domenica 13 aprile 2025

Una divinità...pulita: Venere Cloacina

Monete dedicate a Venere Cloacina
(Foto: storiachepassione.it)

Gli antichi romani avevano una divinità anche per le fogne. Si chiamava Venere Cloacina, la quale unì due aspetti apparentemente distinti: da una parte l'amore, l'armonia e la bellezza, dall'altra il concetto di purificazione legato all'acqua e, nello specifico, alla Cloaca Maxima, la principale nonché la più antica fognatura dell'antica Roma.
La Cloaca Maxima era il primo condotto fognario di cui Roma si dotò già durante il periodo della monarchia. La sua costruzione si colloca durante il regno di Tarquinio Prisco (616-578 a.C.), anche se fu probabilmente completata sotto l'ultimo re di Roma, il figlio di Tarquinio Prisco, Tarquinio il Superbo (535-509 a.C. circa). Inizialmente si trattava di un canale scoperto al quale si ricollegavano tutti i corsi d'acqua naturali e che sfociava nel Tevere. I Romani attribuirono subito all'opera ingegneristica una certa aura sacrale, al punto che si sviluppò un vero e proprio culto, quello di Cloacina, divinità di origine etrusca, protettrice delle fogne. Del resto furono gli Etruschi ad insegnare ai Romani la bonifica delle paludi e le fognature. Tito Livio è uno degli autori che riporta notizie sulla Cloaca Maxima e sul culto della Venere Cloacina.
Roma, com'è noto, sorse in un punto geografico strategico, su un terreno basso e paludoso, in prossimità di un guado che facilitava le rotte commerciali sia con l'Etruria sia con chi proveniva dal Tevere. Questa particolare topografia fece sorgere sin dagli inizi la necessità di un buon sistema fognario, grazie al quale si sarebbe sanificata la principale area economia della città.
L'epiteto "Cloacina" deriva dal verbo latino "cluo/cluere", ossia "purificare, pulire". L'associazione con Venere fu, probabilmente, posteriore, anche se è difficile stabilire di quanto, ed anche se si ipotizza intorno al VI-V secolo a.C., quando si realizzò un santuario dedicato alla dea, il sacello della Venere Cloacina. Di questo santuario oggi resta solo la base, situata nel Foro Romano, di fronte la Basilica Emilia, in corrispondenza del punto in cui la Cloaca Maxima entra nel Foro.
La tradizione romana narra che fu Tito Tazio, re sabino e co-regnante con Romolo, ad introdurre il culto di Venere Cloacina. Tito Tazio fu l'ottavo re di Roma. Secondo la leggenda, dopo la guerra Romani e Sabini sugellarono la pace nell'esatto punto in cui sorse, in seguito, il santuario di Venere Cloacina. L'accordo venne sugellato purificando l'acqua che di lì affluiva nel Tevere. Quell'acqua, forse, apparteneva al corso naturale poi sfruttato per realizzare la Cloaca Maxima.
La prima raffigurazione della divinità, però, risale al I secolo a.C. Ottaviano Augusto collegò l'essenza purificatrice della Venere Cloacina alle guerre - altrettanto purificatrici - che stava conducendo per sconfiggere definitivamente gli uccisori di Cesare. Il culto di Venere Cloacina andò, comunque, affievolendosi con l'espandersi della Repubblica prima e dell'Impero dopo.
Il sacello si trovava sopra una costruzione di tufo, che scende tre metri sotto l'attuale piano, nel punto in cui la Cloaca entra nel Foro. E' costituito da un basamento circolare di marmo sul quale poggiava, originariamente, l'alzato di un piccolo edificio. Come risulta da alcune rappresentazioni monetali, si trattava di un sacello a cielo aperto, costituito da un basso recinto circolare entro il quale vi erano due simulacri di culto: Cloacina e Venere, la prima rappresentante la più antica divinità e la seconda aggiunta solo in secondo tempo, quando venne identificata con la prima. Si trovava sulla Via Sacra, nei pressi dell'area della Tabernae Novae, che venne successivamente demolita per far spazio alla Basilica Emilia.
Accanto a questo piccolo ma importante santuario, connesso con la Cloaca Maxima, che in questo punto entrava nel Foro, si sarebbero svolti due importanti episodi della mitica storia delle origini: la purificazione con rami di mirto degli eserciti romano e sabino dopo la guerra successiva la ratto delle Sabine e l'uccisione di Virginia da parte del padre Lucio Virginio per salvarne le virtù dalle mire di uno dei decemviri, Appio Claudio.

Fonti:
storiachepassione.it
romasegreta.it
romanoimpero.com


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