mercoledì 30 agosto 2017

Emersi i resti della Sofia romana

Gli scavi a Sofia, in Bulgaria (Foto: Comune di Sofia)
Gli archeologi che stanno lavorando presso un sito della capitale della Bulgaria, Sofia, hanno trovato, in piazza Sveta Nedelya, i resti di taverne e negozi pertinenti un grande edificio pubblico dell'antichità.
L'antico edificio risale alla metà del II secolo d.C., quando Serdica, antico nome di Sofia, si trovava sotto il dominio romano. Sono stati trovati anche i resti di tubi per l'acqua e canali che servivano un impianto fognario. L'edificio aveva molte stanze, tra le quali una fila si trovava sul lato orientale che si riferivano a negozi il cui accesso si trovava sulla strada principale della città.
Gli archeologi hanno rinvenuto una gran quantità di ceramiche, di monete, anfore per l'olio e il vino. Tra i reperti più curiosi, una squisita raffigurazione di un serpente in bronzo, forse parte di una statua di Esculapio. Ora i reperti sono esposti presso il Museo di Storia Regionale di Sofia.

Fonte:
The Sofia Globe

Nuove scoperte nella necropoli micenea di Aedonia

La necropoli di Nemea, in Grecia (Foto: tornosnews.gr)
Nuove sepolture sono state rinvenute e studiate durante la seconda stagione di scavi in corso a Nemea, scavi completati il 29 luglio scorso. Si tratta di sepolture dell'antica necropoli micenea di Aedonia.
Le sepolture sono state scavate nella roccia e sono costituite da tre sezioni: la strada, un percorso in discesa che conduce all'ingresso della tomba e quest'ultimo, bloccato da pietre disposte in modo irregolare, che dà accesso alla camera funeraria.
I recenti scavi hanno portato alla luce due nuove tombe a camera e, malgrado una di esse sia stata saccheggiata, gli archeologi sono riusciti a datare quest'ultima all'ultimo periodo miceneo (1350-1200 a.C.). La seconda sepoltura, scoperta sotto spessi strati di sedimenti del periodo arcaico, romano e medio bizantino, è stata scavata in epoca micenea.
Gli scavi sono organizzati dall'Eforato delle antichità di Corinto, sotto la supervisione del Dottor Konstantine Kissas, con la collaborazione del Dottor Kim Shelton del centro Nemea di archeologia classica dell'Università di California a Berkeley.
La necropoli micenea di Aedonia comprende diverse altre necropoli della tarda Età del Bronzo (XV-XIII secolo a.C.). Molte sepolture contenevano oggetti pertinenti i corredi dell'élite qui sepolta, corredi saccheggiati nel 1970. 

Fonte:
tornosnews.gr

lunedì 28 agosto 2017

Scoperta una nuova necropoli a Luxor

Khaled Al-Anani, Ministro egiziano delle antichità, e Mohamed Badr, governatore di Luxor, hanno annunciato la scoperta di una nuova necropoli nella città di Luxor. Si terrà un conferenza stampa il 9 settembre prossimo, nella quale saranno rivelati nuovi dettagli.
A detta del capo dell'Agenzia delle Antichità di Luxor, Mustafa Waziri, la necropoli sarà una vera sorpresa. La necropoli contiene 1.400 statue di diverse dimensioni, numerosi sarcofagi e mummie e diverse maschere appartenenti al personaggio che possedeva questa necropoli. Si sono conservati anche gli affreschi murali di alcune sepolture.

Trovati in Turchia i resti antichissimi di un cavallo

Un'archeologa con i resti del cavallo trovati in Turchia (Foto: AA)
Nella provincia orientale di Van, gli archeologi hanno scoperto lo scheletro di un cavallo vissuto 2800 anni fa, durante l'Età del Ferro, quando la zona era dominata dalla civiltà Urartu (o regno di Van). I resti si trovavano nei pressi del castello di Cavustepe.
Il responsabile degli scavi, il Professor Rafet Cavusoglu, della facoltà di archeologia dell'Università di Yuzuncu Yil di Van, ha detto che le indagini archeologiche hanno identificato due tipi di antiche pratiche funerarie. La prima pratica consisteva nella cremazione del defunto e nel seppellirne i resti all'interno di un'urna di terracotta; la seconda, invece, prevedeva l'inumazione in posizione fetale.
Esseri umani ed animali venivano deposti, secondo quanto rivelato dallo scavo, nello stesso luogo. "Lo scheletro del cavallo è stato rinvenuto in giacenza là dove si trovavano le prime sepolture. Accanto alla sepoltura del cavallo ci siamo imbattuti in numerosi resti ossidati e deformati di chiodi di ferro e di bronzo", ha aggiunto il Professor Hakan Yilmaz, membro del team di scavo. Probabilmente il cavallo apparteneva ad un nobile oppure ad un funzionario che abitava nei pressi del castello ed è stato sacrificato alla morte del padrone.

Fonte:
Daily Sabah

sabato 26 agosto 2017

Trovate monete romane in Cornovaglia

Alcune delle monete disotterrate in Cornovaglia (Foto: cornwalllive.com)
Alcuni appassionati archeologi dilettanti hanno trovato un tesoro di 2.000 monete romane in un campo della Cornovaglia. Il tesoro era custodito in un contenitore con tappo e maniglia in piombo. Si tratta di 1.965 monete che vanno dal 253 al 274 d.C.
Le monete sono tutte realizzate in bronzo con una percentuale di argento pari all'1%. Si tratta di una tipica monetazione di epoca tardo romana. Circa 78 delle monete rinvenute sono di origine gallica, di altre 54, pur essendo visibile il ritratto dell'imperatore, non è stato possibile riconoscere chi fosse, altre 645 monete sono troppo corrose per essere identificate.

Fonte:
cornwalllive.com

Trigonometria babilonese, la modernità degli antichi

La tavoletta Plimpton 322 (Foto: UNSW/Andrew Kelly)
Dopo quasi un secolo di studi sono stati interpretati i segreti di un'antica tavoletta, risalenti a mille anni prima del teorema di Pitagora. Si tratta di un'antica tavoletta in argilla babilonese che ha rivelato essere una tabella trigonometrica più accurata di qualsiasi altra oggi esistente, a detta dei ricercatori.
Uno sconosciuto genio babilonese, mille anni prima di Pitagora, ha preso una tavoletta di argilla ed ha inciso una serie di tabelle di trigonometria accuratissime. La tavoletta esaminata risale a 3700 anni fa ed è custodita nella collezione della Columbia University. I ricercatori che l'hanno esaminata, dell'Università del New South Wales di Sidney, pensano che le quattro colonne le 15 righe incise sul reperto rappresentino la più antica e accurata tabella trigonometrica del mondo, uno strumento di lavoro che poteva essere stato utilizzato per la costruzione di templi, palazzi e piramidi.
Daniel Mansfield, dell'Università di matematica e statistica, ha affermato che la tavoletta può illuminare su alcuni metodi di costruzione dell'antichità e definisce l'autore dei calcoli un genio indiscusso della matematica. I calcoli sono basati sul sistema sessagesimale, che permette calcoli più accurati di quelli basati sul sistema decimale. I matematici hanno discusso per quasi un secolo sull'interpretazione di questa preziosa tavoletta, conosciuta come Plimpton 322, comprata da George Plimpton, editore di New York, da Edgar Banks, diplomatico, antiquario e archeologo dilettante, che ispirò la figura di Indiana Jones.
La tavoletta Plimpton 322 descrive i triangoli ad angolo retto utilizzando un nuovo tipo di trigonometria non basata sugli angoli. La tavoletta precede le scoperte dell'astronomo greco Ipparco di più di 1000 anni ed apre nuove possibilità non solo alla ricerca matematica moderna ma anche per la didattica della matematica. Esiste un tesoro di tavolette babilonesi non ancora completamente studiate, che contengono segreti della matematica antica e sofisticata. 

Fonte:
theguardian.com

Roma, scoperti due sarcofagi presso lo Stadio Olimpico

Uno dei due sarcofagi trovati a Roma (Foto: repubblica.it)
Tornano alla luce due sarcofagi in marmo, probabilmente del III-IV secolo d.C., appartenenti a due fanciulli di famiglia piuttosto benestante. Lo riferisce la Soprintendenza speciale all'Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma, spiegando che i due sarcofagi, uno dei quali decorato con bassorilievi, sono stati riportati alla luce nei giorni scorsi durante uno scavo di archeologia preventiva in un cantiere Acea, nei pressi dello Stadio Olimpico di Roma, sulla pendice nordoccidentale di Monte Mario, dietro la curva nord.
L'area interessata dai ritrovamenti è prossima alla Via Triumphalis, che portava da Veio fino al Campidoglio, sulla quale soldati e condottieri sfilavano per ricevere gli onori del popolo dopo una vittoria. Dalla necropoli rinvenuta sotto il colle Vaticano ai siti archeologici della borgata Ottavia, sono molti gli elementi che testimoniano il popolamento e la valenza sacra della zona limitrofa all'antica strada consolare, che in passato ha restituito reperti datati fino all'Età del Ferro, con i resti di alcuni villaggi etruschi.
Lo scavo è stato diretto da Marina Piranomonte, con gli archeologi Alice Ceazzi, il restauratore Andrea Venier, l'antropologa Giordana Amicucci e il topografo Alessandro Del Brusco. Finalizzati alla messa in opera di tubazioni di sotto-servizi, i lavori hanno portato alla luce le tombe a circa 2,5 metri sotto il piano stradale. La datazione dei sarcofagi, che sono stati trasportati nei laboratori della soprintendenza, potrà essere confermata solo dopo un approfondito esame. I reperti, infatti, saranno analizzati, studiati e restaurati nei prossimi mesi. I risultati delle ricerche saranno divulgati nel prossimo autunno.

Fonti:
Adnkronos
Arti.it

Gerusalemme, trovato un mosaico con il nome di Giustiniano

L'iscrizione con il nome di Giustiniano trovata a Gerusalemme
(Foto: artemagazine.it)
E' stato rinvenuto, a Gerusalemme, un mosaico bizantino con inciso il nome dell'imperatore Giustiniano. Il reperto si trovava ad un metro sotto terra ed è stato trovato durante scavi di routine. Risale al VI secolo d.C. e doveva trovarsi all'ingresso di un luogo di accoglienza per pellegrini.
Il rinvenimento è opera di un gruppo di archeologi israeliani diretti da David Gellman. Si tratta di un rinvenimento unico in quanto il reperto riporta un testo scritto con il nome di Giustiniano e quello di un abate.
I resti in quest'area sono numerosi ma i testi scritti sono davvero rari. Inoltre l'iscrizione in greco, datata intorno al 550 d.C., menziona personaggi molto importanti dell'epoca. L'incisione commemora la fondazione da parte dell'abate ortodosso Costantino di un edificio nei pressi della Porta di Damasco, a Gerusalemme Est, probabilmente un luogo di accoglienza per pellegrini.
Leah Di Segni, membro dell'Istituto di Archeologia dell'Università ebraica, come riporta l'agenzia Askanews, spiega: "Non si tratta dell'iscrizione di una chiesa, anche se apparentemente sembra appartenere a un monastero. La cosa più probabile è che questa iscrizione fosse all'ingresso di un ostello per pellegrini e viaggiatori che arrivavano a Gerusalemme dal nord e nordest".

Fonte:
artemagazine.it

Agrigento, trovate tracce di vino dell'Età del Rame

I vasi in cui è stata individuata la presenza di vino dell'Età del Rame
(Foto: Danide Tanasi, University of South Florida)
Studiosi dell'Università della Florida hanno affermato, grazie ad alcune analisi chimiche condotte su resti in ceramica, che la vinificazione in Italia possa essere avvenuta molto prima di quanto si sia creduto finora. E' stato trovato, infatti, un grande vaso dell'Età del Rame (inizi del IV millennio a.C.) recante tracce che, ad un'analisi chimica approfondita, si sono rivelate essere di vino.
Si tratta di una scoperta significativa poiché si tratta della prima scoperta di residuo di vinificazione di tutta la preistoria italiana. Secondo la tradizione la viticultura e la produzione del vino si sono sviluppate, in Italia, intorno alla media Età del Bronzo (1300-1100 a.C.), come è stato rilevato dal recupero di alcuni semi di uva.
Il responsabile dello studio, Davide Tanasi, dell'Università della Florida meridionale a Tampa, ha individuato, grazie all'analisi chimica, tracce di vino su ceramica non smaltata dell'Età del Rame rinvenuta sul Monte Kronio, nei pressi di Agrigento, in Sicilia. Tanasi e il suo team di studiosi hanno rilevato, sul reperto, la presenza di acido tartarico e del sale di sodio, che si sviluppano naturalmente durante il processo di vinificazione. Si tratta di una scoperta rara, poiché per poter rilevare i due elementi bisogna disporre di antiche ceramiche intatte. Al momento gli studiosi stanno cercando di scoprire se il vino contenuto nel reperto era rosso o bianco.

Fonte:
University of South California

sabato 19 agosto 2017

Sicilia, nuove scoperte nella villa di Realmonte

Gli archeologi sul sito dell'antica villa di Realmonte, in Sicilia
(Foto: USF)
Gli archeologi hanno scoperto nuovi reperti di un'antica villa romana unitamente a diversi manufatti che potrebbero aumentare la conoscenza del sito e dell'intera economia della Sicilia al tempo dei Romani. Sul posto operano gli archeologi dell'Università della Florida del Sud, la villa si chiama Villa Durrueli e si trova vicino alla città costiera di Realmonte, in Sicilia.
Secondo gli studiosi, le mura, i livelli pavimentali, la scala in pietra e il canale dell'acqua presente nella struttura hanno aiutato i ricercatori a stabilire che l'edificio è stato costantemente occupato tra il II e il VII secolo d.C., con un restauro ed un adattamento nel V secolo d.C.. Dallo scavo sono emerse pentole, lampade in ceramica ed attrezzature varie che hanno spinto i ricercatori a ritenere che la funzione precipua di questa grande fattoria fosse quella di produrre ceramica, mattoni e piastrelle su scala industriale, arrecando un notevole contributo alla conoscenza della storia economica della Sicilia tardo-antica.
Il peristilio della villa e gli ambienti attigui
(Foto: Carlo Guidotti)
Parti del sito sono state già scavate qualche decennio fa, quando altri archeologi hanno lavorato sui resti della villa. Attualmente sono state utilizzate scansioni in 3D dell'interno sito, sia dal suolo che aeree che sono state fondamentali per la comprensione del complesso.
Ville come queste erano, in realtà, al tempo dei Romani, delle vere e proprie fattorie situate nella immediata periferia di un centro abitato o in campagna. Si trattava delle case di personaggi di ceto abbiente presenti esclusivamente in Italia.
La sovrintendente Gabriella Costantino ha dichiarato: "Lo scavo ha avuto l'obiettivo di reinterpretare le intricate vicende edilizie attraverso cui la villa è andata incontro tra il I e il III secolo d.C., facendo emergere un'importante fase di occupazione di epoca bizantina, del tutto sconosciuta finora. Grande importanza ha infatti la scoperta di un vasto complesso per la produzione della ceramica, incentrato sul riuso dei forni che alimentavano le stanze calde delle terme come fornaci per la ceramica e le stanze stesse come vani di servizio".
Il pavimento a mosaico raffigurante Scilla
(Foto: Carlo Guidotti)
La villa romana si trova in contrada Durrueli, che dà il nome al sito, in località Punta Piccola. La scoperta del complesso abitativo e industriale risale al 1907, durante gli scavi per la realizzazione della ferrovia che, passando proprio per Realmonte, avrebbe attraversato la cittadina di Porto Empedocle collegando Agrigento a Siculiana. Venne portato alla luce l'impianto originario dell'antica abitazione romana, formata da due ambienti in opus sectile, ossia decorati con lastre di marmo, e tre ambienti in opus tessellatum, cioè con pavimenti a mosaico.
Vista l'entità della scoperta fu deciso di deviare il tracciato ferroviario, permettendo in tal modo la conservazione del sito e la prosecuzione degli scavi, durante i quali emersero ulteriori due vani in opus tessellatum. La campagna di scavi riprende soltanto verso la fine del secolo scorso, quando nel 1979 il Soprintendente Ernesto De Miro richiede la collaborazione del Professor Masanori Aoyagi, dell'Università giapponese di Tsukuba, il quale, estendendo l'analisi del territorio circostante, mette in luce il peristilio dell'area sud e l'intera area del complesso della villa romana. Oggi l'area visitabile è pari a 5.000 metri quadri circa e consta di due macro zone, una costituita dalla composizione dei vani destinati ad abitazione e una dedicata all'impianto termale.
Particolare dell'impianto termale (Foto: Carlo Guidotti)
Dell'originario impianto termale è riconoscibile il corridoio di accesso con lo spogliatoio, apodyterium, nel cui pavimento a mosaico è raffigurata Scilla, mostro marino femminile, che cinge un timone e circondata da fregi di carattere marino; attigua è la stanza contenente la vasca marmorea del frigidarium, quella con la fornace per il calidarium e un'altra probabilmente dedicata al tepidarium.
Nello specifico del territorio agrigentino, una delle maggiori fonti di ricchezza - e forse di arricchimento anche per il proprietario della villa di Realmonte - è lo sfruttamento delle miniere di zolfo, di proprietà privata, che fu attestata alla gens Annia nel II secolo d.C. e poi, nel III secolo, venne assorbita dal monopolio imperiale. Questa attività economica così importante ad Agrigento è documentata da oggetti particolari: si tratta delle Tegulae mancipium sulphuris, ovvero le tegole degli appaltatori di zolfo, sorta di tavolette di argilla con incisi alcuni caratteri latini al contrario, ovvero rovesciati e in senso destrorso, cioè da destra verso sinistra. Queste tavolette erano delle matrici inserite sul fondo di stampi, probabilmente in legno, entro cui veniva colato lo zolfo fuso; in questo modo la matrice imprimeva, sui pani di zolfo, il nome del produttore del materiale, normalmente leggibile da sinistra a destra.
Una Tegula mancipium sulphuris (Foto: izi.travel/it)
Per la realizzazione degli attuali lavori di scavo è stata firmata un'apposita convenzione triennale tra la Soprintendenza ai Beni Culturali di Agrigento e l'University of South Florida della città di Tampa. Direttore degli scavi è l'archeologo Davide Tanasi, da anni impegnato in collaborazioni archeologiche in Sicilia con le Università americane.
"Abbiamo iniziato gli scavi all'inizio del mese di luglio - ha spiegato l'archeologo Tanasi - miriamo a comprendere sia la reale vastità del complesso che è ben più grande di quello conosciuto ad oggi, sia risalire all'identità della personalità romana proprietaria di una villa così importante e ricca. Altro obiettivo è quello di ricostruire le fasi posteriori al periodo romano, quando il caseggiato fu trasformato in altro".

Fonti:
ibtimes.com
sicilypresent.it/luoghi-e-storie/

Giordania, scoperto un tempio di età ellenistica

Gli archeologi della Yarmouk University al lavoro ad Umm Qais
(Foto: Atef Sheyyab)
Un tempio ellenistico, il primo del suo genere nella regione del Levante, è stato scoperto a Umm Qais, in Giordania. Una squadra di archeologi della Yarmouk University ha portato alla luce sia il tempio che l'acquedotto che serviva la città.
Il tempio risale ad un periodo compreso tra il 332 e il 63 a.C. e venne riutilizzato anche in epoca romana, bizantina ed islamica. L'architettura della costruzione era tipica del mondo greco, si tratta di un tempio distilo in antis, con un pronao (area interna del portico), un podio e il naos, la parte centrale e più sacra del tempio. Sono state rinvenute anche le colonne ioniche che un tempo ornavano l'edificio.
Gli archeologi hanno raccolto anche campioni di ceramica trovata nei pressi del tempio al fine di datare con certezza quest'ultimo. E' stato anche scoperto l'acquedotto della città antica, costituita, oltre che da condotti, anche da una serie di pozzi di età ellenistica e romana. Le gallerie entro cui scorre l'acquedotto portano anche ad un termopolium al centro della città.
Jerash, Gadara (ora Umm Qais) e Pella (Tabaqit Fahl) appartenevano, un tempo, alla Decapoli, una lega di dieci città greche situate nella Palestina orientale, formatasi all'indomani della conquista romana della Palestina (63 a.C.). La Decapoli comprendeva anche Philadelphia (l'odierna Amman) e Damasco. Umm Qais dista circa 125 chilometri in direzione nord da Amman e vanta imponenti resti di archi e un teatro edificato in pietra basaltica nera, una basilica e un cortile adiacente occupato da sarcofagi neri finemente intagliati.

Fonte:
jordantimes.com

Trovato il mikveh dell'antica sinagoga di Vilnius

Il mikveh di Siracusa (Foto: haaretz.com)
Un team internazionale di archeologi ha riportato alla luce i resti di bagni rituali presso la grande sinagoga di Vilnius, in Lituania. Questi bagni erano stati bruciati e saccheggiati durante l'occupazione nazista e vennero definitivamente occultati nel 1965 dai Russi.
Di preciso non si sa quando gli ebrei arrivarono in Lituania. Le prime tracce della loro presenza nel Paese risalgono all'VIII secolo d.C., ma può darsi che siano giunti qui molto prima, a seguito della diaspora seguita alla rivolta di Bar Kokhba in Israele. Comunque sia i rapporti tra la Lituania e la comunità ebraica sono stati caratterizzati sempre da una notevole alternanza. Gli ebrei sono stati spesso accolti e altrettanto spesso espulsi, come nel 1495.
La grande sinagoga di Vilnius venne completata nel 1633, oltre un secolo dopo che gli Ebrei erano stati richiamati in Lituania. L'edificio venne costruito sul sito di una delle sinagoghe più vecchie della città, a sua volta edificata sui resti di una casa di preghiera ebraica ancora più antica. Dal momento che, all'epoca della costruzione della sinagoga, una legge vietava che i luoghi di culto ebraici superassero in altezza le chiese cristiane della città, l'edificio venne costruito in parte sotto terra.
Il mikveh di Boskovie, nella Repubblica Ceca
(Foto: Wikipedia)
Dall'esterno la sinagoga sembrava avere tre piani, in realtà si estendeva per l'altezza di cinque, cosa chiaramente visibile dall'interno. Tutti i piani erano decorati fastosamente. Il 22 giugno 1941 la Germania nazista occupò la Lituania. Durante la devastazione del ghetto cittadino (ottobre 1941) la grande sinagoga venne saccheggiata e data alle fiamme. Alla fine della seconda guerra mondiale ne rimaneva visibile solo una piccola porzione, spoglia degli arredi trafugati.
Nel 1950 il governo lituano-sovietico decise di abbattere definitivamente quanto rimaneva del luogo di culto ebraico e di tutta la zona che lo circondava, vale a dire scuole, una biblioteca, ambienti per la vendita di carne kosher e il mikveh.
L'attuale scavo si è basato su alcune piantine del tardo XIX secolo trovate nell'archivio comunale di Vilnius e mira a ripristinare l'antico mikveh, che era a due piani, aveva delle stanze ed un'ala di servizio. Al momento gli archeologi hanno trovato solo un mikveh e non sono sicuri che ce ne fossero altri. Quello appena ritrovato aveva le pareti ricoperte di muffa ed era infestato dalle cavallette.
Durante la seconda guerra mondiale gli Ebrei di Vilnius vennero sterminati quasi completamente. Delle 130 sinagoghe solo una è rimasta in piedi all'indomani della fine della guerra e la successiva linea politica russa ha sempre teso a cancellare ogni memoria del popolo ebraico, arrivando anche alla distruzione dei cimiteri ed al recupero delle pietre tombali come materiali da costruzione.

Fonte:
haaretz.com

Antimonio e piombo nell'acqua dell'antica Pompei

Il frammento di tubatura di piombo trovata a Pompei ed analizzata dai
ricercatori danesi (Foto: Et al. Charlier)
Molto probabilmente la vita degli antichi abitanti di Pompei era funestata spesso da vomito, dissenteria e da danni al fegato. In una frammento di fistula aquaria, sepolto sotto la cenere dell'eruzione del 79 d.C., sono stati rintracciati livelli tossici di antimonio. La presenza di questa sostanza può aver contribuito alla precaria salute della popolazione, è quando risulta da uno studio pubblicato sulla rivista Toxicology Letters.
Oltretutto, in aggiunta alla presenza di antimonio, le fistule aquarie erano in piombo, un metallo fortemente tossico. Diversi studiosi sono dell'idea che il diffuso utilizzo di questo metallo in tutto l'impero romano abbia contribuito, in qualche modo, alla fine stessa dell'impero. "I Greci sapevano che il piombo è velenoso, ma, non si sa ancora come, questa conoscenza è andata perduta durante l'impero romano. I Romani utilizzarono frequentemente il piombo, come se non fosse un metallo tossico", ha dichiarato un autore dello studio in questione, Kaare Lund, della University of Southern Denmark.
Lund ed i suoi colleghi stanno ora lavorando ad una teoria alternativa all'avvelenamento di piombo, una teoria che potrebbe spiegare la caduta dell'impero romano. Per molto tempo le tubature in piombo sarebbero state calcificate (coperte di calcare), il che ha rallentato notevolmente il rilascio del piombo nell'acqua. L'antimonio, però, è molto più tossico del piombo, anche in piccole quantità e questo potrebbe aver provocato gravi problemi di salute nella popolazione. L'antimonio, infatti, determina irritazioni nell'apparato digerente che conducono a vomito frequente e dissenteria. Inoltre danneggia fegato e reni e a dosi elevate può causare anche arresto cardiaco. L'antimonio si trova nelle acque vulcaniche che scorrono nel sottosuolo e forse proprio quest'acqua viaggiava nei tubi di Pompei, determinando l'accumulo di questo elemento.
Le analisi condotte dal team di ricercatori danesi su un frammento di tubatura per l'acqua di Pompei, ha rintracciato livelli tossici di antimonio, molto probabilmente perché questo elemento era legato all'estrazione del piombo utilizzato nelle tubature. Ora si cercherà di capire quanto era diffuso l'utilizzo del piombo e dell'antimonio in epoca romana. Per questo i ricercatori dovranno analizzare altri campioni di fistule provenienti da altri luoghi. Non sarà certamente un compito facile.

Fonte:
ibtimes.co.uk

Egitto, trovati i resti di un monastero del V secolo d.C.

Resti dell'area residenziale di Al-Bahnasa (Foto: english.ahram.org.eg)
Lavori di scavo a Minya, in Egitto, hanno permesso di ritrovare un antico insediamento che potrebbe essere stato un complesso monastico. Ayman Ashmawi, responsabile del Dipartimento di antichità egiziane presso il ministero, ha affermato che l'insediamento nella zona comprende, oltre alla necropoli di Al-Nassara, riferibile alla città di Al-Bahnasa, anche diverse sepolture scavate nella roccia ed una zona residenziale risalente al V secolo d.C.
Gamal El-Semestawi, Direttore generale delle antichità del Medio Egitto, spiega che le tombe scavate nella roccia sono composte da una serie di camere sepolcrali, mentre la zona residenziale, ampia 100 x 130 metri, comprende resti di abitazioni tra cui una dimora in mattoni di fango appartenuta ad un monaco. "Questo porta a pensare che il sito archeologico accanto alla necropoli di Al-Nassara sia un monastero", ha concluso El-Semestawi.
Frammento di pietra tombale di un monaco
(Foto: english.ahram.org.eg.)
La missione archeologica del Ministero ha rinvenuto, anche, una serie di antiche celle riservate ai monaci nonché un pozzo per l'acqua. Gli scavi sono iniziati nel 2008 ed hanno portato all'immediata scoperta di una chiesa del V secolo d.C. costruita con mattoni di fango. Oltre alla chiesa sono stati trovati una sorta di santuario, una sala di preghiera e delle stanze con pareti intonacate e decorate con motivi colorati ed iscrizioni in lingua copta. Purtroppo questi resti sono stati distrutti all'indomani della rivoluzione che ha sconvolto il Paese nel 2011, poiché non erano adeguatamente protetti e sorvegliati.
Mohamed Gamal, Direttore delle antichità di Maghagha, ha ripreso gli scavi nel 2013 ed ha scoperto i resti della cella di un monaco, un ambiente che probabilmente era la cucina del monastero ed un magazzino le cui pareti erano decorate da croci rosse. Sono emerse, dagli scavi, anche delle monete in metallo e dei vasi d'argilla, attualmente in fase di restauro e di studio.
La città di Al-Bahnasa si trova sulla riva occidentale del Nilo, vicino a Beni Mazzar. Durante l'epoca ellenistica Al-Bahnasa era chiamata Oxirenkhos. Cambiò nome durante l'occupazione islamica, in onore ad una figlia del sovrano dell'epoca che risiedeva in città.

Fonte:
english.ahram.org.eg

lunedì 14 agosto 2017

Trovato il palazzo di Dario a Pasargade

La sala delle udienze a Pasargade (Foto:
Proprio in questi giorni gli archeologi iraniani stanno riportando alla luce una nuova meraviglia: un palazzo che non è più del periodo di Ciro, ma di Dario e quindi del secondo periodo Achemenide. Il direttore degli scavi, l'archeologo Hamed Molai ha spiegato all'agenzia di stampa AGI, che seguendo delle ipotesi fatte tra il 1961 ed il 1963 dallo studioso David Stronach, il suo team, composto solo da iraniani, ha iniziato a lavorare su Tal Takht, il "Trono sulla collina", torre di avvistamento sulla quale, finora, si pensava che non ci fosse nulla.
Scavando sulla collina sulla quale erano rimasti ruderi della torre, dell'età dei Medi, gli archeologi hanno portato alla luce un palazzo colonnato del periodo di Dario. La scoperta è a dir poco emozionante perché l'arte persiana, nel periodo di Dario, raggiunge l'apogeo della sua bellezza, ben visibile oggi nel vicino sito di Persepoli, ed allora, pure a Pasargade, gli archeologi sperano di trovare bellezze e meraviglie dello stesso calibro.
Molai spiega che per ora gli scavi stanno delimitando il perimetro del palazzo antico che oltre alla sala centrale con le colonne comprendeva anche una stanza di 5 metri per 5, di cui non si comprende ancora la funzione. Le mura del palazzo sono alte e sotto il sole si continua a scavare.

Fonte:
rainews.it

Betsaida non è...Besaida, forse

Veduta aerea degli scavi di El-Araj, forse l'antica città di Betsaida-Julia
(Foto: Zachary Wong)
E' fondata la notizia di qualche giorno fa sul ritrovamento del "villaggio degli apostoli" di Gesù? No, secondo un docente di geografia storica che ha lavorato agli scavi nella località di El-Araj, presso la riva settentrionale del lago di Tiberiade, sul delta del fiume Giordano.
"Non siamo stati noi a dare la notizia sui giornali", spiega al National Geographic Steven Notley, professore autorevole di Nuovo Testamento e Origini del Cristianesimo al Nyack College di New York e direttore accademico degli scavi di El-Araj. Piuttosto i ricercatori che lavorano agli scavi nel sito dal 2016 sono alla ricerca delle tracce di Betsaida, città dove, secondo quanto affermato nel Nuovo Testamento, ebbero i natali gli apostoli Pietro, Andrea e Filippo.
Secondo i Vangeli, Betsaida era il villaggio dei primi apostoli e il luogo in cui Gesù compì il miracolo della guarigione di un cieco. Se Cafarnao - un altro villaggio di pescatori situato in Galilea, spesso citato nei Vangeli - è stato scoperto agli inizi del XX secolo, Betsaida è a lungo rimasta oggetto di dibattito. Dunque, cos'è stato effettivamente scoperto di così importante?
Gli archeologi hanno dichiarato di aver scoperto a El-Araj un bagno pubblico di epoca romana (risalente al periodo compreso tra il I e il III secolo d.C.), che potrebbe costituire la testimonianza di un significativo insediamento urbano, molto probabilmente dell'antica Betsaida. Alla fine del I secolo d.C. lo storico romano di origine ebraica Flavio Giuseppe spiegava nei suoi scritti come il piccolo villaggio di Betsaida, nel 30 d.C., durante il regno di Filippo, fosse diventata una polis greco-romana. Filippo, figlio di Erode il Grande, la rinominò Julia in onore della madre dell'imperatore Tiberio (Livia Drusilla Claudia, conosciuta anche come Giulia Augusta) e si fece seppellire lì dopo la sua morte.
"Il bagno pubblico dimostra l'esistenza di una cultura urbana", dichiara al quotidiano israeliano Haaretz Mordechai Aviam, del Kinneret Institute for Galilean Archaeology, direttore degli scavi. Ma non esiste già un sito chiamato Betsaida nella zona? Si. Dal 1839, il sito vicino di E-Tell è stato individuato come possibile luogo in cui era situata l'antica Betsaida-Julia. Gli scavi a E-Tell, ad opera del Betsaida Excavations Project, che vanno avanti dal 1987, hanno portato alla luce importanti fortificazioni risalenti all'Età del Ferro (IX secolo a.C.), oltre ad abitazioni del periodo greco (II secolo a.C.) e romano contenenti attrezzi da pesca - come ancore di ferro e ami - e ai resti di quello che potrebbe essere un tempio romano.
Tuttavia, molti archeologi hanno messo in discussione la corrispondenza tra E-Tell e la città e la città di Betsaida menzionata nel Nuovo Testamento, sostenendo che il sito sia troppo lontano (circa 2,41 chilometri) dalla costa per essere stato un centro dedito alla pesca. Inoltre alcuni ritengono che i resti romani rinvenuti lì nel corso degli scavi durati trent'anni sono di modesta entità per appartenere ad una città grande e importante del tempo. "Se i resti dell'Età del Ferro a Betsaida sono imponenti e notevoli, quelli di epoca romana sono esigui, e dunque il sito non sembra essere un centro urbano", afferma Jodi Magness, archeologo e beneficiario di una borsa di studio del National Geographic.
Contestualmente, Rami Arav, direttore del Betsaida Excavations Project a E-Tell, spiega al National Geographic che non ci sono prove sufficienti per associare El-Araj all'antica città e neanche per documentare l'esistenza di un precedente villaggio di pescatori.
Allora perché i giornali parlano di "villaggio degli apostoli"? Oltre ai resti del bagno pubblico di epoca romana - tra cui un pavimento a mosaico, tegole e condutture - a El-Araj gli archeologi hanno scoperto testimonianze di muri e mosaici in vetro dorato del V secolo d.C., che suggeriscono l'esistenza di una chiesa di grande interesse situata lì nel periodo tardo bizantino. Tali mosaici compariranno solo in "chiese importanti e riccamente elaborate", osserva Notley.
Lo studioso sostiene si possa trattare della chiesa descritta in un racconto di Villibaldo di Eichstatt, vescovo bavarese che viaggiò nella regione introno al 725, riferendo che a Betsaida era stata costruita una chiesa sulla casa dell'apostolo Pietro e del fratello Andrea. Gli archeologi al lavoro a El-Araj si chiedono se si trovino di fronte ad un caso simile a quello della vicina Cafarnao, dove fu costruita una chiesa bizantina su un sito tradizionalmente associato all'apostolo Pietro. Nel 1968, gli archeologi hanno scoperto evidenze di una casa di epoca romana sotto la chiesa bizantina, che alla fine del I secolo si era nel frattempo trasformata in un centro condiviso di venerazione.
Notley avverte che finora sono stati compiuti scavi solo in una piccola area di El-Araj e che le future campagne di scavo riveleranno maggiori dettagli sulla storia del sito e della sua possibile corrispondenza con l'antica Betsaida, villaggio biblico degli apostoli. Il team di ricerca ha, in ogni caso, concluso positivamente la stagione di scavo di quest'anno.
"Il racconto di Villibaldo di Eichstatt ci dice che nell'epoca bizantina vi era memoria del sito di Betsaida, che egli identifica con la tradizione del Vangelo", spiega Notley. "Solo il tempo ci dirà se nel sito oggetto di studio sia presente una chiesa bizantina e se il sito corrisponde effettivamente alla città di Betsaida risalente al I secolo. Al momento ritengo che sia molto probabile che entrambe le risposte siano affermative", conclude.

Fonte:
nationalgeographic.it

domenica 13 agosto 2017

Trovata la culla dei Sumeri?

Gli scavi nel sito di Kahramanmars, in Turchia (Foto: AA)
Tracce dell'antica civiltà mesopotamica dei Sumeri sono state trovate in una località archeologica nella provincia di Kahramanmars, a sudest della Turchia. Il professor Halil Tekin dell'Università di Hacettepe, responsabile dello scavo, è convinto di aver trovato qui il centro dell'antica civiltà.
Tekin ha affermato che quello appena scoperto è l'insediamento più grande del Medio Oriente per quanto riguarda il tardo Neolitico. Si pensa che quest'area sia stata occupata tra il 6200 e il 5450 a.C.. All'epoca le popolazioni non avevano insediamenti permanenti, dal momento che non c'era terra sufficiente da coltivare. Le principali fonti di cibo erano capre, pecore e cinghiali.
Fuori dall'insediamento sono state trovate le tracce di una struttura circolare in argilla di sei metri di diametro, forse appartiene ad una struttura mobile da smontare al bisogno. Dall'esame delle ceramiche rinvenute in situ, si sa che la popolazione che viveva qui provenivano dall'Asia, al pari dei Sumeri. Per 2000 anni la popolazione visse qui tranquillamente, fino a che fu costretta ad emigrare dai cambiamenti climatici e da altri fattori naturali.

sabato 12 agosto 2017

Israele, scoperta una "bottega" di vasellame in pietra

Reperti in pietra trovati nello scavo di Reina
(Foto: Istrael Antiquities Authority)
Un raro centro per la produzione di vasellame in pietra, datato al periodo romano, è attualmente in corso di scavo presso Reina, nella bassa Galilea. Gli scavi hanno permesso di rintracciare una piccola grotta nella quale gli archeologi hanno trovato diversi scarti di produzione tra i quali frammenti in pietra di tazze e ciotole nelle varie fasi della loro produzione. Il sito è emerso durante i lavori di costruzione di un centro sportivo comunale. Si tratta del quarto centro di produzione scoperto in Israele. Un altro è attualmente in corso di scavo ad un chilometro di distanza da quello appena scoperto, gli altri due sono stati individuati decenni fa molto più a sud, verso Gerusalemme.
"Nei tempi antichi la maggior parte delle stoviglie, pentole e vasi per lo stoccaggio degli alimenti erano fatti in ceramica. Nel I secolo d.C., però, gli Ebrei della Giudea e della Galilea utilizzavano anche vasellame e stoviglie ricavate dalla morbida pietra calcarea locale", ha detto il Dottor Yonatan Adler, Direttore degli scavi per conto della Israel Antiquities Authority. Furono motivi religiosi, secondo Adler, a indurre gli Ebrei a servirsi di questo materiale.
Lo scavo nella grotta artificiale di Reina
(Foto: Israel Antiquities Authority)
"Secondo l'antica legge rituale ebraica, i vasi in ceramica sono impuri dopo il loro uso e devono essere frantumati", ha spiegato Adler. "Del resto la pietra è un materiale che non è soggetto facilmente ad impurità, pertanto gli antichi Ebrei hanno cominciato a produrre alcuni oggetti di vita quotidiana servendosi proprio della pietra".
Gli scavi hanno rivelato una grotta artificiale scavata dagli antichi operai che estraevano la pietra per ricavarne vasellame. Sono visibili i segni dello scalpello sulle pareti della grotta, sul soffitto e sul pavimento. All'interno della grotta e nelle vicinanze sono sparsi migliaia di scarti di produzione, antichi rifiuti industriali di tazze in pietra e ciotole. Sono stati trovati anche centinaia di vasi in pietra incompiuti perché danneggiati durante il processo di produzione e scartati in loco.
"Gli scarti di produzione indicato che questo antico laboratorio si è specializzato nella produzione di tazze e ciotole di varie dimensioni", ha detto Adler. "I prodotti finiti, poi, sono stati commercializzati in tutta la Galilea. Quanto abbiamo trovato ci fornisce la prova che gli Ebrei erano estremamente scrupolosi per quel che riguarda le leggi sulla purezza. Queste leggi erano diffuse non solo a Gerusalemme ma in tutta la Giudea e la Galilea, almeno fino alla fine della rivolta di Bar Kokhba nel 135 d.C.".
"Nel corso degli anni abbiamo scoperto frammenti del genere a fianco alla ceramica durante gli scavi di case in siti ebraici sia rurali che urbani di epoca romana, come Kafr Kanna, Sefforis e Nazareth. Ora, per la prima volta, abbiamo l'opportunità senza precedenti di studiare il luogo in cui questo vasellame era effettivamente prodotto in Galilea", ha affermato l'archeologo della Israel Antiquities Authority nonché esperto dell'Età Romana Yardenna Alexandre.

Fonte
israelnationalnews.com

Cannibalismo rituale nell'antica Inghilterra

Osso di un braccio umano con incisioni a zig zag proveniente da Gough
Cave (Foto: Museo di Storia Naturale, Londra)
Nel sito archeologico di Gough Cave, nel Somerset, nell'Inghilterra sudoccidentale, delle ossa umane risalenti a 15000 anni fa recano segni inconfondibili di cannibalismo quali le tracce di denti umani, che portano a pensare che le estremità delle ossa e le costole siano state rosicchiate per trarne grasso e midollo. Le ossa sembrano essere state utilizzate anche in sconosciuti rituali cultuali. Su alcune di esse, ossa delle braccia per la precisione, compaiono incisioni a zig zag fatte di proposito ed indicanti proprio un preciso anche se ancora sconosciuto atto rituale.
Precedentemente i ricercatori avevano individuato, nella stessa località delle tazze potorie che sembravano essere state ricavate da teschi umani. Queste tazze, unitamente alle ossa chiaramente e volutamente incise ritrovate nel sito, "parlano" inequivocabilmente di cannibalismo rituale. E' questa l'opinione di James Cole, docente di archeologia presso l'Università di Brighton, in Gran Bretagna.
L'analisi delle ossa animali trovati a Gough Cove ha indotto i ricercatori a pensare che chi viveva in quel luogo non doveva soffrire la fame, sulle ossa umane non c'erano tracce di lesioni che potessero indicare una loro uccisione. Quegli esseri umani erano morti di morte naturale e poi erano stati mangiati. Probabilmente si trattava di un modo di onorare o di "smaltire" i defunti, anche se al momento si tratta solo di speculazioni.

Fonte:
nytimes.com 

La signora di Tayinat

La statua rinvenuta a Tayinat
(Foto: Progetto Archeologico Tayinat)
Una gigantesca statua dell'Età del Ferro, raffigurante una donna, è stata scoperta nel sito archeologico di Tayinat, in Turchia, al confine con la Siria. La statua, di cui rimangono solo la testa e le spalle, si stima sia stata alta tra i 4 e i 5 metri. La donna ha i capelli arricciati che emergono da uno scialle.
Il manufatto è stato datato al IX secolo a.C. e si trovava accanto al cancello che immette all'acropoli di Kunulua, più tardi conosciuta come Tayinat, capitale del regno neo-ittita di Patina. Non si sa ancora chi sia la donna raffigurata nella statua, probabilmente - ipotizzano gli archeologi - si tratta di Kubaba, la divina madre degli dèi dell'antica Anatolia. "Malgrado queste ipotesi, ci sono indizi stilistici ed iconografici che portano a pensare che si tratti della rappresentazione di una figura umana, forse la moglie del re Suppiluliuma oppure una donna di nome Kupapiyas, moglie o madre di Taita, fondatore della dinastia più antica di Tayinat", ha affermato l'archeologo Timothy Harrison, direttore, per conto dell'Università di Toronto, del progetto archeologico di Tayinat.
Kupapiyas è stata l'unica donna del I millennio a.C. di cui sia giunto il nome fino a noi. Si dice che sia vissuta più di cento anni e che fosse una figura piuttosto importante nella società ma anche nella vita politica di Tayinat.
La statua, purtroppo, non era ben conservata quando è stata trovata. Il viso e il petto erano stati distrutti, probabilmente si è trattato di una distruzione rituale avvenuta migliaia di anni fa. Nonostante questo, sono ancora visibili parte del naso e degli occhi. Gli archeologi pensano che la distruzione del reperto, unitamente a molti altri simili, sia avvenuta intorno al 738 a.C., quando gli Assiri conquistarono la zona.
"Gli studiosi hanno a lungo speculato sul riferimento a Calneh nell'oracolo di Isaia contro l'Assiria, pensando che esso alludesse alla devastazione di Kunulua", ha detto Harrison. "La distruzione dei monumenti Luvi e la trasformazione dell'area in un complesso religioso assiro può rappresentare la manifestazione fisica di questo evento storico, successivamente immortalato nell'oracolo di Isaia".
Gli archeologi confidano di ricostruire il volto della donna rappresentata nella statua in modo da far luce sulla sua identità. "Il recupero di questi minuscoli frammenti renderà possibile ripristinare molto se non tutto il viso e la parte del corpo della figura originale", ha detto Harrison.

Fonte:
ibtimes.co.uk

mercoledì 9 agosto 2017

Karkemish, continuano le scoperte

Le rovine di Karkemish e la lastra con i grifoni rampanti
(Foto: artemagazine.it)
Sono circa 250 le tavolette in argilla rinvenute dalla missione archeologica turco-italiana condotta dall'Università di Bologna, nell'area di Karkemish, in Turchia. La missione, iniziata nel 2011, è guidata dal docente Unibo Nicolò Marchetti, con la collaborazione degli atenei turchi di Gaziantep e di Istanbul.
Nel corso dell'ultima campagna di scavo sono state riportate alla luce, oltre a sarcofagi, corredi funerari achemenidi e tavolette neoassire con iscrizioni cuneiformi, anche decine di "bullae" ittite in argilla con iscrizioni che risalgono al XIII secolo a.C.. Si tratta delle antenate delle bolle di accompagnamento attuali, che riportano beni, quantità e prezzi dei commerci della antica città turca. Tra i reperti potati alla luce anche una lastra in basalto con scolpiti grifoni rampanti.
L'antica città di Karkemish, situata nella regione di Gaziantep, tra l'Anatolia, la Siria e la Mesopotamia, è stata nell'antichità un centro di grandissima importanza. Fu abitata dal VI millennio a.C. ed è stata spesso paragonata, per splendore, ad altre città come Troia, Ur, Gerusalemme, Petra e Babilonia. In particolare, poi, a partire dal 2300 a.C., la città riuscì ad acquisire un ruolo sempre più centrale. Nel corso dei secoli passò sotto il dominio di Ittiti, Assiri e Babilonesi.

Fonte:
artemagazine.it

martedì 8 agosto 2017

I fuggiaschi della villa di Lucius Crassius Tertius

I resti dei fuggiaschi trovati nella villa di Lucius Crassius Tertius
(Foto: napoli.repubblica.it)
Nella villa romana di Lucius Crassius Tertius, a Torre Annunziata, un team di studiosi statunitensi ha studiato gli scheletri di 54 fuggiaschi, già venuti alla luce negli anni '90. Scoprendo che molti dei resti recuperati appartenevano a gruppi familiari.
Le due donne avevano cercato rifugio dalla furia dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. nella Villa di Lucius Crassius Tertius, affacciata sul golfo di Napoli, a Oplontis, nell'area suburbana di Pompei. Erano in attesa, come dimostrano i resti di un feto di 36 settimane ritrovato nella cavità addominale dello scheletro di una delle due. Una gravidanza quasi a termine.
Le indagini e gli studi antropologici, isotopici e di Dna sono condotti in collaborazione con l'Università del Michigan (Professor Nicola Terrenato) e dell'Università della West Florida (Professoressa Kristina Killgrove), con l'aiuto di Andrea Acosta, una dottoranda dell'Università della South Carolina.
Il bimbo mai nato di Oplontis (Foto: napoli.repubblica.it)
Le ricerche stanno rivelando interessanti informazioni sullo stile di vita e le patologie diffuse nel mondo romano del I secolo d.C.. In questi giorni gli studiosi americani hanno concluso una prima fase dell'indagine, che continuerà fino alla metà del mese di agosto direttamente a Torre Annunziata, all'interno della villa romana. Si tratta di esami condotti per la prima volta nell'area pompeiana su un contesto così ampio e complesso; finora studi del genere si erano concentrati nella sola zona di Ercolano.
Molte delle vittime di Oplontis erano biologicamente correlate, vista la presenza riscontrata di tratti genetici comuni, che le indagini sul Dna su campioni di denti e ossa verificheranno. In particolare, molti di loro presentavano denti incisivi di forma caratteristica, che si riscontra raramente in scheletri del I secolo d.C. di altri ambienti romani e che sembrerebbe quindi accomunarli.
In più, dall'esame degli scheletri gli studiosi Usa hanno ipotizzato che gli antichi fuggitivi di Oplontis godessero di buona salute. Nell'area vesuviana, infatti, è possibile, a differenza di quanto accade in genere per i resti umani scoperti in tombe, e quindi relativi a individui morti anche a cause di malattie, studiare stili di vita su soggetti sorpresi in vita dall'eruzione, di differenti età e sesso. Nel caso di Oplontis le analisi sono rese ancora più interessanti proprio per i legami di parentela scoperti tra le vittime.
Lo studio in corso offre informazioni sulle abitudini di vita e l'alimentazione. Non sono state trovate per ora tracce di anemia: gli antropologi ipotizzano che a Oplontis malattie quali la malaria non erano presenti e che la popolazione aveva una dieta equilibrata.
Quello che, invece, colpisce è la pessima salute dentale degli antichi Romani di Oplontis. Molti scheletri rinvenuti presentano mascelle mancanti di denti o con denti deteriorati, con numerose carie ed erosione dentale. In alcuni bambini e adolescenti, l'analisi della dentatura sembrerebbe denunciare un periodo prolungato di malattia o di fame.

Fonte:
napoli.repubblica.it/cronaca

Benevento, trovato un quartiere artigianale romano

L'area del quartiere artigianale romano rinvenuto nei pressi di
Benevento (Foto: artemagazine.it)
Un'interessante scoperta è stata fatta a pochi chilometri da Benevento, nei pressi di Masseria Grasso, lungo il tracciato dell'Appia Antica. Si tratta di un quartiere artigianale romano risalente ad un'epoca compresa tra la fine del I secolo a.C. e il I secolo d.C.
Autori del ritrovamento sono gli archeologi dell'Università di Salerno guidati dal Professor Alfonso Santoriello (Cattedra di Archeologia dei Paesaggi). La campagna di scavi rientra nell'ambito di Ancient Appia Landscapes, un progetto nato nel 2011 in seguito a una convenzione stipulata tra il Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale dell'Università di Studi di Salerno e la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Caserta e Benevento.
Con questo progetto l'Università di Salerno supporta la Rete dei Comuni dell'Appia, che punta a realizzare il Museo lineare dell'Appia, ideato dall'Associazione Iconema. Il museo diffuso andrebbe a coinvolgere diversi territori da Benevento a Mirabella Eclano (Avellino), compresa l'area di San Giorgio del Sannio, San Nicola Manfredi, Calvi, Bonito, Venticano e Apice. Il progetto Ancient Appia Landascapes invece interessa, con attività di ricerca, il territorio compreso tra il ponte Leproso (Benevento) e il ponte Rotto (nel comune di Apice).
Scopo del progetto, come spiega il Professor Santoriello, è "ricostruire non solo il tracciato della strada consolare, ma anche un contesto più vasto, in cui possano essere messe in valore le dinamiche insediative e le caratteristiche ambientali nel loro complesso, dando forma e vita ai paesaggi del passato, intesi come interazione dell'uomo con l'ambiente".
Gli scavi sono stati preceduti da indagini di superficie e indagini stratigrafiche di verifica, condotte attraverso georadar, analisi geomagnetiche, immagini satellitari, foto aeree e da drone. Queste analisi hanno permesso di ricostruire un quadro dettagliato delle trasformazioni del paesaggio nel corso del tempo e individuarne strutture nascoste nel sottosuolo, messe in luce poi dal successivo scavo. Il primo rinvenimento è stato appunto quello in località Masseria Grasso.
Questo tratto dell'antica Via Appia è delimitato ai bordi da elementi lapidei di varia pezzatura e misura circa 5,60 metri, compatibilmente con le ampiezze delle strade consolari. Non molto distante è stato rinvenuto un quartiere artigianale articolato su diversi ambienti, disposti attorno ad almeno due fornaci, utilizzato probabilmente per la produzione di ceramica tra la fine del I secolo a.C. e il I secolo d.C.. Santoriello spiega: "Una delle due fornaci era certamente adibita alla produzione di ceramica a pareti sottili, con forme come bicchieri e boccaletti". In epoca successiva l'attività fu dismessa, a testimonianza di ciò il ritrovamento di un accumulo di scarti di lavorazione e di reperti con difetti di cottura nei punti di accesso alle fornaci.

Fonte:
artemagazine.it

Trovata la città dove nacquero Pietro, Andrea e Filippo?

I probabili resti di Betsaida-Julias (Foto: afp)
Il villaggio dei pescatori di Betsaida, luogo di nascita degli apostoli Pietro, Andrea e Filippo, è stato forse finalmente localizzato dopo decenni di ricerche archeologiche. Duemila anni fa aveva assunto il nome di Julias, su iniziativa del monarca Erode Filippo (figlio di Erode il Grande), che aveva provveduto ad ampliarlo. La città prese il nome dalla moglie dell'imperatore Tiberio e fu protagonista di una grande rivolta contro i Romani nel 67 d.C., repressa nel sangue, e con la distruzione del Tempio di Gerusalemme. Ma nei secoli la sua esatta ubicazione era andata perduta.
Sulla base delle descrizioni dello storico di estrazione ebraica Giuseppe Flavio, secondo cui sorgeva non lontano da Capernaum e nei pressi della confluenza tra il Giordano e il Mar di Galilea, esperti guidati da Mordechai Aviam (dell'Istituto Kinneret di archeologia della Galilea) ritengono di essere finalmente entrati nel suo perimetro dopo aver trovato in quel lembo di terra reperti del I, II e III secolo. Fra essi, una moneta argentea dell'epoca di Nerone, parti di un mosaico, nonché elementi attinenti ad un bagno pubblico romano che fanno pensare ad una cultura di tipo urbano. Potrebbero essere i primi reperti di Betsaida-Julias. Oggi il luogo si chiama al-Araj (Beit Habek).
Il lago di Tiberiade/Mare di Galilea (Foto: Reuters)
Questi resti - ha spiegato Aviam (che è stato assistito da Steven Notley del Nyack College di New York) - sono stati trovati in uno strato di terra (finora sconosciuto) situato circa due metri sotto ad uno strato di era bizantina, per lo più del V secolo, che invece era stato già analizzato.
Lo strato inferiore si trova a 212 metri sotto il livello del mare. In passato i ricercatori pensavano che all'epoca di Gesù il Mar di Galilea fosse a 209 metri sotto il livello del mare e dunque avevano cercato Betsaida più in alto. In quello che è oggi noto come il Parco del Giordano, furono trovati due edifici del I e del II secolo d.C.. Ma apparivano isolati e del villaggio di Betsaida non c'era altra traccia.
Secondo Aviam è invece possibile che il livello del lago di Tiberiade fosse allora significativamente più basso. Se fu così, forse Betsaida era davvero a 212 metri sotto il livello del mare. Dai suoi scavi emerge per ora che nel III secolo d.C. il bagno romano fu sommerso dalle acque del Giordano in piena e coperto di detriti su cui si sarebbe poi stabilizzato lo strato di epoca bizantina. Lo studioso Noam Greenbaum, dell'Università di Haifa ha ipotizzato che i resti di epoca bizantina ritrovati appartengano ad una basilica citata da un vescovo in viaggio in Terra Santa nell'VIII secolo d.C.
"Queste scoperte - ha previsto Aviam. - saranno di grande interesse fra gli studiosi del primo cristianesimo, fra gli storici del Nuovo Testamento e fra quanti in generale compiono ricerche sulla Galilea ebraica nel periodo del secondo Tempio di Gerusalemme". Quella appena terminata è la seconda stagione di scavi in zona. Gli scavi proseguiranno nella stagione ventura.
Fonti:
repubblica.it/cultura
lastampa.it

domenica 6 agosto 2017

Turchia, trovato un sarcofago e resti umani del V secolo d.C.

Il sarcofago trovato nella città greca di Antandros, in Turchia (Foto: Daily Sabah)
Nell'antica città greca di Antandros, situata nell'attuale provincia turca di Balikesir, gli archeologi hanno scoperto i resti di un uomo ed una donna, unitamente a numerosi manufatti, all'interno di un sarcofago di 2500 anni fa.
Il responsabile del progetto di scavo, il Professor Gurcan Polat dell'Università di Ege, ha affermato che il sarcofago ritrovato risale al V secolo a.C. e le ossa che vi giacevano appartenevano a membri di una stessa famiglia. Tra i manufatti gli archeologi hanno trovato un'antica ciotola importata da Atene, due anfore di argilla e due strigili.

Fonte:
Daily Sabah

Cananei e Libanesi, continuità nel tempo

Scavi di Sidone, in Libano: scheletro (Foto: Dottor Claude Doumet-Serhal)
I ricercatori del Wellcome Trust Sanger Institute hanno recentemente studiato il genoma umano di antichi resti nel Vicino Oriente ed hanno mappato l'intero genoma dei Cananei di 4000 anni fa, che abitavano il Libano durante l'Età del Bronzo. I risultati sono stati, poi, confrontati con quelli ottenuti da altre popolazioni antiche e attuali. Dalla ricerca è scaturito che gli attuali libanesi sono i diretti discendenti degli antichi Cananei.
Il Vicino Oriente è considerato la culla della civiltà. I Cananei dell'Età del Bronzo, conosciuti in seguito come Fenici, hanno introdotto molti degli aspetti che ancora oggi caratterizzano la civiltà, quale, ad esempio, l'alfabeto. Essi fondarono diverse colonie in tutto il Mediterraneo e sono citati più volte nella Bibbia. Malgrado questo, i resti attribuibili con certezza ai Cananei sono piuttosto limitati.
I Cananei vengono menzionati negli antichi testi greci ed egizi, oltre che nella Bibbia, la quale narra della distruzione di diversi loro insediamenti e dell'annientamento della loro comunità. Per molti anni gli esperti hanno dibattuto tra loro del destino degli antichi Cananei e se si potessero considerare loro discendenti gli attuali abitanti del Libano.
Ora i ricercatori hanno scoperto che oltre il 90% della popolazione dell'attuale Libano ha ascendenze cananee, con soltanto una piccola percentuale di ascendenza eurasiatica. Popolazioni eurasiatiche si mescolarono con i preesistenti Cananei in un periodo compreso tra i 3800 e i 2200 anni fa. L'analisi dell'antico Dna ha rivelato anche che gli stessi Cananei erano, a loro volta, il risultato di una miscela di popolazioni locali che si erano stabilite in villaggi agricoli in epoca neolitica, migrando da oriente più di 5000 anni fa.
Lo studio attuale ha preso in considerazione la sequenza dei genomi di cinque individui che abitavano, 4000 anni fa, la città di Sidone, nell'attuale Libano. Poi gli scienziati hanno sequenziato i genomi di 99 libanesi moderni ed hanno analizzato il rapporto genetico tra gli antichi Cananei e gli attuali Libanesi. Il Dottor Claude Doumet-Serhal, direttore dello scavo nel sito di Sidone ha affermato: "Per la prima volta abbiamo la prova genetica di una sostanziale continuità nella regione, dalla popolazione cananea dell'Età del Bronzo fino ai giorni nostri. Questi risultati concordano con la continuità affermata dagli archeologi. La collaborazione tra archeologi e genetisti è fondamentale per arricchire i campi di studio di entrambi e può, inoltre, rispondere alle domande sui nostri antenati alle quali nessun altro settore di studio può rispondere".

Cereali e antichissimi escursionisti...

Contenitore in legno dell'Età del Bronzo trovato sulle Alpi svizzere
(Foto: Servizio Archeologico del Cantone di Berna)
Un contenitore in legno dell'Età del Bronzo è stato trovato nel ghiaccio delle Alpi svizzere, a 2.650 metri di altezza. Il ritrovamento potrebbe aiutare gli archeologi a gettare nuova luce sulla diffusione dei semi di cereali. I ricercatori si aspettavano di trovare, nel contenitore, residui di latte, parte del pasto di un cacciatore, ma hanno scoperto, invece, i biomarcatori di grano di frumento o di segala.
La domesticazione delle piante quali il grano è stato uno dei passaggi culturali ed evolutivi più significativi della nostra specie, ma non sono mai state rinvenute prove dirette dell'utilizzo dei cerali nelle pratiche culinarie. Le piante, infatti, sono soggette ad un degrado estremamente rapido, per cui è difficile rintracciarle nei depositi antichi. Per questo, da qualche tempo, gli archeologi ricorrono sempre più spesso a tecniche molecolari per rintracciarne i resti.
Il Dottor André Colonese, della BioArCh, dipartimento di Archeologia dell'Università di York, ha dichiarato: "Si tratta di una scoperta straordinaria se si considera che di tutte le piante domestiche, il grano è la coltura più diffusa nel mondo e la più importante fonte di cibo per gli esseri umani, una coltura che si trova al centro di molte tradizioni culinarie contemporanee".
I ricercatori hanno combinato insieme analisi microscopiche e molecolari per identificare i lipidi e le proteine, servendosi della gascromatografia spettrometrica, una tecnica usualmente applicata ai manufatti in ceramica. Negli ultimi trent'anni migliaia di manufatti del genere, provenienti dall'Europa, sono stati analizzati per individuare il loro contenuto, quasi sempre latte e carne, mai nessuna prova di cereali.
"La prova della presenza di cereali è arrivata dal rilevamento dei lipidi, ma anche dalle proteine conservate. - Ha affermato la Dottoressa Jessica Hendy, dell'Istituto Max Planck per la Scienza della Storia Umana. - Quest'analisi è stata in grado di dirci che questa scatola conteneva non solo uno, ma due tipi di cereali in grani, frumento ed orzo o segale".
Il Dottor Francesco Carrer, dell'Università di Newcastle è convinto che questo ritrovamento getti nuova luce sulla vita delle comunità preistoriche alpine e sul loro rapporto con le elevate altitudini. Quanti viaggiavano attraverso i valichi, infatti, avevano l'abitudine di portare con loro il cibo necessario per il viaggio, come i moderni escursionisti. 

Fonte:
pasthorizonspr.com

Isola di Sai: la multiculturalità al tempo dei faraoni

Rovine della città di Sai, fondata dagli Egizi sull'omonima isola
(Foto: Julia Budka)
Gli archeologi stanno studiando l'impatto dei contatti tra diverse culture nell'antico Egitto. Nuovi scavi in Sudan hanno permesso di scoprire una tomba risalente al 1450 a.C. sull'isola nilotica di Sai.
L'egittologa Julia Budka, della Ludwig-Maximilians-Universitat (LMU) di Monaco è la responsabile di questi studi sull'interculturalità nell'antico Egitto. La tomba appena scoperta non era conosciuta e contiene i resti di 25 persone. Un'ulteriore analisi potrebbe apportare utili informazioni sulla multiculturalità della popolazione dell'isola di Sai.
L'isola si trovava in quella che, un tempo, era la Nubia, fonte primaria dell'oro egizio nel Nuovo Regno. La tomba appena trovata venne costruita per un maestro orafo di nome Khnummose. Il contenuto della tomba, come le iscrizioni che vi si trovano, hanno rivelato che, a seguito della conquista del regno nubiano di Kerma da parte del faraone Thutmosis III, le élite locali vennero rapidamente integrate nel nuovo regime. Le prime sepolture in stile egizio trovate nell'isola di Sai, in effetti, datano proprio al tempo del faraone Thutmosis III.
Negli ultimi cinque anni la Dottoressa Budka ha condotto studi paralleli su tre diversi insediamenti egizi, stabilitisi all'epoca del Nuovo Regno (1500-1200 a.C.) sull'isola nubiana che, attualmente, si trova in quella che è la parte sudanese del Nilo. "Si pensava che l'insediamento sull'isola era stato abbandonato dopo la fondazione della nuova città di Amarna Ovest. - Ha detto la Dottoressa Budka. - I nostri ritrovamenti dimostrano che Hornakht, uno dei burocrati più alti in grado ai tempi di Ramses II, non solo aveva la sua residenza ufficiale sull'isola di Sai, ma è stato anche sepolto lì". Questo dimostra che la città di Sai, edificata sull'isola omonima, sopravvisse fino al 1200 a.C. circa.

Fonte
sciencedaily.com

sabato 5 agosto 2017

Abruzzo, ritrovato un antico ponte romano perduto

L'antico ponte romano rinvenuto nell'aquilano
(Foto: appenninico.it)
Un antico ponte risalente all'epoca romana è stato rinvenuto, in condizioni più o meno buone, nel territorio di Cappadocia, in provincia dell'Aquila. Questa antichissima struttura è rimasta fino ad oggi nascosta in mezzo alla vegetazione, pur se si conosceva già la sua presenza dal racconto degli anziani (tuttavia bisogna sottolineare come non se ne conosceva affatto l'esatta ubicazione).
Il ponte è caratterizzato da una piccola arcata, testimonianza di un antico corso d'acqua che in passato vi scorreva sotto. Corso d'acqua che oggi è pressoché completamente prosciugato, ma da un'attenta analisi si può notare che la zona era caratterizzata dalla presenza di diverse ramificazioni stradali che divergevano dalla Via Valeria, una delle più importanti arterie stradali che attraversava l'Abruzzo.
Questa scoperta risulta particolarmente importante perché esalta la storia antica di questo territorio, in virtù del fatto che conserva ancora piuttosto bene l'originale manto stradale, la cui traccia prosegue per diversi metri. Si tratta di una struttura assolutamente da conservare e da valorizzare e che potrebbe portare, soprattutto, ad una nuova esaltazione culturale di tutta l'area circostante, che già presenta un notevole pregio sia paesaggistico sia, ovviamente, naturalistico.

Fonte:
neveappennino.it

Egitto, scoperti antichi affreschi in un monastero copto

Uno dei dipinti scoperto nel monastero (Foto: english.ahram.org.eg)
I restauratori che stanno lavorando presso il monastero di San Bishoy, vicino a Il Cairo, hanno portato alla luce affreschi raffiguranti santi, martiri ed angeli. Il monastero si trova nella zona di Wadi El-Natroun.
Durante la rimozione dello strato di malta moderno dalle pareti della vecchia chiesa del monastero, sono stati scoperti diversi affreschi colorati, la datazione dei quali è stata fissata ad un periodo compreso tra il IX e il XIII secolo d.C.. Questa scoperta aiuterà gli archeologi a determinare lo stile architettonico originale della chiesa e la data della sua costruzione.
Secondo libri storici e documenti religiosi la chiesa venne sottoposta a modifiche architettoniche intorno all'840 d.C., durante l'era abbaside, e nel 1069, durante il califfato fatimida. Gli affreschi raffigurano scene di santi e angeli con, alla base, iscrizioni religiose in lingua copta. Gli affreschi più importanti sono quelli sulle pareti occidentali ed orientali dell'edificio religioso. Sulla parete occidentale compaiono una donna di nome Refka e i suoi cinque figli, martirizzati durante le persecuzioni religiose. Sulla parete orientale, invece, sono raffigurati tre santi ed un arcangelo, anch'essi con scritte copte.
Quando i restauratori hanno rimosso le aggiunte moderne, si sono trovati, poi, di fronte ad un ambone, una piattaforma elevata caratteristica di molte chiese ortodosse. L'ambone è stato costruito con mattoni di fango coperti da uno strato di malta e decorati con una croce rossa.
In varie parti della chiesa sono stati trovati disegni geometrici, croci e lettere dipinte.

Fonte:
english.ahram.org.eg

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