Busto di oplita |
Gli eserciti delle poleis greche erano basati su una leva di cittadini in grado di pagarsi l'equipaggiamento da oplita, guerrieri pesantemente armati che combattevano, spalla a spalla, in una formazione massiccia chiamata falange (da phalanges, "colonne").
Se si escludono gli Spartani, considerati "artisti della guerra" per eccellenza, dal momento che la loro vita era interamente dedicata all'addestramento militare, ed alcune unità patrocinate dallo stato come il Battaglione Sacro (hieros lochos) di Tebe, gli eserciti erano comunemente composti da soldati-contadini non addestrati, che combattevano per la polis perché per loro era un dovere morale, sociale e politico. Essi combattevano insieme a vicini, fratelli, padri, figli zii e cugini e per questo facevano del loro meglio per mostrare coraggio e determinazione in combattimento.
I pieni diritti di cittadinanza, nella Grecia antica, erano conferiti solo a coloro che potevano permettersi di far parte della falange, sicché gli opliti erano praticamente una "nazione in armi". Solo ad Atene, in cui la marina militare acquisì via via una notevole importanza, i cittadini più poveri che remavano sulle triremi, i thetes, potevano acquisire un ruolo militare di rilievo. Da questo nacque quella che Aristotele definì efficacemente "la democrazia delle triremi".
La panoplia, vale a dire l'equipaggiamento dell'oplita, consisteva di uno scudo tondo a forma di ciotola (hoplon), di una corazza di bronzo o lino e di schinieri in bronzo, il tutto per un peso che variava dai 22,7 ai 31,7 chilogrammi. Lo scudo, del diametro di circa un metro, recava, applicato sull'esterno, un emblema che riproduceva, in genere, un animale che era un simbolo di riconoscimento personale o di appartenenza ad un clan. Lo scudo era costruito su un'anima di legno ed era ricoperto da uno strato sottile di bronzo laminato. L'interno era foderato di cuoio ed il suo peso poteva oscillare tra i 7 ed i 9 chilogrammi, per questo veniva sorretto da una combinazione di due maniglie: il bracciale (porpax) al centro, attraverso il quale veniva passato l'avambraccio, e l'impugnatura (antilabe) sull'orlo. Lo scudo copriva l'oplita dal mento al ginocchio e offriva protezione solo al fianco sinistro.
La testa dell'oplita era protetta completamente da un elmo in bronzo. L'elmo corinzio, il più comune tra gli elmi, era modellato da un solo foglio di bronzo che copriva tutto il viso, lasciando scoperti solo gli occhi. Sotto l'elmo molti soldati indossavano una fascia di stoffa oppure un copricapo di feltro che serviva sia a raccogliere i capelli sia per imbottire l'elmo stesso. La protezione andava a scapito della vista e dell'udito. L'oplita poteva spingere l'elmo sulla nuca quando non era in azione, lasciando in tal modo il viso scoperto.
Il torso era protetto dal linothorax, una corazza di lino, oppure da una corazza in bronzo. Quest'ultima poteva essere spessa fino a circa 1,27 centimetri ed era una corazza a campana fatta di piastre, con una sezione anteriore ed una posteriore. Il linothorax era, invece, composto da diversi strati di lino incollati a formare un indumento rigido dello spessore di circa mezzo centimetro. Sotto la vita questo indumento era tagliato a strisce (pteruges, "penne") per favorire il movimento. Il linothorax era estremamente flessibile. Gli schinieri in bronzo (knemides) proteggevano la parte inferiore della gamba. Erano abbastanza elastici da adattarsi ai polpacci.
L'arma dell'oplita era la lancia lunga (doru), di circa 2 o 3 metri, in frassino, con una punta in bronzo o in ferro e un contrappeso (o tallone) in bronzo. Il contrappeso era chiamato familiarmente "ammazzalucertole" (sauroter) e permetteva di piantare la lancia in terra quando l'oplita assumeva la posizione di riposo o di usare la lancia come mazza quando si spezzava la punta della stessa. La lancia era scagliata a braccio alzato, ma poteva essere tenuta sotto il braccio durante una carica di corsa. L'oplita portava anche una corta spada di ferro (kopis) con una pesante lama a forma di foglia, progettata per essere utilizzata di taglio.
Nel VII-VI secolo a.C. gli opliti costituivano la forza preponderante degli eserciti di Atene e Sparta nonché delle altre città greche. Da qui si diffusero in Occidente, soprattutto in Magna Grecia (Siracusa) ed a Roma, forse attraverso la mediazione etrusca, dove furono utilizzati nella metà del VI secolo a.C. con la costituzione centuriata di Servio Tullio.
Gli opliti combattevano in ranghi serrati, un vero e proprio muro di metallo da cui venivano gettate, sull'avversario, le pesanti aste. Una caratteristica non secondaria di queste falangi, era la reciproca protezione di ciascun oplita. Questo tipo di formazione e di armamento restarono in vigore fino all'inizio del IV secolo a.C., finché l'evoluzione dell'arte bellica creò i peltasti, più mobili e forniti di armi più leggere ed economiche, preferì l'impiego della cavalleria e la creazione di reparti di arcieri (toxotes) che erano in grado di rompere le file delle più compatte delle formazioni.
I peltasti più esperti e richiesti dell'antica Grecia erano Traci ed erano riconoscibili dallo scudo ligneo a forma di mezzaluna. Spesso i peltasti portavano armi da lancio ma non avevano quasi mai scudi pesanti ed indossavano degli elmi poco protettivi. Lo scudo semilunato veniva indossato sul gomito del braccio sinistro, in modo da lasciare libera anche la mano sinistra, oltre che la destra. Inizialmente gli strateghi greci li scartarono per la loro grande velocità in combattimento, preferendo utilizzarli solo per inseguimenti ed agguati. I peltasti erano solitamente dei mercenari, per cui poteva capitare che spesso cambiassero schieramento, a seconda della convenienza economica e, forse, fu anche questo il motivo che portò inizialmente gli strateghi Greci a non coinvolgerli nella battaglia vera e propria.
Il primo ad impiegare efficacemente i peltasti fu lo stratega ateniese Iphikràtes (415-354 a.C.). Iphikràtes si mise in luce al tempo della guerra di Corinto, riconquistando, nel 392 a.C., il porto corinzio di Lecheo caduto in mano spartana e battendo in combattimento campale, nel 390 a.C., gli Spartani. Iphikràtes partecipò anche alla guerra contro Tebe e tentò, nel 369 a.C., di contrastare, con scarso successo, l'avanzata di Epaminonda. Cadde in disgrazia e fu destituito nel 356 a.C. per essersi rifiutato di ingaggiare battaglia navale durante una giornata burrascosa.
Se si escludono gli Spartani, considerati "artisti della guerra" per eccellenza, dal momento che la loro vita era interamente dedicata all'addestramento militare, ed alcune unità patrocinate dallo stato come il Battaglione Sacro (hieros lochos) di Tebe, gli eserciti erano comunemente composti da soldati-contadini non addestrati, che combattevano per la polis perché per loro era un dovere morale, sociale e politico. Essi combattevano insieme a vicini, fratelli, padri, figli zii e cugini e per questo facevano del loro meglio per mostrare coraggio e determinazione in combattimento.
I pieni diritti di cittadinanza, nella Grecia antica, erano conferiti solo a coloro che potevano permettersi di far parte della falange, sicché gli opliti erano praticamente una "nazione in armi". Solo ad Atene, in cui la marina militare acquisì via via una notevole importanza, i cittadini più poveri che remavano sulle triremi, i thetes, potevano acquisire un ruolo militare di rilievo. Da questo nacque quella che Aristotele definì efficacemente "la democrazia delle triremi".
La panoplia, vale a dire l'equipaggiamento dell'oplita, consisteva di uno scudo tondo a forma di ciotola (hoplon), di una corazza di bronzo o lino e di schinieri in bronzo, il tutto per un peso che variava dai 22,7 ai 31,7 chilogrammi. Lo scudo, del diametro di circa un metro, recava, applicato sull'esterno, un emblema che riproduceva, in genere, un animale che era un simbolo di riconoscimento personale o di appartenenza ad un clan. Lo scudo era costruito su un'anima di legno ed era ricoperto da uno strato sottile di bronzo laminato. L'interno era foderato di cuoio ed il suo peso poteva oscillare tra i 7 ed i 9 chilogrammi, per questo veniva sorretto da una combinazione di due maniglie: il bracciale (porpax) al centro, attraverso il quale veniva passato l'avambraccio, e l'impugnatura (antilabe) sull'orlo. Lo scudo copriva l'oplita dal mento al ginocchio e offriva protezione solo al fianco sinistro.
Oplita greco siceliota con elmo trace (V secolo a.C.) |
Il torso era protetto dal linothorax, una corazza di lino, oppure da una corazza in bronzo. Quest'ultima poteva essere spessa fino a circa 1,27 centimetri ed era una corazza a campana fatta di piastre, con una sezione anteriore ed una posteriore. Il linothorax era, invece, composto da diversi strati di lino incollati a formare un indumento rigido dello spessore di circa mezzo centimetro. Sotto la vita questo indumento era tagliato a strisce (pteruges, "penne") per favorire il movimento. Il linothorax era estremamente flessibile. Gli schinieri in bronzo (knemides) proteggevano la parte inferiore della gamba. Erano abbastanza elastici da adattarsi ai polpacci.
L'arma dell'oplita era la lancia lunga (doru), di circa 2 o 3 metri, in frassino, con una punta in bronzo o in ferro e un contrappeso (o tallone) in bronzo. Il contrappeso era chiamato familiarmente "ammazzalucertole" (sauroter) e permetteva di piantare la lancia in terra quando l'oplita assumeva la posizione di riposo o di usare la lancia come mazza quando si spezzava la punta della stessa. La lancia era scagliata a braccio alzato, ma poteva essere tenuta sotto il braccio durante una carica di corsa. L'oplita portava anche una corta spada di ferro (kopis) con una pesante lama a forma di foglia, progettata per essere utilizzata di taglio.
Elmo greco corinzio |
Gli opliti combattevano in ranghi serrati, un vero e proprio muro di metallo da cui venivano gettate, sull'avversario, le pesanti aste. Una caratteristica non secondaria di queste falangi, era la reciproca protezione di ciascun oplita. Questo tipo di formazione e di armamento restarono in vigore fino all'inizio del IV secolo a.C., finché l'evoluzione dell'arte bellica creò i peltasti, più mobili e forniti di armi più leggere ed economiche, preferì l'impiego della cavalleria e la creazione di reparti di arcieri (toxotes) che erano in grado di rompere le file delle più compatte delle formazioni.
Un peltasta |
Il primo ad impiegare efficacemente i peltasti fu lo stratega ateniese Iphikràtes (415-354 a.C.). Iphikràtes si mise in luce al tempo della guerra di Corinto, riconquistando, nel 392 a.C., il porto corinzio di Lecheo caduto in mano spartana e battendo in combattimento campale, nel 390 a.C., gli Spartani. Iphikràtes partecipò anche alla guerra contro Tebe e tentò, nel 369 a.C., di contrastare, con scarso successo, l'avanzata di Epaminonda. Cadde in disgrazia e fu destituito nel 356 a.C. per essersi rifiutato di ingaggiare battaglia navale durante una giornata burrascosa.
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