giovedì 1 novembre 2012

Santuario di Demetra ritrovato in Tuscia

Statuetta di Demetra ritrovata nel
piccolo Santuario
Uno scavo di emergenza, fatto nel 2006, per impedire che gli scavatori clandestini potessero ulteriormente danneggiare il luogo, ha portato alla luce un interessante complesso archeologico frequentato sia in epoca etrusca che romana. Gli scavi sono stati condotti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Etruria Meridionale nella persona di Maria Gabriella Scapaticci. Il luogo era già conosciuto dagli archeologi soprattutto per l'esistenza dei resti di una cisterna romana, di una cava dismessa di peperino e di una strada scavata nella roccia che porta alla cava. Un primo scavo di emergenza in loco era già stato compiuto dalla Soprintendenza nel 1987. Da questo scavo erano emersi dei resti che furono attributi ad una villa romana e che sono stati successivamente rinterrati.
Il complesso riportato alla luce comprende una serie di ambienti rupestri, di aree cultuali all'aperto e una cella. Gli archeologi lo hanno battezzato Santuario di Demetra poiché qui si veneravano sia la dea greca delle messi e della terra che a sua figlia Persephone/Kore. Il Santuario dista 600 metri circa dalla strada provinciale Cura di Vetralla-Blera. Fa parte del complesso la vicina cava di peperino, una dura roccia vulcanica la cui resistenza è stata sfruttata dagli Etruschi, che ne hanno tratto materiale per le loro necropoli: letti, sarcofagi, urne, statue. Anticamente, forse, qui sgorgava una sorgente, lo si deduce dalla presenza di un antico fontanile scavato in un monolite.
Veduta aerea degli scavi del tempio di Gravisca
Il tempietto è veramente piccolo, con un tetto a doppio spiovente (rimosso per poter effettuare gli scavi) e vi è stata ritrovata una statua in terracotta di 50 centimetri circa di altezza, identificata con la greca Demetra, assimilata all'etrusca Vei, che i Romani adoravano con il nome di Cerere. Sono stati ritrovati anche alcuni elementi legati al culto: un tavolino rituale e un'ara; tutti si trovavano nella stessa posizione in cui vennero lasciati nell'antichità. La cella è lunga quasi due metri e larga uno, sul fondo reca una risega sopraelevata nel banco di roccia, dove era posta la divinità tutelare in posizione seduta, con accanto la testina in terracotta di un'altra divinità femminile. Non sono presenti pitture parietali, solo un intonaco color crema.
Sotto il tavolino rituale e ai piedi della statua, gli archeologi hanno ritrovato delle lucerne, un piccolo boccale, un'olletta e dei coperti rovesciati di proposito. Sul piano del tavolino vi erano frammenti di tegole e un asse di Domiziano (86 d.C.). Di fronte alla cella vi era lo spazio sacro in cui sono stati ritrovati altri oggetti: un donario costituito da un'ara con soprastante un busto in terracotta, entrambi del III secolo a.C., ma in uso anche durante l'età imperiale; numerose lucerne in terracotta.
Area archeologica di Pyrgi (Santa Severa)
Gli archeologi hanno ipotizzato, dalla forma e dalla posizione del tempietto, che l'edificio risalga al VI secolo a.C.. L'area sacra esterna al piccolo edificio era costituita da una serie di fosse votive in cui erano stati seppelliti tutti gli ex voto e i doni in terracotta che si accumulavano, nel corso degli anni, nel tempio. Sono stati ritrovati numerosi ex voto anatomici: uteri, gambe, teste, piedi e molte statuette raffiguranti donne.
La statua ritrovata nel tempietto, raffigurante la divinità seduta in trono e identificata con la greca Demetra, è ora custodita al Museo Nazionale Etrusco di Viterbo. Ha una corona in testa ed i capelli disposti a crocchia, secondo una moda di stampo ellenistico. Probabilmente era dipinta. Nella mano superstite reca una patera (un piattello per le offerte) mentre nell'altra, purtroppo mancante, forse teneva delle spighe. Sulla base di un confronto con opere simili, gli archeologi hanno ipotizzato una datazione al III secolo a.C., epoca durante la quale venne realizzata la cella. Il luogo, però, era sicuramente frequentato anche in epoca precedente, per un culto legato alla presenza dell'acqua alla quale si attribuivano proprietà terapeutiche.
L'etrusca Vei era una divinità autoctona adorata in diverse località dell'Etruria Centro-Meridionale. Era una dea legata al mondo femminile, alla riproduzione, ai cambiamenti di status. Il corrispondente greco di Vei, Demetra, giunse in Etruria nel VI secolo a.C. (è raffigurata su vasi attici che arrivarono in Etruria, come il cratere François del 570 a.C.). Nel V secolo d.C. le dee eleusine (Demetra e sua figlia Persephone/Kore) attraversarono il Mediterraneo giungendo anche in Etruria, dove vengono raffigurate solitamente presso il carro di Trittolemo. La presenza del culto di Demetra e di sua figlia è stata riscontrata a Gravisca (porto di Tarquinia) ed a Pyrgi (porto di Cerveteri). Le attestazioni epigrafiche restituiscono il nome di una divinità femminile locale di nome Kavatha che, proprio a Pyrgi, è chiamata "figlia" ed è spesso nominata in coppia con Suri, un dio ctonio con funzioni di oracolo paragonabile a Dis Pater (alcuni studiosi leggono nelle due figure come una coppia di sposi e, precisamente, Persephone e Ade). L'etrusca Kavatha era legata al matrimonio ed ai riti di passaggio e la sua figura è stata assimilata a Persephone/Kore per la presenza, in loco, del culto di Demetra e per le caratteristiche proprie di Kavatha.
Il piccolo santuario di Demetra nella Tuscia viterbese
Un edificio dedicato a Demetra è stato ritrovato e identificato a Gravisca. In questo edificio sono state ritrovate anche due dediche a Vei, una sul fondo di uno skyphos attico a vernice nera della fine del VI secolo a.C., una all'esterno di una kylix attica a figure rosse.
Il tempietto ritrovato nella Tuscia viterbese era legato al mondo contadino e destinato al culto rurale. Non si sanno i motivi del suo abbandono che, comunque, fu voluto e non determinato da cause improvvise. L'area venne, infatti, sigillata con uno strato di residui di cava, lasciando intenzionalmente intatte la cella e l'antecella. In varie zone del terreno fu sparsa una sostanza, forse liquida, che è stata "rintracciata" in uno strato più scuro del terreno

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