domenica 23 aprile 2023

Baia, il parco sommerso continua a stupire

Bacoli, il pavimento marmoreo ritrovato
(Foto: archeomedia.net)

A Bacoli, in Campania, gli studiosi del Parco Archeologico Campi Flegrei e del Parco Archeologico delle Terme di Baia, hanno annunciato un'importante scoperta sul fondo del mare. In un ambiente della Villa della Sosandra, utilizzata negli anni '50 del Novecento come deposito di materiale, la rimozione di una scaffalatura ha permesso di ritrovare un pavimento in lastre di marmo Portasanta, che conserva ancora tutta la lucentezza dell'età romana e le cangianti variazioni di questa rinomata pietra proveniente da Chios, in Grecia.
Il pavimento è una composizione artistica realizzata in lastre quadrangolari o frammentate in triangoli con alternanza cromatica bianco-nero. Accanto a questo pavimento è stata rinvenuta anche una colonna in marmo di Portasanta, ben visibile nel suo sgargiante colore rosso-viola.
A breve potranno iniziare scavi e verifiche, anche a livello della canaletta che corre a metà della stanza. Una ricerca che sarà condotta pure a livello dei muri.
Le pareti dovevano essere rivestite anch'esse di marmo di Pietrasanta, come dimostrano le poche tracce rinvenute. Nel complesso questo abbondante uso di marmo dimostra l'importanza del vano appena riscoperto, posto al limite tra la Villa della Sosandra e le Piccole Terme.

Fonti:
archeomedia.net
fanpage.it




Roma, la Villa dei Quintili e la sua...enoteca

Roma, Villa dei Quintili, l'antica enoteca
(Foto: Parco Archeologico dell'Appia Antica)
Una zona di pigiatura dell'uva, due presse, un tino per far decantare il mosto ed un sistema di canali per convogliare il ino nella cella dove erano custodite le giare. Nel suburbio romano, al chilometro 5 della Regina Viarum, è presente un tesoro che pochi conoscono e soprattutto che non ha eguali: un'antica cantina di portata "imperiale".
La scoperta è avvenuta grazie agli scavi condotti tra il 2017 ed il 2018 nella Villa dei Quintili, all'interno del parco dell'Appia Antica. I risultati di quel lavoro sono appena stati pubblicati su Anitquity, in un articolo firmato dall'archeologo Emlyn Dodd, assistente alla direzione della British School at Rome ed esperto di antica produzione di vino, e da Riccardo Frontoni e Giuliana Galli, che sotto la guida del parco archeologico dell'Appia Antica, avevano avviato gli scavi.
Quello che è emerso è stato sorprendente soprattutto per la qualità, per la ricercatezza dei materiali scelti e per l'effetto scenografico appositamente studiato. Il meccanismo di produzione del vino, ricostruito nel dettaglio, consentiva di passare dalla fase della pigiatura, con le vinacce depositate in ceste di giunco e convogliate in presse meccaniche, fino alla fase di quella che poteva essere la mescita.
La Villa dei Consoli Quintili, una proprietà estesa su 24 ettari lungo la via Appia Antica, dopo il loro omicidio, avvenuto nel II secolo d.C., passò in mano all'imperatore Commodo, che aveva commissionato la morte dei consoli. Non è ancora chiaro se la costruzione della cantina sia avvenuta in quel periodo o in una fase successiva. Quel che è certo è che la Villa dei Quintili "era un'incredibile mini città - ha spiegato Emlyn Dodd - completata da una cantina per l'imperatore stesso per assecondare le sue tendenze bacchiche". Se sia stato Commodo o un suo successore a beneficiarne, è ancora oggetto di dibattito.
Un timbro fa risalire la costruzione della Villa al regno dell'imperatore Gordiano III (238-244 d.C.). Tuttavia è possibile che Gordiano abbia solo fatto ammodernare il complesso.
Contrariamente alle già note cantine romane realizzate con pareti in intonaco a cocciopesto impermeabile, questa dei Quintili era rivestita in marmo rosso. Al suo interno sono stati rinvenuti i meccanismi di due torchi ed una fontana rivestita di marmi policromi.
La cantina, a prescindere dall'imperatore che l'ha fatta realizzare, si presentava come una sorta di ninfeo, con cinque nicchie dalla forma, alternata, semicircolare e rettangolare. La particolare struttura finiva col creare un teatrale effetto fontana, al cui interno sgorgava il mosto appena spremuto. Mosto che, all'occorrenza, veniva mescolato con l'acqua attraverso appositi rubinetti. Quindi oltre che un'enoteca, dove il vino veniva conservato in apposite giare, nella villa c'era anche la possibilità di effettuare delle raffinate degustazioni, tra preziosi marmi ed eleganti arredi imperiali.
Secondo gli autori dello studio, a oggi si conosce solo un altro vigneto "da esposizione" nell'antica Roma. Si trova nella Villa Magna, arredata in modo altrettanto sfarzoso circa 100 anni prima dell'epoca di Gordiano. Anche qui la società più raffinata cenava con vista sui vigneti e sui loro lavoratori, presumibilmente schiavi. 
Il fatto che i procedimenti che erano messi in pratica in queste cantina da esibizione avessero anche una componente rituale, è dimostrato da una lettera in cui il futuro imperatore Marco Aurelio racconta il suo soggiorno a Villa Magna nel 141 d.C.: "Andai da mio padre e lo accompagnai al sacrificio. Poi ci siamo messi a raccogliere l'uva. Sudavamo e ci divertivamo". Dopo un bagno Marco Aurelio cenò con il padre, Antonino Pio, ed altri presenti nella stanza, dove ascoltarono "allegramente le chiacchiere dei braccianti" che pigiavano l'uva. 

Fonti:
romatoday.it
le scienze.it





domenica 16 aprile 2023

Sudan, trovato enigmatico complesso di stanze affrescate

Sudan, alcuni degli affreschi appena scoperti
(Foto: archeomedia.net)
Gli archeologi del Centro polacco di archeologia mediterranea dell'Università di Varsavia hanno scoperto un enigmatico complesso di stanze fatte di mattoni essiccati dal sole, i cui interni erano coperti da scene figurative uniche per l'arte cristiana. La scoperta è stata fatta nel monastero medioevale della vecchia Dongola sulle rive del Nilo, a più di 500 chilometri a nord di Khartoum, nel Sudan. All'interno del complesso monastico principale, la missione polacca ha portato alla luce ora una seconda chiesa ben conservata con vividi dipinti murali ed iscrizioni in greco antico e nubiano.
L'antica Dongola (Tungul nell'antico nubiano) era la capitale di Makuria, uno dei più importanti stati africani medioevali. Si era convertita al cristianesimo entro la fine del VI secolo, ma l'Egitto fu conquistato dagli eserciti islamici nel VII secolo. Un esercito arabo la invase nel 651, ma venne respinto. In seguito venne firmato il Trattato di Baqt, che stabiliva una relativa pace tra le parti. Pace che durò fino al XIII secolo. La ricerca di questa città, avviata dal Professor Kazimierz MIchalowski, ha fornito risultati innovativi praticamente ogni anno.
Gli archeologi Lorenzo de Lellis e Maciej Wyzgol si sono imbattuti inaspettatamente in un enigmatico complesso di stanze fatte di mattoni essiccati al sole, i cui interni erano coperti da scene figurative uniche per l'arte cristiana. La scoperta è stata fatta durante l'esplorazione di case risalenti al periodo Funj (XVI-XIX secolo d.C.). Con sorpresa dei ricercatori, sotto il pavimento di una delle case c'era un'apertura che conduceva a una piccola camera, le cui pareti erano decorate con rappresentazioni uniche.
I dipinti all'interno della piccola camera mostrano la Madonna, un re nubiano, Cristo e l'Arcangelo Michele. Non si tratta della tipica rappresentazione di un sovrano nubiano sotto la protezione di santi o arcangeli. Il re si inchina a Cristo, che è seduto tra le nuvole e gli bacia la mano. Il sovrano è sostenuto dall'Arcangelo Michele, le cui ali distese proteggono sia il re che Cristo stesso. Una scena del genere non trova parallelismi nella pittura nubiana. Il dinamismo e l'intimità della rappresentazione contrasta con la natura delle figure sulle pareti laterali.
La madre di Dio, mostrata in una posa dignitosa, è vestita con abiti scuri. Tra le mani tiene una croce e un libro. Cristo è raffigurato sulla parete opposta. La sua mano destra è mostrata in gesto di benedizione e nella sua sinistra tiene un libro, che è parzialmente conservato.
Agata Deptua, dell'Università di Varsavia, sta attualmente studiando le iscrizioni che accompagnano i dipinti. Una lettura preliminare delle iscrizioni greche ha rivelato che erano testi della Liturgia dei Doni Presantificati. La scena principale è accompagnata da un'iscrizione in antico nubiano che è estremamente difficile da decifrare. I ricercatori hanno compreso da una lettura preliminare dello studioso Vincent van Gerven Oei che contiene diversi riferimenti a un re di nome Davide e una preghiera a Dio per la protezione della città.
La città menzionata nell'iscrizione è molto probabilmente Dongola, e la figura reale raffigurata nella scena è molto probabilmente re Davide, uno degli ultimi governanti della cristiana Makuria. La sua reggenza segnò l'inizio della scomparsa dal regno. Per ragioni sconosciute, re Davide attaccò l'Egitto, che si vendicò invadendo la Nubia, con il risultato che Dongola venne saccheggiata per la prima volta nella sua storia. I ricercatori pensano che il dipinto possa essere stato realizzato mentre l'esercito mamelucco si stava avvicinando o la città era sotto assedio.
Il complesso di stanze in cui sono stati scoperti i dipinti, tuttavia, è ciò che lascia maggiormente perplessi. Gli spazi reali, fatti di mattoni secchi e coperti da volte e cupole, sono piuttosto piccoli. Anche se la stanza dipinta che raffigura re Davide si trova a sette metri sopra il livello del suolo medioevale, sembra una cripta. La struttura si trova accanto ad una struttura sacra nota come la Grande Chiesa di Gesù, che era probabilmente la cattedrale di Dongola e la chiesa più significativa del regno machiriano.
Secondo fonti arabe, la Grande Chiesa di Gesù istigò l'attacco di re Davide all'Egitto e la cattura dei porti di Aidhab e Assuan.

Fonte:
ilmattino.it


Egitto, scoperta nuova sepoltura a Saqqara

Saqqara, gli scavi della nuova sepoltura
(Foto: archeomedia.net)

Nuovo ritrovamento archeologico a Saqqara, la necropoli egizia a 30 chilometri da Il Cairo. Gli archeologi del Museo Egizio, del Ministero delle Antichità Egiziane e del Museo Nazionale di Antichità di Leiden, in Olanda, sotto la direzione del Museo Egizio di Torino Christian Greco e della curatrice della collezione Egiziana e Nubiana del Museo di Leiden, Lara Weiss, hanno rinvenuto i resti della tomba di Panehsy, risalente al primo periodo ramesside (1250 a.C.). Panehsy era il responsabile del tempio dedicato ad Amon. Sono state riportate alla luce anche alcune cappelle funerarie.
La scoperta getta nuova luce sullo sviluppo della necropoli di Saqqara, nel periodo ramesside. Saqqara è la necropoli della capitale dell'antico Egitto Menfi, che, secondo la tradizione egizia, venne fondata nel 3000 a.C. dal re Menes, il primo faraone dell'Egitto unito.
La tomba di Panehsy ha la forma di un tempio, con un ingresso monumentale e una corte con portico colonnato. Al centro di quest'ultimo si trova un pozzo che da' accesso alle camere sepolcrali ipogee. Il complesso funerario ha forma rettangolare (13,4 metri per 8,2 metri) e confina, a sud, con la tomba di Maya, alto funzionario, responsabile del tesoro del faraone Tutankhamon. I muri di mattoni crudi della struttura superiore della tomba di Panehsy sono ancora in piedi e raggiungono un'altezza di un metro e mezzo e sono decorati da lastre di rivestimento in pietra calcarea, che mostrano rilievi colorati in cui si distinguono il proprietario della tomba Panehsy e sua moglie Baia, cantante di Amon, e diversi sacerdoti e portatori di offerte.
Il nome di Panehsy significa "il Nubiano", ma questo non indica necessariamente le sue origini. Con l'aggiunto "da Menfi", Panehsy vuole sottolineare il suo legame con questa città, un importante centro amministrativo e religioso al tempo in cui visse Panehsy. Questo nome era relativamente comune, al tempo, ma questo specifico responsabile del tempio che veniva da Menfi era sconosciuto agli studiosi fino ad oggi. La rappresentazione più bella di Panehsy è quella in cui è impegnato ad adorare la dea Hathor, rappresentata nella sua tipica iconografia di mucca che esce dalla montagna.
Ad est della tomba di Panehsy, gli archeologi italiani, egiziani e olandesi hanno scoperto quattro cappelle funerarie più piccole, una delle quali apparteneva a Yuyu, artigiano responsabile della produzione delle lamine d'oro presso il tesoro del faraone. La cappella di Yuyu misura solo un metro per un metro e 15 centimetri. In questa cappella funeraria quattro generazioni della famiglia di Yuyu erano rappresentate in splendidi rilievi colorati. Un altro ritrovamento degno di nota nell'area est della tomba di Panehsy è una cappella, ancora anonima, con una rara rappresentazione del proprietario della tomba e della sua famiglia, il cui stile artistico potrebbe ispirarsi alle statue vicino alla tomba di Maya e Merit.

Fonte:
Comunicato stampa del Museo Egizio

Calabria, preziosi reperti dalle sepolture di Sibari

Cassano allo Jonio, gli scavi (Foto: archeomedia.net)

Al Parco archeologico di Sibari reperti del IV secolo a.C. e i lavori di recupero saranno aperti al pubblico. Lo ha comunicato la Direzione Regionale Musei Calabria. 
"Mnemosyne. La memoria e la salvezza" è un progetto particolare ed unico che assegna alla Calabria un primato in Italia.
Fuori dalle mura di Thurii, presso Sibari, colonia greca del V secolo a.C., si trovavano le città dei morti. Le necropoli vennero rintracciate sin dalla fine dell'Ottocento. All'epoca, in località Favella della Corte, si scavarono i "timponi", tumuli che coprivano sepolture monumentali riservate ai cittadini più illustri e ricchi di Thurii. Il "timpone grande" e il "timpone piccolo" hanno restituito alcune laminette d'oro iscritte conservate al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Le lamine sono fogli d'oro di pochi centimetri su cui sono riportate le istruzioni per il viaggio del defunto nell'aldilà. L'anima doveva intraprendere un preciso cammino, evitare certi sentieri e percorrerne altri per raggiungere la beatitudine.
Oltre ai "timponi", in località Favella della Corte si trovano anche semplici tombe. Tombe a fossa, a cassa e tombe a cappuccina con coperture a doppio spiovente di tegole. Nell'estate del 2022 è stata scoperta una nuova sepoltura indicata come Tomba 22.1. Conteneva una persona in posizione supina, gli elementi di corredo erano formati da un piattino, un guttus (poppatoio), due frammenti accartocciati di lamine d'oro iscritte con lettere maiuscole dell'alfabeto greco. Gli elementi del corredo in ceramica erano posizionati lungo il fianco destro del defunto, in prossimità del bacino. Le lamine vicino alla mano destra del defunto.
La tomba per consentire uno studio più accurato è stato prelevata dall'area di scavo per intero ed è stata trasportata nel laboratorio del parco, per essere indagata scientificamente e restituirci così nuovi capitoli della storia dell'immortalità presso i Greci. Per la prima volta il lavoro di microscavo in laboratorio della sepoltura e l'immediato restauro di quanto si scopre avverrà davanti al pubblico.

Fonte:
stilearte.it

Pozzuoli, tempio nabateo in fondo al mare


Sono stati rinvenuti, sul fondo del mare di Pozzuoli, due altari marmorei nabatei e sono stati documentati dagli archeologi subacquei.
L'antico popolo di mercanti mediorientali, che aveva a Petra la sua capitale, aveva un'enclave anche nei Campi Flegrei.
Gli altari in marmo rinvenuti, sono databili alla prima metà del I secolo d.C. ed hanno consentito di inquadrare il sito del grande Tempio dei Nabatei sotto il mare del Golfo di Pozzuoli, oggi sommerso per effetto del bradisismo. I Nabatei, popolazione dedita al commercio tra l'Oriente, l'Oceano Indiano e Roma, erano stanziati nelle aree desertiche della Penisola Arabica, ma avevano, sin dalla prima età imperiale, impiantato una loro base all'interno del porto puteolano, il più grande scalo commerciale del Mediterraneo romano.
Di questa enclave mercantile, l'unica al di fuori della madrepatria, si conoscevano finora basi e lastre iscritte con dediche, in latino, al dio tutelare Dusares, rinvenute sui fondali di Pozzuoli a più riprese tra il XVIII secolo e gli anni Ottanta del Novecento e poi confluite nelle collezioni dei Musei di Napoli e del Castello Aragonese di Baia.
Rimaneva approssimativa la collocazione del santuario di riferimento, oggi individuata con strumenti topografici di precisione che hanno consentito di inserire il Tempio nel quadro topografico più ampio del vicus Lartidianus.

Fonte:
fanpage.it

sabato 15 aprile 2023

Abruzzo, scoperti resti di una villa romana in un'azienda vitivinicola

Abruzzo, scavi del granaio e della villa romana
(Foto: stilearte.it)
Le scoperte si susseguono nell'area di un'azienda vitivinicola abruzzese. Resti di una villa rustica romana, sistemi di torchiatura dell'uva e delle olive, granai che contengono ancora i semi di circa duemila anni fa. Sono ancora in corso i lavori della Soprintendenza ABAP per le provincie di Chieti e Pescara presso questa antica villa rustica di epoca romano-imperiale che si trova all'interno dell'azienda Feudo Antico, strutture incassate sul pendio di una collina nel cuore dell'Abruzzo, nel mezzo dei vigneti alla periferia del comune di Tollo.
La prima grande fase di vita di questa villa produttiva si data ad epoca alto-imperiale, probabilmente tra il I secolo a.C. ed il I secolo d.C., e con ogni probabilità è continuata con una certa floridità almeno fino alla media età imperiale. La presenza di ceramica di epoca tarda suggerisce un'ulteriore fase di vita, probabilmente databile tra V e VII secolo d.C. Chiaramente medioevali sono le fosse circolari che sono state identificate all'estremità settentrionale dell'area dei dolii. Le schegge di ceramica patinata potrebbero suggerire che nel X secolo, quasi mille anni dopo la prima fase della villa, qualcuno abbia usato la stessa zona dei dolia per stoccare materiale agricolo.
All'interno dell'area archeologica è chiaramente visibile un piano inclinato per turculario (il sistema che raccoglieva e convogliava il succo d'uva o di olive, dopo la spremitura nel torchio), caratterizzato da un piano discendente coperto in intonaco idraulico che appoggia a un lungo muro con una parte  costruita in opera reticolata: certamente era il fondo di una vasca per raccogliere il prodotto di una spremitura, di olive o di uva. E' probabile che nelle vicinanze, posto ad una quota più alta, fosse presente un turculario in materiale deperibile (legno) per la produzione del vino.
Si conserva un asse di 7 alloggiamenti per dolio incassati in un piano di opera cementizia. Tre di questi sono stati scavati dimostrando come i dolia siano stati in passato già tolti dalle loro sedi. Poco più a nord si notano i resti di almeno altri due alloggiamenti, nonché frammenti di almeno due dolia. Inoltre, nella stessa area sono presenti almeno 5 fosse circolari scavate direttamente nel terreno: tre di queste sono state svuotate, rivelando frammenti di ceramica decorata a pettine (medioevale) e possibili resti di sementi e granaglie, ad attestare una diversa fase di vita.
All'interno della struttura è possibile apprezzare una grande cisterna in opera cementizia pesante. All'interno di un dolio una scoperta importantissima. Un letto di semi, probabilmente leguminose, di epoca romana. E' in corso il campionamento dei semi.

Fonte:
stilearte.it


Friuli Venezia Giulia, emergono i resti di un insediamento romano

Friuli Venezia Giulia, trincea per lo studio archeologico
prima della posa del metanodotto
(Foto: Soprintendenza del Friuli Venezia Giulia)
Nel comune di Cordovado - in provincia di Pordenone -, in località Belvedere, in uno dei sondaggi archeologici eseguiti nell'ambito della procedura di verifica preventiva di interessa archeologico per la realizzazione del Metanodotto Mestre-Trieste, sono emerse, ad una profondità di 1,70 metri dall'attuale piano di campagna, le prime evidenze archeologiche di quello che può essere definito un ritrovamento eccezionale nella zona. E' quanto comunicato dalla Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia.
Il sito è stato delimitato lungo l'asse di scavo del metanodotto per una lunghezza totale di 200 metri, dei quali una porzione di circa 100 metri appare interessata dalla presenza di resti strutturali di un insediamento di età romana. Per preservare i resti dell'insediamento e permetterne lo scavo in estensione è stata valutata con la Committenza e la Ditta esecutrice una variante al percorso del metanodotto, che è stato interrato ad una quota maggiore di quella prevista dal progetto, attraverso la tecnica della trivellazione.
Dopo la messa in opera delle tubature si è potuto procedere allo scavo in estensione dell'insediamento individuato. Sono stati evidenziati, nell'area, i limiti di due strutture e di un tracciato viario presente tra le due. Di una delle due strutture, rinvenute nella porzione occidentale dell'area indagata, è stato individuato un unico ambiente con una pavimentazione in tessere di laterizio e strutture murarie a livello di fondazione. La struttura più orientale, invece, risulta più articolata, e sono stati messi in luce tre ambienti e un'area esterna, con piani pavimentali in ghiaia e frammenti laterizi e strutture murarie dall'elevato più considerevole. Tra le due strutture è stato identificato un piano lastricato, con orientamento est-ovest, con solcature di carro ben visibili per buona parte del piano.
La stratigrafia indagata, i materiali raccolti e le tecniche murarie messe in opera per le strutture edilizie permettono di datare il sito tra il I-II secolo d.C. fino al IV secolo d.C. Al momento le indagini sono ancora in corso per poter meglio definire le caratteristiche dell'intero complesso e per una miglior lettura delle strutture.
Il rinvenimento si presenta come una scoperta archeologica eccezionale oltre che per l'assenza di scavi di contesti analoghi nella zona, anche per gli importanti dati che sta fornendo sulle diverse tecniche edilizie utilizzate, per i materiali restituiti e per lo studio della pianificazione territoriale antica nella zona e la definizione dell'antico corso del fiume Tagliamento in epoca romana.

Fonte:
stilearte.it


Paestum, scoperti centinaia di reperti vicino ad un tempietto di V secolo a.C.

Paestum, alcune immagini degli ex voti ritrovati e, a destra
il direttore del Parco Tiziana D'Angelo
(Foto: Parco Archeologico di Paestum)

Centinaia di ex voto, statue e altari sono stati recuperati in questi giorni a Paestum, da un tempietto di V secolo a.C. scoperto nel 2019. La notizia è stata data dal Direttore del Parco, Tiziana D'Angelo. Una scoperta, dice la D'Angelo, che promette di "cambiare la storia conosciuta dell'antica Poseidonia".
Il basamento in pietra del piccolo tempio, con i gradini d'accesso e la delimitazione della cella che ospitava la divinità, le decorazioni in terracotta colorata del tetto con i gocciolatoi a forma di leone, una straordinaria gorgone, una commovente Afrodite, ma anche sette stupefacenti teste di toro, l'altare con la pietra scanalata per raccogliere i liquidi dei sacrifici e centinaia di ex voto tra i quali spiccano le immagini di un eros a cavallo del delfino, che la fantasia potrebbe rimandare al mitico Poseidon, il dio che ha dato il nome alla città.
Il santuario dal quale provengono i nuovi reperti, nelle scoperto nel 2019 lungo le mura della città antica. L'edificio venne abbandonato, per motivi che devono ancora essere studiati, tra la fine del II e l'inizio del I secolo a.C.



Bologna, le sorprendenti mummie di una donna e di un bambino senza testa

Bologna, ricercatrici al lavoro sulla
mummia femminile (Foto: stilearte.it)

Il Museo Civico Archeologico di Bologna apre un nuovo capitolo per la valorizzazione di una parte importante della propria collezione egizia.
Grazie ad una proficua collaborazione scientifica avviata nel 2019 con l'Istituto per lo studio delle mummie di Eurac Researh di Bolzano, è stato possibile realizzare l'articolato progetto Mummies. Il passato svelato finalizzato alle indagini diagnostiche e al trattamento conservativo di due rare mummie umane custodite nei magazzini del museo dalla fine degli anni Settanta: la mummia con il sudario dipinto e la mummia di fanciullo con tre tuniche, appartenenti rispettivamente alle collezioni formate dall'artista bolognese Pelagio Palagi (1775-1860) e da Federico Amici (1828-1907), che ricoprì importanti incarichi in Egitto per conto del Khédive Muhammad Tewfik Pasha (1852-1892).
Lo studio antropologico e paleontologico è stato condotto dall'Istituto per lo studio delle mummie di EUrac Research di Bolzano in collaborazione con il Dipartimento di Radiologia dell'IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna - Policlinico di Sant'Orsola, presso il quale è stato eseguito l'esame tomografico computerizzato utile per ricostruire il profilo biologico dei due individui.
Dopo essere stata affidata alle cure del Centro Conservazione e Restauro "La Venaria Reale", la mummia con il sudario riccamente dipinto, appartenuta ad una donna vissuta in epoca romana (I-II secolo d.C.), torna ora ad essere esposta in via permanente nella Sezione Egizia del museo. La sua restituzione alla comunità scientifica e alla fruizione pubblica riveste un carattere di eccezionale interesse storico: sono solo due al mondo i resti umani mummificati ancora avvolti in sudari integri di questo tipo e di questa epoca.
L'intervento conservativo che ha interessato la seconda, non meno rara, mummia di un fanciullo accuratamente avvolto in tre tuniche, databile all'Egitto Medioevale (XIII secolo d.C.), è stato invece svolto dalla restauratrice di tessuti antichi Irene Tomedi dell'Accademia Tessile Europea di Bolzano, già nota per il restauro della Sacra Sindone.
In entrambi i casi gli interventi conservativi sono stati eseguiti in collaborazione con il Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell'Università di Pisa.
La maggior parte delle mummie egizie conservate nel Museo Civico Archeologico di Bologna apparteneva alla collezione dell'artista bolognese Pelagio Palagi. Tra il 1825 ed il 1845 Palagi acquistò oltre tremila antichità egizie che poi offrì ad un prezzo agevolato alla sua città natale tramite lascito testamentario. Palagi acquistò la mummia con il sudario dipinto assieme ad un migliaio di altri oggetti nel 1831, da Giuseppe Nizzoli, già cancelliere del consolato austriaco in Egitto. Nel Catalogo Dettagliato della Raccolta di Antichità Egizie riunite da Giuseppe Nizzoli, pubblicato ad Alessandria D'Egitto nel 1827, si trova una descrizione utile a comprendere il contesto archeologico di provenienza di questa mummia.
Dopo la morte di Palagi, la mummia e altre antichità egizie furono trasferite dalla sua casa-museo di Milano a Bologna, dove furono esposte a Palazzo Galvani, attuale sede del Museo Civico Archeologico.
La mummia femminile con il sudario dipinto è di tipologia rarissima, in quanto ancora ricoperta da un raffinato sudario dipinto che riproduce idealmente i tratti della defunta. Il volto è incorniciato da una lunga chioma nera che termina in folti riccioli ed è trattenuta da una fascia bianca con decorazioni geometriche sulla fronte. Le orecchie, il collo, le braccia e le mani sono impreziosite da gioielli. Ai lati del corpo sono dipinti, dall'alto in basso, due lamentatrici funebri, due urei, gli amuleti djed e tit, due grandi mazzi di fiori di loto. La parte posteriore del sudario non è perfettamente visibile perché coperta dalla resina che lo fissa al corpo.
Le indagini diagnostiche sembrano confermare la provenienza della mummia da una necropoli tebana - il fango trovato sul dorso della mummia ha caratteristiche attribuibili a quell'area - e datano i tessuti - sudario e bende interne - al I-II secolo d.C. Inoltre la caratterizzazione dei materiali utilizzati per decorare il sudario ha confermato la presenza di sostanze documentate in epoca romana.
Anche lo stile pittorico del sudario può essere ricondotto allo stesso periodo storico, come dimostra la sua somiglianza con le mummie ed i sarcofaghi appartenenti ai membri della famiglia Soter (57-118 d.C.), la cui tomba è presumibilmente da identificarsi con la TT32 nella necropoli tebana di el-Khokha. A questo gruppo appartiene la mummia di Cleopatra II, figlia di Soter, ora conservata al British Museum, che è l'unica altra mummia dell'epoca con sudario avvolto ancora attorno al corpo.
La mummia di Bologna appartiene ad una donna alta circa 153 centimetri, che al momento della morta poteva avere 35-45 anni. L'analisi non ha evidenziato un'unica causa di morte. La donna era affetta da ascessi che comportavano perdita di alcuni denti in vita. Soffriva di malattie degenerative, come l'artrosi alla spina dorsale e alle articolazioni delle ginocchia. Le abbondanti pieghe della pelle ed i residui di tessuto adiposo su fianchi, glutei e cosce suggeriscono una rotondità delle sue forme.
Grazie al sondaggio virtuale della mummia tramite TAC, è stato osservato che il corpo è in posizione supina, con le braccia stese lungo i fianchi e le gambe dritte. Durante il processo di imbalsamazione il cervello è stato quasi completamente rimosso attraverso la narice sinistra. Gli organi interni sono stati estratti attraverso un'incisione verticale sull'addome, imbottito poi solo parzialmente con bende imbevute di resina. Il corpo è stato infine ricoperto con un'abbondante colata di resina e rivestito con un bendaggio in tessuti di lino. Le tecniche di imbalsamazione e il raffinato sudario confermano lo stato sociale elevato della defunta.
La mummia di fanciullo con tre tuniche può considerarsi una rara testimonianza del rituale funerario dell'Egitto medioevale. Il corpo non è stato sottoposto a tecniche di imbalsamazione ma è stato preparato alla sepoltura con una ricca vestizione. La mummia proviene dalla collezione di Federico Amici, nato a Roma da una nobile famiglia bolognese che soggiornò in Egitto dal 1875 al 1890.
Nel catalogo della collezione egizia di Bologna, pubblicato nel 1895 da Giovanni Kminek-Szedlo, la mummia è descritta come: "un fanciullo dell'epoca posteriore al retto imbalsamento degli Egiziani, lunga 0,63; è in istato molto trascurato e mancante di testa e di braccia. I piedi sono scoperti, il resto del corpo è avvolto in un corsetto ed in una specie di gonnella di stoffe diverse".
La mummia, priva di testa e piedi, appartiene ad un bambino di 2-3 anni, alto circa 84 centimetri. Non è stato possibile risalire alla causa di morte, ma dall'analisi paleopatologica è emerso uno stato di stress, in particolare degli arti inferiori, dovuto forse ad un'alimentazione inadeguata o ad un'infiammazione. La TAC ha evidenziato che il corpo non è stato eviscerato degli organi interni. Il cuore, la trachea, i bronchi e il diaframma si sono mummificati naturalmente. L'esame della pelle, dalla colorazione bruno-rossastra, suggerisce che il corpo sia stato trattato con qualche sostanza per prepararlo alla sepoltura.
Le vesti di lino che ricoprono il corpo sono formate da due tuniche a filo grosso, una tinta in indaco e l'altra ricamata a filo nero sulle maniche ed una sovra-tunica quadrettata e bicolore a filo sottile. Il precario stato dei resti umani ha reso difficile il trattamento dei tessuti, molto degradati, lacerati e lacunosi. 

Fonte:
stilearte.it

Gerusalemme esposti i gioielli di una ragazza di 1800 anni fa

Gerusalemme, alcuni dei gioielli esposti appartenenti
ad una donna romana (Foto: shalom.it)

Per gli archeologi è un grandissimo evento: per la prima volta sono stati esposti i monili d'oro provenienti da una tomba del Monte Scopus, a nordest di Gerusalemme, ritrovati nel 1971. Gli splendidi gioielli in oro e con gemme sono stati mostrati in pubblico al 48esimo Congresso Archeologico organizzato dall'Israel Antiquities Authority e dell'Israel Archaeological Association, oltre 50 anni dopo il loro ritrovamento e possono raccontare la storia di chi li indossava.
Dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme e l'esodo della popolazione ebraica, la Gerusalemme tardo romana, ribattezzata Aelia Capitolina, aveva una popolazione cosmopolita. Durante quel periodo, alcune ragazze furono sepolte adornate con gioielli in oro pregiato. I gioielli furono scoperti in una bara di piombo sul Monte Scopus, durante gli scavi guidati dal defunto archeologo Yael Adler del Dipartimento di Antichità israeliano.
Il ritrovamento comprendeva orecchini d'oro, una forcina, un ciondolo d'oro, perline d'oro, perline di corniola e una perlina di vetro e portano il simbolo di Selene, divinità romana rappresentante la Luna: questo dettaglio fa pensare che i gioielli fossero portati per tutto il corso della vita della fanciulla, per poi accompagnarla anche durante la morte e continuare a proteggerla nell'aldilà. Scoperti nel 1971, i reperti non sono stati mai esposti da allora, ma soltanto studiati. Si riferiscono, secondo i ricercatori, ad un periodo dopo che Gerusalemme fu quasi interamente distrutta in seguito all'assedio del 70 d.C.
Gerusalemme, uno dei gioielli rinvenuti nel 1971
(Foto: shalom.it)
Le divinità romane ebbero molta diffusione nella nuova città di Adriano. A quel tempo agli ebri era vietato entrare a Gerusalemme, occupata dai legionari romani. Se mai avessero avuto l'ardire di farlo, per loro c'era la pena di morte.
I gioielli esposti sono noti nel mondo romano e sono caratteristici delle sepolture delle fanciulle, forse fornendo prove delle persone sepolte in questi siti. La nuova Gerusalemme, Aelia Capitolina era popolata all'epoca da persone provenienti da diverse parti dell'Impero Romano, che avevano portato un diverso insieme di valori, credenze e rituali.
I ricercatori ritengono che i gioielli d'oro siano stati utilizzati come amuleto contro il malocchio dalle giovani ragazze pagane. Per questo sono stati sepolti con chi li possedeva, per continuare a proteggere le giovani donne anche nell'aldilà.
Le attuali ricerche sui monili sono state condotte da Ayelet Dayan, Ayelet Gruber e Yuval Baruch dell'IAA. Non si tratta dell'unico ritrovamento di questo tipo avvenuto in Israele. Due orecchini d'oro molto simili sono riemersi in un altro scavo, effettuato da Vassilios Tzaferis, sempre per conto del Dipartimento di Antichità, sul Monte degli Ulivi nel 1975. La ragazza alla quale apparteneva la tomba era stata sepolta con un preziosissimo corredo di gioielli d'oro di cui facevano parte una coppia di orecchini, un fermaglio per capelli ed una catenella con un ciondolo a forma di lunetta (lunula) allusivo al culto della Luna.

Fonti:
ilmattino.it
storiearcheostorie.com

I mongoli e lo...yak

Una spilla mongola trovata grazie allo scioglimento
dei ghiacci (Foto: scienzenotizie.it)

Il permafrost delle montagne dell'Eurasia orientale si sta lentamente sciogliendo e sta facendo riemergere i corpi sepolti riconducibili al temutissimo impero mongolo. Una nuova ricerca ha studiato i resti di un cimitero nel sito Khorig, situato sui monti Khovsgol. La datazione suggerisce che il cimitero sia stato usato nel XIII secolo, a partire dal periodo dell'unificazione dell'impero mongolo nel 1206 d.C. Questo fu l'anno in cui il famigerato Gengis Khan venne proclamato sovrano  di tutti i mongoli.
Nel 2018 e nel 2019, gli scheletri di 11 individui sono stati scoperti nel luogo di sepoltura d'élite dopo che erano stati parzialmente rivelati dallo scioglimento del permafrost. I corpi erano ancora in condizioni sorprendentemente buone, nonostante avessero più di 800 anni, grazie alle temperature sotto zero che hanno preservato i resti. La presenza di sontuosi corredi funerari e i vestiti con materiali pregiati indicano che le persone seppellite avessero uno status sociale elevato.
I ricercatori hanno scoperto un ornamento d'oro a forma di loto che circonda un Buddha seduto dai cimiteri Khorig. In quest'ultimo studio, i ricercatori erano particolarmente interessati ad analizzare i resti per comprendere lo stile di vita e le diete di questi aristocratici dell'impero mongolo. Esaminando le proteine trovate tra i denti dei corpi, i ricercatori ha trovato prove dirette che queste persone consumavano latte di cavalli, pecore, capre, mucche e, in particolare yak.
La scoperta più importante è stata una donna appartenente all'élite locale, sepolta con un cappello di corteccia di betulla chiamato bogtog e abiti di seta raffiguranti un drago d'oro a cinque artigli. Analizzando i resti della donna, il team ha scoperto che questa aveva bevuto latte di yak. L'uso dello yak, nel corso dei secoli, nella regione, è stato ed è tuttora molto importanti. L'animale, in passato, era legato proprio alle élite mongole.

Fonte:
scienzenotizie.it

lunedì 10 aprile 2023

Francia, scoperto un santuario dedicato a Marte ed una necropoli

Francia, resti di un paio di scarpe chiodate rinvenuti nella
tomba della necropoli gallo-romana
(Foto: Francoise Labaune-Jean, Inrap)
Un santuario dedicato a Marte, alcuni edifici di servizio, attorno, tra i quali terme pubbliche che accoglievano i pellegrini. E una necropoli, nella quale venivano probabilmente collocati i resti di militari, dei loro familiari o dei devoti del dio della guerra. Una scoperta eccezionale, quella compiuta dall'Inrap (Istituto Nazionale Francese per le ricerche archeologiche preventive) in uno scavo durato 8 mesi a La Chapelle-des-Fougeretz, un comune francese di circa 4.000 abitanti situato nel dipartimento dell'Ille-et-Vilaine, nella regione della Bretagna.
Gli scavi hanno permesso di stabilire che il luogo sacro e le sue adiacenze di servizio risalgono all'inizio dell'occupazione romana e che furono frequentati per molto tempo per essere abbandonati nel IV-V secolo d.C., forse per il diffondersi del cristianesimo come nuova religione dello stato romano. Nel 380 d.C., l'imperatore Teodosio I impose, infatti, il cristianesimo come religione ufficiale dell'Impero Romano. L'attribuzione dei resti del tempietto a Marte è stata conferita grazie al ritrovamento di una statua del dio della guerra e per la presenza di armi e materiali d'armamento (spade, punte di lancia, ecc.) probabilmente depositati per devozione dai soldati.
Dal terreno sono stati recuperati materiali in ceramica con i quali sono state riempite 35 casse. Sette casse riuniscono una selezione di elementi architettonici in terracotta. Sono stati, invece, 755 gli oggetti isolati nel campo (vetro, metallo, ceramica). Tra questi una dozzina di spade di ferro, quattro roncole, alcune spille e numerose armi. Sono distribuiti più o meno equamente tra il santuario, che consegnato spade e arredi militari, e la necropoli, che ha consegnato depositi che accompagnano il defunto (vetro, ceramica).
I dintorni del santuario hanno rivelato la presenza di un edificio termale ad uso pubblico ed un piccolo agglomerato composto da case costruite in terra e legno, di cui sono rimaste scarse tracce. Vi sono stati ritrovami molti oggetti di uso quotidiano, compresi vasi in ceramica. E' stata scoperta anche un'inaspettata necropoli composta da 40 sepolture. Se gli scheletri si sono dissolti grazie all'acidità del suolo, gli oggetti depositati con il defunto sono stati trovati ancora nella posizione in cui furono collocati. Tra questi depositi funerari si annoverano: vasi in vetro e ceramica, ma anche scarpe di cui rimangono solo le suole borchiate.
Alcune tombe erano più riccamente dotate di ornamenti in argento (braccialetti, spille e fibbie per cinture), oltre a perle di vetro. La tomba più ricca, probabilmente contenente la sepoltura di un uomo, ha restituito un pugnale ed elementi appartenenti ad un finimento di cavallo. Tra questi, un morso in ferro e numerose applicazioni in bronzo che dovevano decorare la briglia e le redini.

Fonte:
stilearte.it


Egitto, le duemila, misteriose, teste di ariete di Abydos...

Egitto, le teste di ariete mummificate
(Foto: Ministry of Tourism and Antiquities)

La missione archeologica dell'Università di New York che, in Egitto, lavora nell'area del tempio di Abydos del faraone Ramses II, ha portato alla luce più di 2.000 crani di ariete mummificati risalenti all'epoca tolemaica, oltre ad un enorme edificio della VI Dinastia. L'ecatombe di animali - i cui trofei mummificati furono collocati, in ordine perfetto - dimostrerebbe che mille anni dopo la morte di Ramses II, il faraone fosse ancora divinizzato e oggetto di culto, forse attraverso l'intercessione del dio-ariete. Ramses II era infatti nato nel 1303 a.C. e morto nel 1213 o 1212 a.C. L'epoca tolemaica va dal 323 a.C. alla conquista romana dell'Egitto, nel 30 a.C. Il grande edificio venuto alla luce nell'area è invece ancora più antico, dal 2350 al 2190 a.C.
Abydos è una delle più antiche città dell'Alto Egitto ed era il capoluogo dell'VIII distretto. Si trova a circa 11 chilometri ad ovest del Nilo ed è stata una città santa. Tra le strutture vi sono templi funerari appartenenti ai faraoni Seti I e Ramses II, nei pressi del quale sono avvenute le ultime scoperte.
"Questo scavo svela dettagli importanti della vita e della storia del Tempio del faraone Ramses II ad Abydos, soprattutto alla luce dell'importanza archeologica e storica di questo tempio, che continuò, per un lungo periodo, ad essere punto di riferimento sotto il profilo del culto" ha riferito il Dottor Mustafa Waziri, Segretario Generale del Consiglio Supremo per l'Archeologia.
In alcune stanze sono stati trovati resti di capre, cani, capre selvatiche, mucche, cervi. I resti di uno struzzo sono stati recuperati da un magazzino appena scoperto all'interno dell'area settentrionale del tempio. Sacrifici consistenti, un'ecatombe offertoriale. Sono stati scoperti anche papiri, statue, vestiti e scarpe in cuoio, oltre ad una porzione del muro di cinta settentrionale.
Il Dottor Sameh Iskandar, capo della missione, ha sottolineato che la scoperta di questo gran numero di arieti mummificati potrebbe lasciar ipotizzare un culto senza precedenti del dio-ariete Khnum, oltre a suggerire che Ramses II fu pregato e onorato anche dopo mille anni dalla sua morte. Forse attraverso Khnum ci si connetteva con lo spirito del faraone divinizzato.
Stupefacente l'enorme edificio scoperto, risalente all'epoca della VI Dinastia - la VI Dinastia si inquadra nel periodo della storia dell'Antico Egitto detto Antico Regno, che copre un arco temporale che va dal 2350 al 2190 a.C. - con una linea architettonica particolare e unica, caratterizzata da enormi pareti, di circa cinque metri di larghezza. Le ricerche proseguono per far piena luce sulla misteriosa struttura.

Fonte:
stilearte.it




Vulci, straordinaria scoperta nella Necropoli dell'Osteria

Vulci, la sepoltura di VI secolo scoperta intatta
(Foto: stilearte.it)

Straordinaria scoperta archeologica a Vulci. Una tomba etrusca, perfettamente conservata e mai violata, è stata aperta da Carlo Casi, direttore scientifico del Parco di Vulci, durante gli scavi archeologici nella Necropoli dell'Osteria. La sepoltura - risalente al VI secolo a.C. - è quella di una donna di classe medio alta. Vulci è un'antica città etrusca nel territorio di Canino e di Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, nella Maremma laziale.
La sepoltura è costituita da una piccola stanza nella quale c'è un banco di pietra per ospitare le ceneri della defunta e una base sulla quale sono stati depositati i corredi e il braciere nel quale ci sono ancora i carboni e uno spiedo nel quale, ai tempi dell'ultima offerta, dovevano essere infilzati pezzi di carne. Il ritrovamento composto dei resti di un pranzo rituale è un fatto piuttosto raro.
Tra il corredo una fuseruola elegante, strumento usato per la filatura, oggetto che ha consentito di comprendere che il contesto è quello di una tomba femminile. La classe sociale della defunta è stabilita grazie alla sontuosità del materiale ceramico, posto alla base del banco di arenaria, sul quale è collocato il vaso delle ceneri. Tutti questi materiali devono essere, naturalmente, studiati. Si cercheranno - anche grazie al Dna di frammenti ossei - di ricostruire la parentela della donna con altre persone che trovarono sepoltura nella necropoli.
La Necropoli dell'Osteria fa parte del più vasto complesso della necropoli settentrionale di Vulci. L'uso funerario dell'area inizia con il Bronzo finale, indicato da materiali raccolti in superficie; materiali villanoviani sono documentati, su punti diversi della necropoli, sia da scavi che da ricognizioni.

Fonte:
stilearte.it

Francia, tracce di un importante infrastruttura romana, forse un campo militare

Francia, una gemma con effige di Pegaso trovata negli
scavi (Foto: nanopress.it)

Sempre più soddisfazione, in questi mesi, per il campo dell'archeologia proviene da scavi preventivi. Si tratta di operazioni di rilievo effettuate prima di alcune lavorazioni, spesso nuove costruzioni, creazioni di infrastrutture, in zone ritenute di possibile interesse archeologico.
Ci troviamo in Francia, in una zona a metà tra Lot e Garonna, nota come Villeneuve sur Lot. La sua storia si intreccia con la nostra in quanto è qui che si insediarono i Romani creando il luogo noto come Excisum.
Nella zona chiamata Eysses, durante una sessione di scavi preventivi, gli archeologi hanno rinvenuto un accampamento romano, immediatamente datato attorno al I secolo a.C. Lo scavo ha immediatamente centrato il cuore del campo, una struttura in pietra molto estesa, basti pensare che l'esplorazione si è diffusa per circa 4500 metri quadri. La scoperta è arrivata in un momento in cui, forse, si erano perse le speranze di rintracciarla.
A parlare di un presunto campo in questa zona sono fonti arrivate a noi dal XVII e XVIII secolo, che parlano del ritrovamento di alcune stele funerarie e, in una zona vicina, anche di alcuni resti. Dalle prime ricostruzioni questo accampamento risulta estendersi lungo una strada. L'equipe di archeologi è stata in grado di identificare anche degli ambienti ben definiti, praticamente delle stanze di uguali dimensioni, nelle quali si presume alloggiassero i soldati. E ancora anche grondaie e pozzi per il raccoglimento delle acque.
Uno scavo ricchissimo, se si pensa che sono emersi anche reperti come monete, mobili, pezzi di ceramiche, cucchiai, piastre per il focolare. Gli archeologi riferiscono anche di attrezzature utili per la produzione e riparazione di armi.
Da una prima ricostruzione si presume che l'insediamento dell'accampamento sia avvenuta in due fasi. La prima vide l'impiego di pali di legno e solo successivamente vennero poste le basi fatte in ciottoli e mattoni. Praticamente il sito di Eysses potrebbe addirittura essere il primo esempio di costruzione romana militare in pietra sul suolo francese.
Tra i manufatti, in particolare, ne emerge uno molto interessante, una bellissima gemma recante la figura intagliata di un cavallo alato. Non un cavallo qualsiasi, ma Pegaso. Figura mitologica di origine greca, Pegaso era un cavallo nato dal terreno bagnato dal sangue di Medusa una volta che Perseo riuscì a tagliarle la testa o addirittura uscito dal collo mozzato della terrificante creatura. Spesso associato al mito di Bellerofonte, l'eroe che riuscì ad addomesticarlo, fu poi ripreso dai Romani come emblema di diverse legioni romane, soprattutto la Legio II Augusta e la Legio II Adiutrix. La gemma ritrovata aveva, presumibilmente, la funzione di portare buon auspicio in battaglia.

Fonte:
viaggi.nanopress.it

Svizzera, testimonianze di una battaglia tra Reti e Romani

Svizzera una ghianda in piombo ritrovata sul luogo di una
battaglia (Foto: archaologischer dienst graubunde)

Proseguono gli studi sulla resistenza posta dalle popolazioni alpine all'invasione romana. Negli ultimi anni sono state portate alla luce importanti testimonianze. Un pugnale romano, cento ghiande di piombo per le fionde - che recano impressa la sigla della XII legio - chiodi da calzature, resti di uno scudo e altri reperti sono stati individuati e recuperati grazie all'azione di un ispettore onorario della Soprintendenza, che ha esplorato la zona con un metaldetector, recuperando il prezioso pugnale, e ai servizi archeologici di Stato, che sono intervenuti poi per indagini sistematiche, portando alla luce altri resti di uno scontro militare avvenuto, probabilmente, intorno al 15 a.C. in una gola montana nel Cantone dei Grigioni, in Svizzera.
Da un lato il potente esercito romano. Dall'altro - forse nel tentativo di presidiare la gola, respingendo i nemici - i Reti. I resti di dotazioni militari rimaste sul terreno fanno pensare che la risposta dei legionari romani sia stata violentissima e che abbiano scatenato l'inferno in uno scontro di non lunga durata.
"Sembra che la gente del posto si fosse rintanata e sia stata colpita dai romani con fionde e catapulte", ha detto Peter Schwarz, professore di archeologia romana all'Università di Basilea. Schwarz ritiene che alla battaglia abbiano preso parte 1.500 soldati. Un numero per certi aspetti limitato di militari, ma probabilmente sufficiente ad aver ragione, con risalite strategiche, delle resistenze dislocate dai Reti. Del resto la configurazione del terreno - siamo in una gola, quindi in una strettoia - non avrebbe offerto un fronte molto più ampio e non avrebbe richiesto un impegno maggiore di soldati. Per ora non sono stati trovate sepolture da ricondurre alla battaglia stessa.
Le monete, il tipo di chiodi delle scarpe e i materiali trovati durante le ricerche offrono elementi precisi che consentono di stabilire l'epoca della battaglia. Gli studiosi ritengono che, anche alla luce del programma quinquennale di ricerche, sarà possibile sapere se - come parrebbe oggi - lo scontro sia da collegare all'offensiva romana disposta con decreto dall'imperatore Augusto, nel 15 a.C.
"Questa è la prima volta che i resti di un sito di battaglia romano sono stati trovati in Svizzera", ha detto Schwarz. "Sembra che i romani abbiano attaccato il loro nemico su un lato della valle, li abbiano spinti oltre il fiume, dall'altra parte della gola, prima di attaccare di nuovo". Tutto avvenne nella strettoia del Crap Ses, nel comprensorio della Val Sursette, tra Tiefencastel - 859 metri sul livello del mare - e Cunter - 1.182 metri di altitudine. Una zona che, anche oggi, manifesta chiaramente il collegamento stretto con il mondo latino, quello degli occupanti. Qui si parla, infatti, il romancio, una lingua svizzera che ha grandi affinità con il ladino e con il friulano, entrambi parlati in Italia. In questo comprensorio, al passo del Settimo, gli archeologi hanno evidenziato e studiato le tracce di un accampamento romano.
Questa ricerca deve tanto a Lucas Schmid, ispettore onorario della Soprintendenza che ha rilanciato le ricerche, grazie al ritrovamento, con il metal detector, di un pugnale romano, particolarmente elegante e raro. Oltre alla spada, il pugnale (in latino "pugio") era la seconda arma bianca usata dai soldati romani, sia delle legioni, sia delle truppe di appoggio. Per via della sua impugnatura a forma di croce, il pugnale del Crap Ses può essere datato al periodo compreso tra il 50 a.C. e l'anno zero.
Pugnali di questo tipo sono rari. Finora se ne conoscono solo quattro esemplari, di cui uno proveniente dall'accampamento romano di Vindossia, nel Cantone di Argovia. Il pugnale si trovava nel suolo senza guaina e probabilmente è stato deposto intenzionalmente.

Fonte:
stilearte.it
 

sabato 1 aprile 2023

Passo Corese, scoperte le tracce di un santuario dedicato ad Ercole

Passo Corese, gli ex voto ritrovati
(Foto: Soprintendenza ABAP per l'area
metropolitana di Roma e la provincia di Rieti)

Ancora scoperte archeologiche a Passo Corese. Dalla fitta rete dei cunicoli di drenaggio e raccolta delle acque in corso di scavo, nel distretto ASI di Passo Corese (Fara in Sabina, in provincia di Rieti), continuano ad affiorare sorprese, come è stato annunciato dalla Soprintendenza ABAP per l'area metropolitana di Roma e la Provincia di Rieti.
Nei dintorni doveva esistere in età antica un santuario dedicato ad Ercole, i cui ex voto, in gran parte fittili anatomici e rappresentazioni stereotipate dei fedeli, oltre ad uno scarico di vasellame votivo con molti segni riferibili al patrono di pastorizia e commerci, dovettero essere gettati, desacralizzati, nelle cavità idrauliche caratteristiche di quel distretto agricolo dei dintorni di Cures. In esso importanti trasformazioni dovettero avvenire con la compiuta romanizzazione intervenuta tra la Media e la Tarda Repubblica (III-II secolo a.C.), epoca cui risalgono anche i materiali legati a questo culto, legato indubbiamente ai percorsi che collegavano la Valle del Tevere con la Sabina interna che si staccavano dalla Salaria e dalle sue diramazioni tiberine proprio nella zona dell'attuale centro di Passo Corese.
Lo scorso anno è stata scoperta una sorta di piattaforma in cocciopesto, limitata sul lato lungo orientale da allineamenti di lastre in calcare e probabili fondazioni murarie in tufo. L'ambiente, che risulta danneggiato sull'altro lato dalle arature, doveva essere ripartito in almeno due navate per mezzo di sostegni lignei poggiati su elementi lapidei di recupero. Questo dato, come la presenza di un dolio interrato nei pressi del lastricato sul lato lungo, conferma la funzione utilitaria dell'edificio, il cui alzato, evidentemente in materiale deperibile, risulta completamente mancante.
La mancanza di crolli rilevanti delle coperture indizia come anche esse fossero in materiali deperibili, a meno di non pensare ad uno smontaggio volto al recupero delle tegole all'atto dell'abbandono. In mancanza di dati stratigrafici probanti e data la recentissima conclusione dello scavo si può solo ipotizzare una datazione in piena età imperiale. Dopo l'abbandono dell'edificio vi furono ammassati materiali di risulta tra i quali spiccano due statue funerarie, una virile, l'altra muliebre, riferibili ad uno o più sepolcri della prima età imperiale esistente lungo la viabilità ripercorsa dall'attuale SR 313 Ternana. Le due statue sono state esposte presso il Museo Civico Archeologico di Fara in Sabina.

Fonte:
stilearte.it




Arenzano, casuale scoperta di fornaci romane

Arenzano, il cantiere di
scavo (Foto: genovatoday.it)

Hanno rivisto la luce nei giorni scorsi, dopo molto tempo, complice alcuni scavi per creare una strada di cantiere: sono stati scoperti in questo modo, ad Arenzano, in Liguria, in un terreno privato, mattoni e piastrelle originari dell'epoca imperiale romana.
La scoperta quasi per caso grazie all'interessamento di due cittadini appassionati di storia del territorio che hanno coinvolto la Soprintendenza: così, poco lontano dall'ingresso dell'autostrada, è stato ritrovato un sito archeologico di notevole interesse. L'area è attualmente in corso di scavo ma a un primo esame risulta risalente all'età imperiale e con tutta probabilità si tratta di una fornace da laterizi e varie porzioni di strutture oltre a evidenze di sistemazioni agricole di età medioevale e moderna.
Grazie ad una delle interminabili code sull'A10, l'arenzanese Gianni Damonte, guardando il panorama, ha notato gli strani mattoni rossastri emergere dal terreno di un cantiere privato (fuori autostrada) per la riqualificazione di un'area agricola da tempo abbandonata. Insospettito, Damonte, da sempre attivo per la tutela del patrimonio storico di Arenzano e membro di un'associazione, ha osservato meglio nelle settimane successive e ha coinvolto anche un'altra socia dell'organizzazione di volontariato, consigliera comunale laureata in archeologia, membro dell'Istituto di Storia della Cultura di Genovae, anche lei appassionata del territorio e della sua salvaguardia, Lucia Ferrari.
Non è la prima volta che ad Arenzano vengono effettuati ritrovamenti ma mai di questa portata. "Negli anni '60 alcuni piccoli reperti erano stati trovati dall'indimenticato Professor Tiziano Mannoni nel quartiere di Terralba, frammenti di ceramica e tegole - spiega Gianni Damonte - erano l'unica traccia della romanità ad Avenzano, ma proprio per questo pensavamo che in zona avrebbe potuto esserci altro. Ogni tanto chiedevo ai residenti e ai contadini se trovavano qualcosa, ho cercato nei muretti delle creuze, ma niente".
All'inizio si pensava che le mattonelle rinvenute, realizzate con terreno rubefatto, che ha subito processi di cottura, potessero essere reperti risalenti al medioevo. Invece un'analisi più approfondita, grazie alla Soprintendenza, com'è stato confermato anche in consiglio comunale, ha svelato che si tratta con tutta probabilità di laterizi di origine imperiale romana, forse risalenti al I o II secolo, conservati sotto livelli agricoli dei secoli successivi, ma con il tempo le ricerche potranno dare risultati più precisi.

Fonte:
genovatoday.it

Baia, scoperta una monumentale stanza con tracce di una lussuosa decorazione

Campi Flegrei, i ruderi della Villa dell'Ambulatio puliti
di recente (Fonte: Parco Archeologico dei Campi Flegrei)

Il Sindaco di Bacoli, in Campania, Josi Gerardo Della Ragione, ha annunciato una nuova scoperta alle Terme di Baia. Si tratta di una stanza monumentale, larga 10 metri, con decorazione lussuosa in marmo.
E' tornata alla luce grazie ai lavori di pulizia e taglio della vegetazione. La sala ha una veduta sia su Baia che sul lago Fusaro. La nuova stanza del Palazzo Imperiale, che si affaccia sul Parco Archeologico Sommerso, è posta sulla terrazza più alta della Villa dell'Ambulatio. Tracce di decorazione in marmo si intravedono nei pavimenti e sulle pareti.
Un corridoio di servizio corre dietro ai vani. Serviva alla servitù nelle occasioni di ricevimento. Si tratta di un prestigioso contesto, al vertice delle numerose terrazze che formano il complesso. C'è ancora molto da scavare, nei vani voltati immediatamente sottostanti, ancora del tutto interrati. Un lavoro enorme che sta compiendo il Parco Archeologico dei Campi Flegrei.
"Il versante della collina di Baia è occupato da strutture archeologiche disposte su terrazzamenti e denominate Terme di Baia. - Annota il Ministero della Cultura. - Il complesso si presenta come una serie di residenze costituite da nuclei architettonici separati, organizzati su diversi livelli di terrazzamento e messi in comunicazione tramite rampe a gradoni". Probabilmente tutti questi edifici facevano parte del Palatium di Alessandro Severo che, forse, si estendeva fino al mare.
L'ambiente deve ora essere studiato nei suoi vari aspetti, storico ed archeologico in primis, ma la circostanza stupefacente è che il ritrovamento ci sia stato durante lavori di manutenzione, senza bisogno di scavare, aprendo nel contempo un nuovo fronte di scavo.

Fonte:
stilearte.it

Ercolano, restaurate ante e travi del 79 d.C.

Ercolano, le travi restaurate (Foto: repubblica.it)
Ad Ercolano alcuni recenti scavi hanno permesso di riportare alla luce delle travi di legno carbonizzate che verranno messe in sicurezza ed esposte.
La scoperta è avvenuta presso alcune botteghe situate lungo il decumano massimo, la via principale di Ercolano. Spiccano, in modo particolare, le ante di legno della porta di uno dei negozi dell'antica città, oltre ad una grande trave carbonizzata. Quest'ultima è lunga 14 metri e rappresenta un unicum nell'archeologia romana, secondo quanto affermato dalla Dottoressa Elisabetta Canna, che ha lavorato al restauro dei reperti di Ercolano. "Fu rinvenuta insieme al porticato conservato fino all'altezza dei piani superiori, con abitazioni e botteghe, al seguito dello scavo avvenuto nella metà degli anni '60", ha aggiunto la Dottoressa Canna. Ora le travi e le ante in legno tornano visibili: l'obiettivo è di aprire al pubblico il portico con le botteghe del decumano massimo già a partire dal mese di giugno.
La delicata operazione di restauro degli elementi in legno fa parte di un più ampio progetto volto a proteggere i resti della città romana. Un tempo le travi venivano consolidate con cera di paraffina, che però ha iniziato a colare a causa delle alte temperature. Quando frammenti di legno hanno iniziato a staccarsi, gli esperti hanno immediatamente asportato la paraffina rimasta attaccata alle travi, quindi hanno impiegato nuovi materiali sperimentati per la prima volta proprio ad Ercolano.

Fonte:
siviaggia.it

Antichi rituali di sacrifici umani: l'incaprettamento femminile

Francia, le sepolture neolitiche rinvenute in grotta (Foto: stilearte.it) Uno studio, pubblicato da Science advances , ha portato alla luce ...