Gli scavi alla Villa di Augusto a Somma Vesuviana |
Durante la trascorsa estate gli archeologi dell'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, guidati dal professor Antonio De Simone, gli archeologi di Tokio, guidati dal professor Masanori Aoyagi, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica di Napoli e Pompei e con una squadra di esperti francesi e inglesi, hanno scavato a Somma Vesuviana, in una località chiamata La Starza della Regina.
Tacito afferma che Augusto morì "apud Nolam". Il luogo in cui morì venne identificato in una casa scavata negli anni Trenta del Novecento a Somma Vesuviana, da Matteo Della Corte sotto la supervisione di Amedeo Maiuri. L'edificio si era conservato sino all'altezza di 9 metri. Il primo impianto della domus sarebbe di I secolo a.C.. L'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. non provocò molti danni a questa villa, che poté essere abitata fino all'eruzione di Pollena del 472 d.C., la quale arrecò gravi danni alle strutture e interessò l'area a nord del Vesuvio.
La villa, dunque, è stata abitata per circa cinque secoli e si è conservata intatta nel suo arredo scultoreo poiché, è questa l'opinione degli studiosi, dopo la morte dell'imperatore divenne un luogo sacro, tanto sacro che dette il nome alla città attuale: Somma Vesuviana deriva da Villa Summa. Negli ultimi anni di vita, la villa divenne una residenza rustica, con l'installazione di un forno nell'area un tempo occupata da un ampio salone con decorazioni parietali piuttosto articolate e pavimentazione in opus sectile, e di alcune vasche.
Degna di attenzione, nel complesso dello scavo, è la Sala delle Nereidi, che presenta una parete semicircolare dove compaiono immagini affrescate legate al mito dei Tritoni e delle Nereidi. Gli affreschi sono stati datati al III secolo d.C.. Non si sa ancora quale fosse la destinazione d'uso di questa sala dove, peraltro, si trova un corridoio di collegamento che probabilmente porta ad un impianto termale.
Un altro edificio importante è il cosiddetto santuario con timpano sulla porta d'ingresso e due nicchie laterali. Nel centro il timpano reca una corona di alloro, simbolo della sacralità del luogo. E' stata anche ritrovata una grossa cella vinaria. I ventuno dolia che vi erano conservati sono stati utilizzati prima dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e sono stati utilizzati anche dopo, per circa tre secoli. L'impianto di stoccaggio del vino, con dolia sigillati da frammenti di anfore, risalirebbe al III-IV secolo d.C., periodo in cui la struttura era diventata un'azienda capace di dare sostentamento a quanti vi lavoravano.
Gli scavi hanno riportato in luce anche un pavimento musivo di stupefacente fattura, attrezzi agricoli e una cesta di vimini, una statua di peplophora con diadema, una di Dioniso con cucciolo di pantera sul braccio, due pozzi-cisterne al cui interno sono stati recuperati anelli di bronzo, pinzette per la cura delle sopracciglia, frammenti di un pilastro decorato a rilievo, parti di una statua di marmo e quanto resta del piede destro di un rilievo marmoreo di bambino. La Peplophora fu ritrovata nel 2003, all'interno di una nicchia. La statua era stata sepolta in momenti differenti. I materiali piroclastici derivati dall'eruzione del 472 d.C. la coprirono fino al bacino. Il successivo crollo delle strutture e un'altra eruzione, nel 512 d.C., segnarono la definitiva sepoltura del reperto. La statua è realizzata in marmo di Paros in un unico blocco e la posizione delle braccia fa pensare ad un attributo purtroppo andato perduto, ancorato al corpo all'altezza del bacino. Fori all'altezza della testa per l'inserimento, probabilmente, di una corona, fanno pensare ad una divinità o ad un'offerente collegata alla statua di Dioniso.
Anche la statua di Dioniso fu recuperata nel 2003. I frammenti, pazientemente ricomposti, giacevano sul pavimento ed erano in asse con una nicchia, da dove, con tutta probabilità, la statua era caduta in seguito alle scosse telluriche che funestarono la zona nel 472 d.C., prima dell'eruzione del Vesuvio. Anche questa statua è in marmo di Paros e trova riscontri iconografici in un kyathos attico a figure rosse degli inizi del V secolo a.C., conservato a Berlino ed attribuito al Pittore di Oinophile.
Dai lontani anni '30, gli scavi sono ripresi nel 2002, grazie all'intervento dell'Università di Tokio, e sono stati subito fruttiferi, riportando alla luce un portico a due livelli con colonne di marmo e pietra lavica e travatura in travertino. Dal 2005 l'area di scavo è stata ampliata a nordest, settore che presenta delle gradinate e due cisterne/silos. In una di queste cisterne, nel 2008, è stato trovato il torso di un satiro in marmo e, negli scavi recenti, resti di mammiferi di piccola e media taglia e di uccelli. Vi sono anche ossa di cucciolo di cane e di piccoli roditori.
Nelle stanze che dovevano essere destinate a cucina, sono state recuperate 4 pentole e altrettanti coperchi e un piatto africano con decorazione cristiana (il monogramma "chi-ro" con tre colombe intorno) e due croci per il servizio da tavola. Altre tre pentole sono emerse negli ultimi scavi, sotto la cenere. Nell'area circostante la villa vi era un bosco misto con quercia, carpino, olmo, orniello e castagno, il quale ultimo forniva eccellente legna da ardere e per le strutture architettoniche. Alcuni frammenti sono stati datati al I secolo d.C.. Tra gli ultimi reperti rinvenuti vi è una moneta di bronzo, grande poco più di due centesimi di euro e non ben conservata. Si pensa che possa essere databile agli inizi del II secolo d.C.
Nell'area sono state anche ritrovate una ventina di fosse circolari vuote, ciascuna di un metro di diametro ed altrettanto profonde. Non si capisce ancora a cosa potessero servire e cosa potessero contenere. Sicuramente fanno parte del momento di passaggio dell'edificio da villa imperiale a residenza rustica e fattoria. In tutto sono stati indagati, finora, 2000 metri quadrati e, secondo gli archeologi, si tratta solo di una parte dell'intero complesso residenziale. L'impianto era articolato anche su terrazze.
Gli studiosi hanno stimato che, probabilmente, saranno necessari dieci anni per delimitare e descrivere tutta l'area sulla quale si estendeva la villa.
Tacito afferma che Augusto morì "apud Nolam". Il luogo in cui morì venne identificato in una casa scavata negli anni Trenta del Novecento a Somma Vesuviana, da Matteo Della Corte sotto la supervisione di Amedeo Maiuri. L'edificio si era conservato sino all'altezza di 9 metri. Il primo impianto della domus sarebbe di I secolo a.C.. L'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. non provocò molti danni a questa villa, che poté essere abitata fino all'eruzione di Pollena del 472 d.C., la quale arrecò gravi danni alle strutture e interessò l'area a nord del Vesuvio.
La statua di Dioniso ritrova nella villa |
Degna di attenzione, nel complesso dello scavo, è la Sala delle Nereidi, che presenta una parete semicircolare dove compaiono immagini affrescate legate al mito dei Tritoni e delle Nereidi. Gli affreschi sono stati datati al III secolo d.C.. Non si sa ancora quale fosse la destinazione d'uso di questa sala dove, peraltro, si trova un corridoio di collegamento che probabilmente porta ad un impianto termale.
Un altro edificio importante è il cosiddetto santuario con timpano sulla porta d'ingresso e due nicchie laterali. Nel centro il timpano reca una corona di alloro, simbolo della sacralità del luogo. E' stata anche ritrovata una grossa cella vinaria. I ventuno dolia che vi erano conservati sono stati utilizzati prima dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e sono stati utilizzati anche dopo, per circa tre secoli. L'impianto di stoccaggio del vino, con dolia sigillati da frammenti di anfore, risalirebbe al III-IV secolo d.C., periodo in cui la struttura era diventata un'azienda capace di dare sostentamento a quanti vi lavoravano.
Gli scavi hanno riportato in luce anche un pavimento musivo di stupefacente fattura, attrezzi agricoli e una cesta di vimini, una statua di peplophora con diadema, una di Dioniso con cucciolo di pantera sul braccio, due pozzi-cisterne al cui interno sono stati recuperati anelli di bronzo, pinzette per la cura delle sopracciglia, frammenti di un pilastro decorato a rilievo, parti di una statua di marmo e quanto resta del piede destro di un rilievo marmoreo di bambino. La Peplophora fu ritrovata nel 2003, all'interno di una nicchia. La statua era stata sepolta in momenti differenti. I materiali piroclastici derivati dall'eruzione del 472 d.C. la coprirono fino al bacino. Il successivo crollo delle strutture e un'altra eruzione, nel 512 d.C., segnarono la definitiva sepoltura del reperto. La statua è realizzata in marmo di Paros in un unico blocco e la posizione delle braccia fa pensare ad un attributo purtroppo andato perduto, ancorato al corpo all'altezza del bacino. Fori all'altezza della testa per l'inserimento, probabilmente, di una corona, fanno pensare ad una divinità o ad un'offerente collegata alla statua di Dioniso.
Anche la statua di Dioniso fu recuperata nel 2003. I frammenti, pazientemente ricomposti, giacevano sul pavimento ed erano in asse con una nicchia, da dove, con tutta probabilità, la statua era caduta in seguito alle scosse telluriche che funestarono la zona nel 472 d.C., prima dell'eruzione del Vesuvio. Anche questa statua è in marmo di Paros e trova riscontri iconografici in un kyathos attico a figure rosse degli inizi del V secolo a.C., conservato a Berlino ed attribuito al Pittore di Oinophile.
La Peplophora |
Nelle stanze che dovevano essere destinate a cucina, sono state recuperate 4 pentole e altrettanti coperchi e un piatto africano con decorazione cristiana (il monogramma "chi-ro" con tre colombe intorno) e due croci per il servizio da tavola. Altre tre pentole sono emerse negli ultimi scavi, sotto la cenere. Nell'area circostante la villa vi era un bosco misto con quercia, carpino, olmo, orniello e castagno, il quale ultimo forniva eccellente legna da ardere e per le strutture architettoniche. Alcuni frammenti sono stati datati al I secolo d.C.. Tra gli ultimi reperti rinvenuti vi è una moneta di bronzo, grande poco più di due centesimi di euro e non ben conservata. Si pensa che possa essere databile agli inizi del II secolo d.C.
Nell'area sono state anche ritrovate una ventina di fosse circolari vuote, ciascuna di un metro di diametro ed altrettanto profonde. Non si capisce ancora a cosa potessero servire e cosa potessero contenere. Sicuramente fanno parte del momento di passaggio dell'edificio da villa imperiale a residenza rustica e fattoria. In tutto sono stati indagati, finora, 2000 metri quadrati e, secondo gli archeologi, si tratta solo di una parte dell'intero complesso residenziale. L'impianto era articolato anche su terrazze.
Gli studiosi hanno stimato che, probabilmente, saranno necessari dieci anni per delimitare e descrivere tutta l'area sulla quale si estendeva la villa.
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