domenica 30 marzo 2025

Turchia, scoperti focolari ed oggetti di 4000 anni fa

Turchia, uno dei vasi di ceramica Karaz
(Foto: finestresullarte.info)

Gli scavi archeologici condotti a Tadum Kales e Tadum Hoyugu, nel villaggio di Tadum, in Turchia, continuano a riportare alla luce reperti di straordinaria importanza per la ricostruzione del passato dell'Anatolia, regione peninsulare dell'Asia occidentale comprendente gran parte dell'odierna Turchia.
Le ricerche, condotte dal Museo di Archeologia ed Etnografia di Elazig, hanno permesso di individuare numerosi manufatti risalenti al periodo del Tardo Calcolitico e dell'Età del Bronzo, offrendo nuove prospettive sulla vita e sulle credenze delle civiltà che abitarono la regione migliaia di anni fa. Tra i ritrovamenti figurano dodici vasi di ceramica Karaz, risalenti al 4000-3000 a.C., oltre a un'anfora dipinta decorata con motivi di stambecco, datata intorno al 3200 a.C. Particolarmente eccezionale è la scoperta di due focolari sacri con decorazioni taurine anch'essi risalenti al 4000-3000 a.C. I reperti gettano, quindi, nuova luce sui rituali religiosi e sulla vita sociale delle antiche popolazioni anatoliche.
Si ipotizza, infatti, che in un'epoca in cui il fuoco aveva un valore sacro, tali focolari fossero utilizzati per cerimonie rituali e rappresentassero un simbolo di unità familiare. La loro eccezionale conservazione consente agli studiosi di approfondire le conoscenze sulle credenze spirituali e sulle pratiche quotidiane delle popolazioni preistoriche della regione. Le ricerche archeologiche hanno, inoltre, rivelato sei differenti strati culturali che testimoniano una continuità insediativa incomparabile.
Gli strati emersi appartengono a diverse epoche storiche, tra cui il periodo neolitico, il tardo calcolitico, le fasi dell'Età del Bronzo (antica, media e recente), l'Età del Ferro (prima e tarda), nonché le epoche bizantina, selgiuchide e quella ottomana. I resti murari e i frammenti ceramici rinvenuti dimostrano che il sito è stato abitato ininterrottamente per migliaia di anni, fungendo da crocevia per diverse culture. Le scoperte archeologiche forniscono, quindi, un quadro dettagliato della trasformazione del territorio e delle civiltà che vi si sono succedute, contribuendo a riscrivere la storia della regione.

Fonte:
finestresullarte.info

sabato 29 marzo 2025

Padova, memorie dal sottosuolo

Padova, mosaico a tessere bianco-ere di epoca tardo-antica
nel chiostro dei Canonici (Foto: archeoreporter.com)

Nel cuore della città di Padova, tra la Cattedrale ed il Battistero, si è concluso un nuovo lungo e complesso intervento di scavo archeologico nel Chiostro dei Canonici, l'area di piazza Duomo. L'indagine, condotta dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Padova sotto la direzione di Cinzia Rossignoli, rappresenta la prosecuzione delle ricerche avviate tra il 2011 ed il 2012 dall'Università di Padova, che avevano già portato alla luce un vano con mosaico pavimentale risalente al IV secolo a.C.
Il complicato palinsesto di archeologia urbana, per nulla facile da scavare, da vedere, da interpretare, mostra però alcune caratteristiche tipiche di un'area religiosa di ininterrotta frequentazione, dagli albori del cristianesimo fino all'età moderna inoltrata. Alla fine si può ipotizzare che siano stati individuati i resti di un edificio paleocristiano che, vista l'area, potrebbe essere la prima cattedrale padovana.
Lo scavo del 2024 ha permesso di approfondire la conoscenza dell'area, confermandone l'utilizzo cimiteriale tra Medioevo ed età moderna. Tra le sepolture spiccano due ampie tombe a camera sovrapposte, probabilmente pertinenti a famiglie nobili padovane, collocate in prossimità del Battistero. Risalgono, invece, al periodo medioevale i resti di un lungo muro perimetrale che potrebbe corrispondere alle fondazioni dell'antico chiostro.
L'indagine ha permesso di documentare anche due ampi lacerti pavimentali in cocciopesto con resti di mosaici in tessere bianche e nere, situati alla stessa quota del mosaico già noto. Queste pavimentazioni si connettono ad una grande muratura curvilinea, probabilmente parte di un edificio absidato databile al IV secolo d.C., forse riconducibile alle prime fasi della cattedrale paleocristiana patavina.
Le strutture recentemente scavate sembrano sovrapporsi ad un contesto ancora più antico, probabilmente una domus romana. In attesa delle analisi specialistiche e della rielaborazione dei dati di scavo, si può senza dubbio affermare che si tratta di un settore cruciale per  comprendere le origini del complesso ecclesiastico di Padova tra età romana e cristianesimo delle origini.
In parallelo allo scavo, la Soprintendenza - con il sostegno del Ministero della Cultura e della Fondazione Cariparo - ha promosso il restauro del mosaico già messo in luce in passato. Il mosaico, decorato con una cornice rosata e motivi geometrici in bianco e nero (ottagoni, quadrati, esagoni allungati), è riconducibile ad un repertorio tardoantico diffuso nei contesti cristiani dell'area veneta ed adriatica tra il IV ed il VI secolo d.C.

Fonte:
archeoreporter.com

Sicilia, trovata la porta nord di Selinunte

Sicilia, l'area della porta nord e le mura di Selinunte
dopo gli ultimi scavi (Foto: archeoreporter.com)

Una nuova, importante, scoperta archeologica ridefinisce la geografia dell'antica Selinunte: grazie alle più recenti indagini sono riaffiorate la porta monumentale ed ampi tratti della cinta muraria settentrionale della città. Questo rinvenimento sposta di circa 300 metri l'estensione della polis verso nord rispetto a quanto ipotizzato finora, confermandone la rilevanza tra le più importanti città greche del Mediterraneo occidentale.
I nuovi scavi, condotti dal Parco Archeologico di Selinunte con la direzione scientifica di Carlo Zoppi (Università del Piemonte Orientale) e la partecipazione di Archeofficina, riprendono un'intuizione di Dieter Mertens, tra i massimi studiosi della città fondata dai Megaresi nel VII secolo a.C. Fu proprio Mertens, negli anni Novanta, a scavare due delle porte orientali e ad ipotizzare un'estensione urbana ben più ampia, oltre le recinzioni moderne del parco.
La porta appena ritrovata, larga circa tre metri, si trova nella zona di Galera Bagliazzo, nei pressi della necropoli monumentale. Si presenta come un passaggio sorvegliato da torri e affiancato da strutture artigianali, forse botteghe. Questa era probabilmente l'uscita percorsa dai cortei funebri verso le sepolture, ma anche uno dei punti vulnerabili durante l'assedio cartaginese del 409 a.C.
All'apice della sua potenza, alla fine del V secolo a.C., Selinunte contava circa 26.000 abitanti, con un territorio che si estendeva da Mazara del Vallo fino a Monte Adranone, Sciacca ed Eraclea Minoa, includendo circa 90.000 abitanti. La città si distingueva per la regolarità della sua pianta urbana, dominata da templi monumentali e un'agorà ampia e ben organizzata.
Secondo il racconto di Diodoro Siculo, durante l'assalto cartaginese guidato da Annibale (non il famoso condottiero punico ma un suo omonimo), l'esercito nemico sfondò le mura dopo dieci giorni di assedio, entrando da nord. I dati archeologici ora sembrano confermare quell'accesso, aggiungendo nuovi elementi per comprendere le dinamiche della caduta della città.
Gli scavi hanno impiegato tecniche innovative, come la tomografia geoelettrica tridimensionale, che permette una lettura del sottosuolo fino a quattro metri di profondità. Oltre alla struttura della porta, è stato possibile identificare il tracciato murario e riconoscere le fasi edilizie, confermando la datazione al V secolo a.C.

Fonte:
archeoreporter.com

Antico Egitto, rituali di rinascita nella tomba di Tutankhamon

Egitto, la maschera dorata di Tutankhamon
(Foto: Roland Unger/CC BY-SA 3.0)

Più di un secolo dopo la scoperta della tomba di Tutankhamon da parte di Howard Carter, un nuovo studio su alcuni oggetti prima trascurati rivela che questi potrebbero aver svolto un ruolo chiave in un rituale egizio dimenticato.
Scoperta nel 1922 nella Valle dei Re, la tomba del faraone bambino divenne rapidamente una delle scoperte archeologiche più famose del XX secolo. Dietro una porta sigillata, contrassegnata da antichi simboli, Carter ed il suo team hanno trovato ed estratto più di 5.000 oggetti, tra i quali statue, gioielli, carri e l'iconica maschera funeraria dorata di Tutankhamon.
Nel 1923 la squadra entrò nella camera funeraria, dove venne rinvenuto un sarcofago in pietra contenente i resti mummificati del giovane sovrano, morto a soli 18-19 anni di età.
La tomba conteneva, oltre a tesori straordinari, anche oggetti molto semplici quali vassoi di argilla e bastoni di legno, che all'epoca non attirarono l'attenzione dei ricercatori. Ora una nuova ricerca del Dottor Nicholas Brown della Yale University espone l'ipotesi che questi oggetti semplici potrebbero aver svolto un ruolo chiave in una pratica cerimoniale nota come "il risveglio di Osiride".
Il Dottor Brown ipotizza che i vassoi di argilla, realizzati con il fango del Nilo, venissero utilizzati in offerte rituali che prevedevano il versamento di acqua in onore di Osiride, dio egizio degli inferi. L'acqua, ritenuta pura e vivificante, potrebbe aver simboleggiato la rinascita del re defunto. I bastoni di legno, collocati vicino alla testa del sarcofago, potrebbero essere stati usati per rappresentare un risveglio simbolico, riecheggiando miti in cui Osiride viene riportato in vita con dei bastoni tenuti dietro di lui. Una cerimonia del genere è visibile solo nelle opere d'arte della XIX Dinastia, successiva al regno di Tutankhamon.
Il Dottor Brown ritiene che Tutankhamon ed i suoi consiglieri possano aver intenzionalmente fatto rivivere vecchie credenze incentrate su Osiride come parte di un ritorno alle pratiche tradizionali dopo il periodo di regno di Akhenaton. Ma non tutti gli studiosi ne sono convinti.
L'egittologo Jacobus van Dijk, dell'Università di Groninga, pur concordando sul fatto che i vassoi di argilla nella tomba del re fanciullo avessero uno scopo rituale, li collega all'"incantesimo delle quattro torce", una cerimonia in cui i tedofori circondavano la bara, guidando l'anima attraverso gli inferi prima di spegnere le fiamme nei vassoi.

Fonte:
greekreporte.com

venerdì 28 marzo 2025

San Salvador, le misteriose statuette di San Isidro

El Salvador, una delle statuette scoperte
(Foto: Przedwojewska-Szymanska, Pasi)

Le statuette di argilla rinvenute nella Repubblica di El Salvador potrebbero essere marionette le cui pose inviavano un messaggio a chi si trovava ad osservarle, migliaia di anni fa. Alcune di queste statuette hanno teste mobili con volti espressivi e potrebbero fornire indizi sul popolo - finora sconosciuto - che le ha create.
Le statuette più grandi sono alte circa 30 centimetri e si presentano nude e calve. Sono state rinvenute nel 2022 a San Isidro, un sito scosceso tra campi di canna da zucchero e caffè, in cima a un tumulo di terra che potrebbe essere stato una piramide. Rimuovendo meticolosamente strato dopo strato di terra, hanno trovato la prima statuetta a faccia in giù. Lavorando fino a tarda sera, hanno ripulito la terra ed è emerso un volto. Dopo quattro giorni di scavi, la squadra aveva portato alla luce cinque statuette di argilla in uno strato datato al 410-380 a.C.
Le teste di ciascuna delle tre grandi statuette hanno una presa in cui si inserisce il collo. Una corda infilata in due fori nella parte superiore della testa può essere usata per ruotarla. La mancanza di vestiti e gioielli può essere dovuta al fatto che sono stati realizzati per essere versatili, raffigurano diversi tipi di persone.
Una volta ricostruita la posizione delle figure nel terreno rispetto alle altre, gli archeologi hanno notato che, se le statuette fossero state in piedi, si sarebbero trovate su una linea rivolta verso ovest. Questo suggerisce una disposizione mirata, volta a trasmettere un messaggio.
Altre statuette di argilla sono state trovate in Mesoamerica, una regione che comprende parti del Messico e dell'America Centrale. Ma la maggior parte sono pezzi trovati rotti, in aree di accumulo o antiche fosse per la spazzatura domestica. Finora gli archeologi hanno portato alla luce solo un'altra serie di figure intatte dal luogo in cui probabilmente sono state sepolte.
Nel 2012 l'archeologa Christa Schieber de Lavarreda ha scoperto un gruppo di sei statuette in una tomba reale maya in un sito chiamato Tak'alik Ab'aj in Guatemala. In base a come sono state trovate, anche queste sembravano essere state disposte in modo mirato. Quattro si trovavano in corrispondenza delle direzioni cardinali, riecheggiando la rappresentazione maya dell'universo. Altre due erano rivolte a est e a ovest, verso il sole che sorge e che tramonta. Il significato è, con tutta probabilità, il ciclo della vita, la morte e la rinascita.
Non è chiaro quale civiltà abbia realizzato le figure trovate a San Isidro. Gli archeologi hanno visitato per la prima volta il sito nel 1980, sito che rimane in gran parte non scavato. Dall'arte e dalla scrittura maya, gli archeologi hanno appreso l'importanza dei cerimoniali e del simbolismo in Mesoamerica. Le statuette potrebbero essere state utilizzate in molti altri rituali prima di quello che potrebbe essere stato il loro ultimo rito in cima alla piramide. Con le loro bocche aperte, potrebbero aver cantato, parlato o forse pronunciato incantesimi.
Le bocche aperte suggeriscono anche la possibilità di nutrirsi. Gli archeologi hanno scoperto che i residui sulle bocche delle statuette di argilla del Guatemala contenevano tracce di amidi che facevano parte della dieta delle popolazioni locali.
San Isidro potrebbe essere stata una città importante nell'antichità, per le sue dimensioni e per la posizione dell'unica via naturale che collegava la costa con l'entroterra, si pensa che fosse una sorte di centro di controllo del commercio.
E' stato rinvenuto, anche, un ciondolo di giada a forma di un dio uccello, tipico della Costa Rica dell'epoca. La pietra è stata probabilmente estratta in Guatemala e potrebbe essere stata lavorata in Costa Rica prima di tornare a San Isidro. Forse l'aspetto variegato delle statuette grandi e piccole di San Isidro potrebbe alludere alle diverse etnie dei gruppi che si riunivano in questo luogo.
El Salvador potrebbe aver svolto un ruolo più centrale nella cultura mesoamericana di quanto molti riconoscano.

Fonte:
nationalgeographic.it

mercoledì 26 marzo 2025

Egitto, Esna: i colori ritrovati del tempio di Khnum

Egitto, rilievo dipinto su colonna ad Esna
(Foto: Ahmet Amin/Ministero egiziano del Turismo e
delle Antichità)

Circa 100 templi principali dominavano il paesaggio dell'Egitto Romano, anche se oggi ne rimangono in piedi solo sei. Uno dei meglio conservati si trova in un quartiere residenziale della moderna città di Esna, sulla riva occidentale del Nilo, nell'Alto Egitto.
Il tempio era dedicato al dio creatore Khnum, alla sua famiglia e alla dea Neith. Ora, sotto il livello della strada, il pronao in arenaria rossa del tempio, o sala d'ingresso, è tutto ciò che sopravvive di quello che una volta era un complesso più grande. Gli altri resti del tempio, che si trovavano dietro la sala, sono ora sepolti sotto la città.
Nell'antichità, la sala avrebbe fatto impallidire il resto del tempio. Scene più grandi del normale, scolpite su ciascuna delle sue pareti esterne, offrivano agli antichi fedeli un semplice accenno degli splendidi rilievi dipinti che ancora coprono quasi ogni centimetro dell'interno della sala.
Egitto, capitello con raffigurazione di
Bes nel tempio di Khnum ad Esna
(Foto: Ahmet Amin/Ministero egiziano
del Turismo e delle Antichità)
La costruzione del pronao del tempio iniziò dopo la conquista dell'Egitto da parte dell'imperatore Augusto nel 30 a.C., ma la sua decorazione richiese secoli per essere completata. L'atrio d'ingresso fu costruito direttamente contro la facciata del tempio, che era stato costruito durante il regno del faraone Tolomeo VI (che regnò dal 180 al 145 a.C.), uno dei re di una dinastia di reali macedoni che governò l'Egitto dal 304 al 30 a.C. In tutta la sala, cartigli ovali con i nomi di una lunga stirpe di imperatori romani attestano il lungo tempo impiegato per completare l'edificio e la sua decorazione. La costruzione della sala fu probabilmente completata a metà del I secolo d.C., sotto l'imperatore Claudio. Gli artigiani impiegarono fino al regno dell'imperatore Decio, 200 anni dopo, per finire di intagliare e dipingere l'elaborata decorazione in rilievo dell'edificio.
Alla fine del III o all'inizio del IV secolo d.C., quando il tempio era stato presumibilmente chiuso, gli abitanti di Esna iniziarono a smantellare il suo santuario principale e a riutilizzare gli elementi costitutivi per costruire canali. Usarono il pronao come rifugio per i successivi 1500 anni e, nel XIX secolo, divenne un magazzino per lo stoccaggio di cotone e munizioni. In quel lasso di tempo, i fuochi accesi all'interno per l'illuminazione e il calore ricoprirono gradualmente le pitture sui soffitti, sulle colonne e sulle colonne e sulle pareti interne con spessi strati di terra e fuliggine. Parti del pronao sono state sepolte sotto la sabbia fino al XX secolo.
I rilievi della sala erano ancora completamente ricoperti di fuliggine quando, nel 2018, un team congiunto egiziano-tedesco, guidato dall'egittologo Christian Leitz dell'Università di Tubinga e da Hisham el-Leithy, sottosegretario di Stato per la documentazione del Ministero egiziano del Turismo e delle Antichità (MoTA), ha iniziato a ripristinare i vivaci colori dei disegni nel loro antico splendore.
Egitto, raffigurazioni di divinità nel tempio di Khnum a
Esna (Foto: 
Ahmet Amin/Ministero egiziano del
Turismo e delle Antichità)
Utilizzando principalmente acqua distillata ed alcol, i conservatori del MoTA, supervisionati da Ahmed Emam, hanno pulito le 18 colonne interne della sala, tutte e sette le campate del soffitto e sezioni delle pareti meridionale ed occidentale. Nel processo hanno rivelato immagini finora rimaste celate e quasi 200 iscrizioni dipinte sul soffitto e sulle traverse. La cristallizzazione del sale aveva influenzato i colori e causato un certo sfaldamento dei rilievi. Il team di conservazione ha ripulito gli strati di fuliggine, polvere e sporcizia e ora si possono apprezzare i colori vivaci dei dipinti e delle iscrizioni.
Il team ha scoperto e fotografato scene che rivelato come gli antichi egizi raffiguravano e adoravano i loro dei e come concepivano l'universo attraverso oggetti astronomici e segni astrologici utilizzati per adornare il soffitto del tempio.
Il culto di Khnum risale a 4000 anni fa ma le sue origini e l'evoluzione del culto ad Esna ed in altri centri religiosi, resta un mistero. Khnum è stato sempre collegato alla creazione, alla fertilità ed al Nilo. Era solitamente raffigurato come un ariete o con una testa di ariete, a volte anche come un coccodrillo. Ad Esna era venerato come Khnum-Ra, il dio del sole Ra conferiva a Khnum un potere divino. La scelta del colore rosso e del colore giallo, entrambi comunemente usati per raffigurare il sole, come colori dominanti per i rilievi nella sala d'ingresso, potrebbe simboleggiare proprio la connessione tra le due divinità.
Nel II secolo a.C., il culto di Khnum ad Esna si arricchì di un'altra divinità creatrice, la dea Neith. Gli inni incisi sulle colonne e sulle pareti della sala del tempio lodano Khnum e Neith come Signore e Signora di Esna. Secondo un mito riportato su una delle colonne del tempio di Esna, Neith, chiamata "madre delle madri", diede alla luce Ra e altri dei pronunciando i loro nomi.
Ogni colonna del pronao del tempio di Esna presenta scene rituali nella sua parte inferiore ed è incisa con 28 pannelli verticali di geroglifici che descrivono il culto degli dei di Esna. Una colonna conserva una litania di 143 versi a Khnum-Ra, che loda tutto ciò che il dio ha portato all'esistenza.
I rilievi recentemente puliti sulle pareti interne del pronao forniscono indizi su quello che comportavano i riti in onore di Khnum. Una scena mostra l'imperatore Traiano che dedica quattro bruciatori di incenso al dio, mentre un sacerdote vestito di pelle di leopardo, in piedi di fronte a lui, offre a Khnum un tornio da vasaio. Un altro ritrae i sacerdoti che trasportano la barca solare di Khnum, in cui si trova il santuario del dio, fuori dal santuario interno del tempio. In occasioni speciali, tali processioni avrebbero viaggiato dal santuario interno alla sala d'ingresso, lungo la navata centrale, fino alla folla di fedeli riuniti all'esterno.
I conservatori che lavorano presso il tempio di Khnum di Esna continuano a ripulire le scene sulle pareti interne del pronao e le colonne lungo la sua facciata. Hanno trovato precisi parallelismi tra la miriade di testi e immagini all'interno del pronao e quelli di altri templi. Queste connessioni forniscono un'idea di come i sacerdoti del tempio di Khnum di Esna abbiano ideato ed eseguito il piano generale per la decorazione della sala.

Fonte:
archaeology.org

martedì 25 marzo 2025

Israele, una piramide nel deserto della Giudea?

Israele, la struttura piramidale trovata nel deserto
della Giudea (Foto: Autorità Israeliana per le Antichità)

Gli archeologi dell'Israel Antiquities Authority hanno scoperto una struttura piramidale a nord di Nahal Zohar nel deserto della Giudea. Secondo i ricercatori la misteriosa struttura risale al periodo ellenistico, circa 2200 anni fa.
Nel sito i ricercatori hanno scoperto una grande quantità di manufatti, tra cui papiri scritti in greco, monete di bronzo dei regni dei Tolomei e di Antioco IV, armi, strumenti di legno e tessuti, molti dei quali sono notevolmente ben conservati a causa del clima arido del deserto.
La struttura è enorme, costruita con pietre scolpite a mano del peso di centinaia di chilogrammi ciascuna. Una prima interpretazione della struttura è quella che si trattasse di una torre di guardia sulle rotte commerciali, edificata ed utilizzata all'epoca dei Tolomei e dei Seleucidi. Ma potrebbe essere anche una tomba monumentale.

Fonte:
heritagedaily.com


Egitto, rinvenuta la sepoltura di un ufficiale di alto rango dell'epoca di Ramses III

Egitto, la sepoltura dell'ufficiale
(Foto:english.ahram.org.eg)

Una missione archeologica egiziana del Consiglio Supremo delle Antichità, ha scoperto la sepoltura di un comandante militare di alto rango risalente all'epoca del faraone Ramses III, insieme ad certo numero di fosse comuni e tombe individuali del periodo greco, romano e tardo. La scoperta è stata fatta a Tell Roud Iskander, nel governatorato di Ismailia.
Il sito ha svolto un ruolo cruciale nella sicurezza dei confini orientali dell'Egitto, con fortezze e roccaforti di natura difensiva.
Tra i manufatti portati alla luce dalla sepoltura ci sono punte di freccia in bronzo e resti di uno scettro cerimoniale, ad indicare l'elevato e prestigioso grado dell'ufficiale che vi era stato sepolto.
La tomba è costruita con una struttura in mattoni di fango, composta da una camera funeraria principale e tre stanze aggiuntive e le pareti interne sono rivestite di intonaco bianco. Durante gli scavi gli archeologi hanno rinvenuto uno scheletro umano ricoperto da uno strato di cartonnage a suggerire che, probabilmente, la sepoltura venne riutilizzata in seguito.
Sono stati scoperti anche diversi vasi di alabastro ben conservati, recanti iscrizioni e tracce di colore. Tra le iscrizioni due cartigli recano il nome del faraone Horemheb, della XVIII Dinastia. Tra gli altri reperti figurano un anello d'oro con inciso il cartiglio di Ramses III, alcune perline, pietre di varie forme e colori ed una piccola scatola d'avorio.
Nelle fosse comuni sono stati rinvenuti resti scheletri umani risalenti al periodo greco e romano. In tombe individuali sono stati anche rinvenuti amuleti raffiguranti le divinità Taweret, Bes e l'occhio Udjat.

Fonte:
english.ahram.org.eg

lunedì 24 marzo 2025

Egitto, nuove interessantissime scoperte nei pressi de Tempio funerario di Hatshepsut

Egitto, gli scavi presso la necropoli dell'Assasif
(Foto: Luxor Times)

Gli archeologi che lavorano nella necropoli dell'Assasif, ai piedi del famoso complesso templare della regina Hatshepsut, hanno portato alla luce preziosissimi reperti che fanno luce su nuovi e diversi aspetti dell'antica storia egizia.
Le scoperte ricoprono un arco temporale lunghissimo, oltre un millennio, fornendo indicazioni dettagliate sui riti, l'architettura e le tradizioni funerarie che si sono evolute dal Medio Regno al Periodo Tolemaico, spaziando dal Secondo Periodo Intermedio con scoperte attribuite alla XV Dinastia (1650-1550 a.C.) alla potente XVIII Dinastia (1550-1292 a.C.) con faraoni del Nuovo Regno come la regina Hatshepsut e il re Tutankhamon.
I ritrovamenti sono stati effettuati da una squadra diretta dal Dottor Zahi Hawass sotto la supervisione del Dottor Tarek el-Awady, grazie ad un lavoro di scavo e studio durato tre anni in collaborazione con il Consiglio Supremo delle Antichità d'Egitto.
Sono oltre 1.500 i frammenti di blocchi di calcare e quarzite che un tempo erano le fondamenta del Tempio a Valle della regina Hatshepsut: una struttura perduta da tempo collegata con una via processionale al celebre tempio funerario, il Djeser-Djeseru. I blocchi sono decorati da bassorilievi e iscrizioni dai colori vivaci e straordinariamente conservati che raffigurano la regina e suo nipote (coreggente nonché successore) Tuthmosis III, mentre eseguono rituali sacri.
(Foto: Luxor Times)
Sotto le fondamenta del tempio gli archeologi hanno scoperto un deposito intatto di strumenti cerimoniali su cui è inciso il cartiglio con il nome di incoronazione della regina: Maat Ka Ra. Tutto il materiale verrà presto trasportato al Museo Egizio di piazza Tahrir, al Cairo, per ulteriori studi e la conservazione.
Un'altra scoperta, forse la più intrigante, riguarda una tavoletta con il nome di Senenmut, capo architetto e consigliere di Hatshepsut, tutore della sua primogenita Neferura, capo di Sato e supervisore del Palazzo Reale. Questa tavoletta si aggiunge al corpus di materiale che attesta l'immensa importanza che il ruolo di quest'uomo ebbe nel plasmare la visione architettonica della regina, compreso il suo iconico tempio mortuario.
Lungo la strada che conduce al Tempio a Valle, la missione archeologica ha scoperto i resti di una necropoli tolemaica. Tombe e pozzi di sepoltura di questo ultimo periodo evidenziano l'uso continuo dell'area come spazio sacro anche molto tempo dopo il regno di Hatshepsut. Queste sepolture riflettono una fusione di tradizioni egiziane e greco-romane, sottolineando il ruolo dell'Egitto come crocevia culturale durante il Periodo Tolemaico.
Le scoperte si riferiscono anche al Medio Regno ed al Secondo Periodo Intermedio, con tombe di funzionari di alto rango tagliate nella roccia e pozzi funerari della XVII Dinastia. Alcuni di questi pozzi contenevano sarcofagi rishi, ovvero sarcofagi antropomorfi elegantemente decorati con motivi piumati a simboleggiare protezione e rigenerazione. Le tombe dei bambini, invece, contenevano giocattoli. Queste sepolture forniscono una rara finestra sul periodo transitorio che conduce al Nuovo Regno, quando l'Egitto era vicino alla riunificazione con Ahmose I, colui che espulse dall'Egitto gli Hyksos, un popolo invasore dell'Asia occidentale che prese il controllo del Delta del Nilo intorno al 1638 a.C. e governò parte dell'Egitto fino alla loro sconfitta ed espulsione da parte di Ahmose nel 1530 a.C. circa.
La scoperta più significativa riguarda la tomba di Djehuty-Mes, un nobile della XVIII Dinastia che servì come "sovrintendente del Palazzo" sotto la regina Tetisheri, nonna di Ahmose I. La tomba di Djehuty-Mes, scolpita nella roccia, presenta un ingresso a volta in mattoni di fango e una sala per le offerte decorata con scene in gesso dipinto.
All'interno gli archeologi hanno trovato una stele funeraria intatta che commemora il servizio di Djehuty-Mes alla famiglia reale. Le iscrizioni testimoniano il suo prestigioso ruolo al palazzo di Tetisheri e collocano la sua morte nel nono anno di regno di Ahmose. Questa tomba non solo getta luce sulle dinamiche politiche e familiari dell'inizio della XVIII Dinastia, ma sottolinea anche l'importanza di Tetisheri come matriarca nella riunificazione delle Due Terre e nella fondazione del Nuovo Regno.
Tutte queste nuove realtà hanno restituito una ricca varietà di oggetti, tra cui vasi di ceramica, amuleti, monete e manufatti funerari distanti tra loro nella linea del tempo.

Fonte:
MoTA

Egitto, la testa di...Taposiris

Egitto, la testa tolemaica scoperta a
Taposiris Magna (Foto: MoTA)

La recentissima scoperta è opera della missione archeologica francese dell'Università di Lione e dell'Istituto Francese di Archeologia Orientale al Cairo, guidata dal Dottor Joachim le Bomin.
La testa è stata trovata tra le rovine di un edificio che si ritiene abbia avuto un significato politico durante il VII secolo d.C.
I tratti del viso sono stati scolpiti con notevole precisione artistica e i dettagli sono molto realistici, tipici dell'arte tardo ellenistica che enfatizzano la somiglianza.
Studi iniziali hanno evidenziato che si trattava di un uomo anziano, con la testa rasata, un viso rugoso con impressi i severi segni di malattia.
Le dimensioni della testa - alta circa 38 cm, quindi più grande del naturale - indicano che era parte di una colossale statua che doveva essere collocata in un enorme edificio di rilevante importanza politica e non in una residenza privata.
Di certo l'uomo era un personaggio pubblico, di spicco e molto influente, ma non un re. La sua presenza conferma, ancora una volta, l'importanza storica che il sito di Taposiris Magna ebbe come centro di attività politica e sociale dal regno di Tolomeo IV in poi.
La missione archeologica sta continuando il suo lavoro sul sito nel tentativo di scoprire sia l'identità dell'uomo che il motivo per cui testa è stata trovata in questa residenza nonostante sia stata scolpita 700 anni prima della costruzione dell'unità abitativa, oltre ad avviare i necessari lavori di manutenzione e restauro.
Il sito di Taposiris Magna è uno dei siti archeologici più importanti della costa settentrionale dell'Egitto. Era un luogo strategico e di grande sacralità durante le epoche greco, romana e bizantina. Il sito ospita un enorme tempio dedicato al culto del dio Osiride (dal cui nome deriva il nome della città) e tanti monumenti di rilievo, tra i quali un'area adibita alle terme che, con il suo bagno pubblico risalente sempre al Periodo Tolemaico e ancora in ottimo stato di conservazione nonché dallo stile unico, non ha equali in Egitto.
Questa scoperta, insieme agli scavi in corso, continua a far luce sulla complessa storia di Taposiris Magna come crocevia culturale e politico e aggiunge un altro strato alla narrazione in evoluzione di una delle città più enigmatiche dell'Egitto.

Fonte:
MoTA

domenica 23 marzo 2025

I tesori dell'antica e misteriosa città greca di Tenea

Grecia, gioielli in oro trovati nella sepoltura di Chiliomodi (Foto: Ministero della Cultura greco)
Il comune greco di Tenea vanta una storia molto antica e i reperti archeologici rinvenuti nel corso degli anni lo dimostrano. I ritrovamenti nella regione hanno a lungo parlato di un insediamento un tempo fiorente, così anche l'ultima scoperta di un complesso funerario che promette di svelare altri antichi segreti della città.
Gli archeologi hanno scoperto la monumentale struttura a nord di Tenea, a Chiliomodi. La costruzione somiglia a quella delle tombe macedoni costruite in epoca ellenistica (323-31 a.C.). L'edificio a forma di T ospita due sezioni: una camera principale ed uno stretto corridoio parzialmente coperto che corre perpendicolarmente a questa.
Nella camera principale sono presenti sei sepolture, una delle quali è costituita da un sarcofago monolitico che conteneva resti sia di animali che umani. Due tombe erano state aperte. Nello spazio erano presenti anche ossa di animali e vasi datati al VI e V secolo a.C.
I ricercatori ipotizzano che la stanza sia stata utilizzata per le sepolture fino al IV secolo, prima di essere sigillata. Nel tardo periodo romano, tuttavia, il tetto venne sfondato, le tombe saccheggiate e lo spazio utilizzato per scopi rituali.
Malgrado questo, gli archeologi sono riusciti a dissotterrare una grande quantità di reperti dalla cripta. Reperti di epoca ellenistica e romana. Il tesoro comprende piccoli vasi ellenistici, frammenti di ceramica, monete d'oro, oggetti decorativi in bronzo, perle di vetro, bottigliette di profumo, statuette di argilla ed un anello d'oro incastonato con un sigillo in pietra semipreziosa raffigurante Apollo accanto ad un serpente guaritore.
Secondo il Ministero Greco, queste scoperte, unite alle offerte votive e all'architettura rinvenuta all'esterno del monumento, indicano chiaramente il suo utilizzo secolare connesso ad un culto associato alla guarigione.
Secondo la leggenda, la città fu colonizzata da prigionieri troiani dopo il sacco di Troia. Nel 146 a.C., mentre la vicina Corinto veniva distrutta dagli invasori romani, Tenea sopravvisse e prosperò per secoli. Le ragioni del suo declino e del suo abbandono finale, tuttavia, rimangono tuttora un mistero.
Tra le scoperte più importanti c'è il Kouros di Tenea, una scultura in marmo del 560 a.C. circa, rinvenuta in un luogo di sepoltura nel 1846 e che probabilmente raffigura un individuo deceduto. Nel 1984 è stato dissotterrato un sarcofago appartenente ad una donna di alto rango mentre nel 2017 sono tornate alla luce altre sepolture.
La cosa più sorprendente è stata la scoperta stessa della città di Tenea, da tempo perduta. Nel 2018 un team guidato dall'archeologa Elena Korka ha scavato un sito disseminato di pavimenti e muri in argilla, marmo e pietra, monete e ceramiche risalenti ad un periodo compreso tra il IV secolo a.C. e la tarda epoca romana. Il Ministero Greco salutò la scoperta come prova dell'esistenza dell'antica Tenea.

Fonte:
news.artnet.com


Slovacchia, un castello ed un acquedotto romano...

Slovacchia il castello di Rusovce che conserva un
acquedotto romano (Foto: TRUNI)

Gli archeologi che stanno scavando nei terreni del castello di Rusovce, un monumento neogotico a Bratislava, hanno scoperto un acquedotto romano: una scoperta sorprendente che getta nuova luce sull'antico passato del sito. La scoperta è stata fatta durante i lavori di restauro del monumento culturale nazionale della Slovacchia.
Gli scavi condotti dal Dipartimento di Archeologia Classica dell'Università di Trnava sotto la guida del Professore Associato Erik Hrnciarik, hanno portato alla luce anche una fornace medioevale per mattoni ed una moderna ghiacciaia. Ma la scoperta più importante resta l'acquedotto, ritenuto il primo del suo genere nel Paese.
L'acquedotto, che giace a soli 80 centimetri sotto la superficie del terreno, è costruito in pietra con una base rivestita di mattoni romani (tegulae), disposti in modo da creare una pendenza graduale verso il castello. Misura 91 centimetri in altezza e 32 in larghezza (l'equivalente di un piede romano) e venne costruito per convogliare l'acqua verso una struttura non ancora identificata.
L'acquedotto è stato documentato, per ora, per 38 metri. La sua conservazione è straordinaria. I calcoli suggeriscono che i Romani utilizzarono almeno 51 tonnellate di pietra e più di 80 tegulae. Alcuni di questi mattoni recano impressi i nomi dei loro produttori, mentre altri presentano impronte di zampe lasciate dagli animali mentre i mattoni si asciugavano al sole.
Un mattone reca l'iscrizione C VAL CONST KAR, che lo collega alla fornace privata di Gaio Valerio Costante di Carnuntum (l'attuale Austria), attiva nel II secolo d.C. Gli archeologi ritengono che l'acquedotto sia stato in uso fino alla fine del II secolo d.C., quando venne sepolto, preservandolo per oltre 1800 anni.
Lo scopo esatto dell'acquedotto rimane poco chiaro. Sembra condurre ad una struttura sconosciuta sotto l'ala meridionale del castello, forse un balneum romano. Se così fosse, potrebbe essere servito ai soldati di stanza nella zona, simili a quelli dell'antico predecessore di Vienna Vindobona. Tuttavia, con gran parte della struttura originale che si è persa a causa di costruzioni successive, questa è una speculazione.
Gli archeologi hanno anche scoperto prove di insediamenti risalenti all'inizio dell'Età del Ferro e al Medioevo. Tra i reperti ci sono ceramiche romane di lusso importate da Francia e Germania, vetri di finestre, un frammento di tetto a volta, un braccialetto d'argento e persino un antico portamonete.
Una fornace medioevale per mattoni, in seguito riconvertita per la produzione della calce, offre ulteriori spunti su come i residenti di Rusovce riutilizzarono le rovine romane. Gli archeologi hanno anche identificato una ghiacciaia sotterranea, di diversi metri di diametro, risalente all'età moderna. Tali strutture venivano utilizzate per conservare il ghiaccio raccolto in inverno per la conservazione degli alimenti in estate. Probabilmente serviva la famiglia aristocratica Zichy, proprietaria del castello nel XIX secolo.

Fonte:
spectator.sme.sk

Egitto, rinvenuta una misteriosa tomba ad Abydos. Una sepoltura faraonica?

Egitto, l'ingresso della sepoltura trovata ad Abydos
(Foto: english.ahram.org.eg)

Un team congiunto egiziano-americano dell'Università della Pennsylvania ha scoperto una tomba reale del Secondo Periodo Intermedio nella necropoli di Gebel Anubis ad Abydos, nel governatorato di Sohag.
La scoperta della tomba reale fornisce prove cruciali su una dinastia poco conosciuta che governò l'Alto Egitto tra il 1700 ed il 1600 a.C., comunemente nota come "Dinastia di Abydos".
Gli archeologi ritengono che la tomba possa appartenere ad un predecessore del re Senebkay, la cui sepoltura è stata scoperta ad Abydos nel 2014.
La tomba, che è stata trovata sette metri sotto il livello del suolo, presenta una camera funeraria in pietra calcarea sormontata da volte in mattoni di fango che inizialmente si elevavano fino a cinque metri di altezza. Le iscrizioni sulle pareti raffigurano le dee Iside e Nefti che fiancheggiano l'ingresso della camera funeraria, con tracce di testi geroglifici che un tempo riportavano il nome del re.
Joseph Wegner, a capo della missione di scavo, ha sottolineato che sono in corso ricerche per determinare la datazione precisa della sepoltura, malgrado non si conosca l'identità esatta del proprietario.
Abydos è da tempo uno dei siti religiosi e funerari più significativi dell'Egitto. La necropoli Gebel Anubis, dove è stata trovata la tomba, è nota per la sua montagna a forma di piramide naturale, che ispirò il re Senusret III (1874-1855 a.C.) a costruire la sua unica tomba massiccia sotto la sua cima.
Successivamente, durante la XIII Dinastia, i sovrani e i re della Dinastia di Abydos continuarono questa tradizione, scegliendo di farsi seppellire nel profondo del deserto, vicino alla montagna.
Contemporaneamente a questa scoperta, una missione egiziana del Consiglio Supremo delle Antichità ha scoperto un laboratorio romano di ceramica nel villaggio di Banaweet a Sohag. Il sito, ritenuto uno dei più grandi centri di produzione di ceramica della regione, presenta fornaci, vaste aree di stoccaggio e 32 ostraca in demotico e greco. Questi testi forniscono rare informazioni sulle antiche transazioni commerciali e sui sistemi di riscossione delle tasse.
Le prove raccolte suggeriscono che il sito fu in seguito riutilizzato come luogo di sepoltura nel VII secolo d.C. e che rimase potenzialmente in uso fino al XIV secolo d.C. Tra le scoperte si annoverano tombe in mattoni di fango, resti umani e sepolture di famiglia. E' stata rinvenuta anche la mummia di una bambina con indosso un colorato berretto intrecciato
Inoltre gli archeologi hanno scoperto il cranio di una donna di circa trent'anni e resti di piante, tra le quali radici di grano, semi di orzo e frutti di palma doum, che hanno fatto luce sulla storia agricola della regione.

Fonte:
english.ahram.org.eg


Anfipoli: rinvenuto il tempio di Artemide Tauropolos, la dea dei riti di passaggio

Grecia, Anfipoli, alcune delle statuette rivenute
sull'acropoli (Foto: AMNA)

Un dente umano appartenuto ad un bambino e delle splendide statuette sono i ritrovamenti recenti restituiti dallo scavo presente sull'acropoli di Anfipoli, famosa città della Macedonia.
Il Professor Dimitris Damaskos, docente di archeologia classica all'Università di Patrasso, ha affermato che durante gli scavi del 2024 la ricerca si è concentrata ad ovest dell'antica Basilica bizantina III, dove è stato rinvenuto un edificio rettangolare allungato, con robusti muri ed i cui piani inferiori sono stati realizzati con grandi mattoni di fango ben squadrati. Sopravvive solo la parte occidentale di quest'edificio mentre il resto è stato distrutto dalla costruzione della Basilica bizantina. I reperti rinvenuti finora sono stati datati alla fase iniziale della costruzione dell'antico edificio: IV secolo a.C.
Tra i ritrovamenti più impressionanti vi è quello del dente di un bambino nella prima adolescenza. Sono state rinvenute, inoltre, una piccola statuetta di toro intatta recante un foro sul corpo ed una piccola testa in rilievo d'argilla raffigurante Asclepio.
Il Professor Damaskos ritiene che la varietà e la concentrazione di oggetti rinvenuti, tra i quali figurano alcune statuette femminili in argilla, conchiglie e ossa di animali all'interno di un notevole strato di carbone, indichino che l'area scavata fosse utilizzata per pratiche di culto. La sua conclusione è supportata dai precedenti risultati di scavo.
Inizialmente gli studiosi avevano ipotizzato un culto dedicato a Cibele, la Grande Madre venerata nei Metroon, templi a lei consacrati. Tuttavia la presenza di specifici reperti iconografici e votivi ha orientato la ricerca verso un'altra divinità femminile: Artemide Tauropolos, una variante della dea cacciatrice legata ai riti e alla protezione dei giovani.
L'edificio di culto che sorgeva nell'area venne ricostruito nel IV secolo a.C. L'attribuzione del tempio ad Artemide è stata rafforzata anche dal rinvenimento di un busto pertinente una statua della dea della caccia, anche se le sue condizioni non permettono una datazione precisa. Altri reperti, portati alla luce nel 2019 e nel 2022, suggeriscono chiaramente che il sito fosse dedicato proprio alla dea della caccia. In particolare un busto di cavallo e la conchiglia di un'ostrica collegati al culto di Tauropol, un aspetto specifico del culto di Artemide, incentrato sul suo ruolo di protettrice delle ragazze durante il passaggio all'età adulta.
Il ritrovamento di abbondanti resti di ostriche ad ovest dell'edificio rafforza l'attribuzione dell'edificio al culto di Artemide. Le ostriche simboleggiavano l'inizio delle mestruazioni ed erano, molto probabilmente, lasciate al tempio dalle giovani dopo i pasti rituali. Anche la rara scoperta del dente di un bambino in un contesto chiaramente non funerario è vita come un'offerta votiva alla dea Artemide.
La piccola testa di Asclepio rientra anch'essa nel contesto del culto di Artemide, che era sorella di Apollo, padre di Asclepio. Ad Anfipoli sono stati rinvenuti diversi busti di marmo di Artemide e Asclepio durante gli scavi di una grande casa vicino all'acropoli. La scoperta di una statuetta in argilla raffigurante Pan in un deposito di frutti carbonizzati, insieme all'indicazione di Asclepio, rafforza ulteriormente l'ipotesi che in questo luogo fosse venerata proprio Artemide.
Anfipoli, fondata come colonia ateniese nel 465 a.C., ha avuto una storia travagliata, con un primo insediamento distrutto dai Traci e una successiva rifondazione nel 437 a.C. La sua posizione strategica la rese un importante centro commerciale e culturale, nonché un crocevia per influenze religiose provenienti da tutta la Grecia.
La città di Anfipoli era legata al culto di Artemide che imbriglia, sconfigge o cavalca il toro, come in una moneta battuta in onore dell'imperatore Augusto e trovata, tempo fa, nella città. Artemide, a differenza di Europa rapita dal toro-Zeus, sembra dominare la potenza taurina, incanalandola. E' singolare il fatto che, a quanto sembra, per la monetazione sia stato utilizzato il toro tricorne, che era venerato, in questa forma, anche dalle popolazioni celtiche. Un modo, forse, per sottolineare che il toro stesso non era Zeus?
Artemide Tauropolos è una delle manifestazioni meno conosciute della grande dea della caccia, Artemide, poi conosciuta nel mondo romano come Diana. Il suo epiteto - Tauropolos - suggerisce un legame con il toro, animale sacro in molte culture mediterranee, e con i riti di passaggio che segnavano il transito dall'infanzia all'età adulta.
Artemide Tauropolos era particolarmente venerata nelle regioni costiere, come l'Asia Minore e l'Attica, dove il suo culto era legato ai viaggi per mare, ai sacrifici rituali ed alla protezione delle donne. La sua iconografia include spesso animali marini, come conchiglie e pesci, elementi effettivamente rinvenuti nel sito di Anfipoli.
Un aspetto distintivo del culto di Artemide Tauropolos è il suo legame con i misteri religiosi e le cerimonie di iniziazione. Giovani ragazze e ragazzi, attraverso specifici riti, venivano simbolicamente offerti alla dea prima di raggiungere la maturità. In alcuni contesti si crede che questi riti comprendessero danze sacre e offerte votive di statuette raffiguranti la dea.
Artemide Tauridea o Artemis Tauropolos poteva anche significare una particolare Artemide adorata nella regione della Tauride, ma anche Artemide tirata da un carro di buoi o cacciatrice di tori. Le ultime connotazioni evidenziano una vittoria o una sottomissione della forza bruta da parte del femminile e della sfera materna.
Si ipotizza che Artemide Tauropolos costituisse un riferimento di culto elaborato e sviluppato soprattutto dal mondo femminile. Nel mondo cristiano del Rinascimento, Artemide-Diana fu ripresa come simbolo dell'emancipazione femminile e della vita consacrata delle monache.

Fonti:
greekreporter.com
stilearte.it

Paesi Bassi, il tesoro di Utrecht

Utrecht, il tesoro di monete d'oro di diversa origine
(Foto: RMO)

Nell'ottobre 2023, due cercatori di metalli iniziarono a setacciare un campo della regione di Bunnik, nella provincia di Utrecht, nei Paesi Bassi.
Sebbene la regione più ampia avesse ospitato una significativa presenza militare come parte della frontiera della Bassa Germania, o limes, il campo in questione era molto lontano da qualsiasi sito noto dell'era romana. Ed era anche decisamente paludoso, quindi inadatto per l'insediamento umano che per l'agricoltura.
Nonostante queste premesse non positive, i cercatori dilettanti hanno scoperto un tesoro di monete che segna una straordinaria prima volta non solo per i Paesi Bassi, ma anche per l'Europa continentale. Il nascondiglio, una volta individuato, ha restituito monete romane in oro e argento unitamente a monete d'oro - conosciute come stateri - provenienti dalla Gran Bretagna. Gli stateri riportano il nome di Cunobelin, sovrano dell'Età del Ferro, e vennero coniati nel luogo in cui aveva stabilito la sua residenza stabile: Camulodunum, oggi conosciuta come Colchester.
Questo tesoro ibrido di monete romane e britanniche ha un unico precedente, quello di Helmingham Hall, nel Suffolk. La datazione delle monete rinvenute rimanda ad un periodo compreso tra il 46 ed il 47 d.C. e portano a pensare ad una stretta connessione con la conquista romana della Britannia sotto l'imperatore Claudio.
Le monete recuperate sono circa 381. Altre 23 monete sono state rinvenute nello strato superficiale del terreno durante i successivi lavori di scavo archeologico. La spiegazione più probabile è che tutte le monete provenissero dallo stesso tesoro, depositato in una piccola fossa in un'area remota altrimenti priva di caratteristiche o reperti archeologici. 
Il tesoro è costituito da 288 monete d'argento, 72 aurei d'oro e 44 stateri d'oro britannici. Al momento della loro deposizione, il valore totale di queste monete sarebbe stato quasi 11 volte la paga annuale di un legionario, una somma notevole. Le monete furono coniate in un ampio arco di tempo, con la monetazione d'argento dominata da emissioni del periodo repubblicano, la più antica risalente al 200 a.C. Una sola moneta coniata sotto Giuba I, re di Numidia dal 60 al 46 a.C. Gli aurei risalgono fino all'imperatore Augusto (27 a.C. - 14 d.C.) e includono esempi coniati sotto Tiberio (14-38 d.C.) e Claudio (41-54 d.C.), ma non del predecessore di quest'ultimo, Caligola (38-41 d.C.).
Sebbene gli stateri britannici nominino solo Cunobelin, sovrano dei Catuvellauni dal 5 d.C. al 40 d.C. circa, si ritiene che quattro delle monete siano state emesse postume e rechino simboli che fanno riferimento ai suoi figli.
"L'importanza della regione del Basso Reno per l'invasione romana della Britannia è una scoperta relativamente recente. - Ha affermato Jasper de Bruin, curatore della collezione romana al Rijksmuseum van Oudheden di Leida. - Questa scoperta è emersa solo negli ultimi 25 anni. Era da tempo noto che un numero cospicuo di monete emesse sotto Caligola era stato trovato in molti dei forti romani della zona, anche se si pensava generalmente che queste basi fossero fondazioni successive. Sappiamo che nel 41, dopo l'assassinio di Caligola, le sue monete furono ritirate dalla circolazione. (...) Venti anni fa, il piccolo forte romano di Alphen aan den Rijn è stato scavato ed ha fornito date dendrocronologiche del 40-41 d.C., dimostrando che il legno proveniva da alberi abbattuti sotto Caligola. Abbiamo anche una data dendrocronologica dalla fortezza legionaria di Valkenburg, che suggerisce che sia stata costruita nel 40 d.C., il che si adatta al suo nome romano, Praetorium Agrippinae, apparentemente in riferimento alla madre di Caligola."
Il nome di Caligola venne cancellato - damnatio memoriae - dopo la sua morte e le monete coniate sotto il suo regno furono dotate di un nuovo contrassegno che abbreviava il titolo ufficiale del nuovo imperatore Claudio. La presenza di molte monete di questo genere nel Basso Reno indica, secondo i ricercatori, la presenza di soldati romani durante questo periodo di transizione.

Fonte:
world-archaeology.com

Torino, trovati quattro frammenti del papiro di Senemnetjer

Torino, frammento del papiro di Senemnetjer
(Foto: archeomedia.net)

Nel corso del riordino e studio dei materiali egizi conservati presso il Castello del Buonconsiglio, l'archeologa Annamaria Azzolini e l'egittologa Barbara Gilli hanno identificato quattro nuovi frammenti del papiro di Senemnetjer, un documento di straordinaria importanza storia. Fino ad oggi erano noti solo due frammenti: uno conservato al Museo archeologico di Firenze, l'altro andato disperso ma documentato nei disegni dell'egittologo Karl Richard Lepsius.
Il papiro, databile al regno di Hatshepsut/Thutmosis III (1479-1425 a.C) e proveniente da Saqqara, fu realizzato per il dignitario Senemnetjer "giusto di voce", ammiraglio di flotta e capo dei rematori del tempio di Ptah a Menfi.
Il nome di Senemnetjer è piuttosto raro ed è stato rinvenuto anche su coni funerari di provenienza e datazione incerte. Gli studiosi hanno ipotizzato che potesse trattarsi dello stesso Senemnetjer del papiro: tuttavia il proprietario dei due coni porta il titolo di "Coppiere del re".
I frammenti sono parti di uno dei primi esemplari conosciuti del "Libro dei Morti", in antico egiziano "Formule per uscire al giorno", una raccolta di testi magico-funerari destinata a guidare il defunto nel suo viaggio nell'aldilà. L'uso di depositare rotoli del Libro dei Morti nelle tombe si affermò a partire dalla XVIII Dinastia (1539-1292 a.C.) a Tebe, dove nacque questa tradizione, caratterizzata da testi geroglifici disposti in colonne e arricchiti da vignette. Tale pratica rimase in uso fino all'epoca tolemaica-romana.
Tuttavia, mentre la maggior parte dei papiri coevi al documento di Senemnetjer proviene da Tebe, gli esemplari menfiti sono estremamente rari, e solo pochi al mondo mostrano la struttura testuale su due registri, una caratteristica attestata unicamente a Saqqara.
Tra i pochi manoscritti con questa singolare variante, solo due risultano completi: il papiro della nutrice reale Bakai, conservato presso il Museo Nazionale di Varsavia e il celebre papiro di Nebseni, custodito al British Museum di Londra.
La collezione egizia del Castello del Buonconsiglio risale all'Ottocento e fu donata da Taddeo de Tonelli, ufficiale dell'Impero austro-ungarico e appassionato di antichità egizie. Nel 1921 i reperti furono trasferiti dalla sede municipale al museo per una migliore conservazione.
L'acquisizione di esemplari tanto rari da parte di Tonelli è legata alla sua permanenza in Toscana tra il 1821 e il 1827, periodo in cui numerosi reperti egizi giungevano al porto di Livorno. Nel 1822, una seconda spedizione di manufatti, organizzata dal cancelliere consolare d'Austria in Egitto, Giuseppe Nizzoli, portò diversi reperti nelle Gallerie Reali di Firenze, grazie alla mediazione di Michele Arcangelo Migliarini, allora direttore delle collezioni fiorentine.
Data la stretta collaborazione tra Tonelli e Migliarini, si ipotizza che l'ufficiale abbia acquisito parti del papiro di Senemnetjer proprio attraverso questa seconda spedizione. A conferma di questo, alcuni oggetti della collezione trentina trovano una corrispondenza diretta con quelli conservati a Firenze.

Fonti:
archeomedia.net
mediterraneoantico.it

mercoledì 19 marzo 2025

Egitto, il tesoro del tempio di Karnak

Egitto, collana, anelli e amuleti in oro trovati a Karnak
(Foto: MoTA)

La missione archeologica franco-egiziana del Centro Franco-Egiziano per lo Studio dei Templi di Karkak, in collaborazione con il Consiglio Supremo delle Antichità e il Centro Nazionale Francese per la Ricerca Scientifica, ha riportato alla luce alcuni gioielli risalenti all'inizio della XXVI Dinastia (664-610 a.C. circa, periodo Saita) nel settore nordoccidentale del tempio di Karnak.
I gioielli e gli amuleti sono stati trovati all'interno di un piccolo vaso di ceramica rotto, ma completo di tutte le sue parti, nascosto molto accuratamente tra gli strati di terreno forse durante un periodo di disordini politici.
La collezione comprende collane e anelli in oro, piccoli amuleti dorati, tra cui una triade divina della famiglia tebana composta da Amon, Mut e Khonsu, oltre a una spilla di metallo, amuleti che rappresentano divinità zoomorfe e un gran numero di perle, alcune delle quali placcate in oro. Gli ornamenti sono finemente lavorati e gettano nuova luce sulla vivace attività del tempio durante il Periodo Tardo, un periodo spesso oscurato dalle precedenti espansioni monumentali di Karnak e che invece dovrebbe essere maggiormente valutato per la significativa rinascita politica e culturale avuta sotto i re Saiti.
Precisa il Dottor Jérémie Hourdin, co-direttore della missione dalla parte francese: "La scoperta si aggiunge ad un crescente corpo di prove che suggeriscono che Karnak rimase non solo un centro di culto religioso, ma anche un fulcro di attività economiche e artigianali fino al I millennio a.C. Mentre le fasi precedenti della storia di Karnak, in particolare le sue grandiose espansioni durante il Nuovo Regno, hanno a lungo dominato gli studi, le nuove scoperte sottolineano il significato duraturo del tempio durante i periodi successivi".
Tutti i monili sono in buone condizioni. 

Fonte:
mediterraneoantico.it
 


Pompei, Mantegna o non Mantegna? Mistero sulla Deposizione di Cristo

Pompei, l'opera attribuita al Mantegna
(Foto: finestresullarte.info)

Sta destando scalpore una scoperta di cui ha dato notizia ufficiale la Prelatura di Pompei: è stata attribuita a Mantegna, pittore veneto, una Deposizione di Cristo conservata nel Pontificio Santuario della Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei.
L'attribuzione giunge a seguito di una collaborazione tra i Musei Vaticani e il Santuario: l'opera è stata sottoposta ad analisi tecniche e documentali e verrà esposta nella Sala XVII della Pinacoteca dei Musei Vaticani nella mostra "Il Mantegna di Pompei. Un capolavoro ritrovato".
La vicenda della Deposizione di Cristo di Andrea Mantegna è avvolta da un'aura di mistero. Documentata nel XVI secolo nella basilica di San Domenico Maggiore a Napoli, l'opera era scomparsa dalle fonti storiche, sollevando dubbi sulla sua reale esistenza e sulla possibile attribuzione a Mantegna. Non si sa come l'opera sia arrivata a Pompei, perché già nel Cinquecento non si hanno più tracce dell'opera: probabilmente giunse al santuario nell'Ottocento, tramite donazione.
Nel 2020 lo storico dell'arte Stefano De Mieri, studioso dell'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, ha trovato l'opera sul portale BeWeB (un database dei beni conservati nelle chiese italiane), pubblicata con un'immagine disponibile online, e ha pensato potesse trattarsi dell'originale. Il dipinto era stato inserito dal Santuario di Pompei nel sito che cataloga i beni culturali ecclesiastici: quella fotografia ha permesso al ricercatore di ricostruire la storia dell'opera e di proporre una sua collocazione all'interno della tradizione mantegnesca.
Secondo De Mieri l'opera si trovava in antico nella cappella absidale di San Domenico Maggiore. Lo studioso data il dipinto alla fine del Quattrocento e identifica un possibile committente nel re Federico I di Napoli, zio di Isabella d'Este. Tuttavia già nel XVI secolo del dipinto non si hanno più notizie: secondo De Mieri l'opera sarebbe stata danneggiata durante un incendio e avrebbe subito pesanti ridipinture, rimosse, poi, dal restauro appena condotto.
Dall'intuizione di De Mieri è partita un'indagine su larga scala, coordinata dai Musei Vaticani, che ha visto la partecipazione di esperti di diverse discipline. Alla ricerca e al restauro della tela hanno collaborato anche il Parco Archeologico di Pompei, con il direttore Gabriel Zuchtriegel, e Luigi Gallo, responsabile della Galleria Nazionale delle Marche e della Direzione Regionale Musei delle Marche.
L'opera si presentava in pessime condizioni di conservazione ed è stata sottoposta ad analisi diagnostiche preliminari, guidate dal Gabinetto di Ricerche Scientifiche dei Musei Vaticani sotto la direzione di Fabio Morresi. Mancano ancora i pareri degli studiosi di riferimento di Mantegna.

Fonte:
finestresullarte.info
 


lunedì 17 marzo 2025

El Salvador, le misteriose statuette di San Isidro

El Salvador, le statuette in ceramica trovate a San Isidro
(Foto: Przedwojewska-Szymanska/PASI)

In America centrale è stata fatta una scoperta di notevole importanza. Un gruppo di archeologi ha portato alla luce cinque rarissime statuette, risalenti a 2400 anni fa, nel sito di San Isidro, in El Salvador.
Questi manufatti, che raffigurano quattro donne ed un uomo, potrebbero essere state utilizzate durante rituali pubblici per rappresentare eventi mitici o reali, gettando nuova luce sulle tradizioni locali.
Le statuette sono state rinvenute in cima ad una grande struttura piramidale ed hanno catturato l'attenzione degli studiosi per l'espressività del loro viso. "A seconda dell'angolazione da cui le osservi, le espressioni cambiano: dall'ira al sogghigno fino alla paura", ha spiegato Jan Szymanski, archeologo dell'Università di Varsavia.
Le statuette sono alte tra i 10 ed i 30 centimetri e presentano dettagli sorprendenti. Le tre più grandi sono raffigurate nude, senza capelli o gioielli, mentre le due più piccole hanno ciocche di capelli sulla fronte e lobi delle orecchie allungati. Le statuette più grandi hanno teste mobili e bocche aperte, simili a quelle delle moderne bambole, suggerendo che potrebbero essere state utilizzate in rappresentazioni teatrali.
Questa scoperta non è solo una rarità archeologica, ma anche una prova tangibile di come El Salvador fosse profondamente integrato nella più ampia cultura centroamericana. Le statuette, risalenti al 400 a.C., mostrano stile e materiali simili a quelli trovati in Guatemala, indicando una tradizione condivisa e scambi culturali tra le élite dell'epoca.
La scoperta è particolarmente significativa perché si tratta della seconda volta in cui statuette di questo tipo vengono trovate nella loro posizione originale. La prima scoperta risale al 2012, quando sei statuette femminili furono rinvenute in un sito di sepolture in Guatemala. Inoltre questa è la prima volta che viene identificata una figura maschile, aggiungendo un nuovo tassello al puzzle delle antiche tradizioni rituali.

Fonte:
focus.it

Gran Bretagna, un pozzo sacrificale e tantissime ossa...

Mosaico del II o III sec. d.C. raffigurante un cane
(Foto: Bridgeman Images)

Cuccioli morti, potenziali sacrifici umani e un osso di pene di cane dipinto, sepolti in un deposito rituale, un antico pozzo di cava nell'Inghilterra meridionale, rivelano come potevano essere i rituali di fertilità nei primi decenni della conquista romana della Britannia.
La fossa-ossario - il più grande deposito rituale scoperto di questo tipo risalente al periodo della Britannia romana - fornisce agli archeologi indizi sui modi in cui i Britanni conquistati adottarono, o non adottarono, pratiche culturali romane già nel I secolo d.C.
Ad Ewell, città del Surrey a sudovest di Londra, dove è stato rinvenuto l'ossario, c'era un insediamento di epoca romana che conteneva una cava di selce e gesso e gli archeologi hanno intuito che potevano esserci dei resti.
Durante lo scavo dell'area, i ricercatori hanno scoperto un pozzo profondo 4 metri, contenente migliaia di ossa. Lo strato superiore conteneva per lo più resti di diversi tipi di animali che presentavano tracce di consumo umano, probabilmente antichi rifiuti da cucina. Scavando più a fondo, gli archeologi hanno iniziato a trovare sempre più ossa di cani, cavalli, maiali e infine di esseri umani.
Secondo un conteggio parziale, la fossa conteneva circa 11.400 frammenti ossei identificabili, che comprendevano le parti di almeno 21 esseri umani sepolti nel pozzo e almeno 282 singoli animali. Queste ossa sono state depositate all'incirca dal 77 d.C. al 118 d.C. al più tardi, in base ad una combinazione di date trovate sulle monete sepolte con i resti e alle tecniche di datazione al radiocarbonio. si tratta di pochi decenni dopo la prima incursione di Roma in Britannia, avvenuta nel 43 d.C.
Non è chiaro come siano morti questi esseri umani e animali, ma il modo in cui sono stati depositati non sembra simile a quello di altre sepolture. Quasi nessuna delle ossa mostra segni di traumi o altre ovvie cause di morte. Soprattutto i cani sembrano avere tutti ossa sane al momento della morte, il che potrebbe indicare che si trattava di animali domestici piuttosto che di randagi. I ricercatori non escludono la possibilità di sacrifici umani: lo sgozzamento era un metodo di sacrificio comune all'epoca e di solito non lascia segni sulle ossa.
Venti degli individui sono stati sepolti in parti, e ognun apparentemente in gruppi di cinque che comprendevano un neonato, un bambino, un adolescente e due adulti. Le ossa degli adulti erano troppo frammentate per conservare segni chiari che potessero aiutare a stimare la loro età. Ma se uno di questi adulti fosse più anziano, i resti dei gruppi coincidono con le concezioni romane delle diverse fasi della vita.
I cani erano gli animali più comuni tra quelli sepolti, costituendo circa la metà di tutti gli individui animali identificati. Alcuni di questi sono stati addirittura sepolti interi e i resti di un cucciolo sono stati trovati in un vaso di ceramica. La maggior parte dei cani era di piccola taglia, probabilmente i cani da compagnia che i Romani avevano a volte come animali domestici in questo periodo. Il più interessante di questi resti è un singolo osso di pene di cane, che potrebbe essere stato dipinto di rosso con un pigmento d'ocra.
Particolarmente interessanti sono diversi cuccioli e feti di cavallo. A differenza dei cani e degli altri animali domestici trovati nei depositi, che partoriscono durante tutto l'anno, i cavalli partoriscono per lo più solo in primavera. Considerando tutti questi indizi e il fatto che i depositi contenevano anche orzo carbonizzato, una coltura diffusa nella zona, i ricercatori ritengono che qualsiasi cosa sia accaduta qui potrebbe essere legata a un rituale di fertilità primaverile. Il deposito, oltretutto, corrisponde ad uno schema di diversi altri depositi già rinvenuti. Quello di Silchester, ad esempio, che dista solo un cinquantina di chilometri e presenta cani, corvi e un manico di coltello intagliato che raffigura cani che si accoppiano.
E' difficile dire con esattezza chi fosse a compiere il sacrificio, ammesso che sia avvenuto. Ufficialmente i Romani disapprovavano i sacrifici umani e la pratica sarebbe stata controversa sotto il loro dominio. Alcuni scrittori romani ritenevano che fosse già in atto prima della conquista e potrebbero persino averla usata come scusa per conquistare la Britannia. Ma non ci sono molte prove in entrambi i casi, poiché l'isola non ha prodotto documenti scritti fino a dopo la conquista romana.
Le firme biologiche nelle ossa di tre degli esseri umani suggeriscono che uno di loro è cresciuto nelle vicinanze, mentre gli altri sono cresciuti poco lontano. Probabilmente non erano romani.

Fonte:
nationalgeographic.it

domenica 16 marzo 2025

Datato nuovamente il bambino di Lapedo, in Portogallo

Portogallo, frammenti del bambino ritrovato a Lapedo
(Foto: Cidalta Duarte)
E' stato ridatato il controverso scheletro del bambino di Lapedo, in Portogallo. I resti del bambino furono scoperti per la prima volta nel 1998 nel rifugio roccioso di Lagar Velho, nella valle di Lapedo, nel Portogallo centrale.
Quando gli esperti esaminarono le ossa, rimasero perplessi, poiché il bambino aveva un mento prominente come gli esseri umani moderni, ma gambe corte e tozze come un Neanderthal. Suggerirono che l'individuo potrebbe essere il prodotto di un incrocio avvenuto in qualche momento del passato tra Homo Sapiens e Neanderthal.
Da allora i progressi della genetica hanno permesso di dimostrare che le due specie, infetti, si accoppiavano occasionalmente e si riproducevano e che ancora oggi gli umani recano tracce del DNA neanderthaliano. La datazione al carbonio tradizione è impossibile perché attraverso le ossa erano cresciute delle piccole radici che le hanno contaminate.
Una nuova tecnica, l'analisi radiocarbonica specifica per composto, che misura le proteine trovate nelle ossa umane, ha recentemente datato, in modo approssimativo, i resti del bambino a circa 28000 anni fa.

Fonte:
archaeology.org


Turchia, ricomposta la statua di Hermes ritrovata lo scorso anno

Turchia, la statua di Hermes ricomposta
(Foto: Ministero della cultura e del Turismo -
Agenzia Anadolu)

In Turchia, durante gli scavi dell'antica città di Aspendos, a pochi chilometri da Antalya, è stata rinvenuta nell'ambito del progetto Heritage To The Future del Ministero della Cultura e del Turismo della Turchia una grande statua in marmo raffigurante Hermes, messaggero di Zeus e divinità greca associata al commercio.
La statua è stata rinvenuta in frammenti tra i resti di una fontana monumentale (nymphaion) ed è stata quasi interamente ricomposta con cura.
Inclusa la base, la statua misura 1,65 metri di altezza ed è stata datata tra la fine del II e l'inizio del III secolo d.C., durante il periodo imperiale romano.
La posa della statua è dinamica, con il peso sulla gamba sinistra ed il piede destro in posizione leggermente avanza. La divinità tiene nella mano destra un sacchetto per le monete mentre con la sinistra sorregge il suo caduceo e il mantello. Accanto al piede sinistro è presente un ariete che volge lo sguardo verso Hermes.
Oltre alla statua di Hermes, gli archeologi hanno portato alla luce nella stessa area anche teste associabili alle figure di Afrodite, dea della bellezza, e di Eros, dio dell'Amore, e frammenti di corpi che probabilmente rimandano ad Artemide e Nemesi.
La scoperta di gran parte dei pezzi della scultura è stata effettuata lo scorso anno. Aspendos, importante centro urbano, custodisce un teatro romano perfettamente conservato.
Aspendos è, probabilmente, la città più antica della Panfiliae fondata dai Greci (ma per alcuni dai Troiani in fuga), passò poi sotto la dominazione di Creso, re della Lidia, dei Persiani, di Alessandro Magno, per poi essere conquistata dai Romani, che ne fecero una città prospera attraverso il commercio del sale ricavato da un adiacente lago salato.

Fonti:
finestresullarte.info
abbanews.com

Turchia, scoperti focolari ed oggetti di 4000 anni fa

Turchia, uno dei vasi di ceramica Karaz (Foto: finestresullarte.info) Gli scavi archeologici condotti a Tadum Kales e Tadum Hoyugu , nel vi...