La Dormitio Virginis del monastero di Santa Maria del Rogato (Foto: AMN notizie) |
Un lavoro lungo nove mesi, quasi un parto, si potrebbe ben dire. Si tratta di un certosino lavoro di restauro che, ad Alcara Li Fusi, in provincia di Messina, ha permesso di far risplendere l'affresco centrale del XIII secolo custodito nel monastero di Santa Maria del Rogato e raffigurante la Dormitio Virginis.
Il restauro è stato effettuato da Davide Rigaglia ed ha permesso di azzardare nuove letture storiche sulla pittura bizantina. Durante l'intervento di recupero sono stati scoperti e restaurati anche altri frammenti e figure pittoriche.
La leggenda vuole che Alcara Li Fusi sia stata fondata da un greco della città di Turio, al seguito di Enea. In realtà non vi è alcuna evidenza storica a supporto di questa leggenda. L'abitato attuale ebbe origine in seguito alla distruzione, avvenuta nell'855 ad opera dei Saraceni, di Crasto e Dèmena, che portò gli abitanti a trasferirsi in una zona più a valle.
L'insediamento prese nome dal termine arabo Akaret, che significa "fortezza". Il primo riferimento storicamente accertato si trova in un documento del 1096, un diploma del conte Ruggero redatto in lingua greca, che individua Alcara come possedimento del vescovo di Messina.
Il restauro è stato effettuato da Davide Rigaglia ed ha permesso di azzardare nuove letture storiche sulla pittura bizantina. Durante l'intervento di recupero sono stati scoperti e restaurati anche altri frammenti e figure pittoriche.
La leggenda vuole che Alcara Li Fusi sia stata fondata da un greco della città di Turio, al seguito di Enea. In realtà non vi è alcuna evidenza storica a supporto di questa leggenda. L'abitato attuale ebbe origine in seguito alla distruzione, avvenuta nell'855 ad opera dei Saraceni, di Crasto e Dèmena, che portò gli abitanti a trasferirsi in una zona più a valle.
L'insediamento prese nome dal termine arabo Akaret, che significa "fortezza". Il primo riferimento storicamente accertato si trova in un documento del 1096, un diploma del conte Ruggero redatto in lingua greca, che individua Alcara come possedimento del vescovo di Messina.
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