Roma, Villa dei Quintili, l'antica enoteca (Foto: Parco Archeologico dell'Appia Antica) |
Una zona di pigiatura dell'uva, due presse, un tino per far decantare il mosto ed un sistema di canali per convogliare il ino nella cella dove erano custodite le giare. Nel suburbio romano, al chilometro 5 della Regina Viarum, è presente un tesoro che pochi conoscono e soprattutto che non ha eguali: un'antica cantina di portata "imperiale".
La scoperta è avvenuta grazie agli scavi condotti tra il 2017 ed il 2018 nella Villa dei Quintili, all'interno del parco dell'Appia Antica. I risultati di quel lavoro sono appena stati pubblicati su Anitquity, in un articolo firmato dall'archeologo Emlyn Dodd, assistente alla direzione della British School at Rome ed esperto di antica produzione di vino, e da Riccardo Frontoni e Giuliana Galli, che sotto la guida del parco archeologico dell'Appia Antica, avevano avviato gli scavi.
Quello che è emerso è stato sorprendente soprattutto per la qualità, per la ricercatezza dei materiali scelti e per l'effetto scenografico appositamente studiato. Il meccanismo di produzione del vino, ricostruito nel dettaglio, consentiva di passare dalla fase della pigiatura, con le vinacce depositate in ceste di giunco e convogliate in presse meccaniche, fino alla fase di quella che poteva essere la mescita.
La Villa dei Consoli Quintili, una proprietà estesa su 24 ettari lungo la via Appia Antica, dopo il loro omicidio, avvenuto nel II secolo d.C., passò in mano all'imperatore Commodo, che aveva commissionato la morte dei consoli. Non è ancora chiaro se la costruzione della cantina sia avvenuta in quel periodo o in una fase successiva. Quel che è certo è che la Villa dei Quintili "era un'incredibile mini città - ha spiegato Emlyn Dodd - completata da una cantina per l'imperatore stesso per assecondare le sue tendenze bacchiche". Se sia stato Commodo o un suo successore a beneficiarne, è ancora oggetto di dibattito.
Un timbro fa risalire la costruzione della Villa al regno dell'imperatore Gordiano III (238-244 d.C.). Tuttavia è possibile che Gordiano abbia solo fatto ammodernare il complesso.
Contrariamente alle già note cantine romane realizzate con pareti in intonaco a cocciopesto impermeabile, questa dei Quintili era rivestita in marmo rosso. Al suo interno sono stati rinvenuti i meccanismi di due torchi ed una fontana rivestita di marmi policromi.
La cantina, a prescindere dall'imperatore che l'ha fatta realizzare, si presentava come una sorta di ninfeo, con cinque nicchie dalla forma, alternata, semicircolare e rettangolare. La particolare struttura finiva col creare un teatrale effetto fontana, al cui interno sgorgava il mosto appena spremuto. Mosto che, all'occorrenza, veniva mescolato con l'acqua attraverso appositi rubinetti. Quindi oltre che un'enoteca, dove il vino veniva conservato in apposite giare, nella villa c'era anche la possibilità di effettuare delle raffinate degustazioni, tra preziosi marmi ed eleganti arredi imperiali.
Secondo gli autori dello studio, a oggi si conosce solo un altro vigneto "da esposizione" nell'antica Roma. Si trova nella Villa Magna, arredata in modo altrettanto sfarzoso circa 100 anni prima dell'epoca di Gordiano. Anche qui la società più raffinata cenava con vista sui vigneti e sui loro lavoratori, presumibilmente schiavi.
Il fatto che i procedimenti che erano messi in pratica in queste cantina da esibizione avessero anche una componente rituale, è dimostrato da una lettera in cui il futuro imperatore Marco Aurelio racconta il suo soggiorno a Villa Magna nel 141 d.C.: "Andai da mio padre e lo accompagnai al sacrificio. Poi ci siamo messi a raccogliere l'uva. Sudavamo e ci divertivamo". Dopo un bagno Marco Aurelio cenò con il padre, Antonino Pio, ed altri presenti nella stanza, dove ascoltarono "allegramente le chiacchiere dei braccianti" che pigiavano l'uva.
La scoperta è avvenuta grazie agli scavi condotti tra il 2017 ed il 2018 nella Villa dei Quintili, all'interno del parco dell'Appia Antica. I risultati di quel lavoro sono appena stati pubblicati su Anitquity, in un articolo firmato dall'archeologo Emlyn Dodd, assistente alla direzione della British School at Rome ed esperto di antica produzione di vino, e da Riccardo Frontoni e Giuliana Galli, che sotto la guida del parco archeologico dell'Appia Antica, avevano avviato gli scavi.
Quello che è emerso è stato sorprendente soprattutto per la qualità, per la ricercatezza dei materiali scelti e per l'effetto scenografico appositamente studiato. Il meccanismo di produzione del vino, ricostruito nel dettaglio, consentiva di passare dalla fase della pigiatura, con le vinacce depositate in ceste di giunco e convogliate in presse meccaniche, fino alla fase di quella che poteva essere la mescita.
La Villa dei Consoli Quintili, una proprietà estesa su 24 ettari lungo la via Appia Antica, dopo il loro omicidio, avvenuto nel II secolo d.C., passò in mano all'imperatore Commodo, che aveva commissionato la morte dei consoli. Non è ancora chiaro se la costruzione della cantina sia avvenuta in quel periodo o in una fase successiva. Quel che è certo è che la Villa dei Quintili "era un'incredibile mini città - ha spiegato Emlyn Dodd - completata da una cantina per l'imperatore stesso per assecondare le sue tendenze bacchiche". Se sia stato Commodo o un suo successore a beneficiarne, è ancora oggetto di dibattito.
Un timbro fa risalire la costruzione della Villa al regno dell'imperatore Gordiano III (238-244 d.C.). Tuttavia è possibile che Gordiano abbia solo fatto ammodernare il complesso.
Contrariamente alle già note cantine romane realizzate con pareti in intonaco a cocciopesto impermeabile, questa dei Quintili era rivestita in marmo rosso. Al suo interno sono stati rinvenuti i meccanismi di due torchi ed una fontana rivestita di marmi policromi.
La cantina, a prescindere dall'imperatore che l'ha fatta realizzare, si presentava come una sorta di ninfeo, con cinque nicchie dalla forma, alternata, semicircolare e rettangolare. La particolare struttura finiva col creare un teatrale effetto fontana, al cui interno sgorgava il mosto appena spremuto. Mosto che, all'occorrenza, veniva mescolato con l'acqua attraverso appositi rubinetti. Quindi oltre che un'enoteca, dove il vino veniva conservato in apposite giare, nella villa c'era anche la possibilità di effettuare delle raffinate degustazioni, tra preziosi marmi ed eleganti arredi imperiali.
Secondo gli autori dello studio, a oggi si conosce solo un altro vigneto "da esposizione" nell'antica Roma. Si trova nella Villa Magna, arredata in modo altrettanto sfarzoso circa 100 anni prima dell'epoca di Gordiano. Anche qui la società più raffinata cenava con vista sui vigneti e sui loro lavoratori, presumibilmente schiavi.
Il fatto che i procedimenti che erano messi in pratica in queste cantina da esibizione avessero anche una componente rituale, è dimostrato da una lettera in cui il futuro imperatore Marco Aurelio racconta il suo soggiorno a Villa Magna nel 141 d.C.: "Andai da mio padre e lo accompagnai al sacrificio. Poi ci siamo messi a raccogliere l'uva. Sudavamo e ci divertivamo". Dopo un bagno Marco Aurelio cenò con il padre, Antonino Pio, ed altri presenti nella stanza, dove ascoltarono "allegramente le chiacchiere dei braccianti" che pigiavano l'uva.
Fonti:
romatoday.it
le scienze.it
romatoday.it
le scienze.it
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