sabato 25 agosto 2018

Francia, nuove scoperte nell'oppidum di Ambrussum

Ambrussum, archeologi al lavoro nel sito dell'antico oppidum romano
(Foto: e-metropolitain.fr)
Scavi archeologici intrapresi all'inizio di quest'anno presso il sito archeologico di Ambrussum, a Villetelle, in Francia, stanno portando alla luce un complesso monumentale costituito da una piazza lastricata delimitata da un portico e diversi altri monumenti deputati ad uso amministrativo e commerciale. Le ricerche, sul sito, vanno avanti da più di 40 anni ed hanno permesso di individuare un oppidum gallico successivamente romanizzato.
Sono state scoperte alcune case, un sentiero lastricato che attraversava il villaggio, un edificio monumentale interpretato come una Basilica civile. Le campagne di scavo si sono, in seguito, concentrate ai piedi della collina, dove è stato individuato il passaggio della via Domitia con tutti i servizi necessari ai viaggiatori: locande, balnea e molto altro. Ambrussum si rivela, dunque, una località piuttosto importante per la comprensione della romanizzazione della Gallia meridionale. Sulla collina resta ancora da scavare quasi il 95% dell'antico oppidum.
Dal 2016 ad Ambrussum sono impegnati gli archeologi di un team diretto da Maxime Scrinzi, archeologo, che stanno portando alla luce il centro della vita pubblica dell'antico oppidum, al fine di comprendere meglio l'organizzazione della cittadina e lo stato dei monumenti. Lo scopo è quello di scoprire se la Basilica, rinvenuta nelle precedenti campagne di scavo, era parte di un più grande centro monumentale. Gli scavi, supportati da moderni macchinari, hanno permesso di accertare che Ambrussum aveva un vero e proprio foro.
Ambrussum, la via Domitia nei pressi dell'oppidum
(Foto: Wikipedia)
Nel contempo sono stati intensificati gli scavi attorno alle vie secondarie che correvano nella zona, per approfondire la conoscenza della rete stradale della cittadina che si trova nel sudovest della Francia, lungo la riva destra del fiume Vidourle.
Nella parte più a nord di Ambrussum sono dislocati i resti di un ostello lungo la via Domitia, datati al 30 a.C., con tracce di abbandono nel 240 d.C. a causa, probabilmente, di un'inondazione del Vidourle. Gli scavi effettuati nel secolo scorso hanno portato alla luce i resti di una caldaia di un centro termale, oggetti in ceramica, un forno ed un altare religioso.
L'oppidum romano era racchiuso da mura fortificate. I resti più antichi risalgono al Neolitico (2300 a.C. circa) e all'Età del Bronzo. Sono state rinvenute anche ceramiche etrusche e un frammento di coppa greca del VI-V secolo a.C.. La vera e propria città fortificata, invece, risale al IV secolo a.C.. La parte meglio conservata è quella delle fortificazioni nate con il borgo. Con il tempo le fortificazioni hanno subito delle modifiche: le torri a base quadrata sono state arrotondate e se ne sono aggiunte altre nel II secolo d.C.. Attualmente sono visibili 26 torri lungo un perimetro di circa 635 metri.
Nella parte più alta dell'oppidum sono visibili i resti di due abitazioni e di un edificio pubblico. Una delle due abitazioni, quella più a nord, addossata alle mura fortificate, risale al I secolo d.C. ed è stata costruita su un precedente insediamento. La seconda abitazione, situata a sud, edificata nello stesso periodo, presenta una superficie di 400 metri quadrati ed è ispirata a modelli urbanistici romani.
Nella parte sud dell'oppidum, quella affacciata sul fiume, vi sono i resti della Basilica di I secolo a.C., un edificio lungo 40 metri ed aperto sul lato nord. 

Fonte:
e-metropolitain.fr

Svezia medioevale multietnica

Svezia, i resti di un uomo sepolto a Sigtuna. Lo scheletro è stato scoperto
nel 2008 tra le radici di un albero (Foto: Museo di Sigtuna)
Una nuova analisi sui resti di 38 persone, che hanno vissuto e sono morte nella città di Sigtuna tra il X e il XII secolo, rivela una notevole varietà genetica ed una migrazione su vasta scala. Lo studio è il più ampio del genere finora condotto in Svezia ed ha combinato una serie di metodi quali l'analisi del Dna e l'analisi degli isotopi di stronzio nei denti.
Sigtuna è conosciuta come la prima città degna di questo nome in Svezia. Venne fondata nel 980 d.C., quando il primo re cristiano del paese, Olof Skotkonung, ha posto qui la sua residenza. La cittadina, che oggi conta circa 10.000 abitanti, era un posto decisamente cosmopolita, all'epoca. Ricercatori dell'Università di Stoccolma, in collaborazione con l'Università di Uppsala, l'Università del Medio Oriente in Turchia, il British Geological Survey nel Regno Unito e la Curt-Engelhorn-Zentrum Archaometrie in Germania, hanno analizzato i resti di 38 individui provenienti da sei diversi siti di sepoltura di Sigtuna.
L'analisi si è basata su una combinazione di metodi archeologici e di osteologia, compresa l'analisi del Dna e del livello degli isotopi di stronzio nei denti, che varia a seconda del luogo dove l'individuo ha vissuto in gioventù. La metà della popolazione di età vichinga di Sigtuna è risultata provenire da fuori Malardalen. Circa la metà degli individui esaminati è cresciuto intorno alla zona di Sigtuna se non proprio in città. L'altra metà è divisa in parti uguali da immigrati provenienti dalla Scandinavia meridionale, dalla Norvegia e dalla Danimarca e da immigrati provenienti da più lontano: dalle isole britanniche, dall'Ucraina, dalla Lituania, dalla Germania del nord e da altre regioni dell'Europa centrale. Il 70% della popolazione femminile era immigrata, rispetto al 44% di sesso maschile.
Tra i sepolti a Sigtuna vi sono anche immigrati di seconda generazione.

Fonte:
heritagedaily.com via Università di Stoccolma

Masada, i giardini di re Erode

Masada, la fortezza di re Erode
(Foto: Andrew Shiva/CC BY-SA 4.0)
Nel 73 d.C., a conclusione della prima guerra giudaica, l'esercito romano mise sotto assedio il sito sulla rupe di Masada, dove si nascondeva l'ultimo dei ribelli ebrei, asserragliato tra i resti del palazzo-fortezza di re Erode. Oggi Masada è un sito patrimonio mondiale dell'UNESCO, visitato e scavato sin dal 1960. Gli scavi sono in corso ancora oggi.
Nel 1924 un pilota britannico fece una serie di fotografie aeree di Masada. I negativi delle fotografie vennero trasposti su vetro e conservati presso L'Istituto di Archeologia dell'University College di Londra. Qualche anno fa Guy Stiebel stava esaminando queste immagini ed ha notato, accanto alla chiesa bizantina che sorge sul sito, una sagoma oblunga che sembrava indicare una costruzione sotterranea, qualcosa che non poteva essere notato sul posto. Scoprì che l'Autorità israeliana per i parchi e la natura aveva coperto questa struttura ben 45 anni fa. Guy Stiebel ha, pertanto, elaborato un progetto archeologico per scavare questo luogo sotto il patrocinio dell'Università di Tel Aviv.
Il team archeologico comprende specialisti in archeologia, archeobotanica, archeozoologia, archeometallurgia e paleomagnetismo oltre a moltissimi volontari internazionali ed ha completato già due stagioni di scavo sul campo, presso il palazzo-fortezza di Erode. E' stata trovata traccia dei sistemi di irrigazione e della presenza di condutture per l'irrigazione e per l'uso domestico risalenti al tempo di Erode. Anche se Masada si trova nel deserto della Giudea, questo eccessivo ricorso all'acqua per fini agricoli non era del tutto estraneo, nell'antichità. I ricercatori hanno molta familiarità con i lussureggianti giardini di Erode a Gerico, Cesarea e presso l'Herodium; inoltre gli scritti dello storico ebreo Flavio Giuseppe hanno dato ulteriori prove della destinazione d'uso del terreno intorno a Masada.
"Abbiamo imparato da Flavio Giuseppe che il terreno di Masada era presumibilmente fertile, ci siamo, quindi, chiesti se potevamo identificare prove di tali attività agricole in cima alla collina", ha detto Stiebel. "Con i nostri ricercatori del laboratorio archeobotanico, guidati da Dafna Langutt, abbiamo scavato una serie di saggi sulla terrazza superiore semicircolare del Palazzo nord, che si pensa sia stato un viridarium, una piantagione, un "giardino di piacere". La terrazza semicircolare ospitava le residenze reali del Palazzo nord, con una spettacolare vista sul Mar Morto, i monti di Moab e l'oasi di En Gedi".

Fonte:
biblicalarchaeology.org

giovedì 23 agosto 2018

Giordania, l'antico monastero di Jabal Haroun

Giordania, i resti del monastero bizantino di Jabal Haroun
(Foto: Zbigniew Fiema)
Tra il 1997 e il 2013, un team  di archeologi finlandesi che partecipano ad un progetto di scavo archeologico presso il monastero bizantino situato sull'altopiano di Jabal Haroun, a circa 5 chilometri a sudovest di Petra, in Giordania, si è particolarmente concentrato sul ruolo importantissimo svolto da questo sito nelle tradizioni ebraiche, cristiane e musulmane quale luogo di sepoltura di Aronne.
Il progetto ha studiato anche le variazioni paleoambientali, l'agricoltura antica, lo sfruttamento delle risorse ed il sistema di comunicazione nella zona. La zona, ben prima dell'installarsi del monastero bizantino, ha avuto un enorme significato religioso. Il monastero bizantino è stato preceduto da un santuario nabateo. "Il complesso religioso nabateo, con orientamento nord-est-sud-ovest, ha un orientamento diverso da quello bizantino (nord-sud)", ha affermato l'archeologo capo del progetto, Zbigniew Fiema, che ha lavorato sotto la direzione di Jaakko Frosén. "E' probabile che il santuario nabateo, costruito nel I secolo a.C., abbia continuato ad esistere per tutto il periodo romano ed i suoi ambienti siano stati poi incorporati, con le opportune modifiche, nel monastero bizantino, costruito nel V secolo d.C.".
Gli scavi hanno rivelato che il monastero comprendeva una basilica monoabsidata, con cappella adiacente e diverse sale e cortili. Un complesso piuttosto ampio. "A quanto pare, a Jabal Haroun, si è verificato uno dei fenomeni religiosi connessi con l'ascesa del cristianesimo nel Medio Oriente, vale a dire la trasformazione di un luogo cultuale pagano in un luogo sacro. Il centro monastico bizantino che ha incorporato il precedente santuario nabateo, aveva un carattere di memoriale chiaramente associato con i pellegrinaggi", ha specificato il Dottor Fiema.
La chiesa doveva essere riccamente decorata con arredi in marmo, mosaici in pasta vitrea dovevano ricoprire le sue pareti e il pavimento. Sia la chiesa che la cappella ad essa associata hanno subito diverse fasi di modifica e ampliamento, in seguito a distruzioni dovute ad eventi sismici. I monaci abbandonarono in parte il complesso nell'VIII secolo d.C., ma alcune delle strutture restarono in uso per tutto il periodo delle crociate.
I ritrovamenti nel sito sono di notevole importanza per la comprensione e l'interpretazione della vita  quotidiana in un complesso monastico, della sua architettura, del suo sviluppo e della sua economia. Sono stati rinvenuti ceramica, vetro, arredi i marmo, oggetti metallici, monete ed iscrizioni che attestano la ricchezza del monastero in epoca bizantina e la sua sussistenza durante il primo periodo islamico.

Fonte:
Jordan Times

Istanbul, rinvenute sepolture e figurine dell'Età del Bronzo

Iinstabul, le figurine ritrovate negli scavi per la metropolitana
(Foto: Hurriyet Daily News)
Scavi per la costruzione della metropolitana nel quartiere Besiktas di Istanbul hanno rivelato delle sorprese: sono stati rinvenuti i resti di almeno 69 sepolture risalenti all'Età del Bronzo, tra i quali due figurine in terracotta dell'altezza di sette e dieci centimetri.
Le sepolture dell'Età del Bronzo (3500-3000 a.C.) hanno rivelato una parte della storia di Istanbul. I ricercatori hanno detto che è troppo presto per affermare che ci siano, in quelle sepolture, le tracce delle prime popolazioni turche della città. Sono state scoperte anche sepolture ad incinerazione e tutte mostrano che una popolazione, proveniente dall'Asia centrale, si stabilì in questa parte della Turchia durante l'Età del Bronzo. Questa cultura ha attraversato i Balcani e si attendono novità in merito dall'analisi del Dna delle ossa rinvenute nelle sepolture.
Turchia, le due figurine ritenute rappresentazioni di madre e figlia
(Foto: Hurriyet Daily News)
Le due figurine sono state rinvenute tra le ossa combuste della sepoltura catalogata con il numero 25. Le figurine erano state disposte con molta cura all'interno della tomba. La parte anteriore è in forma umana stilizzata, le teste sono ovali e non ci sono simboli incisi su entrambe. Occhi e bocca non sono chiaramente identificabili, i piedi risultano essere costituiti da un unico pezzo. La parte posteriore di entrambe le figurine risulta incisa con alcune linee. I reperti somigliano a quelli della cultura Cucuteni-Tripoli, presente nella parte settentrionale di Moldavia, Ucraina e Romania. Gli studiosi chiamano queste figurine "Tamga".
Le figurine sembrano suggerire che potrebbe esserci un legame emotivo o genetico tra le persone sepolte nella tomba ed il fatto che una di esse sia più grande dell'altra potrebbe significare che si tratti di una madre e di sua figlia.
La presenza di figurine in una solamente delle 69 sepolture finora scavate fa pensare che le persone sepolte in questa tomba potrebbero aver ricoperto un ruolo piuttosto importante nella società dell'epoca, sia dal punto di vista sociale che religioso.

Fonte:
Hurriyet Daily News

martedì 21 agosto 2018

Bulgaria, trovata la statua di un magistrato romano

Bulgaria, la statua di un magistrato romano appena
scoperta nel Foro di Heraklea Sintica
(Foto: Archaeology in Bulgaria)
Nella città greco-romana di Heraklea Sintica, vicino Petrich, nell'attuale Bulgaria, gli archeologi hanno scoperto una statua romana datata alla fine del I o all'inizio del II secolo d.C., raffigurante un magistrato romano.
Si pensa che Heraklea Sintica sia stata fondata nel 300 a.C. da Kassandros, re di Macedonia, che fondò anche Salonicco, in Grecia. E' tuttavia possibile che Heraklea Sintica sia stata già anticamente una città fiorente. Il suo nome deriva dal mitico eroe greco Ercole, mentre Sintica deriva dal nome di una tribù tracia che abitava la valle del fiume Struma.
La statua è stata trovata ad una profondità di circa 4 metri sotto il Foro della città. E' una statua a grandezza naturale se non leggermente più grande ed è molto ben conservata. L'unica parte mancante è la testa.
Accanto alla gamba sinistra della statua c'è una custodia per rotoli di papiro ad indicare che l'uomo rappresentato nel marmo era un alto magistrato. Si pensa che si tratti di un certo Tiberius Claudius Bachius, un ricco benefattore di Heraklea Sintica.


Fonte:
Archaeology in Bulgaria

Creta, scoperta una lapide minoica

Creta, archeologi al lavoro sul luogo della scoperta della lapide
(Foto: Nikos Petassis su Facebook)
Un agricoltore di Kentri Ierapetra, sull'isola di Creta, mentre tentava di parcheggiare la sua automobile all'ombra di un ulivo, ha trovato una lapide scolpita risalente al periodo Tardo Minoico III.
Nella tomba, che non risulta essere stata saccheggiata, gli archeologi hanno scoperto due grandi vasi del periodo Tardo  Minoico, con raffigurazioni in rilievo che sono in eccellenti condizioni di conservazione. Sono stati rinvenuti anche due scheletri in altrettante sepolture e circa 24 vasi con goffrature colorate e raffigurazioni.
Il sito è in fase di scavo da parte del direttore del Ephorato del Commercio di Lassithi, Chrysa Sofianou e del Professor Yannis Papadatos dell'Università di Atene, con i quali collaborano circa 15 studenti di varie scuole di archeologia.
Gli archeologi sperano di trovare altre tracce del periodo Tardo Minoico in loco. Una delle sepolture è una tomba a volta unica, di quattro metri di lunghezza, riferibile al Periodo Tardo Minoico III (1500-1400 a.C.).

Fonte:
greece.greekreporter.com

lunedì 20 agosto 2018

Pompei, riemergono meraviglie nascoste

Pompei, i resti del letto funerario appena scoperto
(Foto: Susy Malafronte)
I cold case degli archeologi-investigatori: dalla Pompei romana emergono i segreti delle morti violente. Gli CSI dell'archeologia hanno rinvenuto un nuovo frammento di letto funerario all'interno di un'urna di cremazione.
L'annuncio social dei dipartimenti di archeologia di Valencia e della British School di Roma diventa virale. Sul profilo Facebook, gestito dai due poli universitari impegnati in nuovo scavi all'interno del Parco Archeologico, è stata postata l'immagine che svela nuovi scenari dei riti funerari degli abitanti della Pompei di duemila anni fa. Lo scatto inedito ha fatto impazzire il web. Ciò significa che nuovi ed entusiasmanti segreti stanno per essere riportati alla luce dopo due secoli di buio sotto la cenere e i lapilli del Vesuvio.
Pompei, anello con serpenti affrontati con occhi in pasta vitrea
(Foto: napoli.repubblica.it)
Gli archeo-investigatori inglesi e spagnoli sono impegnati nelle indagini sulla morte degli antichi pompeiani. "Non sempre gli abitanti della città archeologica sono morti per cause naturali", spiegano gli esperti. E' per scoprire le cause della morte violenta che, nelle Necropoli di Porta Nola e di Porta Sarno, sono state delimitate due ampie scene del crimine. Dalle prime indagini di scavo sono state riportate alla luce alcune urne contenenti le ceneri di soldati pretoriani.
Il piano investigativo di archeologia, finalizzato alla scoperta delle sepolture di cremazione denominato "la morte a Pompei - Necropoli e i fuggiaschi di Porta Nola", è seguito dagli esperti della British School, con sede a Roma, e dal dipartimento di archeologia di Valencia, con il supporto del Parco Archeologico di Pompei. La Necropoli di Porta Nola, a nord della città archeologica, è uno dei luoghi ideali per conoscere le caratteristiche fisiche e sociali, le abitudini e costumi, i modus vivendi, le abitudini e le cause di morte degli antichi pompeiani.
"Il nostro studio - spiegano gli archeologi impegnati nello scavo di Pota Nola - mira a capire come i pompeiani hanno affrontato il momento trascendente della morte, sia nella sua vita quotidiana che nel momento catastrofico dell'eruzione del Vesuvio".
Pompei, la scritta trovata nella "Tomba A" (Foto: napoli.repubblica.it)
A Porta Sarno, invece, si è appena conclusa con grande successo la prima stagione investigativa. Nella Necropoli risorta dalle ceneri sono emersi: 7 urne, diverse monete ed un piatto. Analizzate 4.000 ossa e studiati 2.000 frammenti di letto funerario. Si tratta di una ricerca eminentemente multidisciplinare con la partecipazione di diverse scienze archeologiche, archeologia funeraria, antropologia fisica, archeologia ossea e palinologia. Lo studio si avvale di tutte le tecnologie più moderne applicate alla topografia, alla geofisica, alla radiologia e alla realtà aumentata.
Lo scorso mese sono emersi, dagli scavi, urne cinerarie e un anello che rappresenta due serpenti d'oro con occhi di pasta di vetro, oltre ad una porta con chiusura perfettamente funzionante e un fallo disegnato sulla porta d'ingresso. La zona del ritrovamento è un'area della città antica che sarà presto restituita ai visitatori, adiacente alla tomba monumentale di Gnaeus Alleius Nigidius Maius, portata alla luce nel 2017. Qui la Soprintendenza archeologica di Pompei sta effettuando interventi di restauro e valorizzazione di altri due monumenti funebri a camera, denominate "Tomba A" e "Tomba B". Un accumulo alluvionale, rimosso durante i lavori, ha rivelato una grande quantità di reperti ceramici e in vetro (unguentari e pedine ma anche l'anello d'oro con occhi in pasta vitrea).
All'epoca dello scavo precedente, nella camera sepolcrale della "Tomba B", di forma rettangolare, mancavano solo quattro delle nove urne fittili murate lungo i lati della struttura. Delle cinque urne non precedentemente svuotate, due hanno restituito le ceneri dei defunti, mentre altre due contenevano i resti dell'ustrinum (rogo funebre) quali balsamari in vetro deformati dal calore e, in un caso, una moneta posta come "obolo carontis". Sul pavimento in cocciopesto è stato ritrovato anche un condotto fittile per le libagioni in onore dei defunti, che avevano luogo durante le varie festività. il condotto era chiuso.
La "Tomba A" è una struttura a forma quasi quadrata. Anche qui sono state ritrovate nicchie ricavate sui tre lati del muro in laterizio. Al momento dello scavo condotto nel 2001 si rinvennero due urne cinerarie in vetro con coperchio; la tomba conteneva inoltre due colombe in vetro soffiato e una brocca di piccole dimensioni. L'accesso alla tomba è situato sul lato meridionale ed è chiuso da una porta in calcare sulla quale sono leggibili due tituli picti. La porta presenta, all'esterno, un anello in ferro e un sistema di chiusura sulla parte interna in bronzo e cardini in bronzo. La porta era chiusa al momento dello scavo ed è stata aperta per i lavori di restauro, mostrando il perfetto funzionamento, a duemila anni di distanza, del sistema di chiusura romano. Sulla parte superiore della porta è presente un'iscrizione, un titulus pictus, che riporta "Iarinus Expectato/ambaliter unique sal(utem)/Habito sal(utem)", vale a dire "Iarinus saluta Expectato, amico per sempre; saluti a Habito". Sopra il noime di Habito qualcuno disegnò un fallo.

Fonti:
ilmattino.it
napoli.repubblica.it

Sicilia, riemerge un antico altare "da viaggio"

Palermo, il louterion appena scoperto
(Foto: palermo.repubblica.it)
Un louterion di marmo del IV secolo a.C., vale a dire un piccolo altare di bordo che serviva ai naviganti per i riti da dedicare agli dei, è stato rinvenuto nella stessa zona di mare, in contrada Bulala a Gela, nei cui fondali sabbiosi anni fa è stata scoperta e recuperata una nave arcaica in buono stato di conservazione.
L'importante reperto archeologico del diametro di circa un metro è stato scoperto (con altri 9 vasi di terracotta, acromi, dello stesso periodo del louterion) dal sub Francesco Cassarino, autore di molti altri ritrovamenti tra cui quello di decine di preziosi lingotti di oricalco e di un elmo corinzio. Le delicate operazioni di recupero, dirette dalla Capitaneria di Porto di Gela, con la supervisione della Sovrintendenza del Mare di Palermo, si sono svolte con l'ausilio dell'equipaggio del rimorchiatore "Gela 2" e la vigilanza della Guardia di Finanza. I reperti sono stati presi in custodia dalla Sovrintendenza del Mare, dopo il restauro saranno affidati al museo di Gela.

Fonte:
palermo.repubblica.it

domenica 19 agosto 2018

Egitto, una seconda sfinge scoperta a Luxor

Egitto, la Sfinge della piana di Giza (Foto: wikipedia.org)
Mohamed Abdel Aziz, direttore generale delle Antichità di Luxor, ha annunciato la scoperta di una seconda sfinge antica, risalente a più di 4000 anni fa, trovata durante lo sviluppo di un progetto civile di costruzione di una strada ad al-Kabbash, tra gli antichi templi di Karnak e Luxor.
La statua sarà sollevata ed estratta dal terreno quando l'ambiente sarà più adatto. La statua ha un corpo di leone con la testa umana ed è diversa dalle statue più piccole che, di solito, hanno testa di ariete. Il progetto al-Kabbash Road, che collegherà il tempio di Luxor con il tempio di Karnak sarà terminato alla fine del 2018 ed ha lo scopo di consentire e facilitare l'accesso ai visitatori ai luoghi archeologici nonché la fornitura di acqua ed elettricità.
Per gli antichi Egizi la Sfinge era un simbolo divino di regalità. Gli scavi del tempio di Luxor iniziarono nel 1884, quando gli archeologi compresero che molto di quello che stava emergendo dal terreno era di una importanza eccezionale. Lo scavo proseguì fino al 1960.

Fonte:
egyptianstreets.com

Bulgaria, interessanti scoperte dall'odeon di Philipopolis

Bulgaria, l'iscrizione con il diritto di "proedria"
(Foto: Plovdiv Time)
Un frammento di una statua di un illustre cittadino romano che aveva ottenuto la "proedria", vale a dire il diritto di occupare la prima fila di posti accanto all'orchestra nelle rappresentazioni drammatiche, è stato scoperto durante gli scavi dell'odeon dell'antica Philipopolis, nella città bulgara di Plovdiv.
Gli archeologi hanno anche scoperto frammenti della facciata principale dell'odeon, tra i quali resti di un colonnato e i suoi principali accessi. L'iscrizione in greco antico sul frammento di statua romana che cita il diritto di "proedria", contiene anche un nome che è risultato nuovo agli archeologi: Sozipatros. Non è, però, chiaro se si tratta del nome del cittadino romano che godeva della "proedria".
I ricercatori propendono per due possibilità: la prima è che Sozipatros fosse l'uomo onorato con la statua in parte conservata, la seconda è che Sozipatros fosse il nome del padre di chi aveva il diritto di "proedria".
Gli scavi a Plovdiv, antica Philipopolis, sono stati portati avanti per conservare e restaurare uno dei principali edifici pubblici dell'antica città della Tracia romana, i cui resti si trovano al centro dell'attuale Plovdiv. Tutta l'antica Tracia a sud del Danubio venne conquistata dall'impero romano nel 46 d.C. ed i Traci si integrarono completamente nella società romana.
Bulgaria, lo scavo del cardo maximus di Philipopolis
(Foto: Plovdiv Time)
Gli scavi di recupero e conservazione dell'antico odeon di Plovdiv, effettuati nel 2017 e nella primavera di quest'anno, hanno fatto notizia perché sono state evidenziate le tracce dell'invasione dell'impero romano da parte dei Goti nel 250-251 d.C. e per il rinvenimento di una sepoltura medioevale dell'XI-XII secolo d.C., in cui giaceva un uomo colpito da una freccia ancora presente nel petto.
Il rinvenimento attuale è stato effettuato in una sezione dell'odeon non esplorata nel 2012. Il team archeologico bulgaro è composto dall'archeologa Maya Martinova, dal Dottor Bozhidar Draganov e da studenti di archeologia e storia dell'Università di Plovdiv St. Paisiy Hilendarski. Gli archeologi puntano a far emergere il cardo maximus di Philipopolis, in modo da collegare il sito dell'odeon e del foro con la basilica di V secolo d.C., un altro dei grandi monumenti di Plovdiv, attualmente in restauro.
Bulgaria, parte di un fregio dell'odeon di Philipopolis
(Foto: Plovdiv Time)
I ricercatori hanno riportato alla luce anche la crepidine (marciapiede) della strada romana e detriti di notevoli dimensioni che appartenenti sia all'odeon che ad edifici antichi, in mattoni, sopravvissuti durante il medioevo. Sono stati riconosciuti i resti di un portico, con elementi provenienti da colonne e capitelli. L'odeon, dunque, aveva un colonnato e più ingressi. L'ingresso principale era rivolto ad est. Una volta restaurato, l'odeon sarà dotato delle più moderne tecnologie per permettere esibizioni dal vivo, al pari dell'altro più famoso punto di riferimento di Plovdiv, il Teatro dell'Antichità.
L'odeon si trova nell'angolo nordorientale del foro di Philipopolis e pare fosse un edificio in antichità coperto e destinato ad ospitare spettacoli teatrali. Fu costruito e ristrutturato in quattro fasi tra il I ed il IV secolo d.C.. Inizialmente venne costruito come un bouleterion, sede dell'assemblea cittadina, ed era adatto solo per rappresentazioni drammatiche e musicali. La fase costruttiva meglio conservata è quella più recente, risalente al III secolo d.C., dopo che l'edificio venne bruciato durante l'invasione dei Goti del 251 d.C.

Fonte:
archaeologyinbulgaria.com

sabato 18 agosto 2018

Pahos, nuove scoperte dagli scavi

Paphos, le conchiglie di murice venute alla luce in uno degli ambienti
scavati nel 2018 (Foto: Dipartimento delle Antichità di Cipro)
Il dipartimento delle antichità di Cipro (Ministero dei trasporti, comunicazioni e lavori) ha annunciato il completamento del campo di scavo dell'Università di Cipro a Palaipaphos, scavi diretti dalla Professoressa Maria Iacovou, del Dipartimento di Storia e Archeologia. Gli scavi si sono concentrati, quest'anno, sull'altopiano di Hadjiabdoulla, un chilometro ad est del santuario di Afrodite. Secondo i risultati degli scavi e l'analisi del paesaggio dell'antica Paphos, in corso dal 2006, l'altopiano di Hajiabdoulla era il centro economico-amministrativo di Paphos, la sua acropoli, in sostanza, durante il periodo classico cipriota.
Lungo il lato settentrionale dell'altopiano, la missione archeologica dell'Università di Cipro ha identificato e sta indagando un complesso architettonico edificato all'inizio del V secolo a.C. dalla dinastia reale di Paphos. Il complesso ha rivelato impianti di produzione e stoccaggio posti all'esterno delle mura dell'acropoli. Ad oggi sono emersi 65 metri del muro di fortificazione e 6 diverse unità produttive. La muratura sopravvive per due metri di altezza. Gli scavi hanno rivelato pietre da mulino, bacini, frantoi, pesi e tubi dell'acqua. Sono sopravvissuti anche resti di ossa animali, semi, noccioli di olive ed altre scorie, che sono stati raccolti per essere analizzati per meglio comprendere il modello economico della città antica.
In due unità sono stati identificati ambienti per la produzione di olio di oliva. Un'altra unità era utilizzata prevalentemente come archivio, poiché vi sono state rinvenute molte anfore importate, soprattutto anfore vinarie, che indicano l'estensione delle reti commerciali gestite da Paphos nel periodo cipriota classico (fine del VI secolo a.C.) con Cartagine, l'Egitto, la costa dell'attuale Libano, la Siria, il mar Egeo (Thàsos, Kos, Mende, Rodi e Chios) e la costa dell'Asia Minore (Efeso, Samo, Mileto), soprattutto dal IV al II secolo a.C.
Da un altro ambiente scavato quest'anno sono state raccolte grandi quantità di conchiglie di murice che, dopo un'attenta analisi dei gusci, ha rivelato che l'estrazione del colore viola dai gusci è stata effettuata in un altro luogo non ancora identificato. I gusci, in seguito, sono stati raccolti nell'ambiente in cui sono stati trovati per essere utilizzati nella preparazione di malta idraulica.

Fonte:
Dipartimento delle Antichità di Cipro

Pompei, nuove, interessanti, scoperte

Pompei, la parete con l'affresco raffigurante Priapo appena scoperta
(Foto: Ufficio Stampa Parco Archeologico di Pompei)
Una dimora di pregio su via del Vesuvio con stanze elegantemente decorate e all'ingresso un Priapo affrescato, in atto di pesare il membro su una bilancia, sono emersi nel corso dei lavori di riprofilatura dei versanti della Regio V che si affacciano sulla via di Vesuvio, nell'ambito del cantiere dei nuovi scavi.
Le operazioni in corso rientrano nel più ampio intervento di messa in sicurezza dei fronti di scavo, che delimitano i 22 ettari di area non scavata di Pompei, previsto dal Grande Progetto Pompei e che interesserà circa 3 chilometri di fronti.
La figura di Priapo, a Pompei ben conosciuto per la raffigurazione che campeggia all'ingresso della casa dei Vettii, oggi appare per la seconda volta in questa domus poco distante. Dio della mitologia greca e romana, era, secondo buona parte delle fonti, figlio di Afrodite e di Dioniso. Leggende minori lo vogliono, invece, figlio di Afrodite e di Ermes o Ares, o Adone o Zeus. Era, gelosa del rapporto adulterino di Zeus con Afrodite, si vendicò con Priapo e gli diede un aspetto grottesco, con enormi organi genitali.
Pompei, effige di donna trovati nella domus lungo via del Vesuvio
(Foto: Ufficio Stampa Parco Archeologico di Pompei)
Il fallo, così spesso raffigurato in affreschi e mosaici dell'epoca, era ritenuto origine della vita e per gli antichi Romani un simbolo apotropaico, utilizzato contro il malocchio o per auspicare fertilità, benessere, buon commercio e ricchezza. Non è un caso, difatti, che poco oltre un altro fallo in tufo grigio dipinto è emerso, lungo la strada, su una parete del vicolo dei balconi.
La domus lungo via del Vesuvio che sta venendo alla luce, sta rivelando oltre all'affresco del Priapo posto all'ingresso (fauces), anche diversi ambienti dalla decorazione pregiata, tra i quali una parete con un volto di donna entro un clipeo e una stanza da letto (cubicolo) decorata con una raffinatissima cornice superiore e con due quadretti (pinakes) nella parte mediana, l'uno con paesaggio marino, l'altro con una natura morta, affiancati da animaletti miniaturistici.
Sempre lungo la via del Vesuvio, procedendo verso sud, è stata invece messa in luce la parte superiore di una fontana/ninfeo, con la facciata rivolta verso l'interno dell'insula, dove probabilmente si apriva un giardino. La superficie finora esposta (parte superiore delle colonne, parte superiore della nicchia e frontone) è rivestita di tessere vitree e conchiglie, che formano complessi motivi decorativi. Al di sopra di una delle colonne è raffigurato un volatile.

Fonte:
Ufficio Stampa Parco Archeologico di Pompei

giovedì 16 agosto 2018

Grecia, ritrovamenti nel santuario euboico di Artemide

Grecia, la statuetta di Artemide trovata negli scavi del santuario euboico
(Foto: greece.greekreporter.com)
Gli archeologi hanno fatto nuove scoperte nel santuario di Artemide che si trova ad est di Amarynthos, sull'isola di Eubea, in Grecia. Il santuario è stato scoperto nel 2017, durante uno scavo effettuato dalla Scuola Svizzera di Archeologia in Grecia, in collaborazione con l'Eforato per le antichità di Evia.
Le nuove scoperte sono costituite da piastrelle in rilievo con la scritta "Artemis", una statuetta e tre basi risalenti all'epoca ellenistica con iscrizioni dedicatorie alla dea, a suo fratello Apollo ed alla madre di entrambi, Leto. I risultati hanno permesso di identificare gli edifici scavati negli ultimi 10 anni nel santuario. Secondo le fonti il santuario di Artemide era uno dei più importanti dell'Eubea. Gli edifici scavati negli scorsi anni definiscono il tempio di Artemide ad est e a nord e comprendono una fontana sacra.
Nel 2018 gli scavi sono diretti dal Professor Karl Reber dell'Università di Losanna, direttore della Scuola Svizzera di Archeologia in Grecia e da Amalia Karappaschalidou, Eforo onorario per le antichità dell'Eubea. La ricerca si è focalizzata sul sito centrale del santuario per riportare alla luce l'antico tempio e l'altare.
Tra i ritrovamenti più importanti di quest'anno vi sono una figurina in quarzo e rame, parte di una statua di Artemide e le basi con i nomi di Artemide, Apollo e Leto, tutti indizi che il tempio deve trovarsi in questa zona e che, forse, presto potrà essere presto identificato.
Gli scavi indicano che la fondazione del santuario di Artemide, ai confini della pianura ad est di Eretria, è connesso al rafforzamento del confine della città. Secondo una dichiarazione del Ministero della Cultura, il santuario venne restaurato in seguito ad un disastro occorso nel I secolo a.C. e poi venne rinnovato nel II secolo d.C.
Il tempio sull'isola di Eubea era teatro, nell'antichità, di ricche e fastose cerimonie religiose riportateci da storici e geografi quali Pausania e Strabone tra gli altri. Le ricerche di questo importantissimo luogo sono iniziate nel 2007. Il santuario doveva essere a cielo aperto e la sua collocazione è stata individuata ai piedi della collina Paleokklisies, accanto alla cittadina costiera di Amarynthos.
Durante le festività qui arrivava una processione che cominciava nella vicina città di Eretria (o Ertea). Si portavano doni ad Artemide, dea della caccia e patrona di Amarynthos, in occasione delle Amarisie, feste a lei dedicate. Lo storico Strabone riferisce, nella sua "Geografia", di aver visto, nel tempio di Artemide Amarisia, una colonna posta dagli abitanti di Eretria a ricordo di uno splendido corteo celebrativo a cui avevano preso parte 3.000 opliti, 600 cavalieri e 60 carri.

Fonte:
greece.greekreporter.com

Bulgaria, trovata una croce-reliquiario a Perperikon

Bulgaria, l'engolpion trovato quest'anno a Perperikon
(Foto: BGNES)
Tra i numerosi reperti scoperti dagli archeologi che stanno scavando l'antica città di Perperikon, nei monti Rodopi, in Bulgaria, vi sono un palazzo vescovile paleocristiano (V secolo d.C.) ed un crocifisso in bronzo. Sono, finora, 130 i manufatti trovati nel 2018 a Perperikon, nota anche come Perperik o Perperek.
Perperikon è innanzitutto un santuario megalitico preistorico risalente a 8000 anni fa, sede di un'avanzata civiltà preistorica alla quale non è stato dato ancora un nome e che è stata in seguito sostituita da Traci, Romani, Bizantini e dall'Impero Bulgaro medioevale. Nel 2016 è stata annunciata la scoperta di quella che poteva essere la più grande e antica chiesa cristiana nei monti Rodopi. In seguito è stata data la notizia del ritrovamento della sepoltura di un anziano sacerdote.
La chiesa paleocristiana si è rivelata una sorta di basilica di 22 metri di lunghezza, con due piani di alzato, che si pensa essere stata anche una residenza vescovile. Responsabile degli scavi è il Professor Nikolay Ovcharov, che crede fermamente che a Perperikon ci fosse un importantissimo centro amministrativo e religioso dei primordi del cristianesimo (V secolo d.C.) e che quella scoperta nel 2016 sia uno dei primi edifici religiosi cristiani d'Europa. L'archeologo è convinto anche che queste costruzioni siano collegate alla missione di cristianizzazione dell'antica Tracia descritta dal chierico cristiano Paolino di Nola (354-431 d.C.).
Bulgaria, veduta aerea degli scavi della città di Perperikon
(Foto: BNT)
La missione di cristianizzazione dell'antica Tracia è stata collegata dalla studioso anche ad altre recenti scoperte: il monastero cristiano trovato vicino al monte Dragoyna, risalente al IV-V secolo d.C., e la città di Dragynovo, nel distretto di Plovdiv, alle pendici occidentali dei monti Rodopi.
Tra i reperti più intriganti trovati negli scavi di quest'anno a Perperikon vi è un engolpion, vale a dire un reliquiario a forma di croce, con la rappresentazione di Gesù crocefisso e dei volti dei quattro Evangelisti. Gli engolpion sono manufatti religiosi pertinenti, solitamente, il cristianesimo ortodosso orientale. Venivano indossate sul petto e all'interno vi erano custoditi dei contenitori per conservare le reliquie dei santi. Nel 2017 sono stati scoperti molti di questi reliquiari nella fortezza collinare di Trapesitsa, sempre in Bulgaria.
L'engolpion di bronzo appena trovato a Perperikon è stato datato al X-XI secolo d.C. "Sicuramente si tratta di un capolavoro, il reperto più importante che abbiamo trovato quest'anno", ha affermato il Professor Ovcharov. "E' stato indossato per più di cento anni. All'interno vi sono le reliquie di un santo che, finora, non siamo riusciti ad identificare. Cristo e i quattro Evangelisti sono raffigurati nel centro del reliquiario". E' stata trovata solo la parte anteriore del reliquiario. "C'era anche una parte posteriore, ma probabilmente è andata perduta alla fine del XII o agli inizi del XIII secolo", ha detto il Professor Ovcharov.
"Queste croci-reliquiario o engolpion sono apparse nel IX-X secolo. Sono chiamate anche 'croci palestinesi' a causa delle reliquie che contenevano. A 19 anni dall'inizio degli scavi archeologici a Perperikon abbiamo trovato finora oltre 40 di queste croci-reliquiario, per la maggior parte in bronzo o in argento. Sono la prova che il cristianesimo era ben radicato in questa terra", ha sottolineato il Professor Ovcharov.
Oltre all'engolpion quest'anno sono emersi, nel quartiere meridionale di Perperikon, decine di monete bizantine del X-XI secolo d.C., una fibula del IV secolo d.C. e braccialetti in vetro per bambini del XIII-XIV secolo d.C.. Gli scavi continueranno fino alla fine di settembre.

Fonte:
archaeologyinbulgaria.com

Gran Bretagna, gli "ipposandali" di Vindolandia

Gran Bretagna, gli "ipposandali" trovati a Vindolandia
(Foto: Vindolanda Trust)
La BBC riporta un'entusiasmante scoperta nei pressi del famoso Vallo di Adriano, nel nord dell'Inghilterra. Si tratta di quattro ferri da cavallo di epoca romana, tornati alla luce durante uno scavo nel sito dove un tempo sorgeva il forte di Vindolandia. La scoperta è piuttosto importante, visto che sono stati ritrovati, finora, pochi set completi di ferri da cavallo. Si spera che questi reperti possano fornire una più profonda comprensione della vita lungo il Vallo di Adriano.
I Romani occuparono gran parte della Gran Bretagna nel periodo che va dal I al V secolo d.C.. Nel II secolo d.C. l'imperatore Adriano, preoccupato per la minaccia rappresentata dai Pitti, che vivevano nell'attuale Scozia, decise di creare una linea difensiva per proteggere l'Inghilterra settentrionale. Il muro venne costruito in pietra e torba, con torri e forti presidiati da forze romane e si estendeva dal Mare d'Irlanda al Mare del Nord. Ampie sezioni di questo vallo sono tuttora visibili. Il muro venne abbandonato dai Romani agli inizi del V secolo d.C., quando la Gran Bretagna dovette essere evacuata di fronte ai continui attacchi delle popolazioni barbare.
Gran Bretagna, gli "ipposandali" sono ben conservati
(Foto: Vindolanda Trust)
Il set di zoccoli da cavallo è stato rinvenuto a Vindolandia, in Northumbria, uno dei forti più importanti tra quelli che popolavano il vallo. Si ritiene che la costruzione del forte di Vindolandia sia addirittura antecedente alla costruzione del Vallo di Adriano e che fosse posto a sorveglianza di un percorso piuttosto importante. Il forte è molto ben conservato e ha restituito importanti reperti, nel corso degli anni, tra i quali una serie di tavolette di legno sulle quali venivano redatte lettere e documenti, scritti spesso da soldati semplici e civili. Queste tavolette offrono agli studiosi uno sguardo incomparabile sulla vita quotidiana dei Romani sul fronte settentrionale dell'impero. Altri reperti importanti ritrovati sono gli oggetti della vita quotidiana, tra i quali molte scarpe, una mano in bronzo e quelli che sembrano essere dei guantoni.
I ferri da cavallo sono stati trovati da un volontario durante gli scavi che si stanno svolgendo nel forte di Vindolandia. Sono circa 250 i volontari impegnati negli scavi, sotto la supervisione della Western Field School, fondata per formare gli studenti di archeologia. Un'indagine preliminare sui reperti ha portato a pensare che risalgano ad un periodo compreso tra il 140 e il 180 d.C.. Sono ben conservati a causa della mancanza di ossigeno nel terreno e questo vuol dire che non si sono arrugginiti.
I Romani chiamavano questi ferri "ipposandali", quelli trovati a Vindolandia più che agli attuali ferri da cavallo somigliano a mestoli da minestra che dovevano avvolgere lo zoccolo. Sembra che questo tipo di ferri fosse peculiare delle provincie occidentali dell'impero romano. I ricercatori pensano che fossero principalmente utilizzati per permettere ai cavalli di camminare su terreni rocciosi e collinari.
La scoperta è importante perché di solito si trova soltanto un "ipposandalo". Si presume che i ferri da cavallo siano stati depositati tutti insieme poiché appartenevano ad un cavallo, probabilmente la cavalcatura preferita dai qualcuno, che poi è morto ed è stato sepolto con un rito particolare. Sugli zoccoli non vi è alcuna indicazione sul nome del cavallo al quale appartenevano o del suo proprietario. Nel prossimo futuro questi "ipposandali" potrebbero essere esposti al pubblico nel Greenhead Roman Army Museum.

Fonte:
ancient-origins.net

Puglia, scoperto un molo romano?

Puglia, i resti antichi rinvenuti al largo di San Pietro in Bevagna
(Foto: Fabio Matacchiera)
Il Presidente del Fondo antidiossina onlus di Taranto, Fabio Matacchiera, ha rinvenuto al largo di San Pietro in Bevagna, nella marina di Manduria, "un'opera imponente costituita - spiega l'ambientalista dopo aver consultato alcuni archeologi - da innumerevoli blocchi ordinati tra loro che farebbero pensare a un molo antico, forse riconducibile al periodo romano".
L'ambientalista ha provveduto a informare la Soprintendenza Archeologica della Puglia con sede a Lecce, inviando foto e informazioni. "In questi giorni, oltre ad aver acquisito - spiega Matacchiera - altri dettagli con l'utilizzo di un drone, ho potuto contattare numerosi archeologi e cattedratici ai quali ho sottoposto il materiale raccolto: tutti mi hanno parlato di una scoperta che potrebbe rivelarsi molto importante. Per il professor Mario Lazzarini, archeologo subacqueo, si tratta di un'opera che potrebbe assomigliare ad un molo, presumibilmente di epoca romana".
Giuliano Volpe, archeologo e accademico e professore ordinario di archeologia presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Foggia ha comunicato che organizzerà una spedizione con i suoi ricercatori per far luce su questo ritrovamento.
Analizzando le foto e i video, si "intuisce che il presunto molo - osserva Matacchiera - debba aver avuto una lunghezza di circa 240 metri. La larghezza, invece, doveva attestarsi sui 20 metri. I lati dei blocchi variano da 1 metro fino a 4 metri. Hanno forma pressoché parallelepipedale con spigoli stondati o hanno forma abbastanza irregolare, comunque sia, risultano in buona parte ben assemblati ed in fila tra loro, separati da un'intercapedine. La profondità è di 7 metri".
L'opera si trova ad una distanza di diverse centinaia di metri dalla costa. Si sa con certezza, così come riportato dalla letteratura scientifica, che la linea di costa ha avuto, nel corso dei secoli, notevoli variazioni, sia dal punto di vista morfologico che orografico, con avanzamenti e arretramenti anche di centinaia di metri. Tutto ciò renderebbe più plausibile la possibilità che quell'opera, un tempo, potesse essere emersa, considerando anche le oscillazioni del livello del mare nel corso dei millenni.



Fonti:
lastampa.it
ilmarenelcuore.it

lunedì 13 agosto 2018

Nuova datazione per l'eruzione di Santorini

Santorini, il cratere vulcanico su Nea Kameni (Foto: Celyn, Alamy)
Un piccolo ramo di ulivo, sepolto dalle ceneri vulcaniche, "cambia" la data della devastante eruzione vulcanica che colpì l'isola di Santorini, anticipandola di 40-50 anni. Questa catastrofe è considerata l'inizio dell'Età del Bronzo ed ebbe effetti anche sull'isola di Creta, il mar Egeo e l'Egitto, come spiega sulla rivista Scientific Reports il gruppo del Weizman Institute of Science di Rehovot, in Israele, guidato dall'italiana Elisabetta Boaretto.
Il momento preciso in cui è avvenuta questa eruzione così importante, che si ritiene ispirò Platone nel creare il mito di Atlantide, è stato finora difficile da definire con precisione per i ricercatori. Adesso il ritrovamento di un rametto di ulivo, sotto i frammenti rocciosi di Santorini, ha aiutato a ridatare l'eruzione al periodo compreso tra il 1627 e il 1600 a.C., cioè più di un secolo prima del 1500 a.C., che era finora la data suggerita dagli archeologi, basata sulla convinzione che l'anello più esterno del legno si fosse formato proprio poco prima di essere sommerso dall'eruzione.
In questo caso i ricercatori hanno cercato di capire se questo anello si fosse effettivamente formato poco prima della morte dell'albero, e lo hanno fatto analizzando le concentrazioni di radiocarbonio di 20 campioni presi da tronchi di ulivi moderni e 11 da rami tagliati nel 2013. Hanno così scoperto che in entrambi i gruppi, le date ricavate con le concentrazioni di radiocarbonio nello strato più esterno del legno non erano cronologicamente omogenee e potevano variare di 40-50 anni. In altre parole lo strato di legno più esterno non rappresenta necessariamente la data dell'ultimo anno di crescita.
Un risultato, concludono i ricercatori, che non solo pone in dubbio la datazione che era stata finora considerata valida, ma che può avere un impatto importante su tutta la storia archeologica dell'Egeo, dell'Egitto, del Levante e anche per i futuri studi basati sul legno di ulivo.

Fonte:
ansa.it

domenica 12 agosto 2018

Agrigento ritrova il suo antico teatro

Agrigento, archeologi allo scavo del teatro antico
(Foto: Marco Merola)
Dopo secoli di abbandono, il teatro ellenistico di Agrigento riemerge dalla terra di Sicilia. Malgrado abbia dovuto subire pesanti spoliazioni nel corso dei secoli per costruire la città che oggi conosciamo, il teatro ha mantenuto il suo aspetto originale, ma nessuno, finora, era riuscito a trovarlo. L'ultimo ad averci provato è stato il veronese Pirro Marconi, nel 1920. Marconi, tuttavia, ha commesso un errore imperdonabile di interpretazione che lo ha messo sulla strada sbagliata.
Nel 2016, dopo settimane di indagini basate sulle analisi strumentali, risultati, ipotesi ed osservazioni, gli archeologi hanno concluso con ragionevole certezza che un anonimo banco calcarenitico distante poche centinaia di metri dal Tempio della Concordia, (icona assoluta della Valle dei Templi), in realtà celasse l'antico teatro, del quale si faceva fatica a individuare la struttura. L'unica fonte scritta sull'argomento risale alla metà del '500.
Agrigento, maschera di Gorgone trovata nella zona del teatro
(Foto: Marco Merola)
Il frate domenicano Tommaso Fazello che aveva redatto il primo libro "stampato" sulla storia della Sicilia, dopo aver visitato Agrigento riservò solo poche parole al teatro: "Ne riconosco a malapena le fondamenta", scrisse. Segno che a quell'epoca erano già stati asportati molti blocchi di pietra per costruire la città nuova.
Tra la fine del 2017 ed i primi mesi del 2018 gli archeologi sono riusciti ad identificare la summa cavea e i sedili per gli spettatori, costruiti sul fianco di una collina. La struttura ha subito una ristrutturazione piuttosto importante nel tardo III secolo a.C., quando l'antica Akragas divenne l'Agrigentum romana. Il teatro esisteva già da un secolo e solo dopo la conquista romana venne allargato fino ad avere un diametro di 95 metri.
Agrigento, reperti in ceramica dalla zona del teatro
(Foto: Giuseppe Cavaleri)
Lo scavo del teatro ha restituito, quasi ogni giorno, resti importantissimi. Sono stati trovati depositi di manufatti: vasi di uso quotidiano, un piccolo vaso con beccuccio, un guttus (una sorta di biberon), maschere, gioielli, effigi, tutti affidati immediatamente alle mani della restauratrice Marilanda Rizzo Pinna. Ora gli scavi sono fermi e riprenderanno nel 2019 con lo scopo di portare alla luce l'orchestra del teatro.
Il teatro non è l'unica sorpresa della campagna di scavo conclusa di recente. Gli archeologi sono, infatti, intervenuti anche nella IV insula del quartiere ellenistico-romano, parte di una vasta distesa di edifici che erano stati già portati alla luce nel 1950. Sono state anche scavate le terme urbane risalenti all'epoca di Costantino (IV secolo d.C.).
Agrigento, frammento di un'iscrizione dedicatoria
(Foto: Marco Merola)
L'esistenza del teatro di Agrigento è riportata da Frontino, erudito romano della fine del I secolo d.C. che, nella sua opera "Stratagemata", narra l'espediente di Alcibiade che, per impadronirsi della città durante la spedizione ateniese in Sicilia, radunò nel teatro tutti i cittadini di Agrigento. Anche se l'episodio, in realtà, si svolse a Catania, resta la testimonianza dell'esistenza di un teatro ad Akragas. Il teatro venne interrato progressivamente dopo l'età rinascimentale ed è stato ricercato in più luoghi a partire dal '700, soprattutto nel versante opposto rispetto a quello dove si trova realmente.
Il teatro era un edificio per spettacoli pubblici che poteva essere utilizzato anche per riunire la cittadinanza. Il suo primo impianto è di età ellenistica (III secolo a.C.) e trova confronti in differenti teatri costruiti in Sicilia nello stesso periodo. Ulteriori modifiche sono state apportate nelle epoche successive fino all'età tardoantica quando, forse, la sua funzione venne totalmente stravolta con il probabile impianto di attività produttive.
Del teatro è stata scavata solo una piccola parte, la zona superiore delle gradinate e gli angoli della scena. Tutta l'area centrale del teatro è ancora sotto terra. Tra i ritrovamenti si annoverano maschere teatrali in terracotta, statuette ed oggetti votivi che testimoniano l'esistenza di un luogo di culto vicino al teatro, come era normale nell'antichità. Negli strati superiori, di età tardoantica, si sono rinvenute anche scorie di ferro con tegole "pettinate", caratteristiche del periodo, indice dell'impianto di piccoli luoghi di produzione quando cessò la funzione per spettacoli del teatro.

Fonti:
nationalgeographic.it
treccani.it

Egitto, il formaggio più antico del mondo

Egitto, la scoperta del formaggio più antico del mondo
(Foto: nationalgeographic.it)
A Saqqara, celebre necropoli a sud del Cairo, sono stati ritrovati i resti di un formaggio di oltre 3200 anni. Seppure fossero già note testimonianze archeologiche precedenti in nord Europa, Libia, Anatolia e Cina, quello egiziano sarebbe il più antico prodotto caseario solido finora individuato.
Ad effettuare la scoperta è stato un team di studiosi diretti dal Professor Enrico Ciliberto, del Dipartimento di Scienze Chimiche dell'Università di Catania. Il formaggio si trovava nella tomba di Ptahmes, sindaco di Menfi e Gran Maggiordomo del Tempio di Ramses II nella Casa di Ptah, all'inizio della XIX Dinastia (1290-1213 a.C.).
La sepoltura, situata a sud della rampa processionale della piramide del faraone Unas, non lontano dal laboratorio di mummificazione da poco scoperto, era nota almeno dal 1859, quando viaggiatori europei cominciarono a depredarne statue e rilievi parietali, sparsi oggi in musei e collezioni private di tutto il mondo. Alla fine del XIX secolo se ne persero le tracce, fino al 2010, quando l'ipogeo è tornato nuovamente alla luce grazie agli scavi diretti da Ola el-Aguizy dell'Università del Cairo.
Il formaggio, sotto forma di una densa massa biancastra, è stato trovato durante la campagna 2013-2014, avvolto in un panno dentro una giara rotta. Il vaso era deposto, insieme ad altri contenitori ceramici, in uno dei magazzini laterali della tomba. Un campione di materiale è stato affidato agli scienziati dell'ateneo siciliano che, grazie ad un'analisi proteomica, sono giunti a risultati interessanti.
Il formaggio era realizzato con un mix di latte bovino ed ovino (di pecora o di capra). La caratterizzazione dei peptidi, infatti, ha permesso di individuare proteine tipiche dei derivati dal latte, oltre ad alcune imputabili alla contaminazione umana (proteine della saliva e la cheratina di pelle e capelli).
Gli studiosi hanno rilevano la presenza, nel formaggio, del batterio Brucella melitensis, responsabile della brucellosi o "febbre mediterranea". Tale malattia infettiva colpisce soprattutto gli ovini, ma è trasmissibile anche all'uomo, tanto che le sue tracce erano state già osservate su ossa di mummie egizie. Tuttavia questo è il primo caso in cui il batterio è stato riconosciuto grazie ad un'analisi biomolecolare.

Fonte:
nationalgeographic.it

Grecia, trovato un mosaico in ciottoli ad Arta

Ambracia, il piccolo teatro dell'antica città
(Foto: Eforato delle Antichità di Arta
Un mosaico in ciottoli pertinente dei bagni del IV secolo a.C. è venuto alla luce durante uno scavo presso il piccolo teatro dell'antica città di Ambracia, scavo condotto dall'Eforato delle Antichità di Arta, in Grecia.
Il mosaico è composto da ciottoli di fiume dalla superficie arrotondata che rappresentano scene legate all'acqua, amorini che giocano con gli animali, cigni, pesci, uccelli acquatici ed un polipo. Il mosaico è antecedente alla costruzione del teatro ed è simile a quello scoperto negli anni '70 nella parte orientale del teatro e successivamente rimosso per essere esposto nel Museo Archeologico di Arta.
La datazione del mosaico è stata attribuita in base alle sussistenze architettoniche ed in base ai mosaici in ciottoli trovati nelle terme dell'antica città di Corinto e datati alla metà del IV secolo a.C.
Ambracia, parte del mosaico in ciottoli appena trovato
(Foto: Eforato delle Antichità di Arta)
Arta, che si trova nella Grecia occidentale, è stata abitata ininterrottamente dall'antichità all'età moderna. La stratigrafia dei vecchi insediamenti è tuttora visibile in varie parti della città attuale. Il piccolo teatro, per esempio, si trova proprio nel centro della città moderna. Nell'antichità Arta era conosciuta come Ambracia. Molto noto è il suo ponte medioevale sul fiume Arachthos, ma anche per i resti risalenti all'epoca di Pirro, re dell'Epiro, l'antica regione greca nella quale era situata la città. Sul suo territorio ci sono anche i resti di un ben conservato castello del XIII secolo. Consistenti sono anche i resti dell'epoca bizantina, quali la chiesa Panagia Paregoretissa, costruita nel 1290 da Niceforo I Komnenos Doukas.
Il primo insediamento nell'area ora occupata dalla moderna Arta risale al IX secolo a.C.. Ambracia venne fondata come colonia corinzia nel VII secolo a.C.. Nel 294 a.C., dopo molti anni di semi-autonomia sotto la sovranità macedone, Ambracia venne ceduta a Pirro, re dei Molossi e dell'Epiro, che ne fece la sua capitale e il punto di partenza per la sua spedizione in Italia contro i Romani. Pirro adornò la città con palazzi, templi e teatri. Nel 146 a.C. Ambracia venne inserita nei possedimenti romani.

Cina, la sepoltura ottagona di Yangquan

Cina, interno della sepoltura ottagonale trovata nel 2012
(Foto: Chinese Cultural Relics)
Gli archeologi hanno scoperto a Yangquan, in Cina, una tomba a forma di ottagono, con le pareti ricoperte di affreschi risalenti a 700 anni fa, quando a governare il paese erano i discendenti di Gengis Khan. La sepoltura ha il tetto a forma piramidale, decorato con immagini del sole, della luna e delle stelle.
All'interno della tomba non sono stati rinvenuti resti scheletrici, malgrado un affresco della parete nord mostri che gli occupanti erano due coniugi. Alcuni degli affreschi rinvenuti mostrano scene della vita in Cina durante l'occupazione mongola: si vedono musicisti, la cerimonia del the, cavalli, cammelli, scene di trasporto di persone e merci. Alcune delle persone rappresentate vestono alla maniera mongola, piuttosto che cinese. I funzionari mongoli avevano prescritto, nel 1314, un rigido codice di abbigliamento che serviva a distinguerli dai cinesi: i funzionari cinesi dovevano portare camice a giro collo, mentre i funzionari mongoli indossavano vestiti molto morbidi, cappelli e giacche lunghe.
Cina, uno dei pannelli sepolcrali con storie della Cina dei Mongoli
(Foto: Chinese Cultural Relics)
Due dei pannelli affrescati rappresentano storie molto popolari nella Cina dell'epoca, che fanno riferimento alla pietà filiale, all'importanza di rispettare i genitori ed i nonni e a prendersi cura di loro quando questi diventano più anziani.
I Mongoli di Kublai Khan, nipote di Gengis Khan, conquistarono la Cina nel 1271. All'epoca i Mongoli controllavano anche l'attuale Russia, la Corea ed il Vietnam. La conquista mongola si protrasse fino al 1368, quando soldati ribelli costrinsero gli occupanti a ritirarsi. Durante il dominio mongolo venne costruita Shangdu, nota anche come Xanadu, che i governanti mongoli utilizzarono come capitale estiva.
La sepoltura è stata scoperta nell'aprile 2012 e gli esiti dell'esplorazione della stessa sono stati pubblicati nel 2016 su una rivista in lingua cinese e sono stati tradotti solo recentemente in inglese.

Fonte:
Science Live

Grecia, scoperta una sepoltura nobile nell'antica capitale della Macedonia

Vergina, la tomba appena rinvenuta (Foto: allthatsinteresting.com) La costruzione di un nuovo sistema fognario nell'antica città macedon...