sabato 25 novembre 2023

Pompei, un askos servile, i Romani e il vino

Pompei, l'askos servile trovato nel Parco
Archeologico (Foto: stilearte.it)
Un vaso antico (un askos bronzeo a ventre allungato) originariamente utilizzato per mescere vino, è stato rinvenuto nel corso degli scavi presso la Villa suburbana di Civita Giuliana, sul pavimento di una stanza del primo piano del quartiere servile. Lo annuncia il Parco Archeologico di Pompei. Non siamo, probabilmente, in un'area per schiavi, ma in un punto in cui abitavano i capi della servitù che lavorava nella villa.
Il contenitore rinvenuto ricorda vagamente la forma di un'anatra ed è dotato di un manico leggiadro ed ergonomico che consentiva di dosare perfettamente la mescita di vino.
La civiltà romana è stata notoriamente ricca di tradizioni e stili di vita sofisticati e il consumo del vino occupava un ruolo centrale nella società. La bevanda era considerata parte integrante del tessuto sociale, utilizzata in vari contesti e celebrata durante eventi importanti.
I Romani erano maestri nella coltivazione della vite e nella produzione del vino. Le regioni come la Campania, la Sicilia e la Gallia erano famose per la qualità delle loro uve.
I Romani producevano e consumavano una vasta gamma di vini. Il posca era una bevanda popolare tra i soldati romani, una miscela di vino diluito con acqua e una punta di aceto. Possiamo immaginare che fosse qualcosa di simile a un lambrusco secco all'ennesima potenza. Una punta asprigna, con acqua fresca, rendeva la miscela molto dissetante.
Il mulsum era, invece, un vino aromatizzato con miele, spesso servito durante i banchetti e che risultava gradevole perché possiamo immaginare che molti vini romani dovevano essere molto tannici e corposi, con un fondo denso e amarognolo.
Il conditum era un vino speziato arricchito con miele, pepe e altre spezie. Qualcosa che poteva avere un sapore che si colloca a metà tra la sangria e il vin brulé.
Il vino era centrale durante i banchetti romani, noti come convivia. Questi eventi erano caratterizzati da abbondanza di cibo e vino, con gli ospiti sdraiati sui triclini a godere della compagnia e dei piaceri della tavola. Il padrone di casa svolgeva spesso il ruolo di simposiarca, responsabile di mescere e diluire il vino.
I Romani utilizzavano una varietà di utensili per bere il vino. Le coppe, come le celebri calix o scyphus, erano spesso elaborate e variamente decorate. L'aggiunta di acqua al vino era una pratica comune, non solo per ridurre la gradazione alcolica, ma anche per permettere una lunga e piacevole consumazione.
Sino a qualche anno fa, in Italia, permaneva l'espressione arcaica "mescere il vino" inteso come l'atto di versare il vino nel bicchiere. Si parlava anche di "mescita di vino" per indicare un locale in cui veniva servita questa bevanda con alcuni stuzzichini quali pezzi di formaggio molto forti. Mescita deriva dal verbo "mescere" che, a sua volta, trae origine dal latino "miscere", che non significa tanto versare quanto "mescolare". Il significato di "mescere il vino" è legato all'antica pratica romana di mescolare il vino con acqua prima di berlo. Questa usanza aveva lo scopo di diluire il vino, rendendolo meno denso e più adatto al consumo durante i pasti e i banchetti.
Il vino miscelato era considerato più adatto all'accompagnamento dei pasti. La pratica rispondeva alla concezione romana di un pasto equilibrato e armonico, in cui il vino non doveva essere troppo pesante. I vini troppo tannici possono peraltro, in alcuni soggetti, rendere difficoltosa la digestione.
Mescere il vino era considerato un gesto raffinato e di buon gusto. Mostrava l'attenzione del padrone di casa per il comfort dei suoi ospiti ed era un segno di ospitalità.

Fonte:
stilearte.it


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