martedì 3 dicembre 2019

Puglia, il più grande sito archeologico neolitico d'Europa

Puglia, la Dea Madre di Passo di Corvo, 5700/5300 a.C., Museo
Archeologico di Manfredonia (Foto: Fame di Sud)
In Puglia, a Foggia, c'è il sito archeologico neolitico più grande d'Europa, che è visitabile. Si tratta del Parco Archeologico di Passo di Corvo, nella contrada Arpinova, esteso per 130 ettari. Venne scoperto casualmente nel 1943, durante una spedizione aerea della Royal Air Force alla ricerca di obiettivi nemici da bombardare. Le immagini che risultano dal quel sorvolo mostrarono, nell'area di Arpinova, la presenza di una singolare concentrazione di sentieri, mura, fossati, recinti, incavi.
Il materiale raccolto venne successivamente archiviato e ripreso a fine guerra dagli studiosi quali l'archeologo e capitano inglese John S. P. Bradford e dall'archeologo rumeno Dinu Adamesteanu, che riuscirono a localizzare oltre 200 insediamenti neolitici, tra i quali quelli ubicati lungo gli affluenti del Triolo, lungo la Sassola, il Celone, il Candelaro, il Cervaro, il Carapelle e l'Ofanto. A metà degli anni '70 del secolo scorso fu avviata una vasta campagna di scavi curati dall'Università di Genova, sotto la direzione del Professor Santo Tiné, in quello che si rivelò essere il più grande tra i siti identificati nelle foto aeree prese durante il secondo conflitto mondiale.
Furono riportati, così, alla luce i resti di un insediamento che, nel periodo tra il VI e il IV millennio a.C. ospitò almeno 300 abitanti, con tracce di diverse unità abitative, fossati a "C" per la protezione e il drenaggio del terreno attorno ad ogni abitazione, cisterne per l'acqua piovana, silos, recinti, 16 sepolture e oggetti della vita quotidiana e del culto, oggi custoditi nel Museo Civico di Foggia e nel Museo Archeologico Nazionale di Manfredonia. Sono stati ritrovati anche semi di leguminose e cereali che attestano le attività agricole di questo insediamento.
Oggi il sito di Passo di Corvo è uno dei pochi parchi archeologici del Neolitico visitabili in Italia e ospita anche la ricostruzione in scala 1:1 di una capanna neolitica, con fossato e animali. Tra gli oggetti di culto restituiti dal sito vi sono due statuette di terracotta ora custodite nel Museo Archeologico Nazionale di Manfredonia. Si tratta di due figure femminili, alte circa 7 centimetri, una delle quali ha una particolare espressione del volto ed una serie di segni che si possono considerare enigmatiche simbologie non ancora identificate con certezza.
Tra i primi studiosi ad analizzare e a pronunciarsi su questa statuetta sono stati il Professor Santo Tiné, che nel 1983 pubblicò l'esito degli scavi, e la celebre archeologa lituana Marija Gimbutas, nota per la particolare attenzione rivolta all'iconografia e al simbolismo del Neolitico. Entrambi concordano nel pensare che si tratti di una Dea Madre, con occhi socchiusi in atteggiamento ieratico, con al collo una lunga collana ricadente sul petto contrassegnato da due piccoli seni sotto i quali figurano alcuni segni a zig zag, presenti anche sul fianco e la parte posteriore, e due figure composte da triangoli contrapposti. Il Professor Tiné nota un segno di ocra rossa sotto la narice ed ipotizza che tutta la figura ne fosse, un tempo coperta. L'ocra è il simbolo del sangue e, per traslato, della vita. Per entrambi gli studiosi le linee a zig zag richiamano simbolicamente l'acqua, correlata strettamente alla Dea Madre.

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