Alcuni dei milioni di cocci che compongono Monte Testaccio (Foto: Chris Warde-Jones) |
La più grande e antica discarica del mondo antico sta rivelando interessanti dettagli sulla portata e la perfetta organizzazione del commercio nel Mediterraneo di duemila anni fa.
Monte Testaccio è una collina artificiale situata al centro di Roma, formata da un numero stimato di 25 milioni di cocci di anfore rotte, alcune delle quali provenienti dalla Spagna e dal Nord Africa. Le anfore, contenenti olio d'oliva e vino, sono state frantumate e scaricate dopo essere state svuotate del loro contenuto. Le anfore non potevano essere riutilizzate, dal momento che vino ed olio avevano impregnato l'argilla dei vasi.
Ciascuna anfora è stata contrassegnata con alcune brevi iscrizioni sul suo contenuto, sul peso, sul luogo di produzione di quanto conteneva, su quando è stata spedita a Roma e sull'importo che era stato versato al dazio. Gli archeologi sono occupati, in questi giorni, nello scavo di migliaia di frantumi di vasi per comprendere meglio il commercio di prodotti che, attraverso il Mediterraneo, giungevano a Roma.
Si stanno calcolando le quantità di olio d'oliva e di vino che Roma importava per il fabbisogno della popolazione civile e quanto peso aveva l'approvvigionamento di cibo nello spingere le legioni di Roma sempre più alla conquista di nuovi territori. Alcune delle anfore i cui cocci costituiscono il Testaccio, contenevano garum, la salsa di pesce tanto cara ai Romani.
Le iscrizioni sulle anfore sono una sorta di "codice a barra" della Roma antica. I frammenti sono noti, in latino, come "testae", da cui deriva Testaccio. La stragrande maggioranza delle anfore conteneva olio d'oliva proveniente dalla provincia romana della Baetica, corrispondente all'attuale Andalusia.
Gran parte delle ricerche sul Monte Testaccio sono state condotte da archeologi spagnoli. Le anfore sono enormi: vuote pesavano fino a 30 chilogrammi, mentre quando venivano riempite potevano raggiungere i 100 chilogrammi. Anche lo smaltimento di queste anfore non più utilizzabili è stato organizzato in maniera esemplare dai Romani. Funzionari chiamati "curatores" supervisionavano la rottura delle anfore e il loro trasporto fino alla cima della collina in carretti trainati da muli. I frammenti non sono stati scaricati senza criterio, ma impilati con cura in modo da ridurre al massimo il pericolo di frane. Sulla parte superiore delle anfore è stata sparsa della calce per prevenire il cattivo odore dell'olio rancido.
Monte Testaccio è una collina artificiale situata al centro di Roma, formata da un numero stimato di 25 milioni di cocci di anfore rotte, alcune delle quali provenienti dalla Spagna e dal Nord Africa. Le anfore, contenenti olio d'oliva e vino, sono state frantumate e scaricate dopo essere state svuotate del loro contenuto. Le anfore non potevano essere riutilizzate, dal momento che vino ed olio avevano impregnato l'argilla dei vasi.
Ciascuna anfora è stata contrassegnata con alcune brevi iscrizioni sul suo contenuto, sul peso, sul luogo di produzione di quanto conteneva, su quando è stata spedita a Roma e sull'importo che era stato versato al dazio. Gli archeologi sono occupati, in questi giorni, nello scavo di migliaia di frantumi di vasi per comprendere meglio il commercio di prodotti che, attraverso il Mediterraneo, giungevano a Roma.
Particolare di alcuni dei cocci (Foto: Chris Warde-Jones) |
Le iscrizioni sulle anfore sono una sorta di "codice a barra" della Roma antica. I frammenti sono noti, in latino, come "testae", da cui deriva Testaccio. La stragrande maggioranza delle anfore conteneva olio d'oliva proveniente dalla provincia romana della Baetica, corrispondente all'attuale Andalusia.
Gran parte delle ricerche sul Monte Testaccio sono state condotte da archeologi spagnoli. Le anfore sono enormi: vuote pesavano fino a 30 chilogrammi, mentre quando venivano riempite potevano raggiungere i 100 chilogrammi. Anche lo smaltimento di queste anfore non più utilizzabili è stato organizzato in maniera esemplare dai Romani. Funzionari chiamati "curatores" supervisionavano la rottura delle anfore e il loro trasporto fino alla cima della collina in carretti trainati da muli. I frammenti non sono stati scaricati senza criterio, ma impilati con cura in modo da ridurre al massimo il pericolo di frane. Sulla parte superiore delle anfore è stata sparsa della calce per prevenire il cattivo odore dell'olio rancido.
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