Ricostruzione del mosaico principale della domus di Savignano |
A ben 115 anni dal suo ritrovamento, il mosaico tardoromano di Savignano, finalmente restaurato, fa bella mostra di sé nel Lapidario Romano dei Musei Civici di Modena fino al 12 maggio 2013.
I resti di una grande struttura di età tardo antica vennero alla luce a Savignano sul Panaro nel 1897. Subito emersero eccezionali pavimenti musivi che indussero l'allora direttore del Museo Civico di Modena, Arsenio Crespellani, ad intraprendere uno scavo archeologico durante il quale vennero eseguiti anche degli acquerelli policromi dei mosaici.
Mosaici così raffinati non potevano che appartenere ad una domus di prestigio che testimoniava l'importanza di Savignano come residenza elitaria della società tardoantica. Al termine delle indagini dell'Ottocento, i mosaici vennero ricoperti e lasciati là dove erano stati ritrovati. Il recupero è avvenuto tra il 2010 e il 2011, durante i lavori per la realizzazione di una rotatoria.
La Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna, memore che nel sottosuolo giacevano i preziosi reperti, ha predisposto il controllo archeologico che ha portato alla conferma dell'esistenza dei mosaici. Uno di essi è stato distaccato dall'ambiente al quale apparteneva. Originariamente questo tappeto di pietre policrome misurava 7 x 4,50 metri. La sua decorazione è prevalentemente a treccia, con motivi geometrici e vegetali alternati al nodo di Salomone.
Le indagini archeologiche sul campo sono state condotte da Giorgia Dalla Casa e dalla Ditta Tecne Srl e sono stati diretti da Luca Mercuri, della Soprintendenza per i Beni Archeologici. Durante lo scavo moderno sono stati indagati quattro ambienti della domus, dei quali solo uno è stato ben individuato e studiato. Gli ambienti, nel loro complesso, sono stati piuttosto danneggiati da interventi effettuati in epoche diverse.
L'ambiente esplorato completamente sembra essere la stanza più importante della domus, con una pianta rettangolare di 6,90 per 4,80 metri. L'elemento centrale del mosaico pavimentale di questo ambiente è una stella a otto punte; ogni punta, a sua volta, dà origine a otto ottagoni. Il mosaico presenta tessere vitree di colore rosso e verde disposte casualmente.
Un altro ambiente, chiamato "ambiente 3", è stato scavato, fotografato e nuovamente ricoperto. E' una stanza quadrata con lati della lunghezza di 3 metri. Il cosiddetto "ambiente 2" è stato scavato solo parzialmente. Era in pessime condizioni e ne è stato estratto e restaurato solo un angolo di pavimento musivo.
Probabilmente la domus alla quale appartenevano gli splendidi mosaici era una villa rustica del I secolo a.C. - I secolo d.C., che ha avuto una vita piuttosto lunga con diversi adattamenti a seconda del gusto e dei bisogni di chi l'ha abitata nel corso degli anni. Gli archeologi pensano che i mosaici siano stati composti da un'officina locale che utilizzava cartoni provenienti da aree e periodi diversi, non mancando, ovviamente, di adattarli all'epoca e al gusto dei committenti.
Una delle ricostruzioni subite dalla domus è, forse, ricollegabile all'arrivo della corte imperiale a Ravenna, che dette luogo ad una riqualificazione dell'area emiliano-romagnola ed una trasformazione sia delle ville rustiche che delle strutture urbane. Gli edifici cittadini acquisirono nuovi ambienti anche absidati e lo stesso accadde alle ville rustiche che divennero dei casini di caccia.
Sotto uno dei pavimenti della villa tardoantica sono emersi i resti di una vasca in cocciopesto che, forse, era destinata alla decantazione del vino o dell'olio o per la lavorazione dell'argilla. Sono stati recuperati, anche, frammenti in ceramica a vernice nera e rossa del I secolo a.C. - I secolo d.C. ed alcuni recipienti in vetro (la parete di una coppa, il fondo di un balsamario e quello di una coppetta), oltre a ceramiche da mensa sia di uso comune che di un certo pregio, vetri e anfore di produzione africana, nonché alcuni scarti di fornace.
La Villa di Melda di Sotto, dalla quale proviene il mosaico in esposizione a Modena, faceva probabilmente parte di un centro rurale nelle vicinanze dell'antica via Claudia, le cui attività più importanti erano sicuramente la lavorazione dell'argilla, la coltivazione della vite e dell'olivo, l'allevamento degli ovini e la produzione della cosiddetta "lana modenese", ricordata anche da Strabone nel I secolo a.C.
I resti di una grande struttura di età tardo antica vennero alla luce a Savignano sul Panaro nel 1897. Subito emersero eccezionali pavimenti musivi che indussero l'allora direttore del Museo Civico di Modena, Arsenio Crespellani, ad intraprendere uno scavo archeologico durante il quale vennero eseguiti anche degli acquerelli policromi dei mosaici.
Mosaici così raffinati non potevano che appartenere ad una domus di prestigio che testimoniava l'importanza di Savignano come residenza elitaria della società tardoantica. Al termine delle indagini dell'Ottocento, i mosaici vennero ricoperti e lasciati là dove erano stati ritrovati. Il recupero è avvenuto tra il 2010 e il 2011, durante i lavori per la realizzazione di una rotatoria.
La Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna, memore che nel sottosuolo giacevano i preziosi reperti, ha predisposto il controllo archeologico che ha portato alla conferma dell'esistenza dei mosaici. Uno di essi è stato distaccato dall'ambiente al quale apparteneva. Originariamente questo tappeto di pietre policrome misurava 7 x 4,50 metri. La sua decorazione è prevalentemente a treccia, con motivi geometrici e vegetali alternati al nodo di Salomone.
Mosaico estratto dall'"ambiente 2" della domus di Savignano |
L'ambiente esplorato completamente sembra essere la stanza più importante della domus, con una pianta rettangolare di 6,90 per 4,80 metri. L'elemento centrale del mosaico pavimentale di questo ambiente è una stella a otto punte; ogni punta, a sua volta, dà origine a otto ottagoni. Il mosaico presenta tessere vitree di colore rosso e verde disposte casualmente.
Un altro ambiente, chiamato "ambiente 3", è stato scavato, fotografato e nuovamente ricoperto. E' una stanza quadrata con lati della lunghezza di 3 metri. Il cosiddetto "ambiente 2" è stato scavato solo parzialmente. Era in pessime condizioni e ne è stato estratto e restaurato solo un angolo di pavimento musivo.
Probabilmente la domus alla quale appartenevano gli splendidi mosaici era una villa rustica del I secolo a.C. - I secolo d.C., che ha avuto una vita piuttosto lunga con diversi adattamenti a seconda del gusto e dei bisogni di chi l'ha abitata nel corso degli anni. Gli archeologi pensano che i mosaici siano stati composti da un'officina locale che utilizzava cartoni provenienti da aree e periodi diversi, non mancando, ovviamente, di adattarli all'epoca e al gusto dei committenti.
Uno dei mosaici individuati da A. Crespellani |
Sotto uno dei pavimenti della villa tardoantica sono emersi i resti di una vasca in cocciopesto che, forse, era destinata alla decantazione del vino o dell'olio o per la lavorazione dell'argilla. Sono stati recuperati, anche, frammenti in ceramica a vernice nera e rossa del I secolo a.C. - I secolo d.C. ed alcuni recipienti in vetro (la parete di una coppa, il fondo di un balsamario e quello di una coppetta), oltre a ceramiche da mensa sia di uso comune che di un certo pregio, vetri e anfore di produzione africana, nonché alcuni scarti di fornace.
La Villa di Melda di Sotto, dalla quale proviene il mosaico in esposizione a Modena, faceva probabilmente parte di un centro rurale nelle vicinanze dell'antica via Claudia, le cui attività più importanti erano sicuramente la lavorazione dell'argilla, la coltivazione della vite e dell'olivo, l'allevamento degli ovini e la produzione della cosiddetta "lana modenese", ricordata anche da Strabone nel I secolo a.C.
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