Il
Foro Olitorio a
Roma era anticamente una piazza dove si
vendevano le verdure. Proprio nel Foro Olitorio sorgeva l'
area più sacra di Roma, i cui ruderi sono tuttora visibili: l'
area sacra di Sant'Omobono.
L'area prende attualmente nome dalla vicina chiesa, posta in posizione elevata rispetto ai resti archeologici. Questi ultimi sono, per la verità, piuttosto scarsi e confusi, ma questo non deve trarre in inganno chi si sofferma a guardarli. Qui sono stati ritrovati, nel corso degli scavi archeologici fatti durante un lungo lasso temporale,
frammenti ceramici dell'Età del Bronzo che facevano parte della terra utilizzata per sopraelevare l'area sacra. I frammenti, però, è stato appurato, venivano dal vicino
Campidoglio dove vi era un insediamento cosiddetto "appenninico", vale a dire un insediamento che ospitava
pastori seminomadi, ai quali appartenevano alcuni oggetti ritrovati in zona:
vasi fatti a mano senza l'uso del tornio,
bollitoi e
fornelli. Il non lontano
Foro Boario, in cui gli antichi pastori convenivano per pascolare il bestiame durante il periodo estivo e per rifornirsi di sale dal Tevere, divenne ben presto un vero e proprio
mercato, prima ancora che nelle vicinanze venisse insediato un centro urbano. Proprio il Foro Boario è il sito più antico di Roma, frequentato
antecedentemente la fondazione di Roma nel 753 a.C. La vicinanza dell'Isola Tiberina, infatti, già in periodo arcaico aveva favorito il formarsi di un'area destinata allo scambio delle merci, un vero e proprio mercato, posto sulla riva sinistra del Tevere, tra Campidoglio ed
Aventino. Qui arrivarono anche mercanti Greci intorno ai primi anni dell'
VIII secolo a.C.. Qui, sotto
Servio Tullio (578-534 a.C.), si procedette ad una razionale sistemazione dell'ansa naturale del Tevere nota come
Portus Tiberinus, uno scalo portuale sul fiume che sorgeva dove, attualmente, è presente il palazzo dell'Anagrafe.
Fu proprio Servio Tullio a volere la costruzione dei
santuari di Fortuna e Mater Matuta, scavati nell'area sacra di Sant'Omobono. Oltre a questi importantissimi templi, il re fece costruire un altro edificio sacro dedicato a
Portunus, la divinità del porto fluviale di Roma. Il tempio, tuttora visibile, ha pianta rettangolare e per molti anni è stato indicato erroneamente come
Tempio della Fortuna Virile. Più a sud sorge, invece, il
Tempio di Ercole Olivario, un tempo creduto di
Vesta a causa dell'insolita forma circolare.
La divinità nazionale greca,
Eracle, era molto presente in questa parte dell'antico centro di Roma, proprio a causa dello scalo fluviale dove affluivano merci e mercanti dalla Grecia. L'
Ara Maxima di Ercole, il grande altare più volte restaurato nell'antichità e del tutto invisibile al giorno d'oggi, è stato individuato, infatti, in un grande
basamento in tufo del II secolo a.C. visibile nella
cripta della chiesa di Santa Maria in Cosmedin.
|
L'area sacra di Sant'Omobono |
Tornando all'area sacra di Sant'Omobono, i primi lavori per liberare la zona dalla terra che vi si era accumulata nei secoli cominciarono nel
1937, quando si diede il via ad una serie di progetti che volevano la realizzazione di un nuovo
edificio comunale proprio nei pressi. Gli sterri portarono alla scoperta di una
grande platea in blocchi di tufo di 50 metri per lato. Sopra questa platea vi erano i resti di
due templi di età repubblicana, quelli di Fortuna e Mater Matuta, appunto, come erano chiamati dalle fonti. Sondaggi effettuati sulla platea rivelarono una situazione complessa e ricca di materiali arcaici che furono recuperati malgrado la difficoltà di scavo dovuto alla notevole profondità alla quale giacevano i reperti e alla presenza di una
falda acquifera sotterranea.
|
Lastra di rivestimento con sfilata di carri dall'Area sacra di Sant'Omobono |
Il livello più antico fu individuato dagli studiosi in base ai
resti di una capanna che ricordava quelle di VIII secolo a.C. rinvenute sul Palatino e
realizzata in legno ed argilla. Nel
VII a.C. la zona dove sorgeva quest'abitazione venne destinata ad
area di culto, con
altari e una
fossa sacrificale in cui sono state trovate numerose ossa animali. Dalla medesima fossa è emerso un
frammento di vaso con iscrizione etrusca, forse la più antica ritrovata a Roma, che ricorda il nome di un aristocratico etrusco "
araz silqetenas spurianas". Nel 580 a.C. furono costruiti, in quest'area, due templi, dei quali solo uno è stato trovato.
|
Placchetta d'oro a forma di felino dall'Area sacra di Sant'Omobono (manifattura etrusca) |
Sono state distinte, in base ai resti architettonici, due fasi dei templi che, secondo l'uso etrusco-italico, avevano un
alto podio in tufo, la
struttura in legno, le
pareti in mattoni crudi e
una sola cella. L'edificio più antico aveva, nel
frontone, alcune
placche in terracotta con felini, che sono state ritrovate, sullo stile del
tempio di Artemide a
Corfù, testimonianza dei frequenti rapporti con il mondo greco. Alla seconda fase costruttiva sono da attribuire
due statue in terracotta di dimensioni di poco inferiori al vero. Si tratta di due figure delle quali una priva di testa e ornata della
leonté, la pelle di leone annodata sul petto che è il carattere distintivo di
Eracle. La seconda statua, collegata tramite un braccio alla prima, raffigura
Athena, con l'
elmo ionico sulla testa e nella mano destra una lancia. La tecnica delle due statue è raffinata per l'epoca e suggerisce l'
influenza di maestranze greche con influssi fenici. Alcuni studiosi sostengono che le due statue facessero parte di un
acroterio (il culmine del tetto di un tempio) mentre altri pensano che entrambe appartenessero ad un
donario. Il
professor Coarelli attribuisce ad
Astarte la statua femminile. La dea era onorata anche a
Pyrgi dove era assimilata all'
etrusca Uni e chiamata, in una delle
lamine auree qui ritrovate nel
1964,
Unialastrus, risultato dell'unione dei nomi di
Uni ed
Astarte.
|
Statue di Eracle e Athena (o Artemide) |
Sul finire del
VI secolo a.C. il tempio venne distrutto e, dopo un secolo circa di abbandono, l'intera area venne
rialzata artificialmente di quasi 4 metri per ricostruire i due templi arcaici, identici nelle dimensioni e perfettamente simmetrici, di
Fortuna e
Mater Matuta. L'orientamento, però, era leggermente differente rispetto ai primitivi edifici sacri. Quest'intervento è stato attribuito a
Furio Camillo ed è successivo alla
presa di Veio del 395 a.C..
Nel
213 a.C. un
incendio devastò l'area distruggendo nuovamente i templi, che furono ricostruiti nell'anno successivo. L'ultima ricostruzione storica è datata all'epoca di
Adriano (117-138 d.C.). Ad essa appartengono
materiali edili in travertino pertinenti i templi e la pavimentazione antistante gli stessi. Sempre durante il periodo imperiale furono costruite, nelle zone adiacenti, delle
insulae commerciali. Il Medioevo, purtroppo, non è sufficientemente documentato perché molti resti sono andati distrutti durante gli sventramenti degli anni Trenta.
Mater Matuta, alla quale era dedicato uno dei templi dell'Area sacra di Sant'Omobono, fu introdotta in tempi arcaici nel calendario romano a testimonianza della
grande considerazione di cui godeva questa divinità. Si tratta di un'antichissima
divinità dell'Aurora, alla quale è collegata l'idea della nascita e della luce. Il termine
Matuta è collegato con
matutinus, del mattino, ma anche a
maturus, vale a dire la
funzione materna e matronale che legava la divinità alla crescita dei feti e delle spighe. In tempi arcaici
Mater Matuta era accompagnata dalla
Mamma Mammosa detta anche
Mammona. La
Mamma Mammosa era la
parte invisibile della dea.
|
Raffigurazione di Mater Matuta dal Museo di Chianciano |
Un'altra valenza di
Mater Matuta era quella di
protezione dei fanciulli (
kourotrophos), che la identificava con un'altra divinità, la marina
Ino-Leukothea. Questa, per sottrarre il figlio
Palaimon-Melikertes alla follìa omicida del marito, si gettò in mare ed arrivò, dalla Grecia, sulle rive del Tevere. Qui madre e figlio furono accolti da
Eracle e dalla
ninfa Carmenta e vennero adorati con i nomi di, rispettivamente,
Mater Matuta e
Portunus. L'
11 giugno, in onore di
Mater Matuta, Roma celebrava i
Matralia, dai quali erano escluse le donne in condizione servile, con la confezione del
pane testuacium, una focaccia non lievitata cotta su lastre infuocate di terracotta dalle matrone. Queste ultime, sempre durante i
Matralia, dovevano
pregare per i figli delle sorelle per propiziare la fertilità delle donne sposate e consanguinee.
In un secondo tempo a
Mater Matuta venne associata, come appare nell'Area sacra di Sant'Omobono, la dea
Fortuna, una
divinità nubile il cui culto, al contrario di quello di
Mater Matuta, era
aperto anche alla classe servile. L'associazione tra le due divinità affonda alle radici stesse dell'antico significato di
Fortuna come
protettrice della maternità e delle nozze. Solo in seguito la divinità perse queste caratteristiche per divenire la dea della buona sorte.
|
Area sacra di Sant'Omobono, la chiesa di Sant'Omobono |
La
chiesa di Sant'Omobono doveva essere, nei piani della risistemazione dell'area di epoca fascista, demolita. Essa occupa la
cella di uno dei templi dell'area sacra, quello dedicato a
Mater Matuta, avendo, però, un
orientamento inverso rispetto a questa. Durante gli
scavi del 1985, operati dalla
Soprintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma, sotto il pavimento della chiesa e sotto gli strati di riempimento del XIV-XV secolo, si sono trovate conferme al fatto che la chiesa attuale è collocata sulle
murature perimetrali della cella del tempio, in
opera quadrata di travertino. All'interno della cella templare è stato, poi, ritrovato un
pavimento musivo di età adrianea in tessere bianche. Il pavimento è stato, in seguito, ricoperto di
lastre di marmi pregiati di reimpiego (pavonazzetto, cipollino, marmo africano, granito e giallo antico). Probabilmente qui venne installato un
primo culto cristiano già nel
VI secolo a.C., poiché sono ritornate alla luce le
tracce di una schola cantorum proprio sul cocciopesto di preparazione del mosaico adrianeo.
L'edificio religioso che precedette l'attuale chiesa di Sant'Omobono è menzionato per la prima volta in un
documento del 1470 con il nome di
S. Salvatore in Portico. La chiesa venne completamente
ricostruita nel 1472 al di sopra dei resti del tempio di
Mater Matuta e solo nel
1575 venne dedicata a Sant'Omobono,
protettore dei sarti. L'area sacra, dunque, tornò ad essere quello che era sempre stata, un'area dedicata al culto, una destinazione d'uso rimasta immutata in tanti secoli della storia dell'Urbe.
Nessun commento:
Posta un commento