Sicilia, l'acropoli di Segesta (Foto: stilearte.it) |
Torna alla luce l'antica strada lastricata che tagliava Segesta: nel corso del cantiere di scavo, condotto dall'Università di Ginevra all'interno del Parco Archeologico Regionale, sono stati scoperti diversi lastroni dell'antica strada che fu utilizzata fino al periodo medioevale.
Si tratta di un ritrovamento eccezionale che permetterà di riscrivere l'ampiezza dell'abitato di età ellenistica, ma già nell'orbita romana, in attività sino all'epoca medioevale, come denunciano importanti (e bellissimi) frammenti di ceramica. Ma gli archeologi sperano in altro: si intuisce che la strada prosegua ben oltre e potrebbe condurre ad un'agorà. Attorno e sopra, si è accumulato terriccio, facilmente asportabile. Siamo nella cosiddetta Casa del Navarca, nell'Acropoli sud dell'insediamento, in un sito dove si svolsero delle prime indagini nel 1992, ma lo scavo venne ricoperto. Nel 2021 si è ripreso a lavorare ed è venuta alla luce un'importante pavimentazione unica nel suo genere, una sorta di antico gioco illusorio a tessere romboidali a tre colori, "sectilia" marmorei (bianco, celeste e verde scuro) che raffigurano una sequenza concatenata di cubi dall'effetto tridimensionale. Ma anche due mensole in pietra a forma di prua e una scritta di benvenuto: sono stati questi ritrovamenti a far finora ipotizzare agli archeologi che questa fosse l'abitazione del navarca Eraclio, ricchissimo armatore citato da Cicerone nelle "Verrine".
La casa doveva essere una sorta di sito di avvistamento, come dimostra una torre medioevale che insiste sull'atrio a peristilio della dimora, visto che da quassù lo sguardo arriva fino all'odierna Castellammare. Ma è un'ipotesi di cui gli archeologi, la direttrice dello scavo Alessia Mistretta ed Emanuele Canzonieri, non sono convinti. Della Casa del Navarca non si accontentano perché il loro intento non è soltanto portare alla luce altri ambienti di questo complesso monumentale, ma soprattutto comprenderne la funzione.
Il ritrovamento delle prue, infatti, secondo gli studiosi, indica la probabile funzione soltanto di uno degli ambienti, che doveva essere molto grande e con pavimenti musivi di gran pregio: come ipotesi di lavoro sono, invece, orientati verso un archivio in cui venivano conservati documenti, rotte, mappe sul porto che Segesta possedeva, presieduto da un quaestor navalis di cui si conosce l'identità.
Nei decenni gli archeologi hanno scoperto i simboli più importanti, ma poco si sa della città che si è capito essere stata elegante, raffinata, con decorazioni, mosaici, affreschi, sculture. L'intento, adesso, è scoprire in quale direzione Segesta aveva i suoi assi viari.
L'obiettivo a lungo raggio entra nelle pieghe più profonde del Parco e mira a disegnare a Segesta un nuovo itinerario di visita sui simboli del sacro, che è insieme luoghi, rituali, religioni, tradizioni, architetture, a partire dalla moschea, dall'imponente tempio dorico e dalla piccola chiesa di San Leone, interessante sito stratificato di civiltà precedenti. San Leone nasce nel 1442 su una preesistente chiesa normanno-sveva di fine XII secolo che, a sua volta, sorge su un edificio di età ellenistica (II-I secolo a.C.) i cui mosaici, riportati alla vista in questi giorni dopo pesanti interventi di disboscamento, furono poi riutilizzati come pavimento delle due chiese posteriori.
Si tratta di un ritrovamento eccezionale che permetterà di riscrivere l'ampiezza dell'abitato di età ellenistica, ma già nell'orbita romana, in attività sino all'epoca medioevale, come denunciano importanti (e bellissimi) frammenti di ceramica. Ma gli archeologi sperano in altro: si intuisce che la strada prosegua ben oltre e potrebbe condurre ad un'agorà. Attorno e sopra, si è accumulato terriccio, facilmente asportabile. Siamo nella cosiddetta Casa del Navarca, nell'Acropoli sud dell'insediamento, in un sito dove si svolsero delle prime indagini nel 1992, ma lo scavo venne ricoperto. Nel 2021 si è ripreso a lavorare ed è venuta alla luce un'importante pavimentazione unica nel suo genere, una sorta di antico gioco illusorio a tessere romboidali a tre colori, "sectilia" marmorei (bianco, celeste e verde scuro) che raffigurano una sequenza concatenata di cubi dall'effetto tridimensionale. Ma anche due mensole in pietra a forma di prua e una scritta di benvenuto: sono stati questi ritrovamenti a far finora ipotizzare agli archeologi che questa fosse l'abitazione del navarca Eraclio, ricchissimo armatore citato da Cicerone nelle "Verrine".
La casa doveva essere una sorta di sito di avvistamento, come dimostra una torre medioevale che insiste sull'atrio a peristilio della dimora, visto che da quassù lo sguardo arriva fino all'odierna Castellammare. Ma è un'ipotesi di cui gli archeologi, la direttrice dello scavo Alessia Mistretta ed Emanuele Canzonieri, non sono convinti. Della Casa del Navarca non si accontentano perché il loro intento non è soltanto portare alla luce altri ambienti di questo complesso monumentale, ma soprattutto comprenderne la funzione.
Il ritrovamento delle prue, infatti, secondo gli studiosi, indica la probabile funzione soltanto di uno degli ambienti, che doveva essere molto grande e con pavimenti musivi di gran pregio: come ipotesi di lavoro sono, invece, orientati verso un archivio in cui venivano conservati documenti, rotte, mappe sul porto che Segesta possedeva, presieduto da un quaestor navalis di cui si conosce l'identità.
Nei decenni gli archeologi hanno scoperto i simboli più importanti, ma poco si sa della città che si è capito essere stata elegante, raffinata, con decorazioni, mosaici, affreschi, sculture. L'intento, adesso, è scoprire in quale direzione Segesta aveva i suoi assi viari.
L'obiettivo a lungo raggio entra nelle pieghe più profonde del Parco e mira a disegnare a Segesta un nuovo itinerario di visita sui simboli del sacro, che è insieme luoghi, rituali, religioni, tradizioni, architetture, a partire dalla moschea, dall'imponente tempio dorico e dalla piccola chiesa di San Leone, interessante sito stratificato di civiltà precedenti. San Leone nasce nel 1442 su una preesistente chiesa normanno-sveva di fine XII secolo che, a sua volta, sorge su un edificio di età ellenistica (II-I secolo a.C.) i cui mosaici, riportati alla vista in questi giorni dopo pesanti interventi di disboscamento, furono poi riutilizzati come pavimento delle due chiese posteriori.
Fonte:
stilearte.it
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