domenica 29 gennaio 2023

Pompei, la Domus dei Vettii torna a splendere per i visitatori

Pompei, la Domus dei Vettii
(Foto: Luigi Spina)

Dopo una chiusura di venti anni, la Domus dei Vettii riapre al pubblico dopo recenti interventi di restauro che hanno ripristinato l'originario splendore dei suoi straordinari affreschi.
La Domus venne scavata tra il 1894 ed il 1896. Apparteneva ad Aulus Vettius Conviva e ad Aulus Vettius Restitututs, probabilmente liberti arricchitisi con il commercio del vino. La ricchezza dei due proprietari si riflette nelle pitture e nelle sculture che adornano la casa. Il vino prodotto dai due liberti era commerciato, del resto, in tutto il Mediterraneo.
La Domus conserva anche tracce della vita servile, in particolare un ambiente adiacente alla cucina, nel quartiere della servitù, decorato con quadretti erotici. Questo spazio, in passato, doveva avere una porta di ferro che consentiva l'accesso ai soli uomini adulti, barriera rimossa solo pochi giorni prima della riapertura della casa. Si è pensato che in questo ambiente si esercitasse la prostituzione, ipotesi avvalorata dal ritrovamento, sulla parete sinistra del vestibolo, di un'iscrizione secondo la quale una donna di nome Eutychis, "greca di belle maniere", sarebbe stata offerta per due assi.
"La casa dei Vettii - ha sottolineato Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico di Pompei - è la storia del mondo romano rinchiusa in una casa, la 'casa museo' della romanità, per così dire: ci troviamo affreschi mitologici e sculture in bronzo e in marmo di eccezionale qualità artistica, che parlano del rapporto complesso tra modelli greci e rielaborazioni romane, ma anche della vita economica e sociale della città. I proprietari, liberti e dunque ex schiavi, sono espressione di una mobilità sociale che due secoli prima sarebbe stata impensabile. Diventano ricchi con il commercio di prodotti agricoli del territorio intorno a Pompei, ma a quanto pare nella loro casa fu esercitata anche la prostituzione da parte di una schiava greca, che apparteneva ai gruppi più deboli della società".
Pompei, affreschi della Domus dei Vettii
(Foto: Luigi Spina)
Il nuovo progetto di restauro, intrapreso nel 2016 sotto la direzione di Massimo Osanna, ha visto collaborare diverse professionalità tra archeologi, architetti, restauratori, ingegneri, esperti di giardinaggio, al lavoro in uno dei cantieri più complessi nel panorama dei beni archeologici degli ultimi decenni. La ricchezza degli apparati decorativi e degli arredi del giardino ha, infatti, imposto un accurato intervento di conservazione, attraverso opere di pulitura, stuccatura e integrazione, necessarie per rendere leggibili i piccoli dettagli e per recuperare i colori originali degli apparati.
Particolarmente difficile si è rivelata la rimozione degli strati di cera che in passato erano stati inseriti sugli affreschi al fine di renderli più brillanti, un metodo di restauro rivelatosi dannoso e che a oscurato molti dettagli delle raffinate pitture, con rappresentazioni di architetture fantastiche e scene mitologiche.
Il restauro ha riguardato anche il giardino colonnato, dove sono state inserite copie delle statue originali conservate negli spazi espositivi e nei depositi del Parco Archeologico, come la statua di Priapo, dio dell'abbondanza.
Uno dei fiori all'occhiello di questa Domus è la cosiddetta Sala di Issione, che si apre sul giardino. Sul fondo è rappresentato il re Issione di fronte ad Era in trono che guarda la scena indicata da Iside: Efesto sta attivando la ruota alla quale sarà legato Issione mediante alcuni serpenti. Il re della Tessaglia era, infatti, colpevole di aver provato ad oltraggiare Era e per questo subì la condanna a girare in eterno nella volta celeste. Sulla parete destra è rappresentato Dioniso che si svela ad Arianna addormentata, mentre Teseo fugge con la sua nave. Sulla parete sinistra Dedalo presenta a Pasifae, moglie del re di Creta Minosse, la vacca di legno che le consentirà di concepire il Minotauro.

Fonte:
arte.it

Pompei, tornano alla Villa di Poppea i reperti che l'adornavano

Pompei, il cratere riposizionato nella Villa di Poppea
(Foto: Parco Archeologico di Pompei)

Sul grande cratere a calice che fungeva da fontana da giardino, i guerrieri di Pirro, disposti a coppia, danzano in punta di piedi con le gambe incrociate e i corpi allungati.
Non distante, una Nike alata, il piede nudo che spunta dalla veste sollevata teso verso il suolo in atto di atterrare, guarda alla scultura di un bambino che gioca con un'oca.
Si tratta di alcuni dei 15 reperti che un tempo adornavano la maestosa Villa di Poppea e che ora ritornano ad abbellire i suoi spazi, riposizionati in alcuni ambienti, offrendo un delicato contrasto tra il marmo delle statue, le eleganti linee dei busti e dei bassorilievi, gli affreschi delle stanze dai colori vivaci.
La ricollocazione delle statue e dei reperti originari, mai esposti prima nel sito, contribuisce a creare un Museo diffuso permanente che ha l'obiettivo di raccontare, conservare e valorizzare l'eccezionale patrimonio statuario di Oplontis. Le opera sono state, in precedenza, in mostra presso il Palazzo Criscuolo di Torre Annunziata ed in parte provengono dai depositi del Parco Archeologico di Pompei.
Al grande cratere in marmo pentelico a bassorilievi, all'Artemide e all'Efebo, al busto di Eracle, alla testa di Afrodite, reperti già posizionati, si aggiungeranno, al termine della mostra "Arte e sensualità nelle case di Pompei" allestita presso la palestra grande di Pompei, dove sono attualmente esposti, i centauri e il gruppo scultoreo del Satiro con Ermafrodito.
Pompei, l'Efebo ricollocato nella Villa di Pompei
(Foto: Parco Archeologico di Pompei)
La Villa di Poppea è conosciuta come "Villa A" per distinguerla dalla "Villa B" rinvenuta poco lontano. Era una delle più importanti ville della costa del Golfo di Napoli. Per la grandiosità dell'impianto e la ricchezza degli apparati decorativi, questa lussuosa dimora, nella quale è stata  rinvenuta un'anfora con il nome di Poppea, è attribuita alla seconda moglie di Nerone. Dotata di un accesso principale orientato verso la campagna retrostante, la villa si sviluppava in una serie di sale di soggiorno e giardini aperti sul golfo.
Il complesso fu allargato verso la metà del I secolo d.C. con l'aggiunta dell'enorme piscina, 61x17 metri, sulla quale si aprivano le stanze da pranzo, il soggiorno, gli alloggi per gli ospiti e i piccoli giardini d'inverno. La villa aveva inglobato anche i resti di un più antico complesso produttivo, a sud del quartiere della piscina, di cui è stato possibile indagare solo l'ambiente del torchio.
Parte delle sculture che decoravano il lussuoso edificio trovavano posto proprio tra la ricca vegetazione attorno alla piscina. Tra le tante ville vesuviane quella di Poppea è l'unica a offrire la possibilità di ricostruire, sulla base degli scavi archeologici, la composizione dei giardini interni, spazi di riposo e meditazione. Al momento dell'eruzione l'edificio, circondato da siepi di bosso, limoni, platani, oleandri, cipressi, rose ed edere rampicanti, doveva essere in gran parte disabitato a causa di lavori in corso che comportarono la rimozione di molti elementi architettonici e decorativi, avviati probabilmente in occasione di un passaggio di proprietà.

Fonte:
arte.it


Vicenza, in mostra l'Egitto che non ti aspetti

Museo Egizio di Torino, statua della dea Meretseger
(Nuovo Regno, XIX-XX Dinastia, Deir el-Medina)

Fino al 7 maggio 2023, a Vicenza, nella Basilica Palladiana, sarà possibile visitare la mostra "I Creatori dell'Egitto Eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone".
Sono moltissime le testimonianze relative alla vita di scribi ed operai emerse dallo scavo della colta comunità di Deir el-Medina, un villaggio fondato intorno al 1500 a.C., sulla riva ovest del Nilo, di fronte all'attuale Luxor. Qui vivevano e lavoravano gli artigiani qualificati e le loro famiglie, incaricati di costruire e decorare le tombe reali della Valle dei Re e della Valle delle Regine durante il Nuovo Regno (1539-1076 a.C. circa).
La storia e la vita di queste maestranze qualificate è oggetto della mostra curata dal Direttore del Museo Egizio, Christian Greco, dalla docente di Egittologia al Politecnico di Milano, Corinna Rossi, dagli egittologi del Museo Egizio, Cédric Gobeil e Paolo Marini.
Il 2022 è stato l'anno in cui sono stati celebrati gli anniversari di due avvenimenti fondamentali per la storia dell'Egittologia: i 200 anni dalla decifrazione dei geroglifici da parte di Champollion ed il centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon.
La mostra ospita 180 reperti originari provenienti dal Museo Egizio di Torino e 20 provenienti dal Louvre di Parigi. Si tratta di statue, sarcofagi, papiri, bassorilievi, stele scolpite e dipinte, amuleti, strumenti musicali, che "parlano" della vita quotidiana di chi abitava il villaggio di Deir el-Medina. Fusaiole, cesti, spatole erano oggetti quotidiani, usati per la vita di tutti i giorni.
Un grande interesse rivestono i numerosi ostraka, frammenti di vasi o schegge di pietra utilizzati dagli antichi Egizi per esercitarsi nella scrittura e nel disegno. I testi sono del genere più disparato: documenti amministrativi ed economici, scritti di carattere religioso o letterario, poesie d'amore e lettere private. In mostra anche lacerti di vita più intimi, quali l'ostrakon che raffigura una scena di allattamento o quello che rappresenta due donne intente ad ingioiellarsi all'interno delle loro stanze.
Tra i tesori provenienti dalle collezioni del Museo Egizio presentati al pubblico per la prima volta, vi sono il sarcofago antropoide di Khonsuirdis ed il corredo della regina Nefertari, proveniente da una delle tombe più belle della Valle delle Regine. Quest'ultimo reperto è stato per molti anni in mostra in diverse parti del mondo.
Ai reperti si aggiungono i contenuti multimediali che forniscono le informazioni e le conoscenze sugli oggetti esposti. Di particolare interesse è l'installazione, a cura del Museo Egizio e realizzata specificatamente per la mostra di Vicenza, che svela per la prima volta i segreti del Papiro della tomba del faraone Ramesse IV, un reperto particolarmente fragile e non trasportabile. La riproduzione virtuale, ideata da Corinna Rossi e realizzata da Robin Studio, rende visibili dettagli e aspetti difficili da cogliere guardando l'originale.
Il percorso di visita della mostra è diviso in due sezione. La prima illustra la vita terrena e la creazione dei capolavori millenari in mostra a Vicenza. Deir el-Medina e l'occidente, in particolare, racconta la più importante città dell'Egitto all'inizio del Nuovo Regno, l'antica Tebe (oggi Luxor) e il piccolo villaggio degli operai; le statue di Ramesse II, della dea Meretseger, della dea Sekhmet, il naos di Seti I, i frammenti e gli altri oggetti esposti narrano la fondazione e la particolare dimensione religiosa di questi due siti. La creazione del microcosmo porta l'attenzione sulla costruzione delle tombe, sulla loro struttura e decorazione, mostrando strumenti, attrezzi e papiri con piante di edifici e studi di disegno. Lo splendore della vita si sofferma sulla vita quotidiana del villaggio di Deir el-Medina, sulle attività e le credenze religiose di chi l'abitava, tra scene dipinte sulle pareti di ricche tombe, stele e ostraka decorati, oggetti di lusso e rarissimi strumenti musicali, quali una lira proveniente dal Museo del Louvre.
La seconda ed ultima tappa si intitola "La vita dopo la morte" e si concentra sulle rappresentazioni dell'aldilà e della sua simbologia attraverso i corredi delle tombe e dei sarcofagi, i manufatti in faience turchese, come la coppa del Louvre o gli ushabti del faraone Seti I, o la straordinaria mummia con sarcofago di Tariri.

Mostra di Vicenza

Luogo: Basilica Palladiana
Indirizzo: Piazza dei Signori
Orari: 10-18 (la biglietteria chiude 30 minuti prima). Chiuso il lunedì
Enti Promotori: Comune di Vicenza, Museo Egizio
Costo del biglietto: intero € 13,00 - Ridotto € 11,00 (over 65)
Telefono per la prevendita: +39 0444 326418
e-mail info: biglietteria@mostreinbasilica.it
sito ufficiale: http://www.mostreinbasilica.it

Fonte:
arte.it

sabato 28 gennaio 2023

Turchia, il relitto di Uluburun fornisce preziose notizie sui commerci dell'Età del Bronzo

Turchia, le immagini dell'antico
naufragio (Foto: Cemal Pulak)
Più di duemila anni prima che il Titanic affondasse nell'Oceano Atlantico settentrionale, un'altra nave naufragò nel Mar Mediterraneo al largo delle coste orientali di Uluburun, nell'attuale Turchia, mentre trasportava tonnellate di metalli rari. Dalla sua scoperta nel 1982, gli scienziati hanno studiato il contenuto del relitto di Uluburun per avere una migliore comprensione delle organizzazioni politiche che hanno dominato il periodo di tempo noto come Tarda Età del Bronzo.
Un team di scienziati, tra cui Michael Frachetti, Professore di Archeologia presso la Washington University di St. Louis, ha fatto una scoperta sorprendente: piccole comunità di pastori degli altipiani che vivevano in quello che è l'attuale Uzbekistan, nell'Asia centrale, producevano e fornivano all'incirca un terzo dello stagno trovato a bordo della nave. Stagno che era trasportato verso i mercati del Mediterraneo per essere trasformato nel prezioso, per l'epoca, bronzo. Lo stagno, dunque, veniva estratto da miniere che si trovavano a notevole distanza dal luogo del naufragio dell'imbarcazione.
Nell'Età del Bronzo le regioni minerarie dell'Asia centrale erano occupate da piccole comunità di pastori, lontane da importanti centri industriali. Il terreno che attraversa l'Iran e la Mesopotamia è un terreno accidentato che sicuramente rendeva estremamente difficile il passaggio di tonnellate di metalli pesanti.
Sembra che questi primitivi minatori uzbeki abbiano avuto accesso a vaste reti internazionali e, attraverso il commercio via terra e per altre vie, siano stati in grado di trasferire lo stagno fino al Mediterraneo. Sembra, inoltre, che l'industria mineraria sia stata gestita da comunità locali su piccola scala ma anche da lavoratori non schiavi che intrattenevano rapporti commerciali non sottoposti al controllo di un'autorità politica.
Negli ultimi decenni, gli scienziati hanno raccolto informazioni sulla composizione isotopica dei depositi di minerale di stagno in tutto il mondo, le loro gamme e sovrapposizioni e i meccanismi naturali attraverso i quali le composizioni isotopiche sono state impartite alla cassiterite quando quest'ultima si è formata.
Aslihan K. Yener, affiliato alla ricerca presso l'Institute for the Study of the Ancient World presso la New York University nonché Professore emerito di archeologia presso l'Università di Chicago, è stato uno dei primi ricercatori a condurre analisi sugli isotopi di piombo. Negli anni '90 Yener faceva parte di un gruppo di ricerca che condusse le prime analisi degli isotopi di piombo nello stagno di Uluburun. Quest'analisi ha suggerito che lo stango di Uluburun potrebbe provenire da due fonti: la miniera di Kestel nelle montagne del Tauro in Turchia e una località non specificata dell'Asia centrale. Queste conclusioni furono ignorate dal momento che si stavano misurando le tracce di piombo e non si stavano cercando le origini dello stagno.
A trent'anni da questi studi, i ricercatori sono riusciti ad avere una risposta definitiva sull'origine dello stagno grazie alle avanzate tecniche di analisi degli isotopi dello stagno: un terzo dello stagno trovato a bordo del relitto di Uluburun proveniva dalla miniera di Musiston in Uzbekistan. I restanti due terzi proveniva dalla miniera di Kestel, nell'antica Anatolia, che si trova nell'attuale Turchia.
Nel 1500 a.C. il bronzo era considerato il metallo per eccellenza, nell'Eurasia. Veniva utilizzato per qualsiasi cosa: dalle armi agli oggetti di lusso, strumenti ed utensili. Il bronzo è composto principalmente da rame e stagno. Mentre il rame è abbastanza comune e può essere trovato in tutta l'Eurasia, lo stagno è molto più raro e si trova solo i specifici tipi di depositi geologici. Trovare lo stagno era problematico per le comunità preistoriche.
La nave di Uluburun ha fornito la più grande quantità di metallo grezzo riferibile all'Età del Bronzo mai trovata: abbastanza rame e stagno per produrre 11 tonnellate di bronzo di altissima qualità. Si tratta di una quantità sufficiente per equipaggiare almeno 5.000 soldati con spade. Si trattava, dunque, di una sofisticata operazione commerciale internazionale che coinvolgeva operatori regionali e partecipanti diversi che producevano e commerciavano in materie prime essenziali per tutte le economie della tarda Età del Bronzo, dall'Asia centrale al Mediterraneo.
A differenza delle miniere dell'Uzbekistan, situate all'interno di una rete di piccoli villaggi e pastori itineranti, le miniere dell'antica Anatolia durante la tarda Età del Bronzo erano sotto il controllo degli Ittiti, un potente impero che arrivò a minacciare anche l'Egitto di Ramses II.
Una volta estratti, i metalli erano lavorati per la spedizioni ed infine fusi in forme standardizzate, i lingotti, per il trasporto. Le diverse forme dei lingotti erano una sorta di biglietto da visita per i commercianti perché permettevano di sapere da dove venivano i metalli. Molti dei lingotti rinvenuti a bordo della nave di Uluburun avevano la forma di "pelle di bue", che si è sempre creduto fosse distintiva dell'origine dall'isola di Cipro. Tuttavia i risultati degli esami condotti recentemente suggeriscono che la forma a "pelle di bue" potrebbe aver avuto origine più ad est.

Fonte:
archaeonewsnet.com


Egitto, il mistero del bambino con un sacco in testa e 142 cani sepolti con lui

Egitto, la misteriosa sepoltura del bambino con i cani
(Foto: archeomedia.net)

E' un enigma. Un bambino di otto anni sepolto con 142 cani, buona parte dei quali cuccioli, è stato trovato durante scavi recenti avvenuti in Egitto, nella necropoli del Fayyum, a cura del Centre for Egyptological Studies of the Russian Academy (CESRAS). La sepoltura risale ad un periodo compreso tra il I secolo a.C. ed il II secolo d.C., durante la dominazione romana.
Il bambino, la cui testa era infilata in un sacco di lino, sovrasta i corpi degli animali, che appartengono a diverse razze canine, tra le quali i levrieri. Gli animali non presentano apparenti segni di violenza, seppure risultino morti tutti nello stesso giorno, secondo gli esami condotti dalla zoologa Galina Belova. Veleno oppure un evento come un'alluvione? Sui resti dei cani è stato trovato un limo argilloso, la cosiddetta argilla blu, che non è presente nella zona di sepoltura, ma che caratterizza i bacini idrici dell'antico Egitto. Un'esondazione oppure i cani furono fatti annegare in concomitanza della morte del bambino?
In alcuni casi, in tombe infantili romane del tardo periodo imperiale, furono trovati resti di piccoli cani, presumibilmente sacrificati nel giorno della morte dei bambini. Al di là delle apparenze - mancanza di segni di armi sui resti trovati in Egitto - si potrebbe ipotizzare, pertanto, che il bambino, che probabilmente era molto legato a questi animali, sia stato sepolto con tutti i suoi cuccioli. Ma 142 cani sono veramente tanti.
Gli egittologi sottolineano il fatto che, per quanto gli Egizi usassero seppellire anche animali, contestualmente alla sepoltura umana, sottoponevano gli animali a un processo di mummificazione, completato dall'avvolgimento in bende. Per questo gli studiosi stanno pensando che il piccolo appartenesse ad un'etnia diversa da quella locale.
Secondo l'Accademia delle scienze russa "Sepolture come quelle scoperte dagli specialisti del Centro non sono tipiche dell'Egitto. La sepoltura di massa dei cani può indicare una sintesi delle idee religiose e magiche degli egiziani e degli stranieri residenti nel Fayyum, che hanno dato origine a nuove forme di pratica rituale".
I cani, dunque, erano cani di allevamento? Il piccolo apparteneva forse ad un gruppo di adoratori di Ecate? Nell'iconografia Ecate, presente nell'olimpo greco-romano, viene rappresentata spesso con tre corpi o con sembianze di cane o accompagnata da cani infernali ululanti, in quanto veniva considerata la protettrice dei cani.
C'è un caso italiano, legato ad Ecate ed alla sepoltura di bambini con cuccioli di cane. E' quello della necropoli dei bambini scoperta nei pressi di Lugnano, sulla sinistra idrografica della valle del Tevere, un eccezionale ritrovamento archeologico di un sito di epoca tardo romana, consistente in una numerosa serie di sepolture che, sulla base delle ceramiche ritrovate, sono state datate intorno alla metà del V secolo. Una delle tante particolarità, da cui deriva il nome attribuito, dipende dal fatto che le sepolture riguardano esclusivamente corpi di bambini (in maggioranza neonati) e feti abortivi, in numero, rispettivamente di 25 e 22. Nello stesso luogo furono sepolti resti scheletrici di una dozzina di cagnolini di 5-6 mesi di età, di un esemplare di circa un anno e l'incisivo di un cane adulto. Gli scheletri dei cani mostrano segni di smembramento: i pezzi sono poi distribuiti su più livelli di terreno. Nelle stesse sepolture furono trovati l'artiglio del tallone di un corvo, parte dello scheletro di un rospo, resti carbonizzati di un caprifoglio.
Per la necropoli tiberina si è avanzata l'ipotesi, fortemente sorretta dai dati di scavo, che i riti siano avvenuti nell'ambito di culti legati ad Ecate.
In Egitto un altro particolare sul quale riflettono gli studiosi è la presenza di un sacco sulla testa del bambino. Un'altra sepoltura è stata precedentemente rinvenuta presso la necropoli con un sacco di lino simile posto sulla testa del defunto, il quale era stato colpito da una freccia a livello del torace.
L'oasi del Fayyum è una depressione nel deserto, ad ovest del fiume Nilo, a sud del Cairo. Il Fayyum era noto agli antichi Egizi come il ventunesimo nomo dell'Alto Egitto, Atef-Pehu ("sicomoro settentrionale"). Nelle vicinanze si trova l'antica città egizia di Crorodilopolis/Arsinoe, dedicata al dio coccodrillo Sobek.

Fonti:
stilearte.it
scienzenotizie.it




Appia Antica delle meraviglie, spunta una statua di un personaggio nelle vesti di Ercole

Roma, particolare della statua rinvenuta
a parco Scott (Foto: Parco Archeologico
dell'Appia Antica)
Nel Parco dell'Appia Antica è stata rinvenuta una statua a grandezza naturale di un personaggio nelle vesti di Ercole. Il reperto è emerso durante lo scavo avviato per le voragini del parco Scott.
La scoperta ha sorpreso tutti, a cominciare dagli addetti ai lavori che stavano scavando nella collina di parco Scott, l'area verde dell'Ardeatino che è parte integrante del Parco dell'Appia Antica. Il reperto è venuto alla luce dopo settimane di movimentazioni di terra di riporto completamente priva di interesse archeologico.
Nell'area era collassata una vecchia struttura: un episodio che aveva reso necessario l'avvio di un cantiere per la bonifica del condotto fognario. Il problema ha causato un prolungato transennamento di una zona di parco Scott, con lavori che hanno portato a movimentare una grande quantità di terreno. I lavori di sbancamento hanno raggiunto la ragguardevole quota di 20 metri sotto il livello di piano di calpestio. A seguire i lavori è stata l'archeologa Federica Acierno.
Con una nota, il Parco dell'Appia Antica ha commentato la straordinaria scoperta della statua a grandezza naturale di Ercole: "Parco Scott ci ha regalato una grande sorpresa, una statua marmorea a grandezza naturale, che, per la presenza della clava e della leontè, la pelle di leone che ne copre il capo, possiamo senz'altro identificare con un personaggio in veste di Ercole". Un primissimo confronto apre l'ipotesi di identificazione con l'imperatore Gaius Messius Quintus Traianus Decius, meglio noto come Decio Traiano, che regnò dal 249 fino alla morte con il figlio Erennio Etrusco, nel 251, avvenuta combattendo contro i Goti di Abrittus.
La statua, in tempi antichi, era finita sul fondo di una valletta nei pressi della Regina Viarum e, con il tempo, era stata progressivamente coperta dallo smottamento del terreno della collina. L'escavatore, impegnato a farsi strada in direzione di un vecchio condotto fognario, ha incontrato una massa lapidea ed è stata avvertita immediatamente la Soprintendenza.
Nell'area di parco Scott, tra la Cristoforo Colombo e la via Appia Antica, Acea Gruppo con Bacino sud Srl, da diversi mesi ha attivo un cantiere per un difficile intervento di revisione e bonifica del condotto fognario. In più punti il collassamento della vecchia conduttura, databile al secolo scorso, aveva, infatti, portato all'apertura di pericolose voragini nel parco e a smottamenti della collina.
L'area di scavo si trova nei pressi del Sepolcro di Priscilla, al secondo miglio della via Appia Antica ed i lavori di sbancamento sono stati costantemente seguiti da un archeologo, coordinato dai funzionari del Parco Archeologico dell'Appia Antica.
Una volta terminata la fase di studio che farà luce su altri aspetti, su tutti la datazione, la statua verrà spostata: l'ipotesi più plausibile è che venga collocata in uno degli spazi espositivi del Parco Archeologico, probabilmente al Casale di Santa Maria Nova.

Fonti:
innitalia.virgilio.it
stilearte.it
storiearcheostorie.com


Roma, tracce della città medioevale scoperte sull'Appia antica

Roma, gli scavi sull'Appia Antica
(Foto: agi.it)

L'area di Caracalla era viva e vissuta anche in età medioevale. Molto prima di essere attraversata dalle auto, e molto dopo aver ospitato le terme imperiali dell'antica Roma, questa zona ha vissuto da protagonista diverse fasi storiche come dimostrano i risultati dello scavo Appia Regina Viarum, un progetto di archeologia pubblica della Soprintendenza Speciale di Roma che, di fronte alle Terme di Caracalla, ha portato alla luce edifici, strutture e reperti, con importanti scoperte a partire dal II secolo d.C. fino all'età moderna.
"Quello che vediamo oggi è il risultato di scavo avviato a luglio - spiega Riccardo Dantangeli Valenzani docente di Archeologia Medievale di Roma 3 - con l'obiettivo centrale di ritrovare indizi sulla localizzazione del primo tratto della via Appia, che è quello su cui ci sono più problemi in merito alla precisa ed esatta localizzazione e anche al rapporto che la via Appia ha con la via Nova Severiana, ossia la strada rifatta dai Severi all'inizio del III secolo che dovrebbe ripercorrere lo stesso tratto della via Appia oppure affiancarlo. Naturalmente, come sempre succede negli scavi, il lavoro ha dato indizi per rispondere a questa domanda ma ha anche fornite tantissime altre informazioni, molte particolarmente interessanti e relative alla continuità di vita e di frequentazione di questa zona in epoca tardo antica e alto medioevale. Sottolineo quindi l'eccezionale interesse dell'individuazione, in quest'area, di tracce di trasformazioni continue che, in qualche modo, confermano la presenza di vita in età medioevale e fino all'inizio del IX secolo".
Roma, la moneta quadrata rinvenuta nello scavo
(Foto: agi.it)
Nell'anno della candidatura a patrimonio Unesco arrivano, quindi, nuove evidenze archeologiche a sostegno della valenza culturale della via Appia. Iniziato nel 2018 con indagini non invasive, lo scavo vero e proprio è cominciato dal luglio 2022. Alle attività archeologiche è stata affiancata anche l'apertura dello scavo alla cittadinanza attraverso visite guidate durante i lavori, che hanno coinvolto migliaia di cittadini, e la pubblicazione delle relazioni archeologiche settimanali attraverso la piattaforma Sitar della Soprintendenza.
Improntata all'interdisciplinarità, l'attività di ricerca è iniziata a opera della Soprintendenza con indagini non invasive, carotaggi e georadar, per individuare il punto dove effettuare lo scavo vero e proprio, iniziato a partire dal luglio 2022 in collaborazione con l'Università di Roma 3, con il coinvolgimento di figure professionali diverse, oltre agli archeologi, strutturisti, geologi, architetti, archeosismologi.
Dove passava il primo miglio dell'Appia Antica? Gli studiosi hanno finora avanzato ipotesi diverse su questo percorso, ma solo l'evidenza archeologica potrà confermare il tracciato iniziale della prima strada romana intitolata a un console, Appius Claudius Coecus, e il suo rapporto con l'imponente via Nova Severiana, costruita all'inizio del III secolo d.C. dall'imperatore Settimio Severo, che ne ribatteva il tracciato.
Roma, lo scavo visto dall'alto (Foto: ilfaroonline.it)
Nel paesaggio contemporaneo il tracciato iniziale dell'Appia è quasi scomparso, tanto che oggi è opinione comune che la strada cominciasse da Porta San Sebastiano. Le fonti antiche tramandano che, invece, la Regina Viarum partiva almeno un chilometro prima, a Porta Capena, dove oggi troviamo l'omonima piazza.
"Le strutture più antiche - spiega Mirella Serlorenzi, direttrice scientifica dell'indagine. - risalgono all'età adrianea, arrivano a quella severiana e distano dalle tabernae davanti alle Terme circa 30 metri, che corrisponderebbero a 100 piedi romani, ovvero la larghezza della via Nova Severiana come riportata dalla Forma Urbis. La stratigrafia ha soprattutto restituito le continue trasformazioni di strutture di età imperiale, con la sovrapposizione nel tempo di attività produttive o abitative. La quantità di informazioni e di materiali rinvenuti, come la moneta quadrata papale, l'anello con monogramma, un'incisione beneaugurante trovata sotto ad una colonna, fornisce un quadro di un'area viva e frequentata fino all'alto medioevo, periodo d cui a Roma si hanno scarse testimonianze. Emerge così la trasformazione dell'Urbs imperiale nella Roma cristiana medieovale decisiva nella storia della città. Sappiamo, quindi, che era una'area molto viva, poteva sembrare ovvio essendo a ridosso della città, ma fino ad oggi non avevamo conferme".
In questo contesto sono considerati, quindi, di estremo interesse i materiali venuti alla luce che permetteranno di inquadrare meglio l'utilizzo dell'area con datazioni più precise. Tra i reperti più antichi spiccano una testa di statua, una colonna con iscrizione beneaugurale, resti di anfore e perfino una rara moneta quadrata, una delle prime coniate sotto il controllo papale e databile tra il 690 ed il 730 d.C.
Anche la ceramica invetriata e i residui e scarti di materiale di fusione confermerebbero la presenza di attività produttive. Il ritrovamento di una strada del X secolo in battuto indica la presenza, in epoca medioevale, di una importante percorrenza che, probabilmente, ricalcava l'Appia e spinge a continuare le indagini. La grande difficoltà dello scavo è stata la massiccia risalita dell'acqua, che impedisce di arrivare ad 8 metri di profondità, dove dovrebbe trovarsi il basolato antico. E' proprio l'acqua, quindi, a fermare, per il momento, i lavori.

Fonte:
agi.it


Patagonia, tracce di dinosauri...

Patagonia, l'orma di un dinosauro
(Foto: viaggi.nanopress.it)

Una nuova scoperta fatta in Patagonia permette di capire come fosse in realtà strutturata la piramide alimentare della preistoria. A fare la scoperta un gruppo di paleontologi delle Università del Cile e del Texas che ha pubblicato il tutto su una rivista specializzata.
La scoperta riguarda i dinosauri. Questo permetterà di ricostruire al meglio alcuni eventi inerenti ai tempi immediatamente prima e successivi all'estensione dei dinosauri. Si tratta di uno scavo effettuato nel 2021 che è stato reso noto al pubblico solamente nel gennaio di quest'anno.
La Patagonia ancora una volta si dimostra una delle regioni dove si ritrovano più fossili di dinosauri. I ricercatori, infatti, ricevono così degli interessanti spunti che permettono di ricostruire la storia evolutiva dei dinosauri. Questo scavo, nello specifico, ha permesso di ricostruire l'intero ecosistema per un periodo precedente all'estensione di questa specie.
La spedizione ha riportato alla luce quattro specie di dinosauri. Tra queste c'è la specie Megaraptor, alta circa 7,5 metri, con caratteristiche piumate. Proprio per quest'ultima caratteristica, molto probabilmente, richiamerà l'interesse di molti esperti e appassionati. Durante lo scavo sono poi state trovate anche due specie di uccelli: una di enantiorniti e una di ornithurae. I primi sono un gruppo di uccelli primitivi presenti in modo molto abbondante nel Mesozoico ed assomigliavano agli odierni passeri. I secondi, invece, erano simili alle oche ed erano molto rari durante il Cretaceo.
Tutte le quattro specie ritrovate sono esemplari carnivori che appartengono al gruppo dei Teropoidi. Avevano artigli da rapaci, sottili e affilati e uno dei ricercatori, Jared Amudeo, ha detto: "Una delle caratteristiche che ci ha permesso di dire che fanno parte di quella specie sono i denti. Sono curvi verso la parte posteriore".
Secondo alcuni paleontologi il periodo precedente all'estinzione dei dinosauri ha subìto dei cambiamenti climatici e l'impatto di un asteroide. Non ci si spiega ancora, però, come è sopravvissuta la specie umana ad uno scenario alquanto apocalittico che ha portato all'estinzione della specie dei dinosauri.

Fonte:
viaggi.nanopress.it

domenica 22 gennaio 2023

Vetulonia, rinvenuto un sepolcreto finora sconosciuto

Vetulonia, scavi nei pressi del sepolcreto
appena scoperto (Foto: archeomedia.net)

Scoperta archeologica nella provincia di Grosseto, a Vetulonia, dove fra le necropoli facenti capo all'antica città etrusca è stato individuato un sepolcreto finora non censito nella Carta Archeologica di Vetulonia di Doro Levi nel 1931, mappa di riferimento che andrà aggiornata con il nuovo ritrovamento.
Il nuovo sito è in località Poggio Valli, a sudovest di Castiglione della Pescaia. L'area è ricca di vestigia etrusco-romane, riportate alla luce nell'800 dal medico archeologo Isidoro Falchi e distribuite lungo i versanti collinari, ma sovrastate nei secoli sia dagli abitati tardo-medioevali sia da aree boschive e rurali dal manto fitto della vegetazione. Tali condizioni hanno determinato la scomparsa di numerosi monumenti funerari che attività recenti si sono ripromesse di individuare. Il sepolcreto ora rinvenuto è un inedito.
"Nella nuova necropoli è possibile individuare un processo di sviluppo della tipologia architettonica delle sepolture etrusche di età orientalizzante e arcaica (VII-VI secolo a.C.). - Spiega il direttore scientifico del MuVet, il museo locale, Simona Rafanelli. - Questa tipologia conduce dalle tombe a circolo di pietre che racchiudono una semplice fossa terragna, chiusa o aperta su un lato breve, localizzati sulla spianata sommitale del poggio, alle tombe con fossa rivestita da filari in blocchi di pietra sotto piccoli tumuli cinti da tamburo, fino alle tombe a camera vere e proprie, inserite entro alti tumuli con tamburo e accessibili mediante un corridoio di accesso".
La scoperta della nuova necropoli è merito di un team di archeologi italiani guidati dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo e con il sostegno della locale Associazione Cultura Archeologica "Isidoro Falchi".
I lavori sono iniziati nel gennaio 2018, dopo l'annuncio all'interno del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. E' stato dato atto della scoperta di una nuova necropoli, un sepolcreto di incredibile importanza, venuto alla luce dopo un'accuratissima campagna di scavi. Gli archeologi hanno, da una parte, preso atto della scomparsa di numerosi monumenti funerari che, per via dell'incedere del tempo e per l'impatto dei fenomeni atmosferici, si sono erosi o sono stati ricoperti dalla fitta vegetazione della macchia mediterranea; dall'altra hanno scoperto questo sepolcreto, celato da diversi tipi di rocce e piante boschive.

Fonti:
archeomedia.net
tecnologia.libero.it




Siberia, trovati importanti resti della misteriosa e sconosciuta cultura Tagar

Siberia, un cranio appartenente ad un individuo della
cultura Tagar (Foto: tecnologia.libero.it)

Quando nel 2018 gli archeologi portarono alla luce una tomba kurgan vicino alla città di Krasnoyarsk, in Siberia, non avrebbero potuto immaginare quel che avrebbero trovato al suo interno. Non si trattava di un semplice sito archeologico, di quelli comuni nella zona, piuttosto di un'enorme tomba risalente a duemila anni fa che per tutto questo tempo ha conservato più o meno intatti i resti di un'antica cultura a lungo sconosciuta.
La scoperta dell'antichissima tomba è stata praticamente casuale. Nel 2018 era stata programmata la demolizione di una piccola collinetta, volta ad espandere il cimitero di Shinnoye, risalente al XIX secolo e situato vicino alla città di Krasnoyarsk in Siberia. Una normale operazione di ampliamento che si è rivelata una scoperta senza precedenti: il team di archeologi dell'Università Federale Siberiana, guidato dal Dottor Dimitry Vinogradov, ha scoperto che al di sotto di quel sito si è conservata quasi del tutto intatta una enorme tomba, testimonianza di un'antica cultura che a lungo è rimasta sconosciuta.
Lo studio più approfondito e gli scavi veri e propri, iniziati nel 2021, hanno portato alla luce i resti di 50 corpi sepolti accanto ad altrettanti corredi funerari, sistemati in una grande fossa rettangolare rivestita di legno e corteccia di betulla. E' molto probabile che in origine vi fosse anche un tetto di legno, andato distrutto durante le operazioni di demolizione dell'area.
All'interno della tomba rettangolare, progettata per contenere un gran numero di persone, gli archeologi hanno scoperto moltissimi strumenti di uso quotidiano insieme a manufatti sacri e armi che i defunti avrebbero utilizzato nei loro viaggi nell'aldilà. Tra questi si distinguono dei pugnali in bronzo in miniatura e asce da battaglia, coltelli, specchi, aghi e stoviglie in ceramica a cui si aggiungono anche grandi perle e placche di bronzo, una delle quali raffigurante un cervo che, secondo il Dottor Vinogradov, era un soggetto ricorrente nell'arte preistorica siberiana.
A colpire gli archeologi, oltre alla ricchezza e alla varietà dei reperti in questione, è stata soprattutto l'appartenenza del sito funerario a una cultura di tipo scita precedentemente sconosciuta. Il Dottor Vinogradov ha spiegato che il termine "scita" si riferisce in particolare ad una triade di caratteristiche archeologiche dell'Età del Ferro, tra cui "alcuni stili di armi in bronzo, articoli per l'equitazione e manufatti artistici con animali reali e mitici, principalmente cervi, felini selvatici, rapatici e mitici grifoni".
Nello specifico si tratta di una cultura di transizione nota come Tesin, individuata per la prima volta dall'archeologo e storico Mikhail Gryaznov dopo gli scavi in un sito archeologico sulle rive del fiume Tes nel Bacino di Minusinsk. Questa a sua volta con molta probabilità emerse alla periferia dei territori conosciuti della cultura Tagar nel II-I secolo a.C. Una cultura unica e diversa da tutto ciò che si conosceva in precedenza, perché i "kurgan" tipici di questa regione consistono solitamente in un tumulo di terra costruito sopra una tomba contenente un unico cadavere, corredi funerari e cavalli.
"Un intero mondo si è aperto ai nostri occhi e siamo solo all'inizio. Cose piuttosto rare e materiali organici sono sopravvissuti sono sopravvissuti fino ad oggi. - Ha spiegato il Professor Pavel Mandryka, capo del Laboratorio di Archeologia di Yenisey Siberia. - Credo che la parte antropologica (crani, frammenti ossei, denti) sarà ulteriormente esaminata attentamente dai genetisti per scoprire la patria storica di queste persone, di cosa erano malati, cosa mangiavano, qual era la loro media aspettativa di vita".

Fonte:
tecnologia.libero.it


Egitto, scoperta una sepoltura di una principessa...forse

Egitto, la porta di accesso alla sepoltura regale
(Foto: stilearte.it)

Il Ministero egiziano per il turismo e l'archeologia ha annunciato la scoperta di un'antica tomba a Luxor, risalente a circa 3500 anni fa. Secondo gli archeologi che hanno fatto questa scoperta, il sepolcro conterrebbe i resti di una regina o di una principessa della XVIII Dinastia. Il periodo sarebbe pertanto quello dei faraoni Akhenaton e Tutankhamon. Le ricerche stanno procedendo.
"La tomba è stata portata alla luce da ricercatori egiziani e britannici sulla riva occidentale del fiume Nilo, dove si trovano la Valle delle Regine e la Valle dei Re" ha detto Mostafa Waziri, capo del Consiglio Supremo delle Antichità dell'Egitto.
Piers Litherland, dell'Università di Cambridge, capo della missione di ricerca britannica, ha affermato che la tombe potrebbe essere di una moglie reale o di una principessa di lignaggio Thutmoside, discendenti di Thutmosis, il primo faraone della nuova Dinastia. La XVII Dinastia, quella precedente, venne interrotta per mancanza di figli maschi. Amenhotep e sua moglie nonché sorella Meritamen non ebbero eredi maschi, così, invece di scegliere un successore all'interno dell'harem reale, Amenhotep lo cercò tra le fila del suo esercito.
Venne scelto il generale Thutmosis, figlio della dama reale Senisonb, forse discendente da un ramo secondario della famiglia del faraone. Era il 1496 a.C. Con questo faraone inizia l'era dei Thutmosidi, contrassegnata da grande prosperità. Durante questo periodo, compreso tra il 1550 ed il 1292 a.C., l'Egitto raggiunse il massimo splendore nelle arti e l'apice della sua estensione territoriale. A Tebe si sviluppò il culto del dio Amon.
Fathi Yassin, direttore generale delle Antichità dell'Alto Egitto e capo della missione dal lato egiziano, ha spiegato che i lavori di scavo stanno proseguendo per ricostruire la disposizione architettonica dell'intera sepoltura. Mohsen Kamel, direttore del Sito delle Valli Occidentali, ha però specificato che la tomba versa in cattivo stato di conservazione, a causa delle copiose infiltrazioni d'acqua che si sono verificate in tempi antichi e che hanno allagato le sue camere, con spessi depositi di sabbia e calcare che hanno portato alla cancellazione di molte delle iscrizioni parietali, rendendo difficile determinare a chi fosse destinata la preziosa sepoltura.

Fonti:
stilearte.it
exibart.com

Pozzuoli, scoperto ed esplorato un tratto dell'Acquedotto Augusteo

Posillipo, tratto dell'acquedotto
appena scoperto
(Foto: stilearte.it)

Un lungo tratto dell'acquedotto romano di Posillipo è stato scoperto e d esplorato nei giorni scorsi dagli archeospeleologi dell'Associazione Cocceius, grazie all'autorizzazione all'accesso ai meandri sotterranei da parate del Commissario Straordinario per la bonifica di Bagnoli e con la collaborazione operativa della Società Invitalia.
L'acquedotto appartiene alla diramazione che, dalla Crypta Neapolitana, portava acqua potabile alla collina di Posillipo e all'isola di Nisida ed è in ottimo stato di conservazione.
"Lo sviluppo rilevato al momento è pari a 647 metri e tale valore lo qualifica come il più lungo segmento noto dell'Acquedotto Augusteo, presentando ben dodici spiragli di accesso. - Dicono il presidente e la vice presidente dell'Associazione Cocceius, Graziano William Ferrari e Raffaella Lamagna. - La nuova scoperta è stata possibile grazie alla segnalazione di residenti locali che da ragazzini, oltre 40 anni fa, percorrevano già il condotto e ne facevano il loro terreno di gioco. La maggior parte del percorso è costituita da uno speco largo tra i 52 centimetri ed i 70, con un rivestimento di intonaco idraulico alto 64 centimetri alla base dei piedritti, a sua volta ricoperto da uno spesso deposito di calcare. Per lunghi tratti è possibile procedere eretti, ma in corrispondenza degli spiragli laterali vi sono accumuli recenti di terreno di provenienza esterna che costringono spesso a strisciare o a procedere carponi".
Il percorso è caratterizzato da numerose svolte e curve, dovute in parte agli errori nelle direzioni di scavo tra due squadre di scavo adiacenti, ed in parte alla necessità di evitare zone in cui la roccia incassante è interessata da bancate di materiale poco coerente di origine eruttiva. Una parte degli spiragli di accesso è ostruita dai materiali alluvionali, mentre altri si aprono sulla parete tufacea e sono occultati dalla vegetazione del versante. Il percorso esterno per raggiungere l'ingresso è piuttosto impegnativo, richiedendo diverse arrampicate su terreno incoerente ed un abbigliamento protettivo nei confronti dei rovi.
La struttura ipogea finora esplorata presenta già notevoli elementi di interesse scientifico, che gli speleoarcheologi intendono approfondire in stretta collaborazione con i dipartimenti universitari competenti e con la Soprintendenza ABAP per il Comune di Napoli.
"Per la prima volta - dicono Ferrari e Lamagna - abbiamo a disposizione un lungo tratto continuo di acquedotto antico in ottimo stato ed in cui sarà possibile ricavare una misura accurata del dislivello esistente tra i livelli di scorrimento di due punti fra loro distanti. Ciò permetterà di calcolare con una certa precisione il flusso idrico di progetto e reale. Dal punto di vista geologico, l'ipogeo permette di esaminare direttamente la struttura interna di un consistente tratto del costone tufaceo che sostiene Posillipo. Questo permetterà di ricavare importanti informazioni sulle sequenze eruttive che hanno formato il costone. Analogamente, l'analisi dei depositi calcarei permette di ricavare informazioni sull'evoluzione del territorio e del clima nell'antichità, con importanti ricadute sulle tendenze evolutive del clima attuale".
L'Acquedotto Augusteo della Campania è una delle maggiori opere civili dell'antichità romana, realizzata negli ultimi decenni del I secolo a.C. per rifornire di acqua dolce non solo il porto della flotta militare a Miseno mediante la celebre Piscina Mirabile, ma soprattutto l'intero agglomerato urbano e portuale di Puteoli e le ricche installazioni termali di Baia.
Una lunghezza stimata di 105 km del solo asse principale e di 140-150 km con le diramazioni laterali lo rendevano il più lungo acquedotto romano dell'epoca. Inoltre era l'unico a servire numerosi centri urbani, elencati su un'iscrizione rinvenuta presso le sorgenti del Serino. Come in gran parte degli acquedotti romani, il suo corso si svolgeva in gran parte in sotterraneo. Dopo aver circuito Neapolis, esso attraversava il costone di Posillipo a lato della Crypta Neapolitana. Successivamente circuiva la conca di Fuorigrotta verso Agnano e Bagnoli e si dirigeva verso Pozzuoli.

Fonte:
stilearte.it


venerdì 20 gennaio 2023

Tunisia, scoperte cisterne romane

Tunisia, gli scavi che hanno portato alla scoperta delle
cisterne (Foto: National Heritage Institute)

Gli archeologi del National Heritage Institute (INP) hanno scoperto diverse cisterne romane durante gli scavi nell'antica Maxula, in Tunisia.
Maxula, chiamata anche Maxula Prates, era una colonia romana situata nell'attuale città portuale di Radès, nel governatorato di Ben Arous. Maxula è l'originario nome libico-berbero del paese, che in antichità era una stazione per le imbarcazioni che collegavano la zona con Cartagine.
Durante il periodo romano, la regione faceva parte della provincia romana d'Africa, Africa Proconsularis, istituita nel 146 a.C., in seguito alla sconfitta di Cartagine nella terza guerra punica.
Sotto il dominio romano, la provincia fu soprannominata "il granaio dell'impero", per via di un'economia basata sull'agricoltura che esportava cereali, fagioli, fichi e uva dalle città portuali in tutti gli angoli del mondo romano. La città fu anche sede di un antico vescovado cristiano che oggi sopravvive come sede titolare della Chiesa Cattolica Romana.
Uno scavo di salvataggio del National Heritage Institute ha rivelato a Maxula diverse cisterne e resti di muri di fondazione. Le cisterne erano utilizzate come recipienti impermeabili per contenere liquidi, solitamente acqua, che in epoca romana costituivano un sistema di gestione dell'acqua nelle comunità agricole della terraferma.

Fonte:
heritagedaily.com

martedì 17 gennaio 2023

Corsica, trovate sepolture di epoca romana

Corsica, una delle sepolture in anfora rinvenute
(Foto: archeomedia.net)

Gli archeologi che lavorano sull'isola della Corsica, hanno scoperto circa 40 antiche tombe, nelle quali venivano sepolti i defunti all'interno di vasi giganteschi.
Nel I millennio a.C., la Corsica ospitava diverse civiltà. Gli oggetti scoperti nello scavo sembrano essere di origine romana e, pensano gli esperti, forse sono stati riutilizzati dai Visigoti.
Il ritrovamento è avvenuto vicino a Ile-Rousse, una città sulla costa occidentale della Corsica, dagli archeologi dell'Istituto Nazionale Francese di ricerca archeologica preventiva (INRAP). Il sito di Ile-Rousse è stato occupato per almeno 6000 anni. Una dozzina di sepolture sono tornate alla luce, ma gli scavi dello scorso anno hanno portate alla luce diverse tombe con notevoli variazioni nello stile architettonico.
Al centro della città, i ricercatori hanno iniziato lo scavo in due siti dai quali sono emerse anfore per il trasporto di olio d'oliva, vino ed altri oggetti provenienti da Cartagine. Questi recipienti, in seguito, ebbero un altro scopo: quello di ospitare i corpi di bambini ma anche di adulti. In totale, ad Ile-Rousse, sono stati scoperti 40 scheletri di individui sepolti tra il III ed il IV secolo d.C..
I Romani occuparono l'Ile-Rousse, allora conosciuta come Agilla, proprio nel lasso temporale al quale appartengono le anfore sepolcrali rinvenute. La Corsica, piccolo ma fondamentale avamposto per chiunque ambisse a dominare i canali del Mediterraneo, conobbe, nel I secolo un periodo di notevole instabilità. L'isola fu sotto il dominio cartaginese fino al 240 a.C., quando subentrarono i Romani. Agilla venne chiamata dai Visigoti Rubico Rocega intorno al 410 d.C. Venne in seguito governata dai Vandali e dagli Ostrogoti prima dell'annessione all'impero bizantino nel 536 d.C.

Fonte:
archeomedia.net

Puglia, resti di una necropoli antica portati dal mare...

Puglia, i reperti rinvenuti sulla spiaggia del Salento
(Foto: archeomedia.net)

Il mare di Porto Cesareo, nel Salento, continua a restituire preziose testimonianze archeologiche, l'ultima delle quali venuta alla luce nei giorni scorsi a seguito di una mareggiata. Questa scoperta ha consegnato ai tecnici della Soprintendenza e agli studiosi dell'Università del Salento, i resti di tombe e scheletri in un'area che ricade nell'ambito di una necropoli d'epoca romana già nota da tempo.
Il sito, che si trova proprio sulla battigia, nelle vicinanze di Torre Chianca, è stato delimitato e sono in corso le operazioni di recupero. La zona è sorvegliata senza soluzione di continuità per evitare che possa essere danneggiata o depredata dalle temute incursioni dei tombaroli.
La Soprintendenza è impegnata in un'operazione di recupero che richiede la massima urgenza, anche perché il materiale riaffiorato per effetto delle mareggiate è ora esposto all'azione del moto ondoso che potrebbe danneggiarlo e persino dispenderlo, sottraendolo alle attività di studio da parte degli archeologi.

Fonte:
archeomedia.net

domenica 8 gennaio 2023

Oman, scoperte tracce di un antico insediamento

Oman, l'insediamento scoperto (Foto: arkeones.net)

L'agenzia di stampa dell'Oman ha annunciato la scoperta di un insediamento risalente a 5000 anni fa durante gli scavi presso il sito archeologico di Al Gharyein nel Wilayat di Al Mudhaibi, nel governatorato settentrionale di Ash Sharqiyah.
L'insediamento è stato scoperto da un gruppo di esperti della Sultan Qaboos University e del Ministero del Patrimonio e del Turismo. Le tracce delle culture Hafeet e Umm Al Nar trovate qui suggeriscono che il sito risalga alla prima Età del Bronzo.
Umm Al Nar (Madre del fuoco) è una cultura dell'Età del Bronzo che prosperò intorno al 2600-2000 a.C. nell'area degli odierni Emirati Arabi Uniti e dell'Oman settentrionale. Il nome deriva dall'isola omonima, adiacente alla città di Abu Dhabi ed ha fornito le prime testimonianze ed i primi reperti attribuiti a quel periodo.
Tra il 2500 ed il 2000 a.C., questa piccola isola ospitava un insediamento relativamente grande che svolgeva un ruolo attivo nel commercio regionale. I manufatti mostrano che le persone che vivevano sull'isola commerciavano con civiltà lontane come l'antica Mesopotamia (l'odierno Iraq) e la civiltà della Valle dell'Indo (odierni Pakistan e India).
L'insediamento presso il sito di Al Gharyein comprendeva una struttura a torre, case a più stanze che la circondavano, un cimitero con fosse comuni e le rovine di altre strutture. Nota distintiva del sito, inoltre, sono i suoi grandi edifici di 600 metri quadrati ciascuno.

Fonte:
arkeonews.net




Germania, ispezionato un pozzo rituale in legno

Germania, il pozzo rituale
(Foto: Marcus Guckenbiehl)

Nella città di Germering, nello stato tedesco della Baviera, gli archeologi hanno portato alla luce i resti di un pozzo in legno dell'Età del Bronzo, ben conservato e pieno di depositi rituali.
Molto probabilmente le persone devono avervi gettato gioielli e ceramiche come offerte alla speciale sorgente d'acqua che si trovava qui, un pò come le monete che vengono ancora gettate nei cosiddetti pozzi dei desideri.
L'area dell'odierna città di Germering, nell'Alta Baviera, era fin dall'inizio un'area insediativa. Lo testimoniano numerosi reperti della preistoria e della protostoria. Dall'inizio del 2021 se ne sono aggiunti molti di nuovi: in vista dei lavori di costruzione, su un'area di scavo di circa sette ettari sono state scoperte numerose tracce di insediamenti a partire dall'Età del Bronzo fino all'alto medioevo. Questo può voler dire che questi pozzi sono stati utilizzati da persone di epoche diverse per l'approvvigionamento idrico. Ma uno dei pozzi scoperti sul sito differiva in modo significativo dagli altri.
Il pozzo appena sondato è in legno e antico di più di 3000 anni oltre ad essere piuttosto profondo: cinque metri, più di quanto siano profondi pozzi simili. Le pareti lignee del pozzo sono state completamente conservate nella parte inferiore e sono ancora in parte umide. Questo spiega anche il buono stato di conservazione dei reperti realizzati con materiali organici, che ora vengono esaminati più da vicino.
Germania, le spille in bronzo trovate sul fondo
del pozzo (Foto: Marcus 
Guckenbiehl)
Il team di archeologi ha scoperto, in quella che un tempo era la base del pozzo, 26 spille in bronzo, un braccialetto, due spirali di metallo, il dente di un animale, perle in ambra e più di 70 vasi in ceramica. Gli archeologi sottolineano che questo riempimento rende questo pozzo fondamentalmente diverso dagli altri rinvenuti nel sito dello scavo.
Questi oggetti costosi, scoperti solitamente nelle sepolture della media Età del Bronzo, non erano oggetti di uso quotidiano. Lo stato in cui si trovavano quando sono stati scoperti sul fondo del pozzo suggerisce che siano stati accuratamente calati nell'acqua, piuttosto che lasciati cadere o gettati.
La profondità del pozzo dimostra che è stato utilizzato in un momento in cui il livello delle acque sotterranee era notevolmente diminuito, il che indica una lunga siccità e sicuramente scarsi raccolti. Si può forse intuire in questo un motivo per il quale le persone che vivevano in questo luogo sacrificarono parte dei loro possedimenti alle loro divinità in questo pozzo, a detta dell'archeologo Marcus Guckenbiehl, archeologo ed archivista di Germering.

Fonte:
arkeonews.net


Baia, la riscoperta del mosaico ad onde

Bacoli, parte del mosaico sommerso
(Foto: archeomedia.net)

Una riscoperta ha caratterizzato il Parco Archeologico Sommerso di Baia: un bellissimo mosaico, con cornice ad onde, rinvenuto quasi 40 anni fa, è stato ritrovato e risvelato per la gioia di archeologi e visitatori.
La "scomparsa" è stata conseguenza si delle variazioni del fondale, sia del lungo periodo di oblìo cui è stato oggetto il Parco Sommerso. Il venir meno della Posidonia ed i conseguenti maggiori movimenti del fondale lo avevano nuovamente insabbiato.
La mancanza di una mappatura dell'area archeologica aveva, poi, fatto il resto facendone perdere le tracce.
Le nuove ricerche, condotte da ormai un biennio su questo straordinario sito, non solo hanno portato a riscoprirlo, ma stanno anche mostrando una sequenza di ambienti, fino ad ora ignoti, dei quali si sta cercando di comprendere forma e funzione.
Si sa per certo che il mosaico riscoperto ornava, un tempo la stanza di una domus nel Portus Julius. L'opera mette in evidenza una trama ad onde nere intorno e risulta ancora in eccellenti condizioni con le sue tessere scure e rosa su uno sfondo bianco. Secondo gli ultimi studi, la zona limitrofa attorno al mosaico potrebbe far parte dell'opera fatta realizzare da Agrippa nel I secolo a.C. per bloccare le incursioni piratesche di Sesto Pompeo.

Fonte:
archeomedia.net
napolike.it


sabato 7 gennaio 2023

Trento, la basilica paleocristiana di San Vigilio riapre al pubblico

Trento, reperti archeologici della basilica paleocristiana
di San Vigilio (Foto: ilgiornaledellarte.com)
Si tratta dell'area che fu messa in luce tra il 1964 ed il 1977 dagli scavi condotti da monsignor Iginio Rogger: a riemergere fu l'originario luogo di culto (14x43 metri) la cui fondazione viene attribuita a Vigilio, terzo vescovo di Trento nel 381. Le sue spoglie furono conservate qui accanto a quelle dei martiri Sisinio, Martirio e Alessandro, uccisi dai pagani nel 397 d.C. mentre evangelizzavano la Val di Non.
Le trasformazioni della basilica, nata con funzione cimiteriale, furono molteplici nei secoli, fino a farla sparire sotto la nuova cattedrale del XIII secolo con il suo imponente baldacchino settecentesco "ispirato a quello di Bernini in San Pietro, a differenza di quello è completamente in marmo", spiega l'ingegner Edoardo Iob, responsabile unico del procedimento di restauro del duomo, diretto insieme agli architetti Ivo Maria Bonapace, progettista e coordinatore, e Fabio Campolongo per la Soprintendenza. Restauro che non ha riguardato la basilica sotterranea chiusa al pubblico per motivi di sicurezza.
"Il ponteggio, infatti, - ha detto l'ingegner Iob - gravava sulle strutture della cripta che sono state messe in sicurezza per consentire il restauro della soprastante cattedrale. Strutture che, con una complessa operazione ingegneristica coraggiosa e intraprendente in relazione al grande peso del baldacchino, furono realizzate durante gli imponenti scavi degli anni '70 sotto la guida dello stesso monsignor Rogger e dell'ingegner Giulio Dolzani di Trento. Progettarono e realizzarono la struttura di supporto del presbiterio della cattedrale che permise di proseguire gli scavi mettendo in luce completamente la basilica paleocristiana e rendendola visitabile. Un intervento di grandissimo ingegno e perizia".
L'arca di San Vigilio, ricavata in un unico blocco in marmo bianco tra l'XI ed il XII secolo, con decorazioni a fasce in rilievo e cornici geometriche su tre lati, in origine era nel presbiterio rialzato dell'antica cattedrale. Con la realizzazione della cattedrale romanica, fu spostato in fondo al coro sopraelevato dove, capovolto, venne utilizzato come altare maggiore. Dopo diversi spostamenti, nel 1977, al termine degli scavi, venne posizionato al centro dell'antica basilica. Tra le più antiche lastre tombali vi è quella del vir spectabilis Censorius, sepolto tra il 539 ed il 569 e il sarcofago longobardo, del VII-VIII secolo, in calcare rosso ammonitico.
A destra e a sinistra del percorso di visita, tra epigrafi e lacerti di plutei scolpiti, si trovano anche frammenti musivi policromi di gusto geometrico orientaleggiante diffuso in Italia dopo la vittoria sugli Ostrogoti dell'imperatore bizantino Giustiniano (553 circa). La loro disposizione rivela l'esistenza di una complessa recinzione rialzata in pietra che delimitava un particolare presbiterio sopraelevato, denominato bema.

Fonte:
ilgiornaledellarte.com


Pompei, torre con vista...

Pompei, vista sulla città dalla Torre di Mercurio
(Foto: Parco Archeologico di Pompei)
Una vista privilegiata su gran parte degli scavi di Pompei, quella della Torre di Mercurio, il punto più alto tra quelli della cinta muraria rimasti praticamente integri. Anzi, con i suoi tre livelli si raggiunge proprio il punto più alto disponibile sulla città antica. E' stata riaperta al pubblico, per piccoli gruppi, dal 23 dicembre 2022.
Restaurata di recente la Torre di Mercurio fa parte delle fortificazioni che furono irrobustite dal I secolo a.C., che sono anche parzialmente visitabili in questo settore occidentale di Pompei. 
In particolare i blocchi delle murature, costituiti da diversi materiali lapidei e tufacei, hanno richiesto importanti interventi di messa in sicurezza e conservativi. In quest'area sono stati inoltre riaperti due saggi di scavo già condotti nel 1927-1929 da Amedeo Maiuri, allo scopo di sondare le fasi più antiche della fortificazione della città ed il suo impianto urbanistico. Particolarmente interessanti sono le tracce dei solchi delle macchine da guerra utilizzate per difesa durante l'attacco di Silla nell'89 a.C., emerse lungo il camminamento di ronda.
Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico, ricorda che "le indagini archeologiche, coordinate dal Professor Marco Fabbri dell'Università di Tor Vergata, hanno mostrato che dove ora si trova la torre, fino al IV secolo a.C. c'era una porta della città, che fu poi obliterata. E' un dato che apre prospettive stimolanti non solo sull'impianto urbano della Pomepi più antica, ma anche sullo spazio all'esterno delle mura. Sarebbe interessante capire dove questa strada portava e se lungo essa, come era in antico, si trovavano delle tombe di quei periodi".
La città di Pompei si dotò, già dal VI secolo a.C., di una fortificazione rafforzata ed integrata nel corso del tempo fino al I secolo a.C. Questa fortificazione non sempre riuscì a garantire protezione, come avvenne durante l'assedio di Silla che portò alla presa della città e alla riduzione a colonia romana. Proprio in questo tratto di mura, tra Porta Ercolano e Porta Vesuvio, sono visibili i segni dei proiettili lanciati dalle catapulte dell'esercito di Silla. Vennero, in seguito, effettuati numerosi rifacimenti della cortina esterna e, soprattutto, vennero aggiunte al circuito delle fortificazioni una serie di torri di guardia poste ad intervalli più o meno regolari, a cavallo della cortina. Con il consolidarsi dell'autorità di Roma e il venir meno dei pericoli esterni, la funzione difensiva delle fortificazioni andò diminuendo d'importanza e le mura acquisirono un valore monumentale e simbolico, urbanistico, piuttosto che strategico.

Fonte:
archeoreporter.com


Olanda, trovato una sorta di pantheon romano

Olanda, uno dei reperti rinvenuti durante lo
scavo (Foto: stilearte.it)

Nel Gelderlanda, in Olanda, è stato scoperto un santuario romano completo e relativamente intatto a livello di base. Gli archeologi della RAAP hanno fatto la sorprendente scoperta a Herwen-Hemeling (comune di Zevenaar), vicino al limes romano, patrimonio mondiale dell'UNESCO. Diversi templi si trovavano in questo sito. Sono stati rinvenuti resti di statue di divinità, rilievi e intonaco dipinto. Particolare è il ritrovamento di diverse pietre votive complete o altari votivi, dedicati a vari dei e dee. Si tratta di un ritrovamento eccezionale per i Paesi Bassi ma anche a livello internazionale.
Ad Herwen-Hemeling i soldati romani, dal I al IV secolo d.C., si riunivano per pregare i loro dei. Si tratta di un luogo speciale: all'incrocio tra il fiume Reno ed il Waal era presente una sopraelevazione del terreno, ulteriormente rialzata attraverso materiale di riporto. Sulla cima di questa collina sorgevano due o, forse, più templi. Uno di questi è un tempio gallo-romano con pareti colorate e tetto di tegole. A pochi metri di distanza sorgeva un altro tempio, con pareti splendidamente dipinte. Particolarmente degni di nota sono i resti di diverse decine di pietre votive (piccoli altari) poste da soldati di alto rango per adempiere ai loro voti. Le pietre erano dedicate ad Ercole Magusano, Giove-Serapide e Mercurio. Un grande pozzo in pietra aveva anche una particolarità: una scala, ugualmente in pietra, che scendeva nell'acqua. Di tanto in tanto grandi fuochi sacrificali venivano accesi intorno ai templi.
Olanda, una delle tegole con bollo rinvenuta nello scavo
(Foto: stilearte.it)
Nei Paesi Bassi sono noti diversi santuari romani, ma questo è il primo complesso templare trovato al confine con l'Impero Romano (limes) nei Paesi Bassi. I templi di Elst, Nijmegen, Empel e Aardenburg sono oggi esempi ben conosciuti. Mai prima d'ora, in Olanda, è stato trovato un complesso così completo con un tempio, pietre votive e fosse con resti di offerte. Inoltre, la quantità di frammenti di sculture in calcare è senza precedenti. Il luogo restò in uso per secoli. In epoche successive, vari edifici romani furono regolarmente utilizzati come cave per il recupero di mattoni e di materiale edilizio in genere. Questo fenomeno fu meno evidente ad Herwen-Hemeling.
Gli archeologi sostengono che il santuario qui presente era utilizzato prevalentemente dai soldati, lo si evince dai numerosi bolli presenti sulle tegole: l'industria delle tegole era, all'epoca, in questa zona, un'attività affidata all'esercito. Inoltre sono state rinvenute molte parti di finimenti di cavalli, parti di armature e punte di lance. Dozzine di are votive vennero erette qui dai militari romani per ringraziare una divinità maschile o femminile per aver esaudito una preghiera. L'area sacra riemersa accoglieva sia divinità romane che quelle adorate dai militari romani provenienti dall'Ungheria, dalla Spagna e dall'Africa.
La sona in cui sono stati rinvenuti gli edifici romani non è distante dalle attuali cave di argilla. Ed è stato proprio durante l'intensificazione dell'attività estrattiva che sono iniziati ad emergere i primi segnali della presenza di un antico insediamento.

Fonte:
stilearte.it


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