Elementi di collana in bronzo, ambra, pasta vitrea ed osso rivestito in foglia d'oro - VII secolo a.C. (Foto: Archeopd) |
Tra la fine dell'Età del Bronzo e la prima Età del Ferro (XII-X secolo a.C.) si sviluppò, a Fratta Polesine (Ro) una civiltà, quella dei Veneti (indicati a volte come Venetici, antichi Veneti o Paleoveneti), che prosperò grazie agli scambi e alla lavorazione di materiali preziosi di notevole importanza. Attività commerciale, questa, collegata ai centri villanoviani dell'Etruria e dell'Emilia ma le cui diramazioni raggiungevano anche il nord Europa e il Mediterraneo orientale.
Inizialmente i Veneti si stanziarono tra il Lago di Garda e i Colli Euganei, in seguito si espansero fino ad occupare un'area corrispondente a quella del Veneto attuale.
Frattesina, in particolare, centro posto vicino Fratta Polesine, costituitasi su un ramo del Po oggi scomparso - il Po di Adria - garantiva il collegamento con le coste adriatiche e l'entroterra padano. L'abitato constava di capanne con pavimento in argilla cotta e pareti in legno. Nella comunità, il lavoro di filatura era appannaggio delle donne, le quali curavano anche il culto domestico: sono state, infatti, ritrovate dagli archeologi statuette fittili di uomini e animali. Le attività artigianali, che occupavano gli uomini, si svolgevano al centro dell'abitato, in vere e proprie botteghe oppure officine in cui si lavorava il metallo, il vetro, l'avorio e l'ambra proveniente dal Baltico.
Proprio la posizione di Frattesina è cruciale nel commercio dell'ambra durante l'Età del Bronzo. L'ambra, infatti, era diventata il simbolo delle nascenti aristocrazie europee. Maggiore certezza della centralità di questa zona si è avuta quando gli archeologi hanno scoperto il centro di Campestrin di Grignano Polesine, dove sono stati ritrovati vaghi di collane in ambra con nuclei grezzi, schegge e manufatti. Ancora una volta sono le locali sepolture a restituire un quadro della vita e della prosperità dei centri dell'Età del Bronzo, in particolare le due necropoli di Frattesina, contenenti ricchi corredi funerari con urne biconiche. Tra le sepolture una in particolare ha attirato l'attenzione dei ricercatori. Si tratta della sepoltura di una persona di un certo rango, deposta con la spada ritualmente spezzata e con rivetti d'oro, un'eccezione se si pensa che in quest'età non era uso deporre i defunti con le loro armi. Altri insediamenti simili sono stati individuati a Treviso e in provincia di Padova.
Il periodo di massima espansione della civiltà veneta si ebbe tra il VI e gli inizi del IV secolo a.C., con cippi in pietra che delimitano i confini dei centri urbani, strade in ghiaia e in terra battuta, canali per il deflusso delle acque e la suddivisione dei quartieri abitativi. La nuova aristocrazia veneta vive in case decorate e dotate di monumentali focolari, allietata da oggetti di lusso importati dall'Etruria e dalla Grecia.
Dall'VIII secolo a.C. ad Este i defunti di un certo rango vengono accompagnati, oltre che dai consueti oggetti che servivano a qualificare la posizione e il sesso, anche da altri di straordinario valore quali la spada o la sega, la lima o la raspa per l'uomo; oppure da elementi connessi all'arte del tessere per la donna. Dal VII secolo a.C., il defunto di ragno appartenente a queste comunità viene accompagnato, nel suo ultimo viaggio, da bardature equine mentre le donne aristocratiche vengono deposte con grandi chiavi di bronzo, ricchi oggetti di abbigliamento, fusi e conocchie di pregio.
Il VI secolo a.C. segna l'ingresso, nell'aristocrazia veneta e nei suoi rituali di sepoltura, di nuove mode come l'adozione del banchetto greco-etrusco. Nelle tombe si sono ritrovati complessi servizi da mensa anche importati, alari, spiedi, molle, asce, coltelli che alludono al consumo di carne e di vino. Le donne di alto rango, da parte loro, vengono deposte con un cinturone bronzeo molto decorato che, probabilmente, era parte di un cerimoniale.
Anche durante il III secolo a.C., ad Este, è presente e attiva una preminente classe aristocratica. I ricercatori hanno scoperto una sepoltura femminile recante il nome della defunta, Nerka Trostiata, inciso su una situla che funge da ossuario. La famiglia di Nerka doveva essere molto benestante, vista la presenza di attrezzi e decorazioni di pregio che ricordano la tessitura.
La lingua caratterizzante le comunità dei Veneti è dagli studiosi chiamata venetico. Si tratta di una lingua inserita nel ceppo indoeuropeo, affine al latino. Questa lingua, oltre all'attuale Veneto, si diffuse in Friuli e oltre l'Isonzo. Il venetico è documentato da molte iscrizioni, dal VI secolo a.C. fino alla romanizzazione del I secolo a.C.. L'alfabeto è di derivazione etrusca, ovviamente riadattato alle esigenze locali. Le iscrizioni più diffuse sono quelle funerarie: epitaffi e dediche votive, testi brevi e ripetitivi. Sono note anche iscrizioni pubbliche per la delimitazione dei confini territoriali, che costituiscono un importante fonte per la conoscenza degli usi e del mondo dei Veneti antichi.
Il santuario più antico dei Veneti era quello dedicato alla dea Reitia a Baratella di Este (Padova), che ha restituito migliaia di oggetti votivi. Qui si venerava la dea che aveva prerogative legate alla transumanza, al passaggio, ai guadi ed anche ai riti di passaggio che contraddistinguono la vita umana. Reitia, inoltre, proteggeva l'attività femminile in generale, la tessitura, la filatura ma anche la scrittura. Era definita Potnia Theron, Signora degli animali, assorbendo, nel tempo, anche i caratteri della più classica "collega" Artemide. I Romani finirono per associarla alla loro Minerva. Il Santuario di Este fu scoperto nel 1880 ed i reperti che vi sono stati trovati sono, ora, custoditi nel locale Museo. Altri notevolissimi reperti votivi, datati ad un periodo compreso tra il VII e il II secolo a.C., sono stati recuperati negli scavi tedeschi del 1986-1987.
La figura di Reitia è stata riconosciuta in alcune figurine antropomorfe, con arti superiori terminanti in protomi ornitomorfe o teste di equidi, ritrovate nei luoghi di culto. Un'altra raffigurazione vede la divinità con un velo in testa, con una chiave in mano e circondata da animali. Il suo nome ricorda quello della popolazione dei Reti, che abitavano la zona Alpina.
Inizialmente i Veneti si stanziarono tra il Lago di Garda e i Colli Euganei, in seguito si espansero fino ad occupare un'area corrispondente a quella del Veneto attuale.
Frattesina, in particolare, centro posto vicino Fratta Polesine, costituitasi su un ramo del Po oggi scomparso - il Po di Adria - garantiva il collegamento con le coste adriatiche e l'entroterra padano. L'abitato constava di capanne con pavimento in argilla cotta e pareti in legno. Nella comunità, il lavoro di filatura era appannaggio delle donne, le quali curavano anche il culto domestico: sono state, infatti, ritrovate dagli archeologi statuette fittili di uomini e animali. Le attività artigianali, che occupavano gli uomini, si svolgevano al centro dell'abitato, in vere e proprie botteghe oppure officine in cui si lavorava il metallo, il vetro, l'avorio e l'ambra proveniente dal Baltico.
Frattesina, tesoretto dell'XI secolo a.C. (Foto: Archeopd) |
Il periodo di massima espansione della civiltà veneta si ebbe tra il VI e gli inizi del IV secolo a.C., con cippi in pietra che delimitano i confini dei centri urbani, strade in ghiaia e in terra battuta, canali per il deflusso delle acque e la suddivisione dei quartieri abitativi. La nuova aristocrazia veneta vive in case decorate e dotate di monumentali focolari, allietata da oggetti di lusso importati dall'Etruria e dalla Grecia.
Urna da Frattesina (Foto: Comune di Rovigo) |
Il VI secolo a.C. segna l'ingresso, nell'aristocrazia veneta e nei suoi rituali di sepoltura, di nuove mode come l'adozione del banchetto greco-etrusco. Nelle tombe si sono ritrovati complessi servizi da mensa anche importati, alari, spiedi, molle, asce, coltelli che alludono al consumo di carne e di vino. Le donne di alto rango, da parte loro, vengono deposte con un cinturone bronzeo molto decorato che, probabilmente, era parte di un cerimoniale.
Elmo pileato attualmente nel Museo di Firenze |
La lingua caratterizzante le comunità dei Veneti è dagli studiosi chiamata venetico. Si tratta di una lingua inserita nel ceppo indoeuropeo, affine al latino. Questa lingua, oltre all'attuale Veneto, si diffuse in Friuli e oltre l'Isonzo. Il venetico è documentato da molte iscrizioni, dal VI secolo a.C. fino alla romanizzazione del I secolo a.C.. L'alfabeto è di derivazione etrusca, ovviamente riadattato alle esigenze locali. Le iscrizioni più diffuse sono quelle funerarie: epitaffi e dediche votive, testi brevi e ripetitivi. Sono note anche iscrizioni pubbliche per la delimitazione dei confini territoriali, che costituiscono un importante fonte per la conoscenza degli usi e del mondo dei Veneti antichi.
Il santuario più antico dei Veneti era quello dedicato alla dea Reitia a Baratella di Este (Padova), che ha restituito migliaia di oggetti votivi. Qui si venerava la dea che aveva prerogative legate alla transumanza, al passaggio, ai guadi ed anche ai riti di passaggio che contraddistinguono la vita umana. Reitia, inoltre, proteggeva l'attività femminile in generale, la tessitura, la filatura ma anche la scrittura. Era definita Potnia Theron, Signora degli animali, assorbendo, nel tempo, anche i caratteri della più classica "collega" Artemide. I Romani finirono per associarla alla loro Minerva. Il Santuario di Este fu scoperto nel 1880 ed i reperti che vi sono stati trovati sono, ora, custoditi nel locale Museo. Altri notevolissimi reperti votivi, datati ad un periodo compreso tra il VII e il II secolo a.C., sono stati recuperati negli scavi tedeschi del 1986-1987.
La figura di Reitia è stata riconosciuta in alcune figurine antropomorfe, con arti superiori terminanti in protomi ornitomorfe o teste di equidi, ritrovate nei luoghi di culto. Un'altra raffigurazione vede la divinità con un velo in testa, con una chiave in mano e circondata da animali. Il suo nome ricorda quello della popolazione dei Reti, che abitavano la zona Alpina.
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