(Foto: roma.repubblica.it) |
(Fonte: Repubblica) - Il tesoro è nascosto sottoterra, come molte delle sorprese che il parco archeologico dell'Appia antica ancora può riservare. Ma il patrimonio scoperto sotto il manto erboso del complesso di Santa Maria Nova, accanto alla villa dei Quintili, non è fatto di forzieri, monete, gioielli. Nemmeno di sculture antiche. Eppure di qualcosa di altrettanto prezioso. E, in quanto opera di ingegneria, di tipicamente romano: un criptoportico di età adrianea, trasformato sotto Commodo in cisterna per rifornire d'acqua le terme dei suoi pretoriani e costruito con semplici mattoni che recano però impressi i segni di una straordinaria, umile storia: i marchi della fabbrica che li costruì e il nome dei consoli del 123 d.C. che regnavano in quel tempo, ma anche la sigla, anonima e commovente, delle operaie che li impastarono, perfino l'impronta degli animali che camminarono sopra i conci quando erano freschi, stesi ad asciugare.
A studiare e a ragionare sulle storie nascoste in queste decine di forme, di punti e di segni, sono gli archeologi della Soprintendenza guidati da Rita Paris, responsabile per lo Stato dell'Appia antica. Ma a giugno arriveranno, dalla Scuola di specializzazione in restauro, gli studenti del cantiere-scuola che, diretto da Maria Grazia Filetici e da Anna Maria Pandolfi, farà scendere per il secondo anno sul campo erboso di Santa Maria Nova giovani architetti, archeologi e storici dell'arte. Che dovranno subito prendersi cura del pavimento di mosaici, a tessere nere con croci bianche, che rivestiva la parte superiore della cisterna interrata, quando si costruì il camminamento che dagli alloggi delle guardie imperiali di Commodo portava alle loro terme. E che secoli di lavori agricoli hanno frantumato e ricoperto. "Sotto il manto erboso, ci potrebbero però ancora essere tratti integri di tappeto musivo", spiega l'archeologo Riccardo Frontoni scoprendo il frammento venuto alla luce e ora da restaurare.
Ma scendiamo i pochi gradini che portano al criptoportico-cisterna, l'aula di circa 45 metri per 6, ma ancora da misurare, liberato dalle tonnellate di detriti e carcasse di animali lasciati dal pastore che, fino al 2008, occupava illegalmente questo angolo di paradiso a pochi metri dal tracciato dell'Appia antica. Le 12 "finestre" originarie, strette e scavate apposta a 30 gradi, sono state riaperte e, come d'incanto, con l'ingresso del sole, l'umidità e l'acqua sono scomparse dai muri e dal pavimento. Usato nel medioevo e nel rinascimento dai frati olivetani che avevano costruito a pochi metri Santa Maria Nova, forse su una cisterna romana mai entrata in funzione, il deposito d'acqua per le terme con i mosaici dei gladiatori cari a Commodo, era entrato in funzione alla fine del II secolo d.C. al posto del criptoportico costruito circa trent'anni prima come deposito di derrate alimentari, ma anche della neve per fare i sorbetti. Una delle ipotesi è che questa "cantina" servisse uno degli "alberghi" o stazioni di posta costruiti lungo la Regina Viarum (in quel tratto sorgeva anche l'ustrinum, il luogo delle cremazioni). Certo è che poi, rinforzato da un muro laterale, il criptoportico fu trasformato in cisterna: rifornita prima dall'Acquedotto dei Quintili e, poi, distrutta la rete idrica dell'impero, dall'acqua piovana e dalle fonti sorgive lì indirizzate ancora nell'Ottocento per irrigare campi ed orti.
Chiusi i rubinetti e tolta adesso la massa dei detriti, la cisterna è tornata a mostrare le forme semplici e perfette dell'ingegneria idraulica romana. I furti avvenuti nel medioevo l'hanno privata dei conci più grandi, i bipedali e i bessali. Ed ecco ora apparire la trama più interna e segreta dei mattoni con il marchio dei consoli Petino e Aproniano (123 d.C.). I bolli di fabbrica. E quei puntini ravvicinati, come un alfabeto Morse, attraverso cui operai, operaie e schiavi "firmavano" i mattoni che costruirono i templi, i palazzi ma anche le cisterne della Roma dei re.
A studiare e a ragionare sulle storie nascoste in queste decine di forme, di punti e di segni, sono gli archeologi della Soprintendenza guidati da Rita Paris, responsabile per lo Stato dell'Appia antica. Ma a giugno arriveranno, dalla Scuola di specializzazione in restauro, gli studenti del cantiere-scuola che, diretto da Maria Grazia Filetici e da Anna Maria Pandolfi, farà scendere per il secondo anno sul campo erboso di Santa Maria Nova giovani architetti, archeologi e storici dell'arte. Che dovranno subito prendersi cura del pavimento di mosaici, a tessere nere con croci bianche, che rivestiva la parte superiore della cisterna interrata, quando si costruì il camminamento che dagli alloggi delle guardie imperiali di Commodo portava alle loro terme. E che secoli di lavori agricoli hanno frantumato e ricoperto. "Sotto il manto erboso, ci potrebbero però ancora essere tratti integri di tappeto musivo", spiega l'archeologo Riccardo Frontoni scoprendo il frammento venuto alla luce e ora da restaurare.
Ma scendiamo i pochi gradini che portano al criptoportico-cisterna, l'aula di circa 45 metri per 6, ma ancora da misurare, liberato dalle tonnellate di detriti e carcasse di animali lasciati dal pastore che, fino al 2008, occupava illegalmente questo angolo di paradiso a pochi metri dal tracciato dell'Appia antica. Le 12 "finestre" originarie, strette e scavate apposta a 30 gradi, sono state riaperte e, come d'incanto, con l'ingresso del sole, l'umidità e l'acqua sono scomparse dai muri e dal pavimento. Usato nel medioevo e nel rinascimento dai frati olivetani che avevano costruito a pochi metri Santa Maria Nova, forse su una cisterna romana mai entrata in funzione, il deposito d'acqua per le terme con i mosaici dei gladiatori cari a Commodo, era entrato in funzione alla fine del II secolo d.C. al posto del criptoportico costruito circa trent'anni prima come deposito di derrate alimentari, ma anche della neve per fare i sorbetti. Una delle ipotesi è che questa "cantina" servisse uno degli "alberghi" o stazioni di posta costruiti lungo la Regina Viarum (in quel tratto sorgeva anche l'ustrinum, il luogo delle cremazioni). Certo è che poi, rinforzato da un muro laterale, il criptoportico fu trasformato in cisterna: rifornita prima dall'Acquedotto dei Quintili e, poi, distrutta la rete idrica dell'impero, dall'acqua piovana e dalle fonti sorgive lì indirizzate ancora nell'Ottocento per irrigare campi ed orti.
Chiusi i rubinetti e tolta adesso la massa dei detriti, la cisterna è tornata a mostrare le forme semplici e perfette dell'ingegneria idraulica romana. I furti avvenuti nel medioevo l'hanno privata dei conci più grandi, i bipedali e i bessali. Ed ecco ora apparire la trama più interna e segreta dei mattoni con il marchio dei consoli Petino e Aproniano (123 d.C.). I bolli di fabbrica. E quei puntini ravvicinati, come un alfabeto Morse, attraverso cui operai, operaie e schiavi "firmavano" i mattoni che costruirono i templi, i palazzi ma anche le cisterne della Roma dei re.
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