sabato 30 gennaio 2010

Mesopotamia ed Egitto


Durante lavori di scavo di routine nel sito di Tel al-Dabaa, sul Delta del Nilo, la missione archeologica dell'Austrian Archaeological Institute del Cairo ha trovato un sigillo con impressi caratteri cuneiformi. La scritta è in akkadico e data il sigillo alle ultime decadi dell'Antico Regno di Babilonia.
Questi sigilli erano formati di impressioni realizzate su blocchi di argilla umida, per illustrare il contenuto di una scatola o di una borsa ed erano molto utilizzati in ambito amministrativo. L'impressione in lingua akkadica su un sigillo ritrovato in Egitto può indicare che l'oggetto al quale si riferiva il sigillo era un dono portato in Egitto dall'antica Mesopotamia (l'Iraq moderno).
Farouk Hosni, ministro della cultura ha annunciato che il sigillo giaceva all'interno di un pozzo che conduce ad un livello risalte al Tardo Periodo, nel territorio di Sharqiya, a 120 chilometri a nordest del Cairo. Zahi Hawass ha riferito ceh l'iscrizione contiene il nome di un alto ufficiale governativo dell'Era Antica Babilonese, quella in cui governava Hammurabi (1792-1750 a.C.).
E' la seconda iscrizione del genere che si è ritrovata. Lo scorso anno è emerso il frammento di una lettera, all'interno di un pozzo del palazzo del re hyksos Khayan (1653-1614 a.C.), realizzata in argilla cotta e scritta in una lingua molto simile all'akkadico. Gli Hyksos provenivano dall'Asia occidentale e governarono l'Egitto per circa 100 anni, il periodo più oscuro del paese del Nilo.
Manfred Bietak, capo della spedizione che ha scoperto la nuova testimonianza in lingua akkadica, ha affermato che entrambe le scoperte, quella dello scorso anno e l'attuale, sono estremamente importanti in quanto sono le più antiche testimonianze scritte in akkadico ritrovate in Egitto e databili a 150 anni prima delle Lettere di Amarna, una corrispondenza in akkadico trovata nel sito della capitale di Akhenaton, a Tell el-Amarna, nell'Alto Egitto.

Il sarcofago di Cesarea

In questi giorni si espone, al pubblico, un reperto piuttosto particolare. Si tratta di un sarcofago di eccezionali dimensioni e di notevole fattura, certamente commissionato da un ricco personaggio appartenente alla città di Cesarea, nella Palestina romana.
La città era, un tempo, un ricco centro di traffici commerciali e la sua prosperità può dedursi dalla presenza di un grandioso acquedotto e di un palazzo reale con piscina enorme, dei quali, però, sono visibili solo pochissimi resti.
Il coperchio del sarcofago, che da solo pesa 4 tonnellate, è decorato con un serpente e con teste di medusa alle quali si affiancano volti lieti e tristi dedotti dall'ambiente del teatro antico.
I sarcofagi erano sepolture molto comuni nel bacino del Mediterraneo, soprattutto nel periodo tra il II ed il V secolo d.C.. Essi rimarranno in uso anche in epoca cristiana. I sarcofagi sono composti di una cassa rettangolare che fungeva da ricettacolo per il corpo del defunto e di un coperchio. Solitamente venivano interrati all'interno di strutture monumentali, quali i mausolei, oppure in grotte sepolcrali di pietra. Per quel che riguarda gli antichi abitanti di Cesarea, essi venivano sepolti all'esterno del centro abitato.

sabato 23 gennaio 2010

Ritrovata l'origine dell'Acquedotto di Traiano

E' stato ritrovato, vicino al Fosso della Fiora, tra il comune di Manziana e quello di Bracciano, il caput aquae dell'acquedotto di Traiano, vale a dire il luogo in cui i Romani avevano captato l'acqua per condurla, attraverso un'opera monumentale, nell'Urbe. L'acquedotto di Traiano, che si snoda attorno al lago di Bracciano, fu inaugurato nel 109 d.C. e doveva servire a fornire acqua alla zona di Trastevere. Finora il luogo di origine del famoso acquedotto non era stato individuato, la scoperta si deve a due documentaristi inglesi, Michael e Ted O'Neill, padre e figlio, che stavano preparando una documentazione sugli antichi acquedotti romani. I due si sono imbattuti, durante la ricerca, nei resti di un ninfeo con straordinarie volte dipinte con blu egiziano.
Lorenzo Quilici, docente di topografia antica all'Università di Bologna, ha confermato lo straordinario ritrovamento e lo illustrerà il 28 gennaio in una conferenza stampa a Roma, assieme ai due fortunati documentaristi. Il ninfeo è stato individuato in una grotta artificiale, che accoglieva una cappella della Madonna che i principi Odescalchi fecero sistemare agli inizi del Settecento. Il monumento è talmente straordinario che il professor Quilici lo ha paragonato al Canopo di Villa Adriana ed al Ninfeo di Egeria nel Triopo di Erode Attico, sull'Appia Antica.
Il professor Quilici ritiene che il ninfeo fosse, in realtà, una cappella dedicata al dio della sorgente od alle ninfe. Essa contiene due bacini coperti da straordinarie volte ancora colorate con il famoso blu egizio, bacini che raccoglievano l'acqua di due laghetti dai quali partiva il canale dell'acquedotto. Le strutture, alte 8-9 metri, sono in opera laterizia ed opera reticolata estremamente ben fatta. Gli ambienti hanno volte a crociera, pozzi, cunicoli di captazione tutti percorribili in quanto ora privi d'acqua. Il luogo si trova all'interno di una proprietà privata, nella quale si allevano maiali e nella quale sorge un gigantesco albero di fichi le cui radici, scendendo in profondità, hanno minato la struttura del ninfeo.
L'acquedotto di Traiano, ultimo, in ordine di tempo, degli acquedotti dell'antica Roma, fu inaugurato nel 109 d.C. ed è rimasto sempre in funzione. All'inizio del '600 papa Paolo V lo fece restaurare. L'acquedotto papale, però, attingeva l'acqua dal lago di Bracciano, proprio come fa oggi, più o meno, l'acquedotto attuale. L'acquedotto originario, invece, captava l'acqua delle sorgenti che incontrava lungo il suo percorso.Proprio per celebrare la grandiosità della sua opera, Traiano fece coniare delle monete, sulle quali era raffigurata l'immagine semisdraiata di un dio fluviale sotto un grande arco affiancato da colonne. Per molti secoli si era pensato che questa immagine rappresentasse la mostra d'acqua che l'imperatore aveva fatto costruire sul Gianicolo ma, forse, quello raffigurato sulle monete, era proprio il ninfeo della grotta di Bracciano.

venerdì 22 gennaio 2010

Splendore ottomano

Nell'architettura civile islamica, gli edifici più importanti sono le residenze di principi e sovrani, dotate di sontuosi giardini di piante e fiori rarissimi, ornati da fontane e giochi d'acqua.
Il Palazzo di Topkapi, splendido esempio di architettura ottomana, fu iniziato da Maometto II nel 1470 e terminato nel 1850. Fu la residenza prediletta dei sultani ottomani fino al XIX secolo. Il palazzo venne edificato su una delle sette colline di Istanbul, dalla quale è possibile ammirare il Corno d'Oro ed il Mar di Marmara.
Laddove oggi si ammira il Topkapi c'era, un tempo, l'antica acropoli della città di Bisanzio. La superficie occupata dal Topkapi è pari a 700.000 metri quadri, praticamente una città nella città.
Nel tempo, accanto alle strutte principali del palazzo ne sorsero altre, tutte dotate di ampi giardini con piante rare e chioschi. Gli edifici che sono, ad oggi, parte del Topkapi sono completamente indipendenti e protetti da 1400 metri di mura turrite. Una fitta rete di vicoli e corridoi collegano tra loro tutte le strutture architettoniche e racchiudono sale di rappresentanza, appartamenti, padiglioni, cucine, bagni, moschee, scuole e biblioteche.
Il nome Topkapi significa "Porta del Cannone", perchè nei pressi della porta che ha dato nome al palazzo, vi erano numerosi cannoni che dovevano difendere la città. Dietro la Porta del Cannone, agli inizi del XVIII secolo, il sovrano Ahmed III fece costruire una residenza estiva che andò distrutta a causa di un incendio nel 1863. Proprio da questa data, il palazzo costruito da Maometto II cominciò ad essere chiamato Topkapi Saray, Palazzo di Topkapi.
Ingresso principale al palazzo è la Porta Imperiale, che si trova alle spalle della chiesa bizantina di Santa Sofia, che Maometto II trasformò in moschea e che ora è un museo. Questa porta era costantemente sorvegliata da guardie armate capeggiate dal "signore della porta". Nel Cortile del Consiglio, all'interno del recinto del palazzo, si trovano le dieci grandi cucine che servivano la corte del sultano, realizzate dal geniale Sinan, architetto di corte, sono l'esempio del massimo splendore dell'architettura ottomana. Dal Mar di Marmara è possibile ammirare i dieci caratteristici fumaioli conici delle cucine. Un tempo le cucine contenevano anche gli appartamenti dei cuochi, i magazzini in cui si conservavano le derrate alimentari e l'ufficio dlel'economo.
L'harem è il settore più importante del Topkapi, qui risiedevano il sultano e le sue donne. Vi si entrava attraverso la Porta delle Carrozze, chiamata in questo modo perchè a nessuna donna era permesso oltrepassarla se non, appunto, in carrozza. Nell'harem abitavano anche i bambini fino agli 11 anni, figli o nipoti del sultano. Attualmente la superficie dell'harem, che si presenta come un disordinato complesso architettonico, è di circa 15.000 metri quadri. Nel cuore del complesso vi era l'appartamento della madre del sultano, mentre la sala più grande e più bella dell'harem era la Sala Imperiale, iniziata nel 1500 sotto Solimano il Magnifico dall'architetto Sinan. La Sala subì una prima modifica verso la seconda metà del XVIII secolo, sotto Osman III, che la dotò di fontane, colonne di marmo e specchi.
Principi e principesse che vivevano nel Palazzo di Topkapi erano costantemente protetti da un corpo di guardia, i giannizzeri. Tutto il personale in servizio al Topkapi era, inoltre, organizzato in varie corporazioni, residenti in veri e propri quartieri all'interno del palazzo.
Nel 1853 il sultano Abdulmegid trasferì la sua residenza nel nuovo Palazzo di Dolmabahce e questo permise di trasformare il Palazzo di Topkapi in un vero e proprio museo, il più importante di tutta la Turchia.

Eadgyth, imperatrice del Sacro Romano Impero

Alcuni archeologi tedeschi ritengono di aver scoperto il corpo della pricipessa Eadgyth, bellissima principessa inglese, vissuta nel X secolo d.C. ed amata al pari della sua più recente conterranea Diana.
Eadgyth sarebbe stata trovata avvolta in un drappo di seta nella cattedrale di Magdeburg. La bellissima principessa era molto nota, tra gli inglesi, per la sua grande bontà d'animo. Eadgyth, infatti, aveva l'abitudine di prodigarsi in numerose opere di beneficenza e di carità. Se si avesse la conferma che il corpo ritrovato dall'equipe tedesca è proprio quello di Eadgyth, gli studiosi si troverebbero al cospetto dei più antichi resti di un reale inglese.
Le fondamenta della cattedrale di Magdeburg erano ritenute essere vuote. Eadgyth era moglie del duca Otto di Sassonia, che la preferì alla sorella minore proprio per le sue qualità morali e per la sua grande bellezza. Otto di Sassonia, conosciuto anche come Otto il Grande, divenne imperatore del Sacro Romano Impero nel 929.
Il fratellastro di Eadgyth, Athelstan, fu il primo re degli inglesi. Eadgyth, invece, fu inviata, all'età di 19 anni, con la sorella Adiva, da Otto I di Sassonia, del quale divenne, in seguito, moglie e dal quale ebbe due figli, una figlia di nome Liutgarda, che andò sposa a Corrado il Rosso, ed un figlio di nome Liudolf, che fu nominato duca di Swabia. I discendenti di Otto e di Eadgyth continuarono a governare la germania fino al 1254.
Eadgyth visse in Germania fino alla sua morte, avvenuta all'età di 36 anni. Nel XVI secolo fu costruito un monumento che potesse ospitare i resti della bella e gentile regina. Nel 2008, per la prima volta dopo tanti secoli, il monumento fu aperto e gli archeologi scoprirono, al suo interno, la bara con, inscritto, il nome della regina Eadgyth, inciso nel momento della traslazione del corpo, nel 1510. Nella bara vi è lo scheletro intatto di una donna, dall'apparente età di 30-40 anni, avvolto in un drappo di seta

mercoledì 20 gennaio 2010

Alessandria e la dea gatto


Un antico tempio, dedicato alla dea Bastet, dalla testa di gatta, è stata scoperta dagli archeologi egiziani ad Alessandria d'Egitto.
Il tempio apparteneva alla regina Berenice, moglie di Tolomeo III (246-222 a.C.) ed è stato scoperto da una missione guidata dal responsabile per le antichità del nord Egitto Mohammed Abdel Maqsoud. La costruzione occupa una superficie di 60 metri per 15 ed ha subito diversi danni nelle epoche successive. Fu anche trasformato in una cava per il recupero di materiali, per cui alcuni blocchi di pietra sono scomparsi.
Nel sito di Kom Al Dikka sono state trovate circa 600 statue di epoca tolemaica, molte delle quali raffiguranti Bastet, della della gioia, della musica e della maternità.
Il tempio ritrovato è il primo dedicato a questa dea venuto alla luce ad Alessandria, a dimostrazione di come il culto di Bastet sia continuato anche oltre l'epoca egiziana antica.

venerdì 15 gennaio 2010

Machina!

Machina è un termine latino che comprende in sé diversi significati: tecnologia, marchingegno, ordigno, congegno ma anche inganno, macchina da guerra e da assedio. E proprio la "Machina"è praticamente raccontata in una mostra, aperta fino al 5 aprile 2010, ospitata dal Museo della Civiltà Romana.
La mostra è stata promossa dall'Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione - Sovrintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma e dall'Università di Roma "La Sapienza". La mostra, dopo il 5 aprile, farà un grande giro sia in Italia che all'estero fino a tutto il 2011.
La mostra propone oltre 100 esempi di tecnologia tra reperti archeologici, ricostruzioni virtuali, macchine, meccanismi ed opere in scala. Per una maggiore comprensione questi sono stati affianchati da ben 47 calchi della collezione del Museo della Civiltà Romana e 32 frammenti - tra i quali alcuni inediti - provenienti dall'Antiquarium comunale. Le opere esposte sono state ricostruite dall'artigiano fiorentino Gabriele Niccolai, che ha studiato attentamente sia i reperti disponibili che le testimonianze.
Info e prenotazioni: Tel. 331.7659798
Biglietti: Mostra e Museo della Civiltà Romana, € 9,00; Mostra, Museo della Civiltà Romana, Planetario e Museo Astronomico, € 11,00.
Orari: martedì-domenica ore 9.00-14.00; nel mese di gennaio: martedì-venerdì ore 9.00-14.00; sabato e domenica ore 9.00-19.00
Info: Museo della Civiltà Romana, Piazza G. Agnelli n. 10 - Te. 060608 (tutti i giorni ore 9.00-21.00)

Il nonno dei chirurghi plastici


In occasione di una mostra incentrata sull'eredità scientifica e tecnologica, svoltasi a Nuova Dehli, si è avanzata l'ipotesi che un medico indiano del 600 a.C. potrebbe essere stato il primo chirurgo plastico della storia.
Il nome di questo medico è Susruta e visse ben 150 anni prima del padre della medicina greca, Ippocrate. Susruta sarebbe stato addirittura il precursore della ricostruzione del naso nel nord dell'India, che comportava rimuovere la pelle dalla fronte di una persona per ricostruire le caratteristiche facciali. Anticamente i criminali venivano spesso puniti con la recisione del naso.
Proprio a Susruta viene comunemente attribuito il Susruta Samhita, un testo medico che contiene la specifica di ben 650 tipi di droge, 300 operazioni, 42 procedure chirurgiche e 121 tipi di strumenti.
La più antica documentazione di medicina indiana si trova nei sacri scritti hindu dei Veda, compilati tra il 3000 ed il 1000 a.C.. Durante l'età del Ferro, bisogna ricordare, in India furono conseguiti diversi successi nel campo dell'alchimia, dell'astronomia, dell'agricoltura, della meteorologia e della metallurgia. C'è chi sostiene, addirittura, che lo zero sia stato introdotto addirittura in questo paese.

martedì 12 gennaio 2010

Egitto delle meraviglie

Faruk Hosni, ministro della cultura egiziana, ha dato l'annuncio di una nuova, eccezionale scoperta nella piana di Giza, nuove tombe.
A condurre gli scavi è stato Zahi Hawass e proprio il noto archeologo egiziano ha affermato che queste sepolture risalgono alla IV Dinastia (2575-2467 a.C.) ed hanno ospitato i corpi di coloro che hanno lavorato alle grandi piramidi di Cheope e Chefren. Questi operai non erano tratti, poi, molto male, come risulta dalle evidenze archeologiche. Mangiavano carne con regolarità, lavoravano in turni di tre mesi ed avevano il diritto di essere sepolti accanto ai monumenti che stavano costruendo. Le tombe, inoltre, dimostrerebbero come gli operai fossero tutt'altro che schiavi, ma persone pagate in cambio della loro prestazione d'opera.
La più importante delle sepolture apparteneva ad un certo Idu. Ha una pianta rettangolare, una forma conica ed un rivestimento esterno in mattoni di fango ricoperto di gesso bianco. Nella zona in cui sono stati seppelliti, poi, sono presenti anche diversi pozzi rituali, rivestiti in calcare bianco.
La parte superiore della tomba di Idu è simile a quella delle tombe scoperte vicine alla piramide di Snefru a Dahshur. Sul lato occidentale di questa sepoltura sono state riportate alla luce una serie di tombe appartenenti ad una dozzina di lavoratori nonchè resti di bare. Un'altra tomba ritrovata, anch'essa a forma rettangolare, costruita con mattoni di fango, presenta diversi condotti funebri, ciascuno dei quali "ospita" uno scheletro.
Sia le evidenze archeologiche che le testimonianze storiche hanno permesso di appurare che le famiglie dell'Alto Egitto e del Delta del Nilo mandavano, in media, 21 bufali e 23 pecore nella piana di Giza per poter sfamare i lavoratori impiegati nella costruzione delle grandi piramidi. Era questo il loro modo di partecipare ad un progetto straordinario che coinvolgeva tutto il paese.
Hawass ha stimato che il numero degli operai impiegati alla costruzione delle piramidi di Giza non superava i 10.000.

domenica 10 gennaio 2010

La storia attraverso un pavimento


Dimmi che tipo di logoramento ha un mosaico e ti dirò come lo vedevano gli antichi. Questo potrebbe essere il motto di Martin Beckmann, dell'University of Western Ontario, Canada, che ha analizzato uno dei più famosi mosaici antichi del mondo, quello che raffigura Alessandro Magno e che è attualmente custodito nel Museo Nazionale di Napoli.
Il mosaico è stato ritrovato a Pompei, nel 1831, e misura metri 3,2 x 5,5. Fu quasi sicuramente creato intorno al 100 a.C. e conteneva, all'origine, circa 4 milioni di tesserae, piccolissimi tasselli. Questo particolare tipo di lavorazione era chiamato, dai Romani, opus vermiculatum, e permetteva di comporre l'opera disponendo le minuscole tessere lungo i contorni delle figure.
Il mosaico di Alessandro Magno decorava, un tempo, il pavimento di una stanza della "Casa del Fauno", una delle dimore più grandi di Pompei. Il soggetto del mosaico è una battaglia tra Alessandro Magno ed il re persiano Dario III. Ci sono divergenze, tra gli studiosi, su quale battaglia sia stata precisamente raffigurata, se la battaglia di Isso (333 a.C.) o quella di Gaugamela (331 a.C.), ma quel che è certo è che attraverso il tipo di mosaico, il soggetto ed il modo in cui è stato creato, si possono indovinare i gusti, gli interessi ed i desideri dei ricchi Romani durante la tarda Repubblica.
Beckmann ha osservato alcune grandi aree del mosaico di Alessandro interamente distrutte. Queste aree, anticamente, vennero ricoperte con della malta. Beckmann ha individuato quattro tipi principali di logoramento: una grande area a forma di mezzaluna intorno al ritratto di Alessandro, due rattoppi nella parte superiore del mosaico ed altri due in quella inferiore. I rattoppi mostrano che l'interesse degli antichi Romani, e dei committenti dell'opera in particolare, si concentrava principalmente sulla figura di Alessandro e su quella di due persiani, raffigurati mentre vengono schiacciati sotto il cocchio di Dario. In particolare uno dei due è raffigurato con il volto non visibile se non attraverso il suo riflesso in uno scudo.
I restauri più recenti, afferma Beckmann, hanno riempito i buchi con la malta, mentre le riparazioni antiche ricorrevano alle tesserae. Probabilmente i danni subiti dal mosaico sono dovuti ad un suo eccessivo utilizzo, al sostare continuo in certe parti dello stesso. Nel tempo piccolissime parti dell'opera si sono staccate dai loro fissaggi nella malta di supporto.
Beckmann ipotizza che i visitatori si sono dapprincipio soffermati attorno alla figura di Dario e dei persiani. Il padrone di casa si è, forse, posto sopra al grande re, mentre i suoi ospiti avrebbero potuto guardare l'intera scena dalla parte inferiore, ponendo attenzione ai due persiani finiti a terra. In seguito padrone ed ospiti si sono spostati sulla sinistra, il padrone sulla scena in cui compare Alessandro che uccide un persiano, gli ospiti in semicerchio per vedere sia il padrone che Alessandro, facendo attenzione a non calpestare né l'immagine del grande re né il suo cavallo.

Augusto in Valle d'Aosta

Nel centro storico di Aosta è stata ritrovata una testa bronzea di epoca romana. Il reperto è venuto alla luce durante alcuni scavi.
Si tratta di un'applique in bronzo raffigurante una testa virile di imperatore, probabilmente Augusto, di 15 centimetri di altezza. E' la prima raffigurazione imperiale ritrovata in Valle d'Aosta.
Una volta eseguite le necessarie operazioni di restauro e di ripulitura della testa bronzea, il reperto verrà esposto all'ammirazione dei visitatori nei musei valdostani.

sabato 9 gennaio 2010

Trucchi egizi...

Il trucco che gli antichi Egizi usavano stendere sulla palpebra superiore ed inferiore degli occhi, aveva poteri medicinali e innescava un processo di difesa che, in caso di infezione oculare, limitava la proliferazione dei batteri. Sono queste le conclusioni a cui sono giunti al Centro Nazionale di Ricerca Scientifica e dell'Università Pierre e Marie Curie di Parigi.
Il famoso kajal egizio conteneva, è vero, del piombo, sostanza notoriamente tossica della quale medici greci e romani decantavano le proprietà curative, ma in dosi estremamente deboli, tali da indurre, nell'organismo umano, la produzione di una molecola, il monossido di azoto, che attiva il sistema immunitario.
L'equipe francese, per ottenere questo risultato, si è servita della laurionite, un cloruro di piombo, uno dei sali sintetizzati dagli antichi Egizi. Poi gli studiosi hanno osservato l'azione della laurionite su una cellula isolata della pelle, constatando la superproduzione di qualche decina di migliaia di molecole di monossido d'azoto. Le cellule immunitarie così stimolate, chiamate macrofagi, proteggono l'organismo fagocitando letteralmente batteri e scorie.

venerdì 8 gennaio 2010

Riemergono i Faraoni Neri


Sono state pubblicate le immagini delle tre statue scoperte, il mese scorso, a Dangeil, nel Sudan. Appartenevano a tre faraoni della XXV Dinastia, quella dei Faraoni Neri. La statua più importante è quella apparenente a Taharqa.
I faraoni della XXV Dinastia provenivano dalla Nubia, attualmente corrispondente ad una regione posta tra Egitto e Sudan. Cercarono di adottare le forme della cultura egiziana nel loro regno, fino a costruire anche delle piramidi molto particolari quando, oramai, non si costruivano più piramidi, in Egitto, da 800 anni.
Taharqa, in particolare, regnò tra il 690 ed il 664 a.C.. Verso il termine del suo regno, un conflitto con i persiani lo costrinse a ritirarsi in Nubia. L'Egitto, divenuta provincia assira, tornò ad essere indipendente con la XXVI Dinastia.
Le altre due statue ritrovate appartengono ai successori di Taharqa: Senkamanisken e Aspelta.
Dangeil si trova vicino alla quinta cateratta del Nilo, a 350 km dalla capitale del Sudan Karthoum, che era un'importante città reale. I maggiori ritrovamenti nella zona si datano al Regno di Meroe (III secolo a.C. - III secolo d.C.), ma l'insediamento era antecedente al regno di Taharqa.
La statua di Taharqa è in granito e pesa circa una tonnellata. Sia la statua di Taharqa che le altre due furono distrutte intenzionalmente, probabilmente a causa di contrasti dinastici oppure perchè, nel 593 a.C., truppe egizie al comando del faraone Psamtek II, penetrarono fino a Dangeil e distrussero le effigi dei Faraoni Neri.
La cava di granito più vicina è a centinaia di chilometri di distanza da Dangeil, nei pressi della terza cateratta, il che rende ancora più ammirevole lo sforzo impiegato per trasportare il materiale. Probabilmente le tre statue erano poste all'interno di un tempio dedicato ad Amon, dislocato, forse, vicino ad un tempio di Meroe del I secolo d.C.. Sulla cintura di Taharqa vi sono dei versi incisi: "Il dio perfetto Taharqo figlio di Amon Ra".
Gli archeologi ritengono che nel sito di Dangeil ci sia lavoro per anni.

mercoledì 6 gennaio 2010

I misteri di Teotihuacàn

Teotihuacàn era una sofisticata megalopoli già mille anni prima degli Aztechi. La città era abitata da ben 100.00 persone. Per i popoli precolombiani era "il luogo dove nascono gli dèi" e, soprattutto, il luogo dove, per la prima volta, era comparsa la razza umana, qella del "Quinto Sole", ultimo ciclo vitale prima della fine del mondo.
La città fu edificata secondo un accurato piano urbanistico. A Teotihuacàn ogni espressione artistica è simbolica ed ogni dettaglio ha un suo senso preciso. Creature chimeriche e ricchissimi dignitari accompagnano, nei dipinti, file di guerrieri armati fino ai denti. Numerosi sono gli animali rappresentati: uccelli predatori e giaguari soprattutto.
Fino a qualche tempo fa si credeva che Teotihuacàn fosse un luogo piuttosto tranquillo e tollerante, libero dal nefasto ricordo di pratiche piuttosto sanguinose che dominano il mondo precolombiano. Le ultime scoperte, però, hanno riletto e corretto questa credenza.
Gli scavi condotti tra il 1998 ed il 2004 da Rubens Cabrera Castro nella Piramide della Luna, hanno rivelato che anche a Teotihuacàn si facevano sacrifici umani ed anche in gran quantità. Sono stati ritrovati scheletri in posizione allungata o accucciata, con le mani legate dietro la schiena, sepolti in mezzo a grandi quantità di ossa animali disposte in direzione dei quattro punti cardinali, insieme a oggetti di alto valore simbolico.
Due entità, sopra le altre, erano grandemente adorate a Teotihuacàn: Tlaloc, il dio della Pioggia e Quetzalcoatl, il famoso Serpente Piumato, venerato in tutto il Messico. Accanto a queste due divinità principali, vi era Xipe Totec, signore della Rinascita e della Vegetazione che esigeva che i prigionieri fossero scorticati vivi prima di essere sacrificati.
Solo il 5% dei 22 chilometri quadrati occupati dalla città all'epoca del suo massimo sviluppo (dal 100 a.C. al 650 d.C.) è stato finora esplorato.
Non si sa quale sia stata la forma di governo che guidava Teotihuacàn. La classe dirigente è rimasta anonima e non ha lasciato alcun segno leggibile sui reperti o sulle strutture emerse.

martedì 5 gennaio 2010

Natalino di San Canzian


Uno scheletro di uomo adulto, dall'aspetto prestante e muscoloso, alto circa 1,75 metri, è stato scoperto nel corso di alcune indagini archeologiche che si stanno facendo nella chiesa di San Proto, presso San Canzian.
L'uomo fu sepolto nella nuda terra, al centro della chiesa. Non fu dotato di corredo ed il capo fu rivolto ad oriente. La sepoltura potrebbe risalire al medioevo ed è in ottimo stato di conservazione. Oltre allo scheletro, ribattezzato Natalino perchè portato alla luce la vigilia di Natale, gli archeologi hanno riportato alla luce lo scheletro di una giovane donna, seppellita con un ornamento sulla testa ed una fibbia su uno dei piedi. Una terza tomba è risultata vuota. Le indagini si concluderanno presto e si prevede che porteranno alla scoperta di altre inumazioni, dal momento che l'area interessata agli scavi nel medioevo era utilizzata come cimitero.
La piccola chiesa di San Proto era stata già oggetto di indagini nel 1960-1961 da parte dell'Università di Trieste. In quel caso furono ritrovate strutture di una piccola aula risalente al IV secolo d.C. e riferibile al culto memoriale di San Proto. Gli scavi attuali, invece, investono un'area adiacente all'antica strada che da Aquileia si dirigeva a Trieste.
Uno dei primi lavori effettuati è stato il consolidamento del mosaico ritrovato nel 1960. Poi è stato asportato il pavimento in cemento dell'attuale chiesa permettendo di portare alla luce, in tal modo, i resti di un piano pavimentale precedente con le tre sepolture. Le prossime indagini riguarderanno lo strato di terra al di sotto degli strati medioevali. Nel frattempo gli scheletri ritrovati saranno portati all'istituto di Anatomia dell'Università di Udine dove saranno analizzati e studiati per mezzo del Carbonio 14, che permetterà di individuare, oltre all'età ed al sesso, anche le eventuali patologie di cui soffrivano gli individui inumati.

I misteri della foresta Amazzonica


Un'antica società fiorì in Amazzonia. Una civiltà più antica di quella Maya. Le sue tracce sono centinaia di cerchi, quadrati ed altre forme geometriche.
A partire dal 1999 sono state scattate fotografie satellitari dell'alto bacino amazzonico. Queste fotografie hanno permesso di evidenziare ben 200 opere di forma geometrica, sparse su una superficie lunga 250 chilometri. I ricercatori pensano che possano esserci numerosissime strutture analoghe, la cui funzione è ignota, che giacciono sotto la foresta Amazzonica.
Uno dei siti è stato datato attorno al 1283 d.C.. La scoperta rafforza la tesi che l'entroterra del Rio delle Amazzoni pullulasse di società complesse, in gran parte spazzate via dalle malattie "importate" dai coloni europei che invasero il Sud America tra il XVI ed il XVII secolo. Queste società, finora, non sono mai state documentate, portando a credere che il suolo amazzonico fosse troppo povero per sostenere l'agricoltura intensiva necessaria per mantenere insediamenti permanenti.
I "disegni" ritrovati sono disposti in una serie di trincee la cui larghezza raggiunge i 12 metri e la profondità diversi metri. Gli argini che le fiancheggiano sono di circa 1 metro di altezza. Molte delle opere sono collegate tra loro da strade rettilinee. Degli scavi eseguiti nel 2008 hanno rilevato che alcuni lavori di sterro erano circondati da cumuli più bassi contenenti ceramica domestica, carbone, frammenti di pietra e resti di abitazione. Chi abbia costruito queste cose, resta un mistero. Gli archeologi parlano di strutture difensive o, in alternativa, di centri cerimoniali. Probabilmente la destinazione d'uso delle strutture fu diversa nel corso del tempo.
Le località scoperte in montagna pare abbiano ospitato fino a 60.000 persone. Questa cifra è stata stimata in base all'organizzazione sociale e del lavoro che sarebbe stata necessaria per portare a compimento la costruzione delle strutture ritrovate.

Un'altra tomba a Saqqara

Un'altra favolosa scoperta in Egitto, una tomba risalente al 500 a.C., quando nel paese regnava al XXVI dinastia. Si trova a pochi metri dalla grande piramide a gradoni di Djoser e dentro contiene scheletri, alcuni falconi mummificati ed utensili.
La scoperta è stata annunciata da Zahi Hawass, che sostiene vi siano ancora segreti da scoprire nei dintorni di Saqqara. La tomba fu scavata nella roccia calcarea, ha un'ampia camera collegata ad alcune nicchie in cui sono stati ritrovati gli scheletri ed i falconi mummificati.

domenica 3 gennaio 2010

Al-Fustat, le origini de Il Cairo

Al-Fustat fu la prima capitale d'Egitto, proclamata tale sotto il dominio arabo ed ora situata nella Cairo Vecchia e che comprende gli antichi resti della città, il Cairo copto, rovine di epoca romana e chiese. Vi sono due possibili etimologie per spiegare le origini del toponimo arabo. La prima ipotesi è collegata al greco fossaton, per via del fossato che circondava la fortezza greco-bizantina di Babilonia, conquistata dagli arabi nel VII secolo d.C.. La seconda ipotesi prende in considerazione la parola araba fustat, che vuol dire "tende", in ricordo delle tende che Amr Ibn el-As avrebbe impiantato davanti l'anzidetta fortezza.
Una volta che gli assediati si furono arresi, il califfo 'Umar ibn al-Khattab decise che quel luogo sarebbe diventato la capitale del governatorato dell'Egitto. Al-Fustat, dunque, almeno all'inizio, era un misr, che in arabo significa "campo fortificato". Nel XII secolo, il centro raggiunse i 200.000 abitanti. La città venne data alle fiamme dal suo stesso visir, Shawar, nel 1168, almeno secondo la tradizione araba, per prevenire l'assedio dei crociati, guidati da Amalrico I di Gerusalemme, ed impedire che le truppe cristiane occupassero la città. In realtà gli incendi furono limitati alle chiese attaccate durante la rivolta anti-cristiana e non furono direttamente connessi alla minaccia dei crociati. Sono persino documentati lavori di ricostruzione e l'area fu da Saladino inclusa nelle mura della città.
In seguito Il Cairo, fondata nel 969 d.C., finì per inglobare completamente al-Fustat, alla quale attinse per i materiali da costruzione e che venne, successivamente, trasformata in una sorta di discarica.
La vicinanza del sito dove sorgeva l'antica al-Fustat al Cairo copto ha permesso una valorizzazione dell'area, anche se i resti dell'antica città somigliano, tuttora, ad una sorta di scavo permamente a cielo aperto, in cui è possibile notare mattoni tenuti insieme con malta prodotta con calcare ricavato, probabilmente, da antichi resti faraonici. Alcune colonne crollate, poi, sono in granito rosso di Assuan e sono, quasi certamente, pertinenti a templi dell'epoca faraonica costruiti nell'area di Menfi. Da qui furono dapprincipio prelevate dai Romani, che le utilizzarono per i loro edifici sacri, e vennero successivamente riciclate dai cristiani per le loro chiese.
Il sito della vecchia capitale egiziana è cosparso di resti di ceramiche e tubature in argilla ed ovunque sono presenti pozzi spesso poco segnalati.

Stonehenge, Bluehenge ed il Madagascar

Ramilisonina, archeologo nativo del Madagascar nonchè studioso della preistoria del suo paese, insieme a Mike Parker Pearson ha studiato ad una nuova interpretazione del paesaggio che si estende attorno ai siti sacri di Stonehenge e Woodhenge. In particolare di Bluehenge (o Bluestonehenge), situato non lontano dal più famoso Stonehenge.
Ramilisonina si è preoccupato di cercare le similitudini tra i rituali funebri del Madagascar e quelli dell'Inghilterra neolitica.
A Bluestonhenge è stato ritrovato un fosso circolare con frammenti di grandi megaliti trasportati dal Galles risalenti ad un periodo che va dal 2500 al 3000 a.C., coevi, pertanto, di Stonehenge. I due studiosi ritengono che le cerimonie funebri si siano svolte proprio a Bluestonehenge, dove i corpi dei defunti venivano cremati per poi essere seppelliti a Stonehenge, una pratica molto simile a quella che Ramilisonina ha riscontrato in Madagascar, dove la pietra veniva utilizzata per costruire tombe e monumenti, mentre il legno serviva per erigere le abitazioni.
Le pietre che, in Madagascar, sono servite per tombe e monumenti sono più piccole rispetto a quelle di Stonehenge e tuttora la popolazione dell'isola ha l'abitudine di erigere pietre in onore ed in ricordo degli antenati defunti.

venerdì 1 gennaio 2010

Il Signore Cao Cao e le sue mogli

Un gruppo di archeologi cinesi sostiene di aver ritrovato la tomba di Cao Cao, fondatore della dinastia Wei, generale del III secolo, politico scaltro e tirannico.
Il complesso tombale di Cao Cao si estende per 740 metri quadrati, con un passaggio di 40 metri che conduce ad una sala sotterranea. E' stato individuato a Xigaoxue, un villaggio nei pressi dell'antica capitale Anyang.
La tomba contiene i resti di un uomo di circa 60 anni e di due donne, otlre a numerose reliquie (se ne sono contate circa 250). Il talento politico nonchè il cinismo, consentirono a Cao Cao di instaurare lo stato più forte e prospero della Cina settentrionale tra il 208 ed il 280 d.C..

Un anno di meraviglie e di scoperte


Per "celebrare" l'anno passato, una piccola rassegna delle scoperte che il 2009 ci ha regalato.

Cominciamo con Roma dove, sul Palatino, è stata individuata la famosa "coenatio rotunda", definita come la "sala da pranzo di Nerone", che notte e giorno girava su stessa simulando il movimento della terra. La più famosa sala da pranzo del mondo si trova all'interno di quella che è chiamata Vigna Barberini ed è emersa durante lavori di consolidamento dell'area. Per il momento si parla dell'individuazione di due piloni e degli incassi che, riempiti di una sostanza particolare, erano utilizzati proprio per il movimento rotatorio della famosa stanza.

Sempre Roma è al centro della seconda scoperta importante del 2009. Gli scavi che si stanno effettuando per la realizzazione della linea C della metropolitana hanno fatto emergere, in piazza Venezia, le trasformazioni subite nel tempo da un complesso edilizio che gravitava sull'antica via Lata (oggi via del Corso). Sono emerse piccole fornaci circolari che venivano utilizzate per produrre metallo ed oggetti minuti in lega. Sono emersi diversi livelli pavimentali, ciascuno dei quali con il suo focolare per la cottura dei cibi e si è appurato che il dissesto subito da queste strutture è stato causato da un violento terremoto verificatosi intorno alla metà del IX secolo. Tracce evidenti del potente sisma sono state ritrovate tra via Cesare Battisti, piazza Venezia e piazza Madonna di Loreto.

A poca distanza da piazza Venezia, sotto il palazzo attualmente sede della Provincia (Palazzo Valentini), sono state individuate strutture che riguardano domus e piccole terme che coprono un'area complessiva di 1800 metri quadri, nascosta fino al 2004 e riemersa con i lavori di ristrutturazione del palazzo. Gli scavi hanno restituito sculture di grandi dimensioni, edifici a carattere residenziale di lusso, con pavimenti in mosaico (fino a 500 mila tessere policrome in pietra fatte giungere da ogni angolo dell'impero!), un patrimonio che risale al II-IV secolo d.C e che identifica un grande complesso poco lontano dalla Colonna Traiana, composto da due grandi siti: due domus romane, abitate, vista la grandiosità e la ricchezza degli ambienti e del complesso termale che le componeva, probabilmente da senatori o dignitari di rango elevato; le "piccole Terme di Traiano", una vera e propria struttura termale con vasche per acqua calda e fredda, una sauna, il classico apparato per il riscaldamento dell'acqua (sunspensurae e tubuli fictiles lungo le pareti).

Rieti, invece, ha restituito una bellissima villa romana che, si pensa, era la residenza dell'imperatore Vespasiano, di cui si è celebrato, nel 2009, il bimillenario della nascita. Accanto ad un antico cimitero e ad una chiesetta di origini medioevali, è emerso il perimetro di una villa con sale da ricevimento, terme e colonnati. Il pavimento della sala principale è da mille ed una notte, ancora visibile in tutto il suo splendore, composti da intarsi di marmi policromi, provenienti dal nordafrica, da cave che non è stato possibile individuare. Poco distante, poi, è emersa l'antica Falacrinae, per merito di una antica pietra con iscrizione romana del periodo repubblicano, ritrovata più di dieci anni fa da un contadino e custodita nella sua cantina.

A Firenze, invece, è emersa l'antica Florentia, la città romana che fu modello di quella medioevale e rinascimentale. Sono tornati alla luce resti di monumenti, teatri (come quello romano, sotto Palazzo Vecchio) e templi (come quello dedicato ad Iside, custodito sotto il tribunale di piazza San Firenze e del quale sono stati ritrovati resti di colonne intarsiate e pezzi di frontone). Il tempio di Iside, in particolare, è stato scoperto mentre si effettuavano gli scavi per creare l'impianto antincendio vicino l'ascensore del tribunale. Lo scavo è profondo circa 4 metri, largo due e mezzo e lungo 5 metri. Sono stati recuperati frammenti di decorazione marmorea di capitelli, colonne, basamenti e rivestimenti. Questo tempio era stato realizzato subito fuori la parte romana di Firenze.

Un tempio romano, invece, è emerso all'interno del Parco Naturale della Maremma, in provincia di Grosseto. Il tempio è stato datato al IV secolo d.C. e consiste in una struttura rettangolare di 11,5 metri per 6,5 in "opus testaceum" (muro di mattoni che riveste un vespaio di pietra), successivamente rivestito da lastre marmoree. Sono state anche ritrovate 50 monete e molti reperti ceramici originari di tutto il bacino del Mediterraneo, in particolare dall'area africana, a testimonianza come la foce del fiume Ombrone, in epoca romana, fosse un importante porto per lo scambio delle merci provenienti dal Mediterraneo e dirette verso Roselle, Siena e l'ager Cosanus.

A Vico Equense, in provincia di Napoli, sono state, invece, ritrovate due statue funerarie dedicate ad una coppia di sposi, mentre si scavava una necropoli. Le statue sono in tufo stuccate, opera di maestranze locali, e risalgono al I secolo d.C.. La necropoli ha restituito anche diverse tombe disposte su terrazzamenti naturali. Nel settore sud sono emerse tombe a cappuccina del III-I secolo a.C.. Il settore nord, invece, sembra essere stato occupato tra il I secolo a.C. ed il I secolo d.C., fino al 79 d.C., data dell'eruzione del Vesuvio. E' stato, inoltre, individuato il tracciato di un antico asse viario costruito con breccioline calcaree di origine alluvionale. Ma sono emerse anche teste maschili e femminili, busti panneggiati, frammenti di altorilievi dove, con buona probabilità, sorgevano terme e domus prospicienti il mare. I reperti rinvenuti riguardano zoccolature, cornici, colonne, lastre di rivestimento, lastre pavimentali, capitelli, antefisse, una testa ritratto di imperatore, teste ideali e private maschili e femminili, altorilievi, statue equestri. Oltre alla testa dell'imperatore Tito sono emerse altre due teste maschili. Due delle teste femminili sono, forse, pertinenti ad un'amazzone del II secolo d.C. e ad un'imperatrice di età giulio-claudia tarda. E' stata anche ritrovata un'antefissa del II secolo, quattro torsi tra i quali una statua femminile pannegiata, la statua di un togato, un altorilievo con due figure ed il frammento di un cavallo.

A Palermo i sommozzatori dei Carabinieri hanno estratto dal mare di Gela preziosi reperti di epoca romana, greco-ellenistica e bizantina, riconducibili, forse, ad un antico naufragio.

Anche a Perugia sono stati effettuati ritrovamenti, quello dei resti di una strada basolata di epoca romana, restituita alla vista durante i lavori condotti dal Comune. Il tratto di strada è piuttosto frammentario e danneggiato ai lati ed al centro a causa del passaggio di cunicoli e fognature costruiti in epoca posteriore. La porzione di strada è larga un metro e lunga 4,50 metri, costruita con basoli di calcare, mostra i segni dei passaggi dei carri. In epoca etrusca il percorso si dirigeva verso Porta S. Ercolano, percorreva Corso Cavour, costeggiava la necropoli del Frontone e raggiungeva Orvieto. Lo stesso tracciato è interessato dalla via regale di età medioevale.

Anche a Pompei si continua a scavare, e con profitto. I recenti scavi, infatti, hanno condotto al ritrovamento di una cella vinaria con un primo filare di dolia, ambienti rustici con manti di tegole ancora integri, di pertinenza del primo piano della Villa a fianco della via Superior, nonchè una porzione del grande portico meridionale della residenza ancora sepolta. La Villa risale al II secolo a.C. ed è stata soggetta a costanti modificazioni fino all'eruzione del 79 d.C..

A Potenza coppe, vasi, brocche ed anfore sono il risultato della campagna di scavi estiva condotta nella città romana di Grumentum. Tra i reperti si annovera una splendida coppa attribuita al vasaio aretino Tigrane, decorata a bassorilievo con satiri, menadi e tripodi. Cumuli di intonaci affrescati di molti colori sono, inoltre, in attesa di un lungo lavoro di ricostruzione. La colonia romana è stata datata all'epoca del primo triumvirato, ad una legge agraria di Giulio Cesare del 59 a.C..

A Mondragone, in provincia di Caserta, si è riportato alla luce un antico fronte battesimale medioevale, del peso di circa 350 chili, durante gli scavi sulla Rocca Montis Dragonis.

Nelle catacombe di Santa Tecla, sulla via Ostiense, è stata ritrovata, invece, l'immagine più antica dell'apostolo Paolo. La scoperta è stata fatta durante i restauri effettuati nella catacomba dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

La gemella di Petra

Celebrare il nuovo anno ad Al Ferid, la più solitaria tra le tombe nabatee, deve essere veramente suggestivo. Si può, innanzitutto, visitare una necropoli - formata da tombe con facciate enormi, ornate di portali recanti sculture di aquile, sfingi e serpenti, da merlature in stile assiro e da gradini che salgono al cielo - senza incontrare un solo turista. Questa necropoli non è che uno dei tesori di Hegra, la città gemella di Petra, situata nel nord dell'Arabia Saudita, un luogo non ancora scoperto dal turismo di massa. Appena un migliaio sono i visitatori che visitano questo splendido luogo in cui il tempo sembra essersi fermato e dove è possibile visitare la necropoli rupestre di Dedan (VI secolo a.C.) citata nell'Antico Testamento.
L'antica Hegra (oggi Mada'in Saleh, la città del profeta Saleh) era, insieme a Petra, il più importante centro sulla via carovaniera che collegava il regno della regina di Saba (l'attuale Yemen) al Mediterraneo: la rotta che attraversava l'intera penisola arabica per commerciare incenso, mirra e merci provenienti dall'India. La fondarono i nabatei, popolazione nomade di origine semita e provenienti dall'Arabia meridionale, gli stessi che "crearono" Petra. La necropoli di Hegra fu letteralmente scolpita nella morbida pietra arenaria giallastra: 133 tombe, per la maggior parte decorate da maestosi ingressi colonnati con tanto di frontoni e capitelli, di chiara influenza ellenistica. Alcune furono realizzate tagliando fette di montagne. Al loro interno restano solo le nicchie e i loculi in cui venivano deposti i defunti.
Le tombe risalgono al I secolo dopo Cristo. Più a nord, vicino alla cittadina di Tabuk, al confine con la Giordania si trova il più spettacolare deserto saudita. La Hisma Valley, la prosecuzione geografica e paesaggistica del giordano Wadi Rum, dove una decina di famiglie di beduini vive ancora allevando cammelli.

Turchia, gli "inviti" di Antioco I di Commagene...

Turchia, l'iscrizione di Antioco di Commagene (Foto: AA) Un'iscrizione trovata vicino a Kimildagi , nel villaggio di Onevler , in Tu...