sabato 11 febbraio 2023

Spagna, beauty case in conchiglia dal passato...

Spagna, sezioni della capasanta con cosmetico rinvenuta
nell'antica capitale Augusta Emerita
(Foto: Consorcio Ciudad Monumental de Mérida-Saguntum)

Dopo anni dalla sua scoperta, un gruppo di ricercatori del Consorcio Ciudad Monumental de Mérida, dell'Università di Granada e dell'Istituto dei Beni Culturali di Spagna ha condotto uno studio su un contenitore per il trucco di epoca romana trovato in Spagna, risalente al I secolo d.C.
La scoperta di questo contenitore, infatti, non è proprio recente, risale al 2000, a quando, durante uno scavo effettuato presso un complesso funerario nell'antica capitale della Lusitania, Augusta Emerita (l'attuale Merida), la scatolina è stata individuata dagli archeologi in un deposito di resti umani cremati. Faceva parte di un corredo funerario insieme ad altri oggetti trovati in loco, come tazze di ceramica, bicchieri, fusi in osso, una scatola contenente ossa ed altro ancora. Già a suo tempo, e senza conoscerne il contenuto, il contenitore per il trucco era stato ritenuto l'oggetto più significativo dell'intero corredo proprio per la sua unicità.
La trousse per il trucco consiste in una conchiglia della specie pecten maximus, comunemente conosciuta come capasanta. La conchiglia, di circa 11 centimetri di diametro, era stata trovata ancora chiusa e in buono stato di conservazione (si può notare solo un leggero deterioramento dovuto all'usura del tempo), con le due valve unite da una cerniera. Su ognuna delle due valve erano stati praticati due forellini gemelli dove una volta passava un filo metallico (probabilmente in argento, visto che ne è stato trovato un piccolo frammento all'interno della conchiglia) che collegava entrambi i pezzi e assicurava che il suo contenuto non andasse perduto. La valva piatta era servita come coperchio di quella che può essere considerata una scatola, mentre quella convessa doveva accogliere il prodotto ivi custodito.
Il cofanetto dei cosmetici di Crepereia Tryphanena da 
Grottarossa, vicino Roma (Foto: Centrale Montemartini)
Una volta aperto il guscio e ripulito dai sedimenti che si erano depositati nel tempo, è subito saltata alla vista una pallina oblunga di appena 1,2 e 0,9 centimetri: un conglomerato polveroso che si è subito distinto per il suo cromatismo rosato. Nelle argille erano bloccati anche diversi grani arrotondati di dimensioni millimetriche di un materiale molto morbido e untuoso di colore rosa brillante con coloranti magenta, che divennero ben presto obiettivo preferenziale delle analisi eseguite. I ricercatori hanno subito ipotizzato, e poi confermato, che si trattava di un residuo di un prodotto cosmetico, così hanno iniziato a documentare ed analizzare i resti anche per comprendere dalla sua composizione se si trattava di un prodotto locale o, al contrario, di un preparato arrivato da chissà dove.
Lo studio ha rivelato che il composto rosato era formato da una sostanza "glitterata" dal colore e dalle proprietà molto simili al "rose madder", aggiunto per donare al prodotto la colorazione rosa, e da un composto astringente (l'allume di ferro) usato come agente fissativo. Ma qualcosa non quadrava: il "rose madder" è un pigmento vegetale ottenuto dalla pianta conosciuta come rubia tinctorum, chiamata così in quanto dalle sue radici i tintori estraevano una particolare sfumatura di rosso, e venne prodotto industrialmente dal XIX secolo attraverso una modifica del processo di estrazione che utilizzava sostanze chimiche non disponibili in tempi antichi. L'intenso color rosa del pigmento, inoltre, contrastava con la classica colorazione rossa o rosso-arancione che solitamente si otteneva da questa pianta prima dell'introduzione delle sostanze chimiche moderne. Dopo diversi esami, lo studio ha dimostrato che è possibile ottenere una pasta ricca di glitter dalle radici di rubia tinctorum e che il cosmetico e la sua colorazione furono ottenuti da un particolare controllo del metodo di produzione.
La ricerca conferma, inoltre, che la formula utilizzata per la preparazione di questo composto ha molte caratteristiche comuni con i risultati ottenuti dalle analisi effettuate a Saragozza su altri prodotti cosmetici, quindi si può affermare che non si trattava di un prodotto "esotico".
L'utilizzo di conchiglie come contenitore per cosmetici è una pratica che risale a migliaia di anni fa ed è comune a molte civiltà. Uno degli esempi più antichi giunti fino a noi è rappresentato da una serie di conchiglie piccolissime provenienti dalla città sumera di Ur e datate al 2500 a.C. circa.
Nel 1200 a.C. circa, come testimonia il beauty box di Tutu, sacerdotessa di Amon e moglie di Ani, lo scriba reale di Tebe famoso per il celebre papiro contenente una delle versioni più complete del Libro dei Morti, vediamo mutare il supporto conchifero che d'ora in avanti sarà un contenitore di ceramica o alabastro dalle forme malacologiche, cambiamento attuato forse per necessità di avere un oggetto di maggiore capienza e robustezza.
A Roma, in località Grottarossa, in una tomba di una bambina del II secolo d.C., sono state trovate due valve in alabastro unite da un filo d'oro, quando nel mondo romano erano molto comuni esemplari prodotti in osso; di questi ultimi, nella stessa Merida ne sono stati documentati parecchi.
Il fatto che i contenitori in conchiglia fossero economicamente più accessibili dell'alabastro ha fatto sì che le scatoline ricavate dalle conchiglie fossero ampiamente utilizzate per questi scopi fino al periodo tardo-repubblicano e primo-imperiale, dove iniziarono a diffondersi porta-unguenti in vetro e ceramica, riducendo al minimo la presenza di altri tipi di contenitori.

Fonte:
mediterraeoantico.it

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