L'
Abbazia camaldolese di S. Pietro a Badia Pozzeveri, in provincia di
Lucca, custodiva un "segreto" archeologico importante per lo studio delle malattie e del loro evolversi in Europa. Si tratta di alcuni
scheletri, ritrovati da
Giuseppe Vercellotti,
Clark Larsen (
Ohio State University) e
Hendrik Poinar (
McMaster University).
I tre studiosi conducono da tre anni una campagna scavi mirata proprio a recuperare resti di un passato di
malattie ed
epidemie. Li studiano e li sottopongono all'analisi degli isotopi radioattivi.
L'Abbazia di S. Pietro a Badia Pozzeveri è posta lungo il percorso della
via Francigena, la via percorsa dai pellegrini che, dal nord Europa, si recavano a Roma e poi fino al sud Italia, dove si imbarcavano per la
Terrasanta. Si trattava di
cavalieri,
monaci e
contadini che, oltre al misero bagaglio del pellegrino, sovente recavano con loro i virus di epidemie letali.
Quanto recuperato dagli studiosi a Badia Pozzeveri, permette di confrontare i genomi di individui di diverse classi sociali e di diverse epoche storiche. Questo consente di conoscere come vivevano e morivano queste persone ma anche come si sono evoluti gli organismi patogeni in tempi di carestia, guerra e spostamenti di truppe armate nel territorio della penisola.
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L'interno dell'Abbazia di Pozzeveri |
I pellegrini, molto probabilmente, furono i diffusori di epidemie quali quelle del
vaiolo, del
morbillo, del
tifo, della
tubercolosi, del
colera e, soprattutto, della
peste. Una specifica zona degli scavi nei pressi dell'Abbazia, infatti, ospita i resti di coloro che morirono di
Morte Nera, la terribile epidemia di peste che uccise metà della popolazione europea
tra il 1348 e il 1350. Agente provocatore dell'epidemia devastante fu lo
Yersinia Pestis, come risultò da alcuni esami condotti su resti ritrovati a
Londra nel
2011. I resti disotterrati nell'Abbazia di San Pietro permetteranno di studiare meglio il diffondersi del contagio e la sua virulenza.
L'Abbazia è nominata per la prima volta in alcuni
documenti del 952 relativi a dei trasferimenti di proprietà di un'area boschiva e zone limitrofe da parte di
Uberto, margravio di Tuscia e
figlio di Ugo di Provenza, a
Teudimondo Fraolmi. Nel
1039 un altro documento fa cenno ad un primo coagularsi di case e persone nel
Burgo de Poctieuli, dotato di
due chiese: la chiesa di S. Stefano e la chiesa di S. Pietro. Contemporaneo, in Toscana, fu il fenomeno dell'incastellamento a difesa dalle frequenti sortite dei Saraceni. L'ultimo documento che parla del
Borgo de Poctieuli risale al
1044, dopo di che non si ha più notizia di questo agglomerato che, molto probabilmente, deve aver subito il fenomeno dello spopolamento.
Nel
1056 i primi sacerdoti danno vita ad una
comunità nella chiesa di S. Pietro, nel tentativo di ripopolare la zona. La presenza di un
abbas quale rettore del monastero fa la sua comparsa nel
1103, anno in cui è menzionata la presenza di un
ospedale annesso al monastero e in stretto rapporto con il percorso della Francigena. Molte sono le donazioni effettuate all'abbazia in questo periodo e per tutto il corso del XII e XIII secolo. La comunità monastica si mantiene grazie alla
coltivazione del terreno ma, soprattutto, attraverso la
molitura e l'
allevamento del bestiame.
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Fasi dello scavo all'Abbazia di Pozzeveri (Foto: Ohio State University) |
Le guerre continue portano al progressivo abbandono dell'abbazia, i cui monaci si trasferiscono a Lucca. L'ultimo abbate fu un tale
Agostino, che resse l'abbazia
dal 1388 al 1408, praticamente privo di monaci.
Del periodo medioevale rimane la struttura della
torre campanaria, almeno fino ad un tratto, dal momento che la chiesa ha subito un notevole intervento di restauro nel XIX secolo. Originariamente presentava un aspetto romanico, con
unica navata,
abside e
transetto. L'abside rimanda ai migliori esempi di
romanico lucchese del XII secolo. La base della torre campanaria risale, invece, al secolo precedente, epoca della prima canonica di Pozzeveri.
I resti del refettorio, del capitolo, del chiostro e degli ambienti in cui vivevano i monaci sono completamente sepolti. L'
area cimiteriale occupava la
parte retrostante l'abside della chiesa e quella adiacente al fianco nord. Qui sono emersi i resti più antichi, individui sepolti singolarmente in
fosse delimitate da ciottoli in arenaria, datati anteriormente alla costruzione dell'edificio romanico.
Vicino al campanile è stato anche individuato un cosiddetto "
paradisino", un
cimitero per bambini, che ha restituito molte sepolture infantili risalenti al
'700. Al di sotto di questo cimitero sono emerse le sepolture che gli archeologi definiscono "da catastrofe", vale a dire sepolture per morti collettive.
E' stata anche scavata una
tomba collettiva, contenente gli scheletri di dieci individui e risalente al
XII-XIII secolo. Si tratta, con tutta probabilità, di una famiglia benestante legata all'abbazia.