazioni in questa regione.

Fonte:
finestresullarte.info

Agrigento, scoperta un'aula dell'antico ginnasio

Agrigento, gli scavi dell'aula del Ginnasio
(Foto: agrigentonotizie.it)

Il ginnasio greco, anticamente, rappresentava qualcosa di molto importante e definito: era il luogo deputato alla formazione della futura classe dirigente. Forniva gli strumenti educativi e di crescita per creare "cittadini completi" attraverso la filosofia, la retorica, la musica e l'atletica. Un insieme perfetto di discipline che armonizzavano il corpo e la mente.
Grazie ad una sensazionale scoperta avvenuta durante una campagna di scavi nell'area archeologica di Agrigento, è riaffiorata un'ampia testimonianza di un antico ginnasio, un aula in particolare.
Un'équipe internazionale di archeologi ha riportato alla luce questa antica struttura durante una campagna di scavi diretta dai Professori Monika Trumper e Thomas Lappi della Freie Università di Berlino. Un'attività che ha visto la collaborazione del Politecnico di Bari e del Parco Archeologico della Valle dei Templi. Fondamentale anche il sostegno della più importante fondazione tedesca per la ricerca scientifica.
Nel V secolo a.C., in particolare ad Atene, il ginnasio si affermò come istituzione centrale nella formazione dei giovani. Grazie ad esso l'individuo si preparava non solo alla vita pubblica ed alla guerra, ma anche alla riflessione morale ed al dibattito civile. 
Con l'ellenizzazione del Mediterraneo e con l'espansione romana, il modello del ginnasio si diffuse ovunque ed arrivò anche ad Agrigento. L'aula magna riaffiorata ad Agrigento ha una forma rettangolare di 11 per 23 metri ed era verosimilmente utilizzata per ospitare letture, dibattiti, esercizi di retorica ed addirittura gare di poesia. Sono apparse iscrizioni in lingua greca perfettamente conservate che fanno riferimento al "ginnasiarca", ovvero al funzionario responsabile del ginnasio. Ma parlano anche della ristrutturazione del tetto dello spogliatoio: intervento edilizio che sarebbe stato finanziato, all'epoca, da un cittadino che lo dedicò alle divinità protettrici del ginnasio: Hermes, dio della parola e del movimento, ed Eracle, che rappresentava la forza fisica e l'eroismo.
Nel 2026 il team di ricerca ha intenzione di esplorare le aree a nord dell'auditorium perché si presuppone la presenza di ulteriori ambienti scolastici e sportivi. Gli archeologi contano di individuare nuove iscrizioni che possono svelare altri elementi utili per delineare la vita di Akràgas sia dal punto di vista istituzionale che puramente quotidiano.
La parola ginnasio deriva dal greco gymnàsion, da gymnòs, "nudo": nell'antica Grecia, infatti, gli esercizi ginnici si svolgevano senza indumenti, per esaltare l'estetica del corpo e affinare la tecnica atletica. I ginnasi comprendevano la palestra per la lotta e l'atletica, l'ephebeion per le lezioni teorica, sale per il riposo, bagni, biblioteche e portici per il passeggio e la conversazione. Celebri erano quelli dell'Accademia, del Liceo e del Cinosargo, frequentati anche da grandi filosofi come Platone, Aristotele e Antistene.
Il fulcro della scoperta 2025 è rappresentato da un edificio coperto, una sorta di auditorium o piccolo teatro didattico, capace di accogliere circa 200 persone. La sala, strutturata in otto ordini di sedute semicircolari ascendenti, era concepita per facilitare la visione e l'ascolto, come nei più avanzati edifici teatrali ellenistici. Si tratta di uno dei più antichi esempi conosciuti di ambiente scolastico coperto adibito a funzioni intellettuali, anticipando di almeno due secoli strutture simili come quella del ginnasio di Pergamo in Asia Minore, databile solo alla metà del I secolo d.C.

Fonti:
archeomedia.net
stilearte.it

sabato 19 aprile 2025

Austria, avamposto militare romano sul Danubio torna alla luce

Austria, vista aerea dello scavo nell'Hainburger Au
(Foto: H. Wraunek)

Per la prima volta i ricercatori dell'Istituto Archeologico Austriaco dell'Accademia Austriaca delle Scienze e del Parco Archeologico di Carnuntum, del Dipartimento di Arte e Cultura della Provincia della Bassa Austria, sono riusciti a dimostrare l'esistenza di una testa di ponte romana in territorio austriaco. Questa scoperta dimostra l'importanza della via dell'Ambra, una via commerciale che dal Baltico, passando per Carnuntum, conduceva nei territori dell'Impero Romano e fornisce, nel contempo, nuovi dettagli sulla difesa di confine romana lungo il Danubio.
Finora era conosciuto solo un sito analogo sul limes del Danubio, il forte di Iza-Leanyvar, in Slovacchia.
Sono ancora visibili le mura del sito, noto come Odes Schloss, individuate già nel 1850. Sulla base dei bolli rinvenuti sui mattoni, le strutture edilizie vennero all'epoca interpretate come i resti di una testa di ponte fortificata romana. La testa di ponte era solitamente costruita sulla sponda opposta di un fiume di confine ed aveva il compito di monitorare gli attraversamenti fluviali considerati strategicamente importanti. Da queste basi, le truppe romane potevano osservare sia il passaggio attraverso il Danubio che la campagna circostante. In particolare lungo il limes del Danubio, tali installazioni erano importanti per la difesa del confine romano e il controllo delle rotte commerciali.
Gli scavi nell'Hainburger Au hanno portato alla luce strutture murarie straordinariamente ben conservate. Particolarmente impressionante è il fatto che parti delle mura del forte si sono conservate fino a 2,65 metri di altezza. Le indagini scientifiche dimostrano che il forte ebbe due fasi costruttive. La prima fase risale al 170-180 d.C. circa, quando l'imperatore Marco Aurelio fece rinforzare il confine romano contro le tribù germaniche durante le guerre marcomanniche. La seconda fase costruttiva, intorno al 260 d.C., vide la ristrutturazione del complesso sotto l'imperatore Gallieno.
I reperti archeologici rinvenuti comprendono mattoni bollati delle Legioni XIV e XV, monete, ceramiche e piccoli oggetti in bronzo a dimostrazione, secondo i ricercatori, della grande importanza strategica di Carnuntum.
Lo scavo fornisce anche preziose informazioni sulla dinamica del Danubio. Poiché i corsi d'acqua storici anteriori al XVI secolo sono scarsamente documentati, sono stati prelevati campioni di sedimenti in collaborazione con l'Università di Boku e l'Università di Vienna pe analizzarne l'evoluzione geologica.

Fonte:
oeaw.ac.at


Israele, rinvenuto un impianto dell'Età del Ferro per la colorazione dei tessuti

Israele, conchiglia di Hexaplex trunculus raccolta vicino
Tel Shiqmona (Foto:phys.org)

Un team di antropologi, archeologi e specialisti storici affiliati a diverse istituzioni negli Stati Uniti ed in Israele, ha scoperto che un tempo esisteva un insediamento costiero in quello che oggi è lo stato di Israele, nel villaggio di pescatori noto come Tel Shiqmona, sede di un impianto per la produzione su scala industriale di una tintura viola un tempo apprezzata da molte società mediterranee dell'Età del Ferro
Il team di ricercatori ha scoperto grandi vasche macchiate di viola, insieme ad altri 176 manufatti relativi al processo di produzione del colorante. La materia prima utilizzata era il muco estratto dalle lumache di mare, che lo utilizzano per difendersi.
Questo muco, hanno osservato i ricercatori, è originariamente verde, ma diventa viola se esposto all'aria. Trasformare la sostanza in colorante avrebbe richiesto l'esecuzione di diversi passaggi chimici per consentirle di legarsi al tessuto. Le vasche in cui venivano immersi i tessuti erano abbastanza grandi da contenere 350 litri di questo materiale, il che suggerisce che il sito fosse un impianto di produzione su larga scala.
Si ritiene che la produzione del colorante, nel sito di Tel Shiqmona, sia iniziata circa 3000 anni fa, su piccola scala. In seguito, con l'espansione del Regno d'Israele, la produzione aumentò per poi diminuire nuovamente dopo la caduta del Regno e risalire dopo la conquista della regione da parte degli Assiri.

Fonte:
phys.org

domenica 13 aprile 2025

Una divinità...pulita: Venere Cloacina

Monete dedicate a Venere Cloacina
(Foto: storiachepassione.it)

Gli antichi romani avevano una divinità anche per le fogne. Si chiamava Venere Cloacina, la quale unì due aspetti apparentemente distinti: da una parte l'amore, l'armonia e la bellezza, dall'altra il concetto di purificazione legato all'acqua e, nello specifico, alla Cloaca Maxima, la principale nonché la più antica fognatura dell'antica Roma.
La Cloaca Maxima era il primo condotto fognario di cui Roma si dotò già durante il periodo della monarchia. La sua costruzione si colloca durante il regno di Tarquinio Prisco (616-578 a.C.), anche se fu probabilmente completata sotto l'ultimo re di Roma, il figlio di Tarquinio Prisco, Tarquinio il Superbo (535-509 a.C. circa). Inizialmente si trattava di un canale scoperto al quale si ricollegavano tutti i corsi d'acqua naturali e che sfociava nel Tevere. I Romani attribuirono subito all'opera ingegneristica una certa aura sacrale, al punto che si sviluppò un vero e proprio culto, quello di Cloacina, divinità di origine etrusca, protettrice delle fogne. Del resto furono gli Etruschi ad insegnare ai Romani la bonifica delle paludi e le fognature. Tito Livio è uno degli autori che riporta notizie sulla Cloaca Maxima e sul culto della Venere Cloacina.
Roma, com'è noto, sorse in un punto geografico strategico, su un terreno basso e paludoso, in prossimità di un guado che facilitava le rotte commerciali sia con l'Etruria sia con chi proveniva dal Tevere. Questa particolare topografia fece sorgere sin dagli inizi la necessità di un buon sistema fognario, grazie al quale si sarebbe sanificata la principale area economia della città.
L'epiteto "Cloacina" deriva dal verbo latino "cluo/cluere", ossia "purificare, pulire". L'associazione con Venere fu, probabilmente, posteriore, anche se è difficile stabilire di quanto, ed anche se si ipotizza intorno al VI-V secolo a.C., quando si realizzò un santuario dedicato alla dea, il sacello della Venere Cloacina. Di questo santuario oggi resta solo la base, situata nel Foro Romano, di fronte la Basilica Emilia, in corrispondenza del punto in cui la Cloaca Maxima entra nel Foro.
La tradizione romana narra che fu Tito Tazio, re sabino e co-regnante con Romolo, ad introdurre il culto di Venere Cloacina. Tito Tazio fu l'ottavo re di Roma. Secondo la leggenda, dopo la guerra Romani e Sabini sugellarono la pace nell'esatto punto in cui sorse, in seguito, il santuario di Venere Cloacina. L'accordo venne sugellato purificando l'acqua che di lì affluiva nel Tevere. Quell'acqua, forse, apparteneva al corso naturale poi sfruttato per realizzare la Cloaca Maxima.
La prima raffigurazione della divinità, però, risale al I secolo a.C. Ottaviano Augusto collegò l'essenza purificatrice della Venere Cloacina alle guerre - altrettanto purificatrici - che stava conducendo per sconfiggere definitivamente gli uccisori di Cesare. Il culto di Venere Cloacina andò, comunque, affievolendosi con l'espandersi della Repubblica prima e dell'Impero dopo.
Il sacello si trovava sopra una costruzione di tufo, che scende tre metri sotto l'attuale piano, nel punto in cui la Cloaca entra nel Foro. E' costituito da un basamento circolare di marmo sul quale poggiava, originariamente, l'alzato di un piccolo edificio. Come risulta da alcune rappresentazioni monetali, si trattava di un sacello a cielo aperto, costituito da un basso recinto circolare entro il quale vi erano due simulacri di culto: Cloacina e Venere, la prima rappresentante la più antica divinità e la seconda aggiunta solo in secondo tempo, quando venne identificata con la prima. Si trovava sulla Via Sacra, nei pressi dell'area della Tabernae Novae, che venne successivamente demolita per far spazio alla Basilica Emilia.
Accanto a questo piccolo ma importante santuario, connesso con la Cloaca Maxima, che in questo punto entrava nel Foro, si sarebbero svolti due importanti episodi della mitica storia delle origini: la purificazione con rami di mirto degli eserciti romano e sabino dopo la guerra successiva la ratto delle Sabine e l'uccisione di Virginia da parte del padre Lucio Virginio per salvarne le virtù dalle mire di uno dei decemviri, Appio Claudio.

Fonti:
storiachepassione.it
romasegreta.it
romanoimpero.com


Tarquinia, uno scandinavo tra gli etruschi

Cerveteri, tomba dei rilievi, fine IV sec. a. C. (Foto: wikimedia.com) Sensazionale scoperta quella dell' Università degli Studi di Mila...