sabato 30 novembre 2019

Restaurato il Frammento Vaticano di Giotto

Il Frammento Vaticano dopo il restauro dell'Opificio delle Pietre Dure
(Foto: Il Giornale dell'Arte)
Si è concluso il restauro del prezioso Frammento Vaticano di Giotto proveniente dall'antica Basilica di San Pietro. L'opera, di proprietà di collezionisti privati, è stata presa in cura tre anni fa dall'Opificio delle Pietre Dure, dopo essere stata esposta per la prima volta alla mostra su "Giotto e l'Italia", tenutasi in Palazzo Reale a Milano nell'ambito dell'Expo 2015. Il restauro è stato diretto da Cecilia Frosinini ed affidato ad Alberto Felici. Il frammento misura cm 41x46, con bordi irregolari ed è stato analizzato solo in una pubblicazione di Valentino Martinelli del 1971.
Dopo la distruzione dell'ala orientale della chiesa per i lavori di rinnovamento della Basilica, nel 1610 il frammento venne collocato all'interno di una cassetta, calato nel gesso per preservarlo. Sul retro della cassetta un'iscrizione latina riferisce che il frammento è un dono di Piero Strozzi, segretario di papa Paolo V Borghese, a Matteo Caccini, personaggio di famiglia romano-fiorentina, il quale "amò di onorarla" (da qui la sistemazione nella cassetta) per presentarla al culto dei fedeli "in hoc loco".
Il "loco" resta, però, misterioso, sebbene Serena Romano ipotizzi, interpretando le fonti e servendosi dell'acquerello di Jacopo Grimaldi che ritrae la Basilica, fosse la controfacciata. Vasari, infatti, scrive che alcune pitture furono "disfatte e trasportate fin sotto l'organo". Prima del restauro si pensava che il frammento fosse composto da frammenti separati di intonaco, mentre è stato appurato che si tratta di un unico pezzo. Tra intonaco e supporto, spiega Felici, furono anche trovate quattro lame, gli strumenti con cui fu assottigliato per procedere allo stacco.
Cecilia Frosinini sottolinea la scelta metodologica dell'Opificio di non limitarsi ad una semplice pulitura, prendendo atto della vita dell'opera nei secoli, poiché l'immagine era a tal punto "disordinata", con traccia di almeno tre restauri precedenti, da essere ritenuta quasi illeggibile. L'intervento non solo ha liberato le figure dal gesso dipinto in nero in cui era "incastonato", ma ha permesso di ritrovare pigmenti di rara bellezza e di apprezzare la luminosità dello strato pittorico, con una morbidezza di pennellata straordinaria.
Le teste misurano circa 12 centimetri, disposte vicine ma leggermente scalate con un gioco raffinato di spazi. Sono compatibili con figure intere di 70-80 centimetri che potevano appartenere ad una scena narrativa oppure ad un pannello con figure  di santi, ma non raffigurano Pietro e Paolo, come tradizionalmente si riteneva. Il santo sulla sinistra indossa una stola, mai presente nelle figure di apostoli (eccezion fatta per l'iconografia della stola immortalitatis nell'Ascensione, ma non è questo il caso), né si capisce quale sia il libro che tiene in mano; quanto all'ecclesiastico tonsurato sulla destra, con una veste turchese, svelata nella sua ricchezza decorativa dal restauro, potrebbe forse trattarsi di san Martino o san Nicola, nulla è certo.
Per la datazione la Romano propende per il 1320 circa, quando lo stile soffice e piumoso di certe pennellate nel definire le fisionomie si ritrova in alcuni allievi del maestro, quali Puccio Capanna, Giottino o Stefano. La riflettografia ad infrarossi ha rivelato forti consonanze con il "Santo Stefano" del Polittico Stefaneschi conservato al Museo Horne.

L'Ombra di San Gimignano in mostra

San Gimignano, la statuetta rinvenuta nel 2010
(Foto: Finestre sull'Arte)
E' stata finalmente rivelata una delle più importanti scoperte di archeologia etrusca degli ultimi anni: si tratta dell'Ombra di San Gimignano, una meravigliosa e sorprendente statuetta votiva in bronzo rinvenuta nel 2010 nel territorio di San Gimignano (Siena) durante alcuni lavori di ristrutturazione di un edificio privato nei pressi del torrente Fosci, tra le colline che da San Gimignano scendono verso la Valdelsa. La statua è esposta per la prima volta al pubblico al Museo Archeologico di San Gimignano nell'ambito della mostra "Hinthial. L'Ombra di San Gimignano. L'Offerente e i reperti rituali etruschi e romani" (dal 30 novembre 2019 al 31 maggio 2020).
Quando fu ritrovata nel 2010, la statua di bronzo si trovava sepolta in un terreno: ad accorgersi della sua presenza sono stati gli operai che stavano eseguendo i lavori, che notarono tracce di colore verde acceso nella terra. L'approfondimento immediato rivelò che lì si trovava una figura maschile in bronzo, che era stata deposta in posizione prona. I lavori hanno poi subìto un'interruzione per dar modo alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo di avviare la campagna d'indagini cui è seguito uno scavo che ha fatto emergere una vasta area sacra etrusca all'aperto, in uso per almeno 500 anni dal III secolo a.C. fino al II secolo d.C.. Il bronzetto era adagiato lungo il margine meridionale del blocco, non a diretto contatto con quest'ultimo e con la testa deposta verso ovest. Si trattava di una deposizione rituale.
La statua giaceva, infatti, sepolta vicino ad un monolite in pietra squadrato che aveva ruolo di altare, sul quale venivano compiuti riti con offerte religiose alla divinità del luogo; sul monolite sono state trovate tracce di esposizione al fuoco. L'area sacra, attorno alla quale sono state scoperte anche monete, frammenti in ceramica, unguentari integri e frammenti di laterizi, era situata vicino ad una sorgente: questo elemento potrebbe rimandare al culto per divinità legate all'acqua e alla terra.
San Gimignano, particolare della stauetta rinvenuta nel 2010
(Foto: Finestre sull'Arte)
La statua ritrovata è quella di un offerente ed è del tipo dei bronzetti allungati di età ellenistica, simile alla celeberrima Ombra della sera di Volterra. La scultura è stata riconosciuta come la più elegante nel nucleo di bronzi finora attestati. Esattamente come l'Ombra della sera, anche l'Ombra di San Gimignano appartiene, infatti, ad una produzione seriale: in questo caso si tratta di un'opera che presuppone i modelli della grande plastica del primo ellenismo con reinterpretazione dell'ex voto a fettuccia allungata di derivazione centro-italica, ancorato a forme della tradizione religiosa locale.
Statue simili, a cui si collegano sia l'Ombra di San Gimignano sia l'Ombra di Volterra, sono state ritrovate anche nel Lazio (Nemi), nelle Marche (Ancona) e nell'Etruria centro-settentrionale (Orvieto, Chiusi, Perugia, Vetulonia, Volterra e rispettivi territori). A differenza della maggior parte degli altri esemplari, tuttavia, l'Ombra di San Gimignano ha un'importanza peculiare per il fatto che conosciamo in dettaglio la provenienza da un contesto certo, per di più sacro. Inoltre, la statuetta senese spicca per la sua dimensione: un'altezza di 64,6 centimetri e un peso di 2.200 grammi.
La statua rappresenta una figura maschile stante che indossa una toga che arriva fino ai polpacci lasciando scoperti la spalla, il braccio destro e gran parte del torace, mentre ai piedi l'offerente indossa dei calzari con allacciatura alta. La mano destra tiene una patera ombelicata (che si ritrova in molte sculture etrusche, specialmente nella statuaria funebre), mentre nella sinistra, che aderisce al corpo, fuoriesce dal manto con il palmo rivolto all'esterno. Le gambe sono leggermente divaricate e suggeriscono un lieve movimento verso sinistra, mentre i tratti del volto, delineati con eccezionale naturalismo, sono ben marcati, con grandi occhi evidenziati, un naso pronunciato, una bocca carnosa, un mento con fossetta centrale.
Sorprende la capigliatura, disposta a ciocche mosse realizzate con profonde solcature che da una scriminatura posteriore si dispongono verso il volto a coprire parte della fronte oltre alle orecchie. Se dunque l'Ombra della sera è raffigurata nuda (si tratta, infatti, di una figura infantile), l'Ombra di San Gimignano è vestita in quanto il personaggio rappresentato potrebbe essere un sacerdote.
L'artista che creò l'Ombra di San Gimignano probabilmente proveniva proprio dall'antica Volterra (Velathri in etrusco): il vicino santuario della Torraccia di Chiusi era uno dei luoghi di confine del territorio volterrano e le "fauci" da cui deriva il nome del torrente Fosci costituivano l'ingresso nell'area sottoposta al controllo di Volterra. La "chiusa" nascosta nel toponimo allude al percorso stradale pre-romano, imperiale e poi altomedioevale che sarà la via Francigena e passa proprio per l'area sacra.
La toga e i calzari ("calcei") di tipo senatorio richiamano la figura dell'Arringatore, che probabilmente era un grande bronzo votivo raffigurante un personaggio in atteggiamento di orante e il cui abbigliamento era quello tipico dei cortei di magistrati nell'Etruria del secondo venticinquennio del III secolo a.C. Anche questi elementi concorrono a datare l'Ombra di San Gimignano entro la metà del III secolo a.C.

venerdì 29 novembre 2019

Pompei, riaprono alcune domus importanti

Pompei, domus di Leda e del cigno (Foto: Il Giornale del Restauro)
Le grandi Terme centrali di Pompei, che l'eruzione del 79 d.C. ha congelato in una fase ancora di cantiere, chiuse da decenni al pubblico, il lusso e le meraviglie della Casa degli Amorini Dorati, sottoposta da mesi a necessarie manutenzioni e, infine, l'affresco di Leda e il cigno, mai visto prima. A Pompei si chiude una stagione di lavori per la messa in sicurezza che è stata anche generosissima di nuovi ritrovamenti e si aprono al pubblico luoghi e ambienti nuovi e pieni di fascino.
L'accessibilità a via del Vesuvio e agli edifici che vi si affacciano permetterà al pubblico di ammirare, per la prima volta, la domus di Leda e il cigno, rinvenuta nel corso degli scavi alla Regio V e il complesso delle Terme centrali che, al momento dell'eruzione del 79 d.C., aveva ancora lavori in corso per il terremoto degli anni precedenti, mai finora accessibile e in cui ci sono stati interventi di restauro.
Pompei, domus degli Amorini Dorati (Foto: Wikimedia Commons)
E ancora si potrà finalmente visitare la Casa degli Amorini Dorati, che prende il nome da medaglioni affrescati con amorini alati d'oro. Si tratta di una delle più eleganti abitazioni di età imperiale che si sviluppa intorno allo scenografico peristilio, con giardino del raro tipo rodio, cioè con un lato munito di colonne di maggiore altezza sormontate da un frontone, che conferiva un'aura di sacralità agli ambienti che vi si affacciavano. La religiosità del peristilio è sottolineata anche dalla presenza di ben due luoghi di culto: un'edicola ed un sacello. L'edicola del larario era destinata al culto domestico tradizionale, mentre il sacello particolare era destinato al culto delle divinità egizie ritratte nei dipinti: Anubi, dio dei morti con testa di sciacallo, Arpocrate, dio bambino figlio di Iside, la stessa Iside ed infine Serapide, dio guaritore. Accanto vi sono oggetti del culto isiaco di cui il proprietario era, forse, un sacerdote. Graffiti e un anello-sigillo indicato il proprietario in Cnaeus Poppaeus Habitus, imparentato con Poppea Sabina, seconda moglie di Nerone.
Per il direttore del Parco Archeologico, Massimo Osanna, al suo secondo mandato, Pompei "è un sistema di relazioni, un fluire incessante di cambiamenti, un laboratorio di sperimentazioni, emozioni e conoscenza".
"Negli ultimi cinque anni Pompei è diventato un modello di efficace gestione, riconosciuto dalla stessa Commissione Europea, che ha permesso di superare con successo una stagione difficile". Così il ministro per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, Dario Franceschini. "Si tratta di un modello virtuoso di impiego di risorse europee che nell'arco di tempo di diversi anni ha permesso di mettere in sicurezza e restaurare parte importante dell'antica città, realizzare un percorso accessibile a tutti, dotare il sito archeologico di copertura WiFi e di dare avvio a una nuova, felice stagione di scavi che sta portando a importanti scoperte".

Gerusalemme, la strada di Pilato...

Gli archeologi hanno identificato una grande strada, a Gerusalemme, costruita da Ponzio Pilato, prefetto romano della Giudea, famoso per la supervisione del processo e della crocifissione di Gesù. La strada ha una lunghezza di quasi 600 metri e collegava, probabilmente la piscina di Siloam, il luogo dove i pellegrini potevano fare il bagno e approvvigionarsi di acqua fresca, al Monte del Tempio, il luogo più santo dell'ebraismo.
Le prove archeologiche sull'attribuzione a Ponzio Pilato sono piuttosto scarne e gettano un po' di luce sulle azioni del prefetto e sulla sua personalità abbastanza sensibile ai bisogni religiosi dei pellegrini e degli abitanti di Gerusalemme.
Gli archeologi conoscevano già dal secolo scorso l'esistenza di una strada ma non sapevano chi l'avesse costruita. I ricercatori della Israel Antiquities Authority e dell'Università di Tel Aviv hanno, pertanto, iniziato a scavare, rinvenendo decine di monete, l'ultima delle quali risalente al 30-31 d.C., un periodo in cui è attestata la presenza storica, quale prefetto della Giudea, di Ponzio Pilato. L'assenza di monete di anni successivi sta ad indicare che la maggior parte o tutta la costruzione della strada è completata quando Pilato rivestiva ancora la carica di prefetto.
"L'importanza di questa strada è evidente per le sue dimensioni e per la qualità del materiale e della costruzione, che hanno indubbiamente richiesto una forza lavoro piuttosto consistente, comprendente anche artigiani qualificati", hanno scritto i ricercatori. La strada era ampia almeno 8 metri e deve aver richiesto almeno 10.000 tonnellate di roccia calcarea per la sua costruzione.
Forse lo scopo della strada era quello di contribuire ad alleviare le tensioni tra Pilato e gli Ebrei ed anche per evidenziare meglio le capacità di governatore di Pilato, secondo Nahshon Szanton, archeologo della Israel Antiquities Authority.

Germania, individuato un campo di battaglia e oggetti in bronzo

Germania, gli oggetti rinvenuti sul campo di battaglia nella valle di Tollense
(Foto: V. Minkus)
In un sito archeologico nella Valle di Tollense, nel nordest della Germania, gli archeologi hanno portato alla luce 31 oggetti metallici, tra i quali uno strumento in bronzo con un manico di betulla, un coltello, uno scalpello, cilindri in bronzo.
La località è stata scoperta nel 1996 da un archeologo dilettante. In questo luogo si verificò, intorno al 1250 a.C., uno scontro armato che impegnò più di duemila combattenti. Gli archeologi hanno, tra l'altro, rinvenuto i resti di oltre 140 individui (giovani maschi adulti) insieme a molti oggetti in bronzo.
Le ossa scoperte mostravano segni di traumi e di lesioni parzialmente guarite, che indicano che questi individui erano abituati al combattimento. I risultati con gli isotopi hanno suggerito che almeno parte dei combattenti non proveniva dalla zona. Durante gli scavi sono emersi 31 oggetti metallici imballati insieme, probabilmente riposti in un contenitore di legno o di stoffa che, però, non è stato trovato.
Tra gli oggetti vi sono un coltello, frammenti di una lamina bronzea, tre oggetti cilindrici ed anche scarti di colate di metallo assieme ad una spirale in bronzo, un teschio ed una costola umani. Gli oggetti sono molto simili a quelli rinvenuti nelle sepolture dell'Età del Bronzo nell'Europa centromeridionale e probabilmente rappresentano l'equipaggiamento personale di un guerriero che morì sul campo di battaglia dell'Europa settentrionale. "Si tratta della prima scoperta di oggetti personali su un campo di battaglia è fornisce utili informazioni sull'equipaggiamento di un guerriero", ha detto il Professor Thomas Terberger, dell'Università di Gottinga.

Fonte:
sci-news

Egitto, scoperto un laboratorio specializzato

Egitto, uno degli oggetti rinvenuti nello scavo della Valle delle Scimmie
(Foto: Ministero delle Antichità dell'Egitto)
Gli archeologi hanno scoperto un'antica area industriale, in Egitto, utilizzata un tempo per produrre oggetti decorativi, mobili e ceramiche per le sepolture reali.
Il sito comprendeva ben 30 officine ed un grande forno per la cottura della ceramica ed è stato scoperto nella Valle delle Scimmie, a Luxor. "Ogni laboratorio aveva uno scopo diverso dall'altro", ha affermato l'archeologo Zahi Hawass, che ha guidato lo scavo. "Alcuni erano deputati alla fabbricazione di ceramiche, altri a produrre manufatti d'oro, altri ancora per fabbricare mobilia".
Il sito si estende per circa 75 metri lungo la valle. Gli archeologi vi hanno rinvenuto anche perline intarsiate, anelli d'argento ed in lamina dorata, oggetti che erano comunemente utilizzati per decorare i sarcofagi. Alcuni manufatti raffiguravano Horus, divinità associata alla morte e alla resurrezione.
"Finora quel che sapevamo della regione di Luxor proveniva dalle sepolture, ora questa nuova scoperta ci permetterà di far luce sugli strumenti e le tecniche utilizzati per produrre i sarcofagi e la mobilia deposta nelle tombe", ha detto Zahi Hawass. Secondo quest'ultimo la scoperta è la prima del genere in Egitto, almeno per quanto riguarda i laboratori che realizzavano ornamenti funerari su scala "industriale". Sono stati rinvenuti anche dei magazzini per conservare cibo ed acqua ed anche una cisterna per attingere quest'ultima. Si ritiene che tutti i manufatti risalgano alla XVIII Dinastia, che governò sulla terra del Nilo dal 1539 a.C. al 1292 a.C.
E' dal dicembre 2017 che la squadra guidata da Hawass sta studiando le aree intorno a Luxor, nel sud dell'Egitto. Gli archeologi hanno esplorato, oltre alla Valle delle Scimmie, anche la vicina Valle dei Re, dove hanno scoperto una sepoltura, "battezzata" KV65, che conteneva gli strumenti utilizzati per la sua costruzione.
Gli archeologi stanno ancora cercando sepolture reali sconosciute, quali quelle delle mogli dei re e dei figli dei faraoni prima che entrasse in uso, durante la XIX Dinastia, l'adiacente Valle delle Regine. Si spera di scoprire anche la sepoltura di Nefertiti e di sua figlia Ankhsenamun, vedova di Tutankhamon, nonché il luogo dell'ultimo riposo di Amenhotep I, di Tuthmose II e di Ramses VIII.

Fonte:
CNN Style

Paestum, nuove interessanti rivelazioni dal georadar

Paestum, capitello dorico (Foto: Parco Archeologico di Paestum)
Dopo il ritrovamento, nel mese di giugno 2019, di alcuni elementi smembrati di un tempietto dorico di V secolo a.C. presso le mura della città antica di Paestum, in Campania, gli archeologi del Parco Archeologico, diretto da Gabriel Zuchtriegel, hanno acquisito nuovi dati che potrebbero portare all'ubicazione esatta dell'edificio e allo scavo stratigrafico di quello che rimane nel sottosuolo di un monumento che è stato definito un "gioiello dell'architettura dorica tardo-arcaica".
Gabriel Zuchtriegel ha dichiarato che una prospezione geofisica, in grado di rilevare tracce sotterranee con metodi non invasivi, ha permesso di individuare un'anomalia in corrispondenza al ritrovamento degli elementi in superficie, in via ipotetica identificabile con il tempio smembrato. La prospezione è stata condotta in collaborazione con il Parco e il Ministero dei Beni e delle Attività Cultura e del Turismo (MiBACT), da un team multi-disciplinare dell'Istituto di metodologie per l'analisi ambientali (Imaa) e dell'Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell'ambiente (Irea) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), sotto la direzione scientifica di Enzo Rizzo e Francesco Soldovieri. Coinvolti i ricercatori Ilaria Catapano, Luigi Capozzoli, Gregory De Martino, Gianluca Gennarelli e Giovanni Ludeno.
Paestum, indagini con il georadar
(Foto: Parco Archeologico di Paestum)
Nelle elaborazioni prodotte dagli scienziati del Cnr si vede una struttura rettangolare di 6 x 12 metri circa. "Dimensioni che andrebbero bene con quanto abbiamo ricostruito in base agli elementi trovati in superficie, i quali permettono di ipotizzare un intercolunnio di 1,68 metri", commenta il direttore del Parco. "Quello che ci ha sorpreso è la struttura interna che si intravede: ci sembra essere un corpo centrale, una cella, circondata da un portico. Ma un tale impianto, chiamato periptero in virtù del fatto che è completamente circondato da colonne, di solito non viene adottato per edifici così piccoli, ma solo per grandi templi come quello di Nettuno a Paestum. Pertanto solo uno scavo scientifico potrà dare risposte certe". [...]
Il Direttore del Parco ha ringraziato per "l'ampio sostegno che abbiamo ricevuto da tutte le parti", dalla Soprintendenza di Salerno e Avellino retta da Francesca Casule e dai proprietari del terreno su cui insiste la struttura, l'Opera Pia "Pompeo Lebano" presieduta da Franco De Feo, al consorzio Ganosis quale appaltatore dei lavori di restauro e manutenzione sulle mura di Paestum che hanno portato alla scoperta del monumento nonché ai funzionari del Parco che hanno collaborato nelle attività di recupero e indagine. Non ha dimenticato di ricordare che il Parco di Paestum ha lanciato una campagna di fundraising per il recupero del tempio recentemente scoperto sulla piattaforma Artbonus.
"Oltre all'eccezionale valore scientifico", conclude Zuchtriegel, "il rinvenimento è per noi anche un'occasione per creare coesione e sinergie intorno al patrimonio archeologico, dimostrando in questa maniera che tutela, ricerca e valorizzazione sono parte di un unico cerchio, un'archeologia 'circolare' appunto, attenta ai temi della conoscenza e della fruizione accessibile ed inclusiva".

Fonte:
ClassiCult

mercoledì 27 novembre 2019

Kurdistan, il misterioso palazzo dei Mitanni

Kurdistan, una delle stanze appena scavate dagli archeologi nel palazzo
appena rinvenuto (Foto: Università di Tubinga e Organizzazione
Archeologica del Kurdistan)
Archeologi tedeschi e curdi hanno scoperto un palazzo dell'Età del Bronzo sulla riva orientale del fiume Tigri, nella regione del Kurdistan iracheno. Il sito di Kemune può essere datato al tempo dell'impero Mitanni, che dominava gran parte della Mesopotamia settentrionale e della Siria tra il XV e il XIV secolo a.C.. L'impero Mitanni è uno dei regni meno studiati del Vicino Oriente antico.
Lo scorso autunno il ritiro delle acque del bacino della diga di Mosul ha portato inaspettatamente alla luce i resti di un'antica città. Gli archeologi, allora, hanno iniziato uno scavo improvvisato delle rovine esposte dalle acque che si erano ritirate. Il progetto è stato diretto dal Dottor Hasan Ahmed Qasim e dalla Dottoressa Ivana Puljiz, come progetto congiunto tra l'Università di Tubinga e l'Organizzazione Archeologica del Kurdistan, in collaborazione con la Direzione delle Antichità del Duhok.
L'archeologo curdo Hasan Ahmed Qasim ritiene che si sia in presenza di una delle scoperte archeologiche più importanti della regione negli ultimi decenni. Il sito scavato presenta un edificio accuratamente progettato con enormi pareti interne in mattoni di fango che raggiungono anche due metri di spessore. Alcune pareti si ergono fino a più di due metri di altezza ed alcune stanze hanno pareti intonacate.
"Abbiamo trovato anche tracce di pitture murali nelle luminose tonalità del rosso e del blu", ha affermato la Dottoressa Puljiz. "Nel secondo millennio a.C. le pitture murali erano, probabilmente, una caratteristica tipica dei palazzi del Vicino Oriente Antico, ma raramente li troviamo conservati. Quindi scoprire pitture murali a Kemune è una straordinaria scoperta archeologica".
Le rovine dell'edificio sono conservate fino ad un'altezza di circa sette metri. Sono chiaramente visibili due fasi di utilizzo di questa sorta di palazzo, il che indica che quest'ultimo è rimasto in uso per lungo tempo. All'interno del palazzo gli archeologi hanno identificato diverse stanze e ne hanno parzialmente scavate otto. In alcune zone sono stati rinvenuti grandi mattoni utilizzati come lastre pavimentali.
Sono state anche scoperte dieci tavolette di argilla con iscrizioni cuneiformi Mitanni che sono attualmente allo studio, per la traduzione, della filologa Dottoressa Betina Faist, dell'Università di Heidelberg. Una delle tavolette indica che Kemune era probabilmente l'antica città di Zakhiku, menzionata in un'antica fonte del Vicino Oriente già durante l'Età del Bronzo medio (1800 a.C. circa).
In antico il palazzo sorgeva su una terrazza sopraelevata sulla valle, a soli 20 metri da quella che allora era la riva orientale del fiume Tigri. In epoca Mitanni una monumentale terrazza in mattoni di fango venne costruita sul fronte occidentale del palazzo per stabilizzare il terreno in pendenza. Affacciato com'era sulla valle del Tigri, il palazzo doveva offrire uno spettacolo impressionante.
"Abbiamo scoperto il sito di Kemune già nel 2010, quando la diga presentava bassi livelli d'acqua; all'epoca abbiamo anche trovato una tavoletta inscritta in cuneiforme Mitanni ed abbiamo potuto vedere resti di pitture murali in rosso e blu", ha affermato Hasan Ahmed Qasim. "Non abbiamo, però, potuto scavare in questo luogo fino ad ora". L'area era stata coperta dalle acque a seguito della costruzione della diga di Mosul a metà degli anni '80 del secolo scorso. Ma la scarsità delle piogge e dell'acqua nel sud dell'Iraq ha fatto sì che il livello dell'acqua scendesse fino all'estate e all'autunno dell'anno scorso, quando gli archeologi hanno potuto iniziare a scavare il sito.
"Le informazioni sui palazzi del periodo Mitanni sono state finora rese disponibili da Tell Brak, in Siria, e dalle città di Nuzi e Alalakh, entrambe situate alla periferia dell'impero", ha spiegato la Dottoressa Puljiz. Anche la capitale dell'impero Mitanni non è stata ancora identificata con certezza.

Estonia, trovata una spilla vichinga

Estonia, il sito dove è stata rinvenuta la spilla
(Foto: Siim L'vi/ERR)
Una spilla di epoca vichinga, perfettamente conservata, è stata rinvenuta nell'Estonia nordorientale la primavera scorsa. Si tratta di uno dei due oggetti di questo tipo trovati in Estonia. Si ritiene appartenesse ad una donna nata sull'isola di Gotland che si trasferì in Estonia in un periodo più tardo della sua vita.
La spilla, che è in bronzo ed a forma di scatola, è stata trovata nel villaggio di Varja, della contea di Ida-Viru. E' perfettamente conservata ed ha solo lievi danni sulla superficie dovuti, probabilmente, ai lavori agricoli effettuati nella zona. La spilla è mancante del perno e la tecnica con la quale è stata forgiata è tipicamente vichinga. Secondo Indrek Jets, ricercatore esperto in stili ornamentali del periodo vichingo, la figurazione di animale presente sulla spilla appartiene al cosiddetto stile Broa, databile alla fine dell'VIII o al IX secolo d.C.
Il villaggio di Varja si trova nella parte nordorientale di una regione posta sulla costa settentrionale dell'Estonia, tra il fiume Purtse e l'attuale città di Kohtla-Jarve che si distingue per l'eccezionale ricchezza dei materiali archeologici che vi sono stati rinvenuti. La rotta orientale era un'importate via di scambio commerciale durante l'era vichinga e correva lungo la costa settentrionale dell'Estonia.
Elementi decorativi come questa spilla erano di diffuso utilizzo a Gotland durante l'epoca vichinga. Centinaia di spille a forma di scatola sono state trovate proprio qui. A differenza degli oggetti appartenenti ai guerrieri, gli oggetti decorativa delle donne di origine scandinava sono stati trovati raramente in Estonia. L'unica spilla a forma di scatola trovata fino ad oggi è quella emersa a Kasari, nell'Estonia occidentale.

Fonte:
Err.ee 

Egitto, ibis sacrificali

Ibis (Foto: kajornyot / Adobe stock)
Nell'antico Egitto gli ibis sacri venivano allevati nel loro habitat per essere sacrificati ritualmente. E' quanto emerge da uno studio pubblicato il 13 novembre scorso da Sally Wasef della Griffith University e dai suoi colleghi.
Le sepolture egizie ospitano spesso le mummie di questi sacri volatili. Tra il 664 a.C ed il 250 d.C. era pratica comune sacrificare gli uccelli, anche se era più raro sacrificare quelli sacri al dio Thoth. Gli uccelli, una volta sacrificati, venivano mummificati ed accatastati in pile che andavano dal pavimento al soffitto.
Nello studio della Dottoressa Wasef e dei suoi colleghi, è stato impiegato il Dna proveniente da 40 esemplari di ibis mummificati provenienti da sei necropoli egizie, risalenti a circa 2500 anni fa e da 26 esemplari viventi provenienti da tutta l'Africa. Sia 14 delle mummie che tutti gli esemplari moderni hanno prodotto sequenze complete del genoma mitocondriale. Questi dati hanno permesso ai ricercatori di confrontare la diversità genetica tra le popolazioni selvatiche e la raccolta antica.
Lo studio ha scoperto che la diversità genetica degli ibis trovati mummificati all'interno delle antiche necropoli è più simile a quella delle attuali specie selvatiche. Questo suggerisce che gli uccelli erano probabilmente allevati nel loro habitat naturale oppure erano allevati limitatamente al periodo in cui erano utilizzati per i sacrifici rituali.

Egitto, la necropoli dei gatti e...dei leoni

Egitto, statuetta raffigurante un gatto
(Foto: Khaled Desouki/AFP - Getty Images)
Due mummie di leoni, risalenti a circa 2600 anni fa, sono state rinvenute a Saqqara, in una sepoltura in cui erano state stipate statue e mummie di gatto. Si tratta della prima volta che viene rinvenuta una mummia completa di leone o di cucciolo di leone.
L'analisi dei reperti è ancora in corso, ma sembra che i felini siano piuttosto piccoli, poco meno di un metro di lunghezza, forse non erano ancora completamente cresciuti quando sono stati mummificati. Altre mummie, appartenenti a grandi felini (la specie non è ancora ben chiara) sono state trovate accanto alle mummie dei due leoni. Probabilmente si tratta di leopardi o ghepardi. Altre venti mummie di felini di più piccole dimensioni sono state trovate nei pressi.
Sono state trovate anche 100 tra statue e statuette, molte delle quali raffigurano gatti. Queste statue sono in pietra, legno o metallo e sono per la maggior parte accuratamente dipinte, ben decorate ed alcune persino intarsiate d'oro.
All'interno della sepoltura è stata trovata una piccola statua in ebano raffigurante la dea Neith, una scoperta che ha aiutato gli archeologi a determinare la datazione della tomba. Neith era la divinità protettrice della città di Sais, capitale d'Egitto durante la XXVI Dinastia (circa 2600 anni fa).
Tra gli oggetti contenuti nella tomba vi era anche uno scarabeo, del diametro di circa 30 centimetri. Manufatti del genere sono piuttosto comuni, in Egitto, venivano utilizzati come sigilli, amuleti o gioielli. Questo in particolare potrebbe essere il più grande manufatto del genere rinvenuto finora nel Paese del Nilo.
Precedenti scavi archeologici nell'area di Saqqara hanno messo in luce resti di mummie e di statue di gatti. Nel 2004 gli archeologi francesi hanno ritrovato i resti parziali di uno scheletro di leone. Sembra che circa 2600 anni fa l'area fosse un luogo sacro e deputato alle cerimonie in onore della dea gatto Bastet e di suo figlio, il dio leone Miysis.

Oman, scoperto un insediamento dell'Età del Ferro con necropoli

Oman, il sito con necropoli ed insediamento dell'Età del Ferro
(Foto: Times of Oman)
Un nuovo sito archeologico è stato scoperto in Oman, a nord di Al Sharqiyah. Nel sito sono stati rinvenuti una necropoli con 45 sepolture ed un insediamento risalente all'inizio dell'Età del Ferro.
Il Ministero dei Beni e delle Culture ha comunicato "i risultati delle indagini condotte dal Ministero dei Beni e delle Culture in collaborazione con l'Università tedesca di Heidelberg che mira a tracciare gli insediamenti dell'Età del Ferro nel governatorato di Al Sharqiyah di un nuovo sito in Al Mudhaibi, il particolare nel monte Al Saleeli, dove il sito contiene un cimitero costituito da 45 tombe che sono molto ben conservate".
Gli archeologi ritengono che l'insediamento risalente all'inizio dell'Età del Ferro sia appartenuto ai minatori che qui lavoravano all'estrazione del rame.

Antichi scacchi giordani

La piccola pietra rettangolare, a destra, trovata nel 1991 in Giordania,
ad Humayma, a sinistra (Foto: Bashar Tabbah, Wikimedia Commons)
Un oggetto in arenaria di piccole dimensioni, trovato nel 1991 in un avamposto commerciale islamico in quella che oggi è la Giordania meridionale, sembra essere il più antico pezzo di scacchi conosciuto.
Si tratta di un pezzo rettangolare risalente a 1300 anni fa con due protuberanze simili a corna sulla parte superiore che lo fa somigliare ad una sorta di torre e ad altri pezzi che sono stati rinvenuti in siti islamici della regione, pezzi di cento anni posteriori.
I giochi da tavolo antenati degli scacci risalgono a circa 4000 anni fa. I resoconti scritti in merito indicano che gli scacchi hanno avuto origine in India almeno 1400 anni fa. Mercanti e diplomatici hanno, poi, diffuso il gioco nei loro viaggi in Occidente. Il pezzo che si pensa appartenga ad un'antica scacchiera è stato rinvenuto a Humayma, situata su quella che, un tempo, era un'importate rotta commerciale. Gli archeologi lo hanno datato ad un periodo compreso tra il 680 e il 749 d.C., quando il sito era amministrato da una famiglia di fede islamica.
La "torre" di Humayma è attualmente conservata nell'Università di Victoria, in California.

Turchia, scoperto un "obelisco" di 8000 anni fa

Turchia, l'obelisco con piramidion appena scoperto (Foto: AA)
Nel nordovest della Turchia, nel distretto di Gokceada non lontano da Canakkale, è stato riportato alla luce un monumento che si ritiene abbia almeno 8000 anni. "Durante i lavori di scavo di quest'anno abbiamo trovato una struttura che crediamo risalga al 6000 a.C.", ha detto Burcin Erdogu, dell'Università Trakya, archeologo e capo del team di scavo.
Già in passato gli scavi effettuati nel tumulo di Urgurlu-Eytinlik, sempre nel distretto di Gokceada, avevano riportato alla luce un complesso di strutture risalenti a 7000 anni fa. Il monumento appena scoperto ha la forma di "T", si tratta di una struttura che ricorda, a grandi linee, un obelisco squadrato, terminante con una sorta di piramidion. Il monumento è composto di due pezzi ed è inserito in un muro lungo sette metri; ricorda le pietre stanti di Gobeklitepe, un sito archeologico situato nella provincia sudorientale di Sanliurfa, in Turchia.

Fonte:
AA

lunedì 25 novembre 2019

Perù, scoperto un tempio megalitico per il culto dell'acqua

Perù, area di scavo dove è emerso il tempio megalitico
(Foto: Museo Tumbas Reales de Sipàn)
Gli archeologi hanno scoperto, in Perù, un tempio megalitico di 3000 anni fa, utilizzato per il culto dell'acqua, un antico rituale di fertilità. Il tempio è stato rinvenuto nel sito archeologico di Huaca El Toro, nell'odierno Oyotàn, nel Perù nordoccidentale. E' il primo tempio megalitico rinvenuto in questa zona.
Gli adepti di questo antico culto dell'acqua costruirono in tempio in un'area dove sgorgava la fonte di un fiume, in accordo con un simbolismo territoriale. "L'acqua è l'elemento più importante per la vita e, in quel periodo, l'accesso all'acqua era piuttosto difficile poiché non si disponeva dell'attuale tecnologia", ha affermato Edgar Bracamonte, archeologo del Museo Tumbas Reales de Sipan, che ha preso parte agli scavi.
Il tempio risale ad una fase antica della storia americana, che ha preceduto la costruzione delle principali opere idrauliche. La sua posizione tra due fiume e la presenza dei "pocitos", piccoli pozzi utilizzati dagli antichi per raccogliere l'acqua durante la stagione delle piogge, nei pressi della struttura templare, mostrano l'importanza dell'acqua per questa gente.
Perù, uno dei "pocitos" che circondano il tempio megalitico
(Foto: Museo Tumbas Reales de Sipàn)
Il tempio è stato edificato utilizzando pietre di diverse dimensioni, portate dalla zona delle montagne che si trova a circa 3 chilometri di distanza. Si pensa che l'edificio sia stato abbandonato intorno al 250 a.C. e poi successivamente riutilizzato come luogo di sepoltura dal popolo Chumy che, intorno al 1300, ha rioccupato il sito. Nel tempio sono state rinvenute finora 21 sepolture, 20 delle quali appartenevano al popolo Chumy ed una ad un maschio adulto sepolto in epoca precedente con un recipiente potorio in ceramica con due beccucci.
Gli scavi hanno permesso di rilevare che il tempio è stato occupato in tre fasi: la prima tra il 1500 e l'800 a.C., quando vennero costruite le fondamenta della struttura; la seconda tra l'800 e il 400 a.C., quando il tempio megalitico venne edificato con tecniche influenzate dalla civiltà preincaica di Chavin; la terza ed ultima fase tra il 400 e il 100 a.C., quando vennero aggiunte delle colonne circolari per sostenere il tetto del tempio.

Norvegia, sepolture vichinghe e diritti di proprietà

Norvegia, ricostruzione della sepoltura maschile appena scoperta
(Norwegian SciTech News)
Nella Norvegia centrale due persone, morte a distanza di circa 100 anni l'una dall'altra, sono state sepolte insieme all'interno di una barca. Nella seconda metà del IX secolo d.C., una donna, che ricopriva un ruolo di una certa importanza nella sua comunità, morì in una fattoria conosciuta ora come Skeiet. Il suo vestito era fissato, nella parte anteriore, con una spilla a forma di crocefisso, realizzata con un raccordo di imbracatura di tipo irlandese. La donna venne, in seguito, deposta in una barca lunga circa 7-8 metri, assieme ad un corredo composto, tra gli altri oggetti, da una collana di perle, due forbici ed una testa di mucca.
Nell'VIII secolo d.C. questa sepoltura è stata inserita in una barca più grande, contenente il corpo di un individuo di sesso maschile, deceduto successivamente e sepolto con le sue armi. Le due sepolture vennero, quindi, nuovamente interrate. L'insolito ritrovamento, a centinaia di anni di distanza, è stato fatto durante lo scavo di una necropoli di una delle fattorie di età vichinga presenti nella Norvegia centrale.
Il legno delle imbarcazioni è quasi completamente marcito, è sopravvissuta solamente parte della chiglia dell'imbarcazione più piccola. I rivetti della barca erano ancora nelle posizioni originali e sono stati proprio i rivetti a consentire agli archeologi di individuare non una, ma due imbarcazioni sepolte nello stesso luogo.
Norvegia, spilla a forma di crocefisso rinvenuta nella sepoltura femminile
(Foto: Raymond Sauvage, NTNU Vitenskapsmuseet)
"Avevo sentito parlare di diverse tombe in barca sepolte in un tumulo funerario, ma mai di una barca sepolta in un'altra barca", ha affermato Raymond Sauvage archeologo del Museo dell'Università NTNU e responsabile del progetto di scavo. Il terreno dove è stata rinvenuta la strana sepoltura consente una buona conservazione delle ossa ed, infatti, sono state trovate parti del cranio della donna dal quale si spera di poter presto estrarre del Dna.
La spilla a forma di crocefisso rinvenuta nella sepoltura femminile fornisce agli archeologi diverse informazioni sia sulla donna che sulla comunità nella quale viveva. "La decorazione e il disegno ci dicono che proveniva dall'Irlanda", ha detto la ricercatrice Aina Heen Pettersen, del Dipartimento di Studi Storici della NTNU. "Era comune tra i vichinghi dividere gli accessori decorativi e riutilizzarli come gioielli. Diversi fissaggi sul retro di questa spilla sono stati conservati e sono stati utilizzati per attaccare cinghie di pelle per l'imbracatura. I nuovi proprietari norreni inserirono uno spillo ad uno dei fissaggi e trasformarono un elemento di imbracatura in spilla". La Dottoressa Pettersen ha spiegato che spille come questa erano piuttosto rare e che si trovano per lo più in tombe ben costruite, anche se non particolarmente ricche. Questo sembra suggerire che i raccordi di imbracatura erano distribuiti tra quanti, tra i vichinghi, partecipavano ai viaggi o contribuivano ad organizzarli.
"I viaggi vichinghi, sia per fini di pura incursione, sia per scambi commerciali, erano centrali nella civiltà norrena. Era importante partecipare a questa attività, non solo per i beni materiali che se ne potevano ricavare, ma anche per aumentare lo status sociale di chi vi partecipava e quello della sua famiglia", ha detto la Dottoressa Pettersen. "Utilizzare i manufatti predati durante le incursioni vichinghe come gioielli segnava una netta differenza tra chi li aveva e il resto della comunità, perché chi li aveva faceva sicuramente parte del gruppo che aveva effettuato quelle incursioni".
L'uomo sepolto nella barca più grande recava con sé uno scudo ed una spada con lama ad un solo taglio. Sono stati proprio questi oggetti a permettere agli archeologi di datare la sepoltura all'VIII secolo d.C., l'era Merovingia dell'Europa settentrionale. Ma qual era il legame tra l'uomo e la donna sepolti insieme? Il Dottor Sauvage pensa che sia ragionevole supporre che i due fossero imparentati. I vichinghi di Vinjeàra avevano sicuramente memoria di chi era sepolto in ogni tumulo funerario, dal momento che queste informazioni erano probabilmente tramandate per diverse generazioni.
"La famiglia era molto importante nella società vichinga, sia per determinare lo status e il potere degli individui che per consolidare i diritti di proprietà. - Ha affermato il Dottor Sauvage. - La prima legislazione sui diritti allodiali nel Medioevo stabiliva che si doveva dimostrare il possesso della terra per cinque generazioni. Se c'erano dubbi sul diritto della proprietà, si doveva essere in grado di rintracciare i tuoi progenitori dai tumuli sepolcrali. In questo contesto è ragionevole supporre che i due siano stati sepolti insieme per contrassegnare la proprietà della famiglia sulla fattoria, in una società che, per la maggior parte, non conservava memorie scritte".

Gran Bretagna, rinvenuta la sepoltura di una giovane donna

Gran Bretagna, la spilla rinvenuta nella tomba appena scoperta
(Foto: KentOnline)
I resti di una giovane donna anglosassone, sepolta con un coltello e con sontuosi gioielli, sono stati rinvenuti in un campus universitario a Canterbury. Li hanno portati alla luce gli archeologi che stanno operando nei terreni della Christ Church University.
La giovane donna, che si stima sia morta all'incirca a venti anni di età, è stata trovata sepolta con una spilla a disco in argento, con una collana di perline d'ambra e di vetro, con una cintura fissata con una fibbia in lega di rame, un braccialetto in lega di rame ed un coltello in ferro. Quest'insieme di oggetti suggerisce che la sepoltura risalga al 580-600 d.C., all'epoca del regno di re Ethelbert e della regina franca Bertha.
Secondo gli archeologi la sepoltura rappresenta una continuazione nella pratica sepolcrale già in uso per il sito. Test scientifici su reperti simili a quelli trovati nella sepoltura appena scoperta, hanno evidenziato che alcune pietre dure provenivano dallo Sri Lanka. Le spille che utilizzavano queste pietre vennero realizzate nel Kent orientale per volere della allora dinastia regnante e venivano donate a coloro che avevano servito degnamente la casa regnante.

Fonte:
KentOnline 

Polonia, scoperta una necropoli sconosciuta

Polonia, una delle sepolture di guerrieri appena scoperte
(Foto: Jan Bulas)
I resti di una necropoli, con residui di corpi cremati, sono stati trovati nella località di Bejce, in Polonia. Già durante la scorsa primavera gli archeologi hanno scoperto numerosi frammenti di urne, unitamente a conchiglie e resti di ossa bruciate. Questi ritrovamenti hanno convinto gli archeologi ad iniziare gli scavi.
"Non sappiamo esattamente quante tombe ci fossero nella necropoli, perché la nostra ricerca è ancora in una fase iniziale", ha detto il responsabile del progetto di ricerca Jan Bulas, dell'Istituto di Archeologia dell'Università Jaielloniana. Attualmente sono state riportate alla luce almeno 20 sepolture in un'area di 200 metri quadrati. Alcune dei queste sepolture sono pesantemente danneggiate. Oggetti fortemente corrosi e apparentemente informi si sono rivelati frammenti di spade o fibule di ferro. Durante la prima stagione di scavi gli archeologi sono riusciti a trovare un totale di quattro spade risalenti a circa 2000 anni fa. In totale si contano quasi 200 manufatti metallici e frammenti vari. Sono stati rinvenuti anche oggetti in osso, pietre e argilla.
Durante gli scavi gli archeologi si sono imbattuti nei resti di misteriose strutture quadrate. Strutture simili sono conosciute da altre necropoli dello stesso periodo nel sud della Polonia, ma la loro funzione non è ancora chiara. A Bejce contenevano frammenti di vasi in ceramica e oggetti metallici. Gli archeologi pensano che possano essere connessi alla delimitazione dello spazio sepolcrale di ciascuna famiglia.
Non è chiaro quali comunità debbano essere associate ai defunti sepolti nella necropoli. Sulla base dei vasi scoperti e di altri oggetti, gli archeologi hanno identificato questo gruppo di defunti come appartenenti alla cultura di Przeworsk. Forse si tratta di membri dell'unione tribale Lugii, un'entità politica composta da popoli di varie origini.

Fonte:
Science in Poland

giovedì 21 novembre 2019

Ecuador, macabri copricapi funebri

Ecuador, le sepolture dei fanciulli con i "caschi" umani
(Foto: Sara Juengst)
Gli archeologi hanno scoperto due neonati sepolti circa 2100 anni fa in Ecuador, con in testa una sorta di "caschi" realizzati con i teschi di altri bambini. I resti dei due bambini sono stati rinvenuti, unitamente a quelli di altre nove sepolture, in un sito chiamato Salango, sulla costa dell'Ecuador centrale. Gli archeologi hanno scavato queste sepolture tra il 2014 e il 2016 ed hanno affermato che si tratta dell'unico caso finora conosciuto in cui teschi di bambini sono stati utilizzati come copricapi per altri bambini. Gli scienziati non sono ancora in grado di stabilire cosa abbia determinato la morte dei bambini.
I macabri copricapi sono stati saldamente posizionati sulla testa dei bambini. I ricercatori pensano che i bambini più grandi dovevano avere ancora della carne su di essi, perché senza questa non avrebbero potuto saldarsi ai teschi dei bambini più piccoli.
Gli archeologi hanno anche notato che la falange di un dito è rimasta incastrata tra il copricapo e la testa di un bambino. Non si sa ancora a chi appartenesse questa falange. Non si è ancora certi del motivo per il quale siano stati realizzati questi macabri copricapi e per quale motivo siano stati posizionati sulla testa dei bambini. Probabilmente rappresentano un tentativo di garantire protezione alle anime degli infanti. Accanto ai bambini sono state rinvenute anche statuette di antenati in pietra, il che sembra avvalorare la tesi della protezione dei fanciulli.
Uno studio precedente ha accertato che le ceneri e la lava di un'eruzione vulcanica aveva coperto l'area non molto tempo prima che i fanciulli fossero sepolti. Questa eruzione pare aver fortemente influenzato la produzione alimentare. Le ossa appena scoperte, ad una prima analisi, suggeriscono che sia i fanciulli che i neonati hanno sofferto, in vita, gravemente di malnutrizione. Proprio il trattamento sepolcrale al quale sono stati sottoposti i bambini può essere una risposta rituale piuttosto complessa alle conseguenze sull'ambiente provocate dall'eruzione.

Egitto, scoperta una catacomba romana a Saqqara

Saqqara, la stele rinvenuta nella catacomba
greco-romana (Foto: english.ahram.org.eg)
Una missione archeologica nippo-egiziana diretta dal Professor Nozomu Kawai dell'Università di Kanazawa ha scoperto una catacomba romana del I o II secolo d.C. durante gli scavi sull'altopiano occidentale di Saqqara, in una zona mai studiata o esplorata precedentemente.
Il Professor Kawai ha spiegato che la catacomba è composta da una struttura a volta in mattoni di fango con una scala che conduce all'ingresso e una camera scavata nel calcare. In una nicchia è stata rinvenuta una stele raffigurante le divinità Sokar, Toth e Anubis, al di sotto delle quali vi è un'iscrizione in lingua greca su due righe. Il Professor Kawai sostiene che la stele sia di reimpiego e che l'iscrizione greca sia stata aggiunta in un secondo tempo. Di fronte alla stele erano state disposte cinque statuette in terracotta raffiguranti Iside-Afrodite unitamente a piccoli vasi in ceramica. La missione archeologica ha rinvenuto anche due statue di leoni in pietra calcarea, che fungevano da guardiani, della lunghezza, ciascuna, di 55 centimetri per 33 centimetri di altezza.
La camera sepolcrale scavata nel calcare è costituita da una sala di circa 15 metri di lunghezza per due di larghezza, con piccoli cubicoli scavati nelle pareti laterali. Nella sala è stata rinvenuta una statua intatta in terracotta di Iside-Afrodite, dell'altezza di circa 58 centimetri. I ricercatori hanno anche rinvenuto resti umani e mummie.
"Questa è la prima scoperta di una catacomba romana a Saqqara", ha affermato il Professor Kawai, aggiungendo che gli oggetti, in particolare le statue di terracotta e la più grande statua di Iside-Afrodite, unitamente a quelle dei leoni ed alla stelle, mostrano una combinazione di stili egiziano e greco-romano.
Accanto a questa catacomba, il team ha rinvenuto una serie di semplici sepolture, probabilmente risalenti al periodo romano e copto, insieme ai resti di una tomba a mastaba in mattoni di fango che è stata datata al primo periodo dinastico o all'Antico Regno.

mercoledì 20 novembre 2019

Terracina, tracce del primo tempio ellenistico del Lazio

Terracina, scavi sul monte Sant'Angelo (Foto: Paul Scheding)
Nell'ambito di un progetto di scavo intrapreso da ricercatori tedeschi e italiani, gli archeologi Paul Scheding e Francesca Diosono hanno scoperto prove che suggeriscono che Terracina abbia ospitato il primo tempio ellenistico della regione.
Nell'antica Terracina, a sud di Roma, un tempo sorgeva un santuario terrazzato su larga scala, comprendente un piccolo tempio. L'edificio offriva un'ampia prospettiva sul porto da un lato e sulla via Appia, il collegamento più importante della città con Roma, dall'altro.
Gli archeologi sono stati in grado di ricostruire l'esatta estensione della struttura terrazzata e del tempio ellenistico, che ha permesso loro di confermare che vennero costruiti nel II secolo a.C.. Questo la rende la struttura di questo tipo più antica del Lazio e, forse, il primo tempio terrazzato della regione. Terracina era in contatto con le più importanti città ellenistiche del Mediterraneo ancor prima della conquista romana del Lazio.
Il tempio e monte Sant'Angelo, la collina su cui era stato eretto, era un tempo riservato alle cerimonie religiose. Gli scavi hanno anche confermato che la facciata del tempio era  orientata non verso il porto, ma verso la via Appia e la città sottostante. Mercanti e viaggiatori, oltre che gli antichi abitanti di Terracina, solevano recarsi in processione al tempio al quale era associato un numero insolitamente elevato di cisterne. Ancora, però, non si è ben compreso a che cosa servisse l'acqua in esse immagazzinata.
Gli scavi hanno messo in luce anche tracce di un insediamento preromano, risalente al VII o forse anche al IX secolo a.C., che ancora non si sa da chi fosse popolato. Fonti letterarie risalenti al VI secolo a.C. attestano nella zona la presenza dei Volsci, ma finora non sono emerse evidenze confortanti la veridicità di queste fonti.

Fonte:
Phys.org

Bulgaria, una chiesa si rivela essere una sinagoga antica

I resti di un edificio, trovati vicino alla fortezza di Trapezitsa, nella città di Veliko Turnovo, in Bulgaria, che fino a qualche tempo fa si ritenevano essere quelli di una chiesa potrebbero essere i resti di una sinagoga. Si pensa che l'edificio risalga al XIII secolo d.C.
Gli scavi effettuati hanno stabilito che l'edificio era lungo 21 metri sull'asse est-ovest e 11,5 metri sull'asse nord-sud. Era fiancheggiato da lastre in pietra ed aveva l'ingresso posto ad ovest. L'edificio era anche dotato di un'abside in pietra e malta, posta nella parte orientale, mentre la parte occidentale era stata costruita in pietra e fango.
L'archeologo Professor Mirko Robov ha affermato che si può parlare più di una sinagoga che di una chiesa perché l'edificio era collocato nell'antico quartiere ebraico di Veliko Turnovo. Nella zona sono state rinvenute anche molte monete del XIII e XIV secolo, comprese monete bizantine della dinastia Paleologa.
La comunità ebraica godette, durante il regno dello zar Assen II, nel XIII secolo, di una certa protezione. Nel XIV secolo, però, durante il regno dello zar Ivan Alexander, che aveva sposato una donna ebrea che si era convertita al cristianesimo, gli ebrei tornarono ad essere perseguitati. Alcune tradizioni affermano che gli ebrei vennero espulsi da Veliko Turnovo a partire dal 1360. Una delle testimonianze relative alla presenza di comunità ebraiche in Bulgaria è costituita dai resti di una sinagoga trovata a Plovdiv che si pensa risalga al III secolo d.C.

Una mummia di gatto che erano...tre!

La mummia di gatto esaminata dai ricercatori
(Foto: Museo di Belle Arti di Rennes)
La scansione di un'antica mummia di gatto ha rivelato che il felino, mummificato, non era solo. La mummia, infatti, conteneva i resti parziali di tre gatti. Le mummie di gatto sono rare. Recentemente gli archeologi ne hanno trovate decine in alcune sepolture.
Nell'antico Egitto gli animali domestici erano comunemente sepolti con i loro proprietari. Il desiderio di preservare gli animali come offerte alle divinità ha portato, nel tempo, ad una vera e propria industria ed alla mummificazione di oltre 70 milioni di animali.
Un gruppo di ricercatori ha recentemente analizzato la mummia di un gatto risalente a 2500 anni fa, facente parte della collezione del Museo di Belle Arti di Rennes, in Francia. Gli scienziati hanno eseguito una tomografia computerizzata, un tipo di raggi X, per avere più chiaro ciò che c'era all'interno della mummia senza necessariamente svolgerla. In seguito hanno creato delle ricostruzioni in 3D digitali e trasparenti della mummia. Proprio queste scansioni hanno rivelato che l'antica mummia del felino era piena di sorprese.
Invece della testa del gatto, l'involucro analizzato conteneva una palla di tessuto. Mancava sia il cranio che le vertebre e le costole. All'interno, invece, erano presenti cinque ossa delle zampe posteriori di tre felini differenti. Le ossa sono apparse in parte decomposte e bucate dagli insetti sarcofagi, ha affermato Théophane Nicolas, un ricercatore che faceva parte del progetto di ricerca dell'Istituto Nazionale di Ricerca Archeologica Preventiva (Inrap) di Francia.
Le mummie dei felini più grandi erano offerte alle divinità ed erano anche molto costose. Altre mummie sono state confezionate in modo da apparire più grandi degli animali stessi e spesso molte di loro non contenevano tutti i resti degli animali mummificati ma, piuttosto, materiale organico quale la ghiaia. Non è ancora chiaro come mai la mummia di gatto analizzata custodisse i resti parziali di tre gatti diversi. I ricercatori ritengono che fosse una sorta di mummia falsa, confezionata da sacerdoti senza scrupoli.

Iran, trovati i resti di una misteriosa muraglia

Immagine satellitare in cui le linee rosse indicano una sezione superstite
del muro di Gawri (immagine: Maxar Technologies 2019)
Gli archeologi hanno identificato i resti di un muro di pietra in Iran della lunghezza del Vallo di Adriano, costruito in Inghilterra dai Romani. Il muro si estende per 115 chilometri ed è stato rinvenuto nella zona di Sar Pol-e Zahab, nell'Iran occidentale.
La lunghezza del muro ha certamente richiesto risorse significative in termini di lavoro e materiali. La struttura corre da nord a sud, dai monti Barnu a nord verso un'area vicina al villaggio di Zhaw Marg a sud.
La ceramica trovata lungo il muro suggerisce che la sua costruzione risalga ad un periodo compreso tra il IV secolo a.C. ed il VI secolo d.C.. Sono visibili, lungo il muro, resti di strutture ora distrutte, forse associate a torrette o altri edifici. Gli archeologi non sono sicuri di chi abbia costruito la struttura e per quale scopo sia stata edificata. Non si sa se abbia avuto un significato difensivo o simbolico. Probabilmente segnava il confine di un antico impero, forse quello dei Parti, che fiorì tra il 247 a.C. e il 224 d.C.; oppure quello dei Sassanidi (224-651 d.C.). Entrambi questi antichi imperi dell'Iran occidentali costruirono castelli, città e sistemi di irrigazione ed avevano, quindi, le risorse sufficienti per affrontare la costruzione del muro.
Il muro di Gawri (come è stato chiamato) non è l'unico muro che corre nel territorio iraniano. Gli archeologi hanno trovato strutture simili nel nord e nel nordest dell'Iran. Queste strutture sembrano avere un carattere più prettamente difensivo.

Gerusalemme, scoperta una ricca chiesa bizantina

Gerusalemme, la scritta rinvenuta nello scavo della chiesa bizantina
(Foto: dw - made for minds)
Gli archeologi israeliani hanno disotterrato una chiesa bizantina risalente a 1500 anni fa. L'edificio è stato scoperto in un quartiere ad ovest Gerusalemme.
Durante lo scavo i ricercatori hanno scoperto diversi ed elaborati mosaici, raffiguranti uccelli, frutta e piante, nonché affreschi colorati che decorano quanto rimane delle pareti della chiesa. Quest'ultima è dotata di una cancellata in marmo e di un fonte battesimale. Al momento si conoscono alcune centinaia di chiese bizantine in Terra Santa, questa appena scoperta supera le altre per il suo stato di conservazione, hanno dichiarato i ricercatori.
Un'iscrizione, rinvenuta nel cortile dell'edificio religioso, dice che il sito è dedicato ad un "glorioso martire" di cui, però, non si conosce ancora il nome. Si pensa che una cripta sotterranea, posta al di sotto dell'area principale della chiesa, contenesse i resti di questo misterioso martire. Vista l'opulenza e la ricchezza di arredi quest'ultimo doveva essere una figura importante della chiesa bizantina.
Un'altra iscrizione rinvenuta in situ rivela che l'imperatore bizantino Tiberio II Costantino contribuì a finanziare l'ampliamento della chiesa. I ricercatori ritengono che il sito avesse una destinazione popolare, per i pellegrini, almeno fin quando venne abbandonato durante il califfato abbaside, nel IX secolo d.C.
Dopo il crollo dell'impero bizantino, gli ingressi della chiesa vennero sigillati con grandi pietre. Sono state rinvenute anche lampade di vetro ed un frammento della volta della cripta dove si pensa sia stato sepolto l'ignoto martire.

sabato 16 novembre 2019

Giappone, la sciamana

Durante i lavori di scavo presso gli antichi resti di Shimizukaze, nella prefettura di Nara, in Giappone, è stato rinvenuta una terracotta con un graffito raffigurante, probabilmente, una sciamana. Precedentemente erano stati scoperti, in Giappone, 19 vasi in terracotta con raffigurazioni di sciamani con le braccia allargate. Questa è la prima volta che è stata rinvenuta la raffigurazione di una sciamana, riconoscibile dai seni chiaramente raffigurati come cerchi.
Il frammento di terracotta è di 12 x 16,3 centimetri e risale alla metà del periodo Yayoi (100 a.C.). Si riconoscono gli occhi della figura, il naso, la bocca e le dita. La donna sembra essere vestita con un costume di piume di uccello. Si pensa che lo sciamano in costume da uccello abbia giocato un ruolo per evocare gli spiriti del grano, che si credeva fossero trasportati dagli uccelli.

Fonte:
The Mainichi

Pompei, riemergono le ombre dei gladiatori...

Pompei, Massimo Osanna e l'affresco appena scoperto dei gladiatori
(Foto: touringclub.it)
Gli archeologi che operano a Pompei hanno rinvenuto un affresco ben conservato raffigurante due gladiatori che combattono tra loro. Uno brandisce una spada corta, l'altro che si arrende mentre il sangue esce fuori dalle ferite che gli sono state inflitte. Il gladiatore sconfitto si rivolge all'imperatore per chiedere pietà.
Pompei antica è ancora in fase di scavo, grazie al progetto "Grande Pompei", finanziato dall'Unione Europea e dall'Italia. Il progetto ha permesso il ritrovamento di domus decorate con affreschi e mosaici nonché scheletri umani intrappolati sotto le macerie.
L'affresco dei gladiatori è stato rinvenuto in quello che era un tempo un seminterrato, probabilmente utilizzato come negozio, sul quale sorgeva una taberna oppure un bordello. L'affresco, che si dipana per una larghezza di 1,5 metri, suggerisce che il luogo doveva essere frequentato da gladiatori, anche perché la Regio V, nella quale è stato rinvenuto, si trovava poco lontano dalla caserma dei gladiatori, in un luogo del parco archeologico di Pompei non ancora aperto al pubblico. L'affresco è riaffiorato durante le operazioni di consolidamento dei fronti di scavo lungo via Vesuvio.
I gladiatori sono stati riconosciuti come un Mirmillone, a sinistra, ed un Trace, con lo scudo a terra. Al di sopra della pittura si intravede l'impronta della scala lignea che doveva collegare l'ambiente inferiore con quello superiore.
Il fondo sul quale sono stati raffigurati i gladiatori è bianco, delimitato su tre lati da una fascia rossa. "E' molto probabile che questo luogo fosse frequentato da gladiatori. - Ha dichiarato il Direttore Generale Massimo Osanna. - Siamo nella Regio V, non lontani dalla caserma dei gladiatori da dove, tra l'altro, provengono il numero più alto di iscrizioni graffite riferite a questo mondo. In questo affresco, di particolare interesse è la rappresentazione estremamente realistica delle ferite, come quella al polso e al petto del gladiatore soccombente, che lascia fuoriuscire il sangue e bagna i gambali. Non sappiamo quale fosse l'esito finale di questo combattimento. Si poteva morire o avere la grazia. L'ambiente di rinvenimento è solo parzialmente portato in luce. Su un lato emerge un'altra piccola porzione di affresco che rivela la presenza di un'altra figura."

Antichi rituali di sacrifici umani: l'incaprettamento femminile

Francia, le sepolture neolitiche rinvenute in grotta (Foto: stilearte.it) Uno studio, pubblicato da Science advances , ha portato alla luce ...