Particolare delle ciotole trovate rovesciate sul pavimento in un ambiente al centro dell'antico insediamento (Foto: asorblog.org) |
Circa 40 chilometri a nordest di Nassiriya, tra il Tigri e l'Eufrate, ha operato, negli scorsi anni, una missione congiunta tra l'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma e l'Università di Perugia. Gli archeologi hanno scavato a Tell Surghul, dove, nell'Ottocento, è stata segnalata la presenza di ceramica affiorante dal suolo ed iscrizioni cuneiformi che facevano riferimento ad una città sepolta, Nigin, un insediamento risalente al III millennio a.C., facente parte, con le città di Girsu e Lagash, di un'entità politica conosciuta come stato di Lagash.
Gli archeologi hanno trovato, sulla sommità della collina più bassa dell'insediamento, un muro in mattoni crudi spesso oltre due metri ed i resti di almeno cinque incensieri in ceramica, tutti al loro posto. Tra questi incensieri uno era dipinto in nero su bianco, con una decorazione che, nella parte superiore, richiamava le montagne mentre nella parte inferiore alludeva alle acque sotterranee che la mitologia sumerica collegava al dio Enki, creatore dell'uomo.
Nel crollo del muro è stato rinvenuto anche un meraviglioso cristallo di rocca lavorato e un chiodo in ceramica, entrambi databili al 4800-4500 a.C.. Nicchie e lesene in mattoni crudi ad occidente della struttura scoperta rimandano ad una destinazione sacra della struttura alla quale apparteneva il muro.
In un'altra parte del sito, al centro dell'antico insediamento, è stato scoperto l'angolo di un vano, delimitato da due muri in mattoni crudi. I ricercatori non sono ancora certi della destinazione d'uso dell'edificio di cui faceva parte, ma un indizio importante è sicuramente costituito da oltre 40 ciotole intere rinvenute rovesciate sul pavimento e ancora ricolme di resti alimentari: semi di grano, lische di pesci e ossa di piccoli animali. Probabilmente si trattava del vano di un edificio pubblico per lo stoccaggio e la ridistribuzione delle risorse alimentari. Il vano presenta tracce di distruzione e di incendio, che portano a pensare ad una fine violenta e drammatica della città di Nigin.
Tra il 2450 e il 2350 a.C. l'insediamento venne ridotto di dimensione, probabilmente a causa di un allagamento parziale. Nigin, infatti, all'epoca era circondata da estese paludi. Il ridimensionamento comportò comunque la costruzione di alcuni edifici sacri e di altre opere pubbliche. Uno dei primi templi fu quello dedicato a Nanshe, divinità delle acque nonché patrona della città. Venne scavato anche un grande canale che terminava al mare. Gudea di Lagash, che regnò tra il 2144 e il 2124 a.C., incrementò gli interventi edilizi a Nigin, facendo costruire templi dedicati alle più importanti divinità del regno.
Nella campagna di scavo del 2016 sono state ampliate le esplorazioni del centro antico di Nigin e sono stati riconosciuti diversi strati databili al tardo Uruk ed al I periodo della Dinastia di Ur. Sono state inoltre scavati tre ambienti dell'edificio scoperto l'anno precedente, che aveva il suo ingresso principale sul lato occidentale. Nello scavo sono state individuate quattro grandi giare rotte.
Nanshe, dea protettrice di Nigin, era figlia di Enki e di Ninhursag, dea della terra. Era anche sorella di Ningirsu, dio della guerra, patrono del re Gudea e dello stato di Lagash. La nascita di Nanshe è narrata nel mito sumerico "Enki e Ninhursag", dove si racconta che Enki mangiò alcune piante speciali e protette della dea Ninhursag e per questo fu da lei maledetto. L'intervento del dio Enlil riconciliò la coppia e Ninhursag cancellò la maledizione e diede vita ad una serie di divinità che curassero i malesseri di Enki. Così nacque Nanshe, che alleviò i dolori alla gola del padre.
Nanshe aveva un rapporto particolare con il mondo delle acque dolci, come si riscontra a Nigin, del resto. La città era, infatti, caratterizzata, in antico, dalla vicinanza del mare ma anche da sistemi di canali artificiali e paludi. Lo stesso Gudea ricorda di aver effettuato in barca il suo viaggio a Nigin, al tempio Sirara di Nanshe. Un suo testo lo descrive come "la montagna che si erge sulle acque".
Durante la campagna di scavo di ottobre-dicembre 2016 è stata aperta ed esplorata una nuova trincea di scavo, mirante ad identificare l'ultima fase del tempio della dea Nanshe, citato nei mattoni inscritti di Gudea di Lagash, i cui resti sono sparsi alla base del tumulo sul lato meridionale. Lo scavo è stato aperto in cima alla collina, già esplorata nel 1887. Qui è stata scoperta una placca in argilla con la raffigurazione di un uomo-toro che tiene un anello ed un mattone con sigillo che riporta l'iscrizione di Gudea che menziona Nigin e la costruzione del Sirara, il tempio dedicato alla dea Nashe.
Alla fine del III millennio a.C. le città di Girsu, Lagash e Nigin vennero distrutte come conseguenza della caduta della III Dinastia di Ur. Sono pochi i documenti del periodo paleobabilonese che testimoniano il lento declino e l'abbandono di questi insediamenti.
Fonte:
liberamente adattato da Archeologia Viva settembre/ottobre 2015
Gli archeologi hanno trovato, sulla sommità della collina più bassa dell'insediamento, un muro in mattoni crudi spesso oltre due metri ed i resti di almeno cinque incensieri in ceramica, tutti al loro posto. Tra questi incensieri uno era dipinto in nero su bianco, con una decorazione che, nella parte superiore, richiamava le montagne mentre nella parte inferiore alludeva alle acque sotterranee che la mitologia sumerica collegava al dio Enki, creatore dell'uomo.
Nel crollo del muro è stato rinvenuto anche un meraviglioso cristallo di rocca lavorato e un chiodo in ceramica, entrambi databili al 4800-4500 a.C.. Nicchie e lesene in mattoni crudi ad occidente della struttura scoperta rimandano ad una destinazione sacra della struttura alla quale apparteneva il muro.
Gli incensieri ritrovati nella parte bassa dell'insediamento (Foto: asorblog.org) |
Tra il 2450 e il 2350 a.C. l'insediamento venne ridotto di dimensione, probabilmente a causa di un allagamento parziale. Nigin, infatti, all'epoca era circondata da estese paludi. Il ridimensionamento comportò comunque la costruzione di alcuni edifici sacri e di altre opere pubbliche. Uno dei primi templi fu quello dedicato a Nanshe, divinità delle acque nonché patrona della città. Venne scavato anche un grande canale che terminava al mare. Gudea di Lagash, che regnò tra il 2144 e il 2124 a.C., incrementò gli interventi edilizi a Nigin, facendo costruire templi dedicati alle più importanti divinità del regno.
Nella campagna di scavo del 2016 sono state ampliate le esplorazioni del centro antico di Nigin e sono stati riconosciuti diversi strati databili al tardo Uruk ed al I periodo della Dinastia di Ur. Sono state inoltre scavati tre ambienti dell'edificio scoperto l'anno precedente, che aveva il suo ingresso principale sul lato occidentale. Nello scavo sono state individuate quattro grandi giare rotte.
Veduta generale dell'ambiente in cui sono state rinvenute delle ciotole rovesciate (Foto: asorblog.org) |
Nanshe aveva un rapporto particolare con il mondo delle acque dolci, come si riscontra a Nigin, del resto. La città era, infatti, caratterizzata, in antico, dalla vicinanza del mare ma anche da sistemi di canali artificiali e paludi. Lo stesso Gudea ricorda di aver effettuato in barca il suo viaggio a Nigin, al tempio Sirara di Nanshe. Un suo testo lo descrive come "la montagna che si erge sulle acque".
Durante la campagna di scavo di ottobre-dicembre 2016 è stata aperta ed esplorata una nuova trincea di scavo, mirante ad identificare l'ultima fase del tempio della dea Nanshe, citato nei mattoni inscritti di Gudea di Lagash, i cui resti sono sparsi alla base del tumulo sul lato meridionale. Lo scavo è stato aperto in cima alla collina, già esplorata nel 1887. Qui è stata scoperta una placca in argilla con la raffigurazione di un uomo-toro che tiene un anello ed un mattone con sigillo che riporta l'iscrizione di Gudea che menziona Nigin e la costruzione del Sirara, il tempio dedicato alla dea Nashe.
Alla fine del III millennio a.C. le città di Girsu, Lagash e Nigin vennero distrutte come conseguenza della caduta della III Dinastia di Ur. Sono pochi i documenti del periodo paleobabilonese che testimoniano il lento declino e l'abbandono di questi insediamenti.
Fonte:
liberamente adattato da Archeologia Viva settembre/ottobre 2015
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