domenica 24 novembre 2024

Interessanti risultati sullo studio degli antichi Piceni

Uno studio condotto da un team internazionale, coordinato da Sapienza Università di Roma e dal Cnr, rivela le origini genetiche dei Piceni e descrive la struttura genetica di una delle civiltà più affascinanti dell'Italia pre-romana.
I risultati, pubblicati sulla rivista "Genome Biology", mostrano che esisteva una piccola ma significativa differenziazione tra i popoli Tirrenici e quelli Adriatici, ed aiutano a comprendere meglio le migrazioni, le interazioni e l'evoluzione delle popolazioni nel corso dei millenni.
E' stato analizzato il DNA antico di oltre 100 resti scheletrici provenienti da diverse necropoli dell'Italia Centrale, coprendo un arco temporale di più di mille anni, dall'Età del Ferro alla tarda antichità. I risultati hanno rivelato una storia genetica sorprendente che differenzia i popoli dell'Adriatico da quelli del Tirreno e che fornisce nuovi spunti di riflessione sull'eredità genetica dell'impero Romano e sul suo ruolo nel plasmare i cambiamenti genetici e fenotipici in tutta la penisola italiana.
L'analisi genomica delle necropoli Picene, la principale delle quali è quella di Novilara, ha mostrato che, sebbene culturalmente distinto, questo popolo condivideva un patrimonio genetico comune con altre culture coeve ed in continuità con le precedenti culture italiche. Le popolazioni adriatiche, però, avevano caratteristiche proprie, legate ai continui scambi commerciali e culturali attraverso l'Adriatico, riflettendo un mosaico complesso di interazioni che hanno plasmato il pool piceno in modo diverso da quello delle popolazioni tirreniche.
Uno degli aspetti più affascinanti emersi dalla ricerca è la diversità fenotipica dei Piceni rispetto ai loro vicini. Lo studio ha evidenziato che questi mostravano una maggiore prevalenza di tratti fenotipici come occhi azzurri e capelli chiari, caratteristiche molto meno comuni tra le popolazioni coeve come gli Etruschi ed i Latini. Questa diversità fisica, unita ai contatti genetici con popolazioni del Nord Europa e del Vicino Oriente, rende i Piceni un caso unico nello studio dell'Italia pre-romana.

Fonte:
archeomedia.net

domenica 10 novembre 2024

Iran, i sigilli di Tappeh Teleneh e la storia delle rotte del commercio antiche

Iran, alcuni dei sigilli trovati a Tappeh Teleneh
(Foto: ISNA)
Il sito di Tappeh Teleneh, situato nei pressi della città di Kermanshah, in Iran, fondata dal re sasanide Bahram IV nel IV secolo d.C., fu localizzato, per la prima volta, nel 1998.
Nel corso del tempo i ricercatori si sono resi conto dell'importanza di questa città e della regione nella quale si trova, regione situata sulle antiche rotte commerciali e culturali.
Nel 2020 a Tappeh Teleneh sono iniziati scavi scientifici con l'ausilio di mezzi più moderni. A dirigere gli scavi l'archeologo Shokouh Khosravi. Sono emersi vari frammenti di ceramica, figurine di animali e numerosi sigilli di argilla, più di quattromila, risalenti a circa 5000 anni fa. Gli archeologi ipotizzano che questi sigilli, per la maggior parte, dovevano essere utilizzati per le porte dei magazzini presenti nell'insediamento. Tra i reperti, infatti, sono stati catalogati 447 serrature di argilla per sigillare le porte, 2.970 sigilli per vasi, 124 sigilli per sacchi e 436 pezzi a forma di lingua, tutti decorati con 85 diverse impronte. Secondo i ricercatori questi sigilli erano parte di un sistema che regolava il commercio nella regione e che si estendeva dal centro dei monti Zagros fino alla Mesopotamia.
Oltre ai sigilli gli scavi a Tappeh Teleneh hanno restituito una serie di oggetti di conteggio, forse parte di un sistema numerico utilizzato per il commercio e la gestione delle scorte. Molto probabilmente questo insediamento aveva una certa importanza amministrativa ed economica.
Lo stile ed il disegno dei sigilli, secondo i ricercatori, indicano che gli abitanti di Tappeh Telenheh avevano qualche tipo di collegamento con altre regioni, in quanto - forse - parte di una rete commerciale e politico-amministrativa molto ampia nel periodo che va dal V millennio fino al III millennio a.C.
Kermanshah, precedentemente Bakhtaran, capitale della omonima provincia, fu fondata nel IV secolo d.C., conquistata dagli arabi nel 640 e ribattezzata Qirmasin. Sotto il dominio selgiuchide nell'XI secolo, fu la città principale del Kordestan. I Safavidi (che governarono qui dal 1501 al 1736) fortificarono la città e respinsero un attacco dei turchi. Questi ultimi occuparono la città nel 1915, durante la prima guerra mondiale.

Fonti:
storicang.it
tehrantimes.com


Pompei, nuova luce sui resti rinvenuti nella città sepolta dal Vesuvio

Pompei, i calchi della Casa del Bracciale d'Oro
(Foto: artribrune.com)

Una ricerca condotta dalle Università di Firenze, Harvard e dal Max Planck Institute di Lipsia, in collaborazione con il Parco Archeologico di Pompei, ha rivelato informazioni inedite sui pompeiani, grazie all'analisi del DNA estratto dai calchi in gesso. I risultati offrono una nuova visione delle identità, delle relazioni e delle origini genetiche dei pompeiani, mettendo in discussione interpretazioni tradizionali.
L'analisi genetica dei resti intrappolati nei calchi, ottenuti colando gesso nei vuoti lasciati dai corpi, ha permesso di identificare sesso e legami familiari di 14 individui. I risultati contraddicono molte supposizioni precedenti, basate sull'aspetto fisico e sul posizionamento dei calchi.
Ad esempio gli individui nella Casa del Bracciale d'Oro, interpretati come genitori e figli, non risultano uniti da legami biologici. Allo stesso modo, nella Casa del Criptoportico, una coppia abbracciata, precedentemente interpretata come sorelle, includeva un maschio.
Oltre a queste scoperte, lo studio ha messo in luce una diversità genetica della popolazione. I pompeiani presentavano tratti genetici riconducibili a persone provenienti dal Mediterraneo orientale, confermando il carattere cosmopolita di Pompei dell'Impero Romano in generale. L'individuo maschile con il bracciale d'oro, ritrovato nell'omonima casa, aveva tratti genetici compatibili con le popolazioni del Nordafrica, mentre l'individuo della Casa del Criptoportico mostrava segni di un'origine mediorientale.

Fonti:
artribune.com
gbopera.it



Bisenzio, tracce dell'antica e florida città etrusca

Capodimonte, gli scavi a Bisenzio (Foto: stilearte.it)

La campagna di scavo 2024, condotta nell'ambito del Bisenzio Project, ha portato alla luce straordinari reperti nel sito etrusco di Bisenzio, situato sulle sponde del lago di Bolsena. Il Bisenzio Project è diretto da Andrea Babbi, ricercatore del CNR ISPC e collaboratore del Centro Leibniz per l'Archeologia di Mainz.
Gli scavi hanno rivelato l'esistenza di un nucleo sepolcrale intatto risalente al VII-VI secolo a.C., scampato ai saccheggi del passato. E' stato rinvenuto un nucleo di tombe parzialmente sovrapposte, come a rendere manifesto il legame parentale tra i defunti. La sepoltura più antica si caratterizza per un imponente sarcofago in tufo rinvenuto sigillato e un articolato corredo segno della pietas dei familiari del defunto. Questo eccezionale reperto permette di gettare nuova luce sulle pratiche funerarie e sulle dinamiche sociali delle aristocrazie etrusche dell'epoca. Le analisi osteoarcheologiche e archeogenomiche che seguiranno contribuiranno a ricostruire la vita di questo individuo, probabilmente uno dei principali promotori delle imponenti infrastrutture recentemente scoperte nel sito.
Il Bisenzio Project, attivo sin dal 2015, ha già prodotto una vasta mole di dati. E' finanziato dalla Fritz Thyssen Stiftung. Grazie a queste ricerche, è stato possibile ridisegnare la storia del sito, rivelando come la comunità di Bisenzio fosse un centro aristocratico molto dinamico durante il periodo orientalizzante ed arcaico. Situato presso il pittoresco borgo di Capodimonte, sulla sponda sudoccidentale del lago di Bolsena, Bisenzio era strategicamente rilevante nel contesto economico e cultura etrusco.
Le sepolture, databili tra il VII ed il VI secolo a.C., sono state ritrovate intatte, incluse all'interno di un recinto litico. L'accurata disposizione delle stesse, in parte sovrapposte, suggerisce che i defunti appartenessero alla stessa famiglia aristocratica. Questi legami parentali sono stati resi evidenti dalle modalità con cui i sarcofagi e i corredi funerari sono stati collocati.
La tomba più importante tra quelle scoperte conteneva un grande sarcofago in tufo, la cui integrità ha consentito di ritrovare lo scheletro in condizioni eccellenti. Le ricerche del Bisenzio Project hanno portato alla luce anche resti di infrastrutture monumentali, probabilmente di natura pubblica o religiosa, che testimoniano la complessità architettonica del centro. Questi monumenti, insieme ai corredi funebri ritrovati, confermano il ruolo di primo piano di Bisenzio tra le comunità etrusche della zona.
Tra i reperti ritrovati vi sono ceramiche finemente decorate, una situla in bronzo e ornamenti personali in metallo prezioso.
Situato nel cuore del Lazio settentrionale (Capodimonte - Viterbo), l'antico centro etrusco di Bisenzio, noto nei documenti medioevali come Bisenzo, è stato un insediamento strategico e politicamente rilevante già a partire dall'epoca villanoviana (IX-VIII secolo a.C.), epoca alla quale risalgono i primi segni di occupazione.
Bisenzio fiorisce durante il periodo orientalizzante ed arcaico, con una struttura sociale dominata da famiglie aristocratiche che controllavano il territorio circostante e partecipavano a reti commerciali internazionali. La sua posizione strategica, vicina ad importanti vie di comunicazione, ne favoriva i contatti sia con le altre città-stato etrusche, come Tarquinia, Vulci e Orvieto, sia con le colonie greche dell'Italia meridionale e con il mondo fenicio.

Fonte:
stilearte.it




domenica 3 novembre 2024

Carso triestino, trovato un raro pugnale di 4000 anni fa

Carso Triestino, il pugnale in rame di 4000 anni fa
(Foto: Federico Bernardini)
Un raro pugnale risalente all'Età del Rame è stato rinvenuto nella grotta Tina Jama, nel Carso Triestino a Sagonico. Insieme al pugnale sono stati rinvenuti diversi frammenti ceramici e manufatti in pietra. A condurre lo scavo sono i ricercatori dell'Università Ca' Foscari di Venezia, sotto la concessione del Ministero della Cultura, in collaborazione con l'Istituto di Archeologia dell'Accademia Slovena delle Scienze e delle Arti, il Centro Internazionale di Fisica Teorica Abdus Salam e l'Università di Siena.
Sono state utilizzate, nella ricerca, tecniche moderne che hanno permesso di ricostruire la storia delle regioni dell'Adriatico nordorientale su un arco temporale che va da circa 9000 a  4000 anni fa. Gli scavi hanno ripreso le indagini archeologiche nelle grotte del Carso, dopo alcuni decenni di inattività ed hanno permesso di raggiungere livelli attribuibili all'Età del Rame, dove è stato, appunto, rinvenuto il raro pugnale.
E' stata anche rinvenuta una struttura in lastre e blocchi di pietra, che chiudeva l'ingresso della grotta tra il 2000 ed il 1500 a.C. circa. La sua funzione è ancora incerta, ma potrebbe essere legata a scopi funerari, suggeriti dalla presenza di frammenti di crani umani. Un'altra ipotesi è che sia stata costruita per proteggere l'interno della grotta dai forti venti di bora.
I reperti ceramici e la presenza di un focolare, tutti antecedenti alla chiusura della grotta, indicano che quest'ultima era frequentata da gruppi con stretti legati culturali con l'area dalmata, nella seconda metà del III millennio a.C. (cultura di Cetina). Il pugnale di rame proviene proprio da questi livelli e misura poco meno di 10 centimetri, con una forma a foglia con codolo. Trova somiglianze non in Italia, ma con reperti di un sito palafitticolo presso Ljubljana, in Slovenia.
Sono stati portati in superficie dall'azione degli animali anche punte di freccia in selce, lunghe lame prodotte a pressione, un oggetto in ossidiana, asce di pietra levigata, altri utensili litici e ceramici e ornamenti in conchiglia.

Fonte:
finestresullarte.info


Salerno, scoperta un vasto insediamento etrusco

Salerno, gli scavi recenti alla periferia della città
(Foto: scienzenotizie.it)
Un'eccezionale scoperta a Fratte, quartiere periferico di Salerno, dove nell'area che un tempo ospitava resti dei prefabbricati per i terremotati del sisma del 1980, stanno riaffiorando tracce di una città etrusca. Sono emerse antiche mura, probabilmente appartenenti al primo insediamento della città, situato lungo le rive del fiume Irno ed abitato tra il VI ed il III secolo a.C.
Potrebbero essere, questi, i primi segni della città etrusco-sannitica collegata alla necropoli etrusca che si trova a poche decine di metri di distanza. La necropoli, che si estende su una superficie di circa 4.500 metri quadrati, contiene tombe a camera ed una cisterna.
Gli etruschi scelsero con cura questa posizione strategica, in quanto permetteva loro di controllare la fertile valle dell'Irno, con collegamenti diretti sia verso sud, verso il mare e l'area dei Picentini, che verso nord, verso Capua e il Volturno.
In quest'area, destinata originariamente ad altri usi, nel luglio scorso sono emersi tre pugnali in selce risalenti al Neolitico. I primi interventi degli archeologi avevano già suggerito la presenza di importanti reperti sotterranei e gli scavi stanno confermando questa ipotesi. 
La presenza etrusca a Salerno è attestata a partire dal VII secolo a.C., quando gli etruschi si stabilirono lungo le coste della Campania, fondando insediamenti commerciali e militari. L'area salernitana, situata in una posizione strategica tra le rotte marittime e le vie terrestri verso l'entroterra, divenne un importante snodo commerciale. Gli etruschi favorirono l'integrazione di Salerno nelle reti di scambio con altre civiltà del Mediterraneo, come i greci e i fenici. A testimonianza della loro presenza sono stati rinvenuti reperti archeologici, tra cui ceramiche ed oggetti di uso quotidiano, che dimostrano l'influenza etrusca sulla cultura locale.

Fonte:
scienzenotizie.it


Pompei, meraviglie sepolte tornano alla luce: la Casa di Fedra

Pompei, ultime scoperte nella domus dei Casti Amanti
(Foto: pompeiisites.org)

Ultime scoperte a Pompei, una piccola casa autonoma dalle dimensioni ridotte e dalle decorazioni estremamente raffinate emersa durante gli scavi nell'insula dei Casti Amanti, lungo via dell'Abbondanza.
Si tratta di una casa molto piccola, priva di atrio, una scelta che può essere messa in relazione con i mutamenti che stava attraversando la società romana - e pompeiana in particolare - nel corso del I secolo d.C.
L'abitazione presenta decorazioni parietali di alto livello, che non hanno nulla da invidiare alla più grande e ricca domus dei Pittori al Lavoro, con la quale confina. Grazie al ritrovamento di un affresco ben conservato, rappresentante il mito di Ippolito e Fedra, la si è denominata provvisoriamente Casa di Fedra.
I due ambienti attualmente in fase di indagine si trovano nella parte retrostante dell'abitazione. Nel primo, oltre al quadretto mitologico con Ippolito e Fedra, le pareti splendidamente decorate in IV stile mostrano altre scene tratte dal repertorio dei miti classici: una rappresentazione di un symplegma (amplesso) tra un satiro e una ninfa, un quadretto con coppia divina, forse Venere e Adone, nonché una scena, purtroppo danneggiata dalle esplorazioni borboniche, in cui probabilmente si può riconoscere un Giudizio di Paride.
Una finestra a fianco del quadretto con Ippolito e Fedra, si apre su un piccolo cortile, dove al momento dell'eruzione erano in corso lavori edilizi, caratterizzato all'ingresso dalla presenza di un piccolo larario (altare domestico) con una ricca decorazione dipinta a motivi vegetali e animali su fondo bianco.
Il cortile presenta una zona coperta che precede una grande vasca con le pareti dipinte di rosso. Intorno correva una canaletta, che consentiva di convogliare l'acqua piovana verso l'imbocco del pozzo collegato con una cisterna sottostante.
Sono stati scoperti anche oggetti rituali, lasciati con l'ultima offerta prima dell'eruzione del 79 d.C. che distrusse Pompei: un bruciaprofumi in ceramica acroma con lacune antiche ed una lucerna entrambi con evidenti tracce di bruciato. Le analisi di laboratorio hanno consentito di individuare resti di rametti di essenze odorose, mentre due parti di un fico essiccato sono state recuperate alle spalle dei due oggetti. Sul piano dell'altare sono stati ritrovati, inoltre, due listelli in marmi colorati ed un terzo elemento, presumibilmente in marmo rosso, con una raffigurazione di un volto riconducibile alla sfera dionisiaca, probabilmente un sileno.
Nella parte anteriore dell'altare si sono individuati una base quadrangolare e modanata in marmo, con un alloggio centrale e sulla sinistra un coltello in ferro il cui manico termina con gancio ad occhiello per la sospensione.

Fonte:
pompeiisites.org



Tivoli, Villa Adriana riserva ancora sorprese...

Tivoli, i resti del nuovo edificio appena scoperto
(Foto: rainews.it)

Villa Adriana, Tivoli, dopo quasi duemila anni riemerge complesso sconosciuto di epoca adrianea. Si tratta di una struttura demolita per far posto al cosiddetto anfiteatro. Proprio la demolizione e l’utilizzo delle macerie, riutilizzate per la costruzione del piano del nuovo edificio, hanno permesso il ritrovamento di preziosi elementi di decorazione e rivestimenti dell’epoca.
La campagna di scavo, diretta dal Professor Fabio Giorgio Cavallero, è stata intrapresa nel 2024 nel cosiddetto Anfiteatro di Villa Adriana, dal dipartimento di Studi Umanistici (Distum) dell’università degli Studi di Urbino Carlo Bo, su indicazione del direttore dell’istituto Villa Adriana e villa d’Este-Villæ, Andrea Bruciati, e su concessione del Mic.
Ai piedi di Piazza d’Oro, il grande edificio per le feste e i banchetti costruito dall’imperatore Adriano (117-138 d.C.), si trova una struttura di forma ellittica che fin dal Cinquecento è stata ritenuta una vasca destinata ai bagni o all’allevamento dei pesci. Negli anni '90 del secolo scorso la pulizia del sito ha però messo in luce alcuni elementi forse riferibili ad un anfiteatro. L'attuale campagna di scavo ha rivelato, al di sotto di pochi centimetri di terra, l'esistenza delle murature di un grande complesso di epoca adrianea mai documentato finora.
Si tratta di un edificio di oltre 25 metri di lunghezza per 15 di larghezza. Presenta un'ampia aula rettangolare circondata da otto stanze che affacciano su un terrazzo sorretto da pilastri che si conservano per oltre tre metri di altezza. Questo edificio è stato in parte distrutto per lasciar posto al cosiddetto anfiteatro. Le macerie vennero utilizzate per creare il piano sul quale si realizzò il pavimento della nuova struttura ellittica. Lo scavo ha permesso di recuperare sia i marmi che rivestivano l'esterno del complesso, compresi i pilastri, sia gli intonaci che ne decoravano le stanze: marmi bianchi, serpentino verde, porfido rosso e intonaci dipinti in giallo, rosso e verde, ornati da nastri intrecciati, acanti e melograni. Fino ad oggi a Villa Adriana non si conosceva un complesso così esteso e riccamente decorato, voluto da Adriano e poi distrutto per lasciar spazio ad una nuova e differente struttura.

Fonte
rainews.it

Sicilia, trovate anfore intatte nel fondo marino

Siracusa, le anfore trovate in fondo al mare
(Foto: siciliafan.it)

Nelle acque profonde della Riserva Naturale di Vendicari (Siracusa) i sommozzatori del Capo Murro Diving Center hanno riportato alla luce una quarantina di anfore romane risalenti ad un periodo che va dal I secolo a.C. al I secolo d.C. Il prezioso carico apparteneva ad un'antica nave da trasporto, individuata per la prima volta nel gennaio 2022 grazie alla segnalazione di pescatori locali.
Le anfore rinvenute appartengono al tipo "Richborough 527", una varietà di contenitori ceramici rinvenuti sia nel sud dell'Inghilterra che nelle Isole Eolie. Queste anfore erano utilizzate per il trasporto di merci preziose in tutto il Mediterraneo. La loro conservazione e disposizione indicano l'ottimo stato del carico al momento dell'affondamento della nave.
I prossimi studi analizzeranno se le anfore recuperate a Vendicari siano analoghe a quelle rinvenute negli anni '90 del secolo scorso a Lipari. Queste ultime contenevano allume, un minerale che, nell'antichità, era utilizzato nell'industria della tintura e la medicina. Il minerale, trasportato nelle anfore "Richborough 527", raggiungeva l'Italia, la Francia e la Gran Bretagna durante i primi due secoli dell'era cristiana. L'attuale scoperta riafferma il ruolo della Sicilia come importante crocevia commerciale dell'antichità. Come affermava Strabone, l'isola era "il magazzino di Roma", grazie alla sua vicinanza e fertilità, soprattutto per prodotti come il grano e lo zafferano.

Fonte:
siciliafan.it


Turchia, scoperti focolari ed oggetti di 4000 anni fa

Turchia, uno dei vasi di ceramica Karaz (Foto: finestresullarte.info) Gli scavi archeologici condotti a Tadum Kales e Tadum Hoyugu , nel vi...