Gli archeologi sul sito dell'antica villa di Realmonte, in Sicilia (Foto: USF) |
Gli archeologi hanno scoperto nuovi reperti di un'antica villa romana unitamente a diversi manufatti che potrebbero aumentare la conoscenza del sito e dell'intera economia della Sicilia al tempo dei Romani. Sul posto operano gli archeologi dell'Università della Florida del Sud, la villa si chiama Villa Durrueli e si trova vicino alla città costiera di Realmonte, in Sicilia.
Secondo gli studiosi, le mura, i livelli pavimentali, la scala in pietra e il canale dell'acqua presente nella struttura hanno aiutato i ricercatori a stabilire che l'edificio è stato costantemente occupato tra il II e il VII secolo d.C., con un restauro ed un adattamento nel V secolo d.C.. Dallo scavo sono emerse pentole, lampade in ceramica ed attrezzature varie che hanno spinto i ricercatori a ritenere che la funzione precipua di questa grande fattoria fosse quella di produrre ceramica, mattoni e piastrelle su scala industriale, arrecando un notevole contributo alla conoscenza della storia economica della Sicilia tardo-antica.
Parti del sito sono state già scavate qualche decennio fa, quando altri archeologi hanno lavorato sui resti della villa. Attualmente sono state utilizzate scansioni in 3D dell'interno sito, sia dal suolo che aeree che sono state fondamentali per la comprensione del complesso.
Ville come queste erano, in realtà, al tempo dei Romani, delle vere e proprie fattorie situate nella immediata periferia di un centro abitato o in campagna. Si trattava delle case di personaggi di ceto abbiente presenti esclusivamente in Italia.
La sovrintendente Gabriella Costantino ha dichiarato: "Lo scavo ha avuto l'obiettivo di reinterpretare le intricate vicende edilizie attraverso cui la villa è andata incontro tra il I e il III secolo d.C., facendo emergere un'importante fase di occupazione di epoca bizantina, del tutto sconosciuta finora. Grande importanza ha infatti la scoperta di un vasto complesso per la produzione della ceramica, incentrato sul riuso dei forni che alimentavano le stanze calde delle terme come fornaci per la ceramica e le stanze stesse come vani di servizio".
La villa romana si trova in contrada Durrueli, che dà il nome al sito, in località Punta Piccola. La scoperta del complesso abitativo e industriale risale al 1907, durante gli scavi per la realizzazione della ferrovia che, passando proprio per Realmonte, avrebbe attraversato la cittadina di Porto Empedocle collegando Agrigento a Siculiana. Venne portato alla luce l'impianto originario dell'antica abitazione romana, formata da due ambienti in opus sectile, ossia decorati con lastre di marmo, e tre ambienti in opus tessellatum, cioè con pavimenti a mosaico.
Vista l'entità della scoperta fu deciso di deviare il tracciato ferroviario, permettendo in tal modo la conservazione del sito e la prosecuzione degli scavi, durante i quali emersero ulteriori due vani in opus tessellatum. La campagna di scavi riprende soltanto verso la fine del secolo scorso, quando nel 1979 il Soprintendente Ernesto De Miro richiede la collaborazione del Professor Masanori Aoyagi, dell'Università giapponese di Tsukuba, il quale, estendendo l'analisi del territorio circostante, mette in luce il peristilio dell'area sud e l'intera area del complesso della villa romana. Oggi l'area visitabile è pari a 5.000 metri quadri circa e consta di due macro zone, una costituita dalla composizione dei vani destinati ad abitazione e una dedicata all'impianto termale.
Dell'originario impianto termale è riconoscibile il corridoio di accesso con lo spogliatoio, apodyterium, nel cui pavimento a mosaico è raffigurata Scilla, mostro marino femminile, che cinge un timone e circondata da fregi di carattere marino; attigua è la stanza contenente la vasca marmorea del frigidarium, quella con la fornace per il calidarium e un'altra probabilmente dedicata al tepidarium.
Nello specifico del territorio agrigentino, una delle maggiori fonti di ricchezza - e forse di arricchimento anche per il proprietario della villa di Realmonte - è lo sfruttamento delle miniere di zolfo, di proprietà privata, che fu attestata alla gens Annia nel II secolo d.C. e poi, nel III secolo, venne assorbita dal monopolio imperiale. Questa attività economica così importante ad Agrigento è documentata da oggetti particolari: si tratta delle Tegulae mancipium sulphuris, ovvero le tegole degli appaltatori di zolfo, sorta di tavolette di argilla con incisi alcuni caratteri latini al contrario, ovvero rovesciati e in senso destrorso, cioè da destra verso sinistra. Queste tavolette erano delle matrici inserite sul fondo di stampi, probabilmente in legno, entro cui veniva colato lo zolfo fuso; in questo modo la matrice imprimeva, sui pani di zolfo, il nome del produttore del materiale, normalmente leggibile da sinistra a destra.
Per la realizzazione degli attuali lavori di scavo è stata firmata un'apposita convenzione triennale tra la Soprintendenza ai Beni Culturali di Agrigento e l'University of South Florida della città di Tampa. Direttore degli scavi è l'archeologo Davide Tanasi, da anni impegnato in collaborazioni archeologiche in Sicilia con le Università americane.
"Abbiamo iniziato gli scavi all'inizio del mese di luglio - ha spiegato l'archeologo Tanasi - miriamo a comprendere sia la reale vastità del complesso che è ben più grande di quello conosciuto ad oggi, sia risalire all'identità della personalità romana proprietaria di una villa così importante e ricca. Altro obiettivo è quello di ricostruire le fasi posteriori al periodo romano, quando il caseggiato fu trasformato in altro".
Secondo gli studiosi, le mura, i livelli pavimentali, la scala in pietra e il canale dell'acqua presente nella struttura hanno aiutato i ricercatori a stabilire che l'edificio è stato costantemente occupato tra il II e il VII secolo d.C., con un restauro ed un adattamento nel V secolo d.C.. Dallo scavo sono emerse pentole, lampade in ceramica ed attrezzature varie che hanno spinto i ricercatori a ritenere che la funzione precipua di questa grande fattoria fosse quella di produrre ceramica, mattoni e piastrelle su scala industriale, arrecando un notevole contributo alla conoscenza della storia economica della Sicilia tardo-antica.
Il peristilio della villa e gli ambienti attigui (Foto: Carlo Guidotti) |
Ville come queste erano, in realtà, al tempo dei Romani, delle vere e proprie fattorie situate nella immediata periferia di un centro abitato o in campagna. Si trattava delle case di personaggi di ceto abbiente presenti esclusivamente in Italia.
La sovrintendente Gabriella Costantino ha dichiarato: "Lo scavo ha avuto l'obiettivo di reinterpretare le intricate vicende edilizie attraverso cui la villa è andata incontro tra il I e il III secolo d.C., facendo emergere un'importante fase di occupazione di epoca bizantina, del tutto sconosciuta finora. Grande importanza ha infatti la scoperta di un vasto complesso per la produzione della ceramica, incentrato sul riuso dei forni che alimentavano le stanze calde delle terme come fornaci per la ceramica e le stanze stesse come vani di servizio".
Il pavimento a mosaico raffigurante Scilla (Foto: Carlo Guidotti) |
Vista l'entità della scoperta fu deciso di deviare il tracciato ferroviario, permettendo in tal modo la conservazione del sito e la prosecuzione degli scavi, durante i quali emersero ulteriori due vani in opus tessellatum. La campagna di scavi riprende soltanto verso la fine del secolo scorso, quando nel 1979 il Soprintendente Ernesto De Miro richiede la collaborazione del Professor Masanori Aoyagi, dell'Università giapponese di Tsukuba, il quale, estendendo l'analisi del territorio circostante, mette in luce il peristilio dell'area sud e l'intera area del complesso della villa romana. Oggi l'area visitabile è pari a 5.000 metri quadri circa e consta di due macro zone, una costituita dalla composizione dei vani destinati ad abitazione e una dedicata all'impianto termale.
Particolare dell'impianto termale (Foto: Carlo Guidotti) |
Nello specifico del territorio agrigentino, una delle maggiori fonti di ricchezza - e forse di arricchimento anche per il proprietario della villa di Realmonte - è lo sfruttamento delle miniere di zolfo, di proprietà privata, che fu attestata alla gens Annia nel II secolo d.C. e poi, nel III secolo, venne assorbita dal monopolio imperiale. Questa attività economica così importante ad Agrigento è documentata da oggetti particolari: si tratta delle Tegulae mancipium sulphuris, ovvero le tegole degli appaltatori di zolfo, sorta di tavolette di argilla con incisi alcuni caratteri latini al contrario, ovvero rovesciati e in senso destrorso, cioè da destra verso sinistra. Queste tavolette erano delle matrici inserite sul fondo di stampi, probabilmente in legno, entro cui veniva colato lo zolfo fuso; in questo modo la matrice imprimeva, sui pani di zolfo, il nome del produttore del materiale, normalmente leggibile da sinistra a destra.
Una Tegula mancipium sulphuris (Foto: izi.travel/it) |
"Abbiamo iniziato gli scavi all'inizio del mese di luglio - ha spiegato l'archeologo Tanasi - miriamo a comprendere sia la reale vastità del complesso che è ben più grande di quello conosciuto ad oggi, sia risalire all'identità della personalità romana proprietaria di una villa così importante e ricca. Altro obiettivo è quello di ricostruire le fasi posteriori al periodo romano, quando il caseggiato fu trasformato in altro".
Fonti:
ibtimes.com
sicilypresent.it/luoghi-e-storie/
ibtimes.com
sicilypresent.it/luoghi-e-storie/
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