venerdì 26 dicembre 2025

Scoperte interessanti negli alloggi della Villa di Civita Giuliana a Pompei

Pompei, gli ambienti servili della Villa
di Civita Giuliana
(Foto: archeomedia.net)

Nuove scoperte nella villa di Civita Giuliana nei pressi degli Scavi di Pompei. In questa dimora i lavoratori schiavizzati che i Romani consideravano “strumenti parlanti” (instrumentum vocale), in alcuni casi godevano di una nutrizione migliore dei loro prossimi “liberi”. Tale quadro, suggerito dalle fonti scritte, sembra ora trovare riscontro negli scavi della villa di Civita Giuliana vicino a Pompe.
In uno degli ambienti al primo piano del quartiere servile della grande villa sono stati trovati anfore con fave, di cui una semivuota, nonché un grande cesto con frutta (pere, mele o sorbe). Si tratta di integratori preziosi per uomini, donne e bambini ridotti in schiavitù, che abitavano in piccole celle di 16 mq. Ciascuna cella conteneva fino a tre letti. In quanto “strumenti di produzione”, il cui valore poteva arrivare a diverse migliaia di sesterzi, il padrone evidentemente aveva pensato bene di integrare la dieta dei lavoratori agricoli, basata sul grano, con alimenti ricchi di vitamine, come le pere o le mele, e proteine, come le fave.
La conservazione al primo piano, in una zona dove le indagini stratigrafiche continueranno nei prossimi mesi, verosimilmente aveva una doppia finalità: in primo luogo, gli alimenti erano più protetti da parassiti come i roditori. Sin dal 2023, sono stati trovati resti di diversi esemplari di topi e ratti negli alloggi servili del pianterreno, che non disponevano di un vero e proprio pavimento ma solo di un battuto di terra. Inoltre, è probabile che comunque fosse previsto un razionamento e dunque un controllo di quanto ciascuno poteva prendere giornalmente dalla dispensa, anche in base alle mansioni, all’età e al sesso. Tale controllo potrebbe essere risultato più facile conservando i viveri al primo piano, dove potrebbero aver alloggiato i servi più fidati del padrone di casa, che esercitavano un controllo sugli altri.
Si stima che per un numero di cinquanta lavoratori, che corrisponde alla capienza del quartiere servile di Civita Giuliana, uno dei più grandi noti dal territorio dell’antica Pompei, servissero circa 18.500 chilogrammi di grano all’anno. Per la produzione di una tale quantità era necessaria una superficie di circa 25 ettari. Tuttavia, per evitare il diffondersi di malattie legate alla malnutrizione, era essenziale aggiungere altri alimenti alla dieta; solo così si poteva garantire la piena efficacia degli “strumenti parlanti”. Poteva così verificarsi che gli schiavi delle ville intorno a Pompei fossero meglio nutriti di molti cittadini formalmente liberi, alle cui famiglie mancava il minimo per vivere e che erano pertanto costretti a chiedere elemosine ai personaggi eminenti della città.
Le indagini archeologiche si sono concentrate nel settore nord del quartiere servile nello spazio occupato dall’attuale strada di Via Giuliana, al di sotto della quale si sono messe in luce le strutture murarie riferibili ai piani superiori della villa, ed in particolar modo a quattro ambienti delimitati da tramezzi in opus craticium.
Gli ambienti indagati al piano terra hanno restituito il calco dell’anta di una porta, composta da due pannelli rettangolari e con ancora le borchie in ferro, probabilmente una delle ante della porta a doppio battente che dal portico conduceva al corridoio che terminava all’ingresso del sacrario. Un secondo calco sembra rientrare nella sfera degli attrezzi agricoli, forse un aratro a spalla o una stegola, ovvero l’elemento che serve a guidare un aratro trainato da animali.
Un altro calco di notevoli dimensioni potrebbe essere interpretato come un’anta di un portone che, a giudicare dagli incassi e dagli alloggi presenti sul lato lungo superiore, doveva essere a doppio battente. La sua posizione leggermente inclinata verso la parete a cui si appoggia e la vicinanza alla stanza cosiddetta del carpentiere lascia ipotizzare che potesse essere qualcosa in attesa o in fase di riparazione.
La villa di Civita è stata oggetto di una campagna di scavo avviata a partire dal 2017 grazie alla collaborazione con la Procura della Repubblica di Torre Annunziata, che nel 2019 è stata sancita dalla sottoscrizione di un Protocollo d’intesa, rinnovato più volte, finalizzato ad arrestare il saccheggio sistematico che per anni aveva interessato la villa. Le indagini del 2023-24 si sono concentrate lungo il tratto urbano di strada, investigando per la prima volta un’area interposta tra i due settori già noti, quello residenziale a nord e il quartiere servile a sud, allo scopo di verificare l’attendibilità delle informazioni recuperate dalle indagini giudiziarie condotte dalla Procura.
Attualmente è in corso il progetto “Demolizione, scavo e valorizzazione in località Civita Giuliana” finanziato con i fondi ordinari del Parco, che prevede la demolizione di due costruzioni che insistono sul quartiere servile ed il successivo ampliamento delle attività di scavo archeologico di questo quartiere di cui, allo stato attuale, conosciamo solo una parte. Lo scavo permetterà di ricostruire un quadro più completo e articolato dell’organizzazione planimetrica della villa e della sua estensione nel quartiere servile, elemento di fondamentale importanza per mettere a punto nuove strategie di conservazione e valorizzazione di tutta l’area in questione.

Fonte:
Ufficio Stampa e Comunicazione MIC


Sicilia, ricchezze e misteri della Villa romana di Durrueli

Agrigento, villa romana di Durrueli
(Foto: archeomedia.net)

A Realmonte, presso Agrigento, sulla costa meridionale della Sicilia, un ritrovamento sorprendente ha riacceso l'attenzione degli archeologi: un secondo impianto termale, finora sconosciuto, è riemerso all'interno del complesso della Villa romana di Durrueli. La scoperta allude ad un potente aristocratico proprietario della villa.
La Villa romana di Durrueli si affaccia sul mare e sorge a poca distanza da una spiaggia ampia e luminosa con un approdo naturale. Si trattava non solo di una residenza estiva, ma di una villa marittima connessa alle attività economiche e marittime dell'epoca. Gli spazi, i materiali e le tecnologie impiegate rivelano una cura maniacale del dettaglio, un'economia domestica capace di sostenere impianti complessi e personale specializzato.
Il nuovo impianto termale, riportato alla luce dal team del Parco Archeologico della Valle dei Templi, in collaborazione con l'Università di Catania e il CNR, aggiunge un tassello fondamentale al mosaico. Fino ad oggi era noto un solo settore termale, ora se ne scopre un secondo, più sofisticato ed articolato.
La nuova area comprende l'ipocausto, il sistema di riscaldamento a pavimento con pilae (colonnine in laterizio), il tepidarium, dove il calore era più mite, il calidarium, con temperatura elevata e vapore intenso ed un ambiente laterale più appartato, forse invernale o riservato a ospiti illustri.
Tutti gli ambienti sono dotati di tubuli in ceramica per la circolazione del calore e nei vani sono stati ritrovati residui di essenze vegetali come mirto e ginepro, usati per rendere l'esperienza termale più aromatica e sensoriale.
La presenza di due balnea nella stessa villa è un caso raro nell'architettura romana e testimonia un livello di benessere fuori dal comune, aprendo interrogativi sull'identità di chi poteva permettersi un tale lusso. Le evidenze storiche ed archeologiche suggeriscono un'attribuzione alla gens Annea, potente famiglia aristocratica romana presente in Sicilia tra il II ed il IV secolo d.C. Il nome Villa di Publio Annio è una convenzione, non confermata da iscrizioni dirette, ma fondata sul contesto storico e sui documenti epigrafici che parlano di proprietà della famiglia nella regione.
La gens Annia, di origine italica, possedeva vasti latifondi in Sicilia e residenze di prestigio. Alcuni membri ricoprivano ruoli pubblici importanti, con responsabilità amministrative nelle città dell'isola. La villa non era solo un luogo di svago, ma anche un centro produttivo e strategico. I reperti precedenti, come mosaici policromi, stucchi, tegole timbrate, lucerne e strumenti agricoli confermano l'esistenza di un'attività agricola strutturata. Non mancavano animali da allevamento né prodotti da trasformare e commerciare.
Le tracce vegetali rinvenute nei vani termali parlano di un'attenzione alla cura del corpo oggi quasi sorprendente. Gli ambienti sembrano progettati esclusivamente per il benessere, al fine di offrire un'esperienza di piacere. La presenza di calcare compatto nei canali di scolo attesta l'uso costante di acqua ricca di minerali, elemento che potenziava i benefici delle terme e richiedeva manutenzione continua.

Fonte:
siciliafan.it


Scozia, trovate misteriose sepolture dell'Età del Bronzo

Scozia, le urne contenenti resti umani
(Foto: bbc.com)

Recenti ricerche archeologiche hanno rivelato una misteriosa sepoltura comune nel sud della Scozia risalente a circa 3300 anni fa.
Gli scavi condotti in anni recenti hanno rivelato un tumulo dell'Età del Bronzo contenente le ossa cremate appartenenti a diverse persone, custodite in cinque urne. I resti appartenevano ad almeno otto individui, tutti posti lì in una sepoltura di massa risalente ad un periodo compreso tra il 1439 ed il 1287 a.C.
Le analisi hanno rivelato che i resti furono cremati e poi sepolti quasi immediatamente. Di solito le tradizioni dell'Età del Bronzo volevano che si lasciassero i corpi esposti per un certo periodo, com'è testimoniato in un altro scavo a Broughton, nelle Borders. Quella appena scoperta è una sepoltura riutilizzata da una comunità per un lungo periodo di tempo. Gli archeologi pensano che sia riconducibile ad un periodo di carestia che funestò la regione.

Fonte:
bbc.com 


Egitto, scavato da una missione italiana il tempio a valle nel complesso solare del faraone Nyuserra

Egitto, uno dei reperti recuperati dalla missione archeologica
italiana ad Abu Ghurab (Foto: Università di Torino)

Una missione archeologica dell'Università di Torino, in collaborazione con l'Università di Napoli L'Orientale, ha portato alla luce un notevole ritrovamento nei pressi de Il Cairo. Gli scavi nel sito di Abu Ghurab hanno permesso di individuare un tempio a valle all'interno del complesso solare del faraone Nyuserra, sovrano della V Dinastia (III millennio a.C.).
Il tempio a valle rappresenta un elemento chiave nell'architettura dell'antico Egitto, poiché collegava il santuario superiore situato su una collina desertica alla valle del Nilo, attraverso cui giungevano offerte e personale. Il complesso di Nyuserra, noto come il primo esempio di tempio dedicato esplicitamente al dio sole Ra, era già stato individuato alla fine dell'Ottocento dall'archeologo Ludwig Borchardt, ma non era stato scavato a causa dell'alto livello della falda freatica. Il mutamento del corso del Nilo e la costruzione della diga di Assuan hanno abbassato il livello delle acque sotterranee, rendendo possibile l'indagine archeologica.
Le campagne del 2024 e 2025, guidate da Massimiliano Nuzzolo per l'Università di Torino, e da Rosanna Pirelli per l'Università di Napoli, si sono concentrate sull'area che fungeva da accesso al santuario. Il Ministero Egiziano delle Antichità e del Turismo ha confermato ufficialmente i risultati, che documentano uno dei rarissimi templi a valle legati ad un complesso solare dell'Antico Regno.
Le strutture emergenti indicano un edificio monumentale, esteso su oltre 1.000 metri quadrati, pari a metà dell'intero santuario. La costruzione superava i 5,5 metri di altezza ed era realizzata con materiali pregiati quali il granito rosa, il calcare bianco fine e la quarzite rossa. Numerosi blocchi recano iscrizioni con il nome di Nyuserra e riferimenti a festività religiose, probabilmente parte di un calendario rituale esposto all'esterno. L'indagine ha, inoltre, evidenziato che il santuario, utilizzato per circa un secolo, venne successivamente abbandonato e rioccupato dalle comunità locali per oltre trecento anni.

Fonte:
finestresullarte.info

Oplontisi, emergono nuove meraviglie nella Villa di Poppea

Oplontis, salone della Maschera e del Pavone
(Foto: finestresullarte.info)

E' attualmente in corso, a Oplontis-Torre Annunziata, un cantiere di scavo e restauro della Villa di Poppea che sta coinvolgendo, in modo particolare, il celebre salone della Maschera e del Pavone, uno degli ambienti più raffinati della residenza, decorato in II stile. Dalle indagini archeologiche stanno emergendo nuovi suggestivi lacerti di affreschi di grande raffinatezza, tra i quali spiccano figure vivaci di pavoni e maschere.
Lo scavo consentirà di stabilire una connessione diretta con il vicino Spolettificio Borbonico, dove, nei prossimi anni, sorgeranno spazi espositivi museali, depositi e servizi aggiuntivi.
Tra le scoperte di maggiore rilievo figura una pavonessa raffigurata integralmente, simmetrica rispetto al pavone maschio individuato sulla porzione meridionale della stessa parete, insieme a frammenti affrescati con l'immagine di una maschera scenica riconducibile ad un personaggio della Commedia Atellana. Diversamente da altre maschere presenti nell'ambiente, riferibili alla Tragedia, questa è identificabile con Pappus, il vecchio sciocco che tenta invano di atteggiarsi a giovane e viene regolarmente deriso. Di particolare interesse è anche il rinvenimento di frammenti di affresco raffiguranti un tripode dorato inserito in un cerchio, analogo per impostazione a quello rappresentato su un'altra parete, dove compare, invece, un tripode di bronzo.
Attraverso l'impiego della tecnica dei calchi, lo scavo ha inoltre restituito le impronte degli alberi che decoravano il giardino, conservate nella loro posizione originaria e disposte secondo un preciso schema ornamentale. Questo assetto raddoppiava idealmente il colonnato del porticato meridionale, richiamando soluzioni note sia nelle domus di Pompei che nella stessa Oplontis.
Sono stati anche individuati quattro nuovi ambienti che si aggiungono ai 99 già conosciuti, tra i quali un vano absidato, verosimilmente appartenente al settore termale. Di particolare interesse è il rilevamento di un paleoalveo, ovvero un antico tratto di alveo di un torrente stagionale che scorreva in corrispondenza dell'attuale via dei Sepolcri. Questo alveo si sarebbe formato probabilmente dopo l'eruzione del 1631, che ha eroso parte dei depositi lasciati dall'eruzione del 79 d.C., offrendo nuovi elementi per comprendere l'evoluzione del paesaggio circostante.
Parallelamente allo scavo è in corso un intervento di restauro degli apparati decorativi dei due piccoli ma preziosi ambienti originariamente destinati al riposo, detti cubicula, affacciati nell'area sudoccidentale della villa, in prossimità dell'altro cantiere. Colpisce la straordinaria ricchezza delle decorazioni, composte da stucchi, affreschi parietali, volte dipinte e pavimenti musivi di grande qualità che testimoniano l'elevato livello tecnico degli artigiani antichi e l'uso di una gamma cromatica ampia, che include anche il prezioso blu egizio.
Il primo ambiente presenta affreschi in II stile, con finti marmi ed architetture fantastiche che ampliano visivamente lo spazio. Le volte sono ornate da un motivo a cassettoni mentre le lunette ospitano raffigurazioni paesaggistiche. La pavimentazione musiva è conservata solo parzialmente e presenta tessere bianche e nere disposte in motivi geometrici. Attraverso uno stretto passaggio si accede ad un secondo ambiente, apparentemente più sobrio, decorato in III stile con fondi monocromi e motivi floreali. Originariamente doveva essere coperto da una volta della quale restano poche tracce. In questo spazio sono riconoscibili diverse fasi di intervento, alcune delle quali, incompiute, suggeriscono che l'ambiente fosse in fase di ristrutturazione al momento dell'eruzione.
Sono inoltre conservati i calchi delle imposte di porte e finestre, realizzati in gesso al momento della scoperta secondo una tecnica derivata da quella messa a punto da Fiorelli, che preservano ancora tracce originali del legno.

Fonte:
finestresullarte.info


Il mosaico nascosto di Aquileia


Aquileia, il tappeto fiorito (Foto: Fondazione Aquileia)
Ad Aquileia è tornato alla luce, dopo oltre sessant'anni, il mosaico del "tappeto fiorito", una delle testimonianze più raffinate dell'arte musiva aquileiese.
Il mosaico era stato scoperto più di sessant'anni fa, tra il 1962 ed il 1963, nel corso delle indagini archeologiche condotte dalla Soprintendenza durante la costruzione della caserma dei carabinieri.
Il pavimento musivo, esteso per circa 76 metri quadrati (10,10 x 7,60 m), presenta al centro un riquadro decorato da una raffinata composizione floreale realizzata con tessere policrome e venne datato, in un primo momento, agli inizi del II secolo d.C. Al termine delle indagini, il mosaico fu nuovamente interrato per garantirne la conservazione. La recente scoperta ha confermato come il pavimento musivo si sia conservato in condizioni perfette.

Fonte:
finestresullarte.info
 

Scoperte interessanti negli alloggi della Villa di Civita Giuliana a Pompei

Pompei, gli ambienti servili della Villa di Civita Giuliana (Foto: archeomedia.net) Nuove scoperte nella  villa di Civita Giuliana  nei pres...