Segni di tagli orizzontali all'esterno dell'orbita sinistra di uno dei teschi Wata Wata che portano a pensare ad un'asportazione dei globi oculari (Foto: Sara K. Becker) |
Non lontano dalle sponde del lago Titicaca, nella regione di Kallawaya, in Bolivia, gli archeologi hanno scavato il sito di Wata Wata, risalente ad un periodo compreso tra il 200 e l'800 d.C.. Qui hanno scoperto tre teschi appartenenti a persone percosse, decapitate e smembrate.
Nelle Ande centrali era diffusa, dal punto di vista artistico, la rappresentazione di teste mozzate: sculture in pietra che servivano da tazze cerimoniali raffigurano divinità recanti un'ascia in una mano e una testa appena staccata dal corpo nell'altra. Finora, però, gli archeologi hanno sempre pensato che si trattasse più di arte figurativa che di una realtà vera e propria, dal momento che nessuna prova fisica di simili violenze era stata mai trovata.
Pare che, ora, vi sia la prova che simili cruenti rituali non erano mere rappresentazioni figurative. La bioarcheologa Sara Becker, dell'Università della California, e l'archeologa Sonia Alconini, dell'Università di San Antonio in Texas hanno annunciato di aver scoperto un luogo in cui sono state poste teste umane macellate. L'analisi osteologica ha provato che si trattava di un cranio maschile e di due femminili, tutti con una lieve deformazione della volta cranica, provocata attraverso l'applicazione di strette fasce fin dall'infanzia.
I tre individui hanno subito percosse e violenze nell'immediatezza o al momento stesso della morte, comprese raschiature di carne dalle ossa e bruciature. Segni di taglio sulle vertebre del collo e del cranio di una delle due donne, è la prova che è stata scotennata e decapitata. Alcuni tagli nei pressi degli zigomi fanno pensare che le siano stati cavati anche gli occhi.
Il teschio maschile, appartenente ad un adulto, mostra i segni di una rottura del setto nasale che si è saldata prima della sua morte, una frattura del cranio perimorte provocata da massicci colpi inferti al lato della testa. Anche questo teschio mostra segni che fanno pensare ad un'estrazione dei globi oculari.
L'altro teschio, appartenente ad una femmina adulta, presenta anch'esso tracce di un forte colpo alla testa che è stato causa di morte. La donna è stata poi decapitata, la mascella asportata e gli occhi cavati.
A causa dell'antichità dei teschi, le Dottoresse Becker e Alconini non possono essere certe al cento per cento della violenta catena di eventi che portarono alla morte dei tre individui. Sicuramente lo smembramento è avvenuto successivamente ai traumi cranici e almeno uno dei due defunti è stato scarnificato. L'evidenza bioarcheologica dei tagli attorno alle orbite di prigionieri dei Moche e le prove storiche di pratiche di sevizie Inca, fanno pensare che la rimozione dei globi oculari fosse una comune forma di tortura.
I crani di Wata Wata non erano teste trofeo, secondo le Dottoresse Becker e Alconini. Si trattava di resti umani utilizzati per essere portati in trionfo, dal momento che ci sono prove che i teschi venivano appesi a delle funi o conficcati su pali di una certa altezza. I ricercatori pensano che questi tre individui siano stati trattati in questo modo per privarli del loro potere. L'estrazione fisica degli occhi dalle teste Wata Wata potrebbe rappresentare la privazione del potere "accecante" che questi individui possedevano in vita.
Nelle Ande centrali era diffusa, dal punto di vista artistico, la rappresentazione di teste mozzate: sculture in pietra che servivano da tazze cerimoniali raffigurano divinità recanti un'ascia in una mano e una testa appena staccata dal corpo nell'altra. Finora, però, gli archeologi hanno sempre pensato che si trattasse più di arte figurativa che di una realtà vera e propria, dal momento che nessuna prova fisica di simili violenze era stata mai trovata.
Pare che, ora, vi sia la prova che simili cruenti rituali non erano mere rappresentazioni figurative. La bioarcheologa Sara Becker, dell'Università della California, e l'archeologa Sonia Alconini, dell'Università di San Antonio in Texas hanno annunciato di aver scoperto un luogo in cui sono state poste teste umane macellate. L'analisi osteologica ha provato che si trattava di un cranio maschile e di due femminili, tutti con una lieve deformazione della volta cranica, provocata attraverso l'applicazione di strette fasce fin dall'infanzia.
I tre individui hanno subito percosse e violenze nell'immediatezza o al momento stesso della morte, comprese raschiature di carne dalle ossa e bruciature. Segni di taglio sulle vertebre del collo e del cranio di una delle due donne, è la prova che è stata scotennata e decapitata. Alcuni tagli nei pressi degli zigomi fanno pensare che le siano stati cavati anche gli occhi.
Il capitano Inca Topa Amaro Ynga raffigurato mentre cava gli occhi a un ribelle (1613, cronaca di Guaman Poma de Ayala) |
L'altro teschio, appartenente ad una femmina adulta, presenta anch'esso tracce di un forte colpo alla testa che è stato causa di morte. La donna è stata poi decapitata, la mascella asportata e gli occhi cavati.
A causa dell'antichità dei teschi, le Dottoresse Becker e Alconini non possono essere certe al cento per cento della violenta catena di eventi che portarono alla morte dei tre individui. Sicuramente lo smembramento è avvenuto successivamente ai traumi cranici e almeno uno dei due defunti è stato scarnificato. L'evidenza bioarcheologica dei tagli attorno alle orbite di prigionieri dei Moche e le prove storiche di pratiche di sevizie Inca, fanno pensare che la rimozione dei globi oculari fosse una comune forma di tortura.
I crani di Wata Wata non erano teste trofeo, secondo le Dottoresse Becker e Alconini. Si trattava di resti umani utilizzati per essere portati in trionfo, dal momento che ci sono prove che i teschi venivano appesi a delle funi o conficcati su pali di una certa altezza. I ricercatori pensano che questi tre individui siano stati trattati in questo modo per privarli del loro potere. L'estrazione fisica degli occhi dalle teste Wata Wata potrebbe rappresentare la privazione del potere "accecante" che questi individui possedevano in vita.
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