domenica 5 febbraio 2023

Saqqara, i segreti dell'imbalsamazione

Egitto, i vasi rinvenuti nel laboratorio di Saqqara
(Foto: Ministry of Tourism and Antiquities)

In queste ultime settimane il sito di Saqqara non smette di far parlare di sé: infatti, i reperti rinvenuti in un laboratorio di imbalsamazione risalente alla XXVI Dinastia (VII-VI secolo a.C.) stanno riscrivendo la storia della mummificazione.
Grazie allo studio pubblicato sulla rivista Nature ed effettuato sotto la guida dell'Università Ludwig Maximilian di Monaco di Baviera e dell'Università di Tubinga, in collaborazione con il Centro Nazionale di ricerca del Cairo e con la partecipazione dell'Università di Torino, sono stati individuati gli "ingredienti segreti" utilizzati nel processo di imbalsamazione dagli antichi.
Le conoscenze attuali, prima di questo studio, si basavano su antiche fonti scritte, i cosiddetti Papiri dell'Imbalsamazione, e sulle analisi dei residui organici di mummie egizie, a cui si aggiungono le indicazioni fornite da autori greci come Erodoto e Diodoro. Pur conoscendo in modo preciso e puntuale i nomi egizi delle sostanze che venivano utilizzate in questo delicato e lungo processo - richiedeva circa 70 giorni - , numerosi sono i dibattiti sulle sostanze a cui effettivamente corrispondono.
Dopo aver individuato un laboratorio di imbalsamazione pochi metri a sud della piramide di Unas (V Dinastia), ricco di manufatti - vi sono, infatti, 121 bicchieri e ciotole incisi con testi ieratici e demotici che forniscono istruzioni sull'imbalsamazione e/o nomi di sostanze imbalsamatrici - il team di ricerca ha analizzato il contenuto di 31 vasi.
Attraverso esami, quali la gascromatografia-spettrometria di massa, è emerso che gli antichi egizi utilizzavano cera d'api, olio di cedro, ginepro, bitume, resina di pistacchio, gomma dammar e resina di elemi, miscelandoli insieme e riscaldando le sostanze resinose con grasso e olio. Un aspetto certamente interessante riguarda il fatto che per ogni parte del corpo doveva essere utilizzata una precisa miscela di sostanze, come testimoniano i residui presenti nei vasi e le etichette apposte sugli stessi. In particolare l'imbalsamazione della testa richiedeva l'utilizzo di sottoprodotti di ginepro o cipresso e cera d'api.
Quindi, come riportato nella rivista Nature, "questi risultati suggeriscono che gli imbalsamatori utilizzassero le sostanze per le loro specifiche proprietà biochimiche, in quanto resina di Pistacia, elemi, dammar, oli, bitume e cera d'api hanno proprietà antibatteriche o antimicotiche e odorifere, e quindi aiutano a preservare i tessuti umani e ridurre gli odori sgradevoli. Il grasso animale, l'olio vegetale e la cera d'api erano anche ingredienti essenziali nelle ricette per il trattamento di diverse parti del corpo, così come negli unguenti usati per idratare la pelle. Infine, le proprietà idrofobiche e adesive di catrami, resine, bitume e cera d'api erano utili per sigillare i pori della pelle, escludere l'umidità e trattare gli involucri di lino. Anche il colore o l'aspetto di questi prodotti potevano essere desiderabili".
Una volta ottenuti tali risultati, i ricercatori si sono resi conto che molti dei prodotti utilizzati erano importati dal Mediterraneo, dall'Africa tropicale e persino dal sudest asiatico. Tali provenienze permettono quindi di fare un discorso più ampio: fino a dove commerciavano gli antichi egizi? Si può immaginare, certamente, una vasta rete commerciale che metteva in comunicazione tutto il mondo allora conosciuto.
La resina chiamata elemi proviene dagli alberi di Canarium che crescono nelle foreste pluviali di Asia ed Africa; un'altra resina, il dammar, proviene da alberi di Shorea trovati nelle foreste tropicali dell'India meridionale, dello Sri Lanka e del sudest asiatico. Gli studi chimici sulle mummie suggeriscono che le ricette di imbalsamazione sono diventate più complesse nel tempo.
La scoperta del laboratorio di Saqqara, avvenuta nel 2016, ha rappresentato una svolta ed ha riservato agli archeologi molte sorprese. Ad esempio si è scoperto che la sostanza che gli egizi chiamavano "antiu", e che solitamente veniva tradotta come mirra, è in realtà una miscela di ingredienti (come olio di cedro, ginepro e grassi di origine animale) che i ricercatori sono riusciti a separare con l'aiuto della gascromatografia e la spettrometria di massa.
Il laboratorio di imbalsamazione comprende una struttura di eviscerazione sotterranea (il wabet), una struttura fuori terra multifunzionale (probabilmente corrispondente all'ibu) e spazi di sepoltura comuni. Oltre a queste strutture, nel wabet è stato scoperto un deposito di vasi di ceramica per l'imbalsamazione che comprende un cospicuo corpus di cocci e vasi sia rotti che interi, alcuni dei quali presentano tracce di bruciature e gocciolamenti di sostanze bollite sulla superficie esterna. 
Gli imbalsamatori del laboratorio fornivano anche servizi aggiuntivi, tra i quali la sepoltura dei defunti in loculi comuni.

Fonti:
mediterraneoantico.it
ansa.it
nature.com

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