giovedì 30 giugno 2011

Un barbecue...primitivo


Uro

Gli archeologi hanno scoperto i resti di un "barbecue" risalenti a 7700 anni fa nella valle del fiume Tjonger, nei Paesi Bassi. Secondo il Journal of Archaeological Science, il festino si tenne ben mille anni prima che i primi agricoltori arrivassero nella regione con il bestiame domestico.
Gli studiosi, analizzando quanto rimaneva del banchetto primitivo, hanno potuto scoprire che coloro che avevano organizzato il barbecue iniziarono a mangiare prima il midollo osseo e poi la parte esterna. Gli avanzi dell'animale oggetto del banchetto appartengono ad una femmina di uro, un bue eurasiatico selvatico più grande delle attuali mucche.
L'animale fu catturato con l'aiuto di una trappola e poi preso a bastonate sulla testa o sottoposto ad un fitto tiro di frecce dalla punta di selce. E' stata ritrovata, anche, vicino le ossa dell'uro, una lama di selce che si pensa sia stata utilizzata per tagliare le gambe dell'animale per succhiar via il midollo osseo.
Coloro che hanno ucciso l'animale sono vissuti durante il tardo Mesolitico, erano cacciatori-raccoglitori e la caccia era una parte importante della loro vita, dal momento che offriva loro gli elementi di sussistenza. Gli uri erano il principale cibo per gli uomini dell'età della pietra, al punto che gradualmente si estinse. L'uro non viveva più in grandi branchi, in questa zona d'Europa, dall'arrivo dei primi agricoltori, circa 7500 anni fa. Questi ultimi utilizzarono il terreno che era stato, in precedenza, pascolo degli uri per costruirvi le loro abitazioni ed impiantarvi i campi arabili.
L'ultimo uro morì nel 1627 in uno zoo di Polonia.

Un nuovo cimitero in Messico

Comalcalco
Gli archeologi messicani hanno scoperto un cimitero che risale all'811 d.C. nello stato di Tabasco, a sud est del Messico. La scoperta è stata fatta vicino la Grande Acropoli di Comalcalco ed ha portato alla riesumazione di 116 persone.
"La scoperta di quello che è il cimitero più grande mai scoperto in territorio Maya, suggerisce che si tratti di sepolture pre-Colombiane. Sessantasei delle sepolture in urne corrispondono a individui appartenenti all'elite Maya, gli altri 50 - disposti in posizione differente tutt'intorno alle prime - ai loro compagni nel dopo morte", ha detto il coordinatore del progetto Ricardo Armijo.
Sono stati anche utensili e ceramiche associate alle sepoture, alcune in forme di animali, altre in forme umane riccamente abbigliate. Poi decine di rasoi e coltelli di ossidiana, molti frammenti di metallo e oltre 70.000 cocci di ceramica.
Un analisi degli oggetti ritrovati ha rivelato che le sepolture risalgono a circa 1200 anni fa, anche se non è ancora stato fatto uno studio completo. Gli scheletri conservati presentano caratteristiche proprie della cultura maya, come le deformazioni del cranio.

I tesori di Batrawy

Il vasellame ritrovato nel palazzo di Batrawy
In maggio e giugno 2011 sono proseguite le operazioni di scavo del palazzo che costituiva il cuore dell'antica città di Batrawy, nella Giordania settentrionale, della Missione Archeologica in Palestina e Giordania dell'Università di Roma "La Sapienza".
Gli scavi hanno prodotto ottimi risultati, con il ritrovamento di numerosi reperti conservati in modo eccellente nello strato di distruzione che pose fine alle fortune della città cananea nel 2300 a.C.. La città, precedentemente allo scavo italiano praticamente sconosciuta, fu scoperta dagli archeologi italiani nel 2004. Era il principale centro urbano del Wadi az-Zarqa, il fiume più orientale del Levante, ai margini del deserto siro-arabico, nel III millennio a.C. e controllova le vie carovaniere verso la Siria, l'Arabia e la Mesopotamia, nonchè il guado che consentiva di scendere a ovest della Valle del Giordano, in Palestina fino al Mediterraneo e al Mar Rosso.
Quest'anno, nel palazzo, si sono avuti interessanti ritrovamenti. E' stato completato lo scavo della grande sala a pilastri che possiede due ingressi monumentali con gradini in mattoni crudi e quattro pilastri. All'interno sono stati ritrovati venti grandi pithoi e numerosissimi vasi e quattro asce di rame rinvenute nel 2010 ed ora esposte al Museo Nazionale di Amman. In quest'ultima campagna di scavo sono stati ritrovati due vasi decorati con figure applicate: uno con un grande e sinuoso serpente, l'altro diviso in metope nelle quali erano rappresentati, l'uno di fronte all'altro, un serpente e uno scorpione, elementi senza confronto nel panorama levantino coevo rappresentanti, forse, un aspetto del culto dei Cananei.
La sala a pilastri era fiancheggiata da una seconda sala ugualmente a pilastri, apparentemente di maggiori dimensioni, e da un magazzino. In quest'ultimo, in cui ci sono imponenti resti di ballatoi e scaffali lignei carbonizzati, sono stati ritrovate una ventina di giare di diversa forma e fattura ed un tornio in basalto simile ad un altro rinvenuto nel 2010.
Le scoperte più inattese si sono avute nella sala adiacente. Qui vi era un pavimento su due livelli, ricavato da un sapiente livellamento della roccia della collina. In questa sala sono stati ritrovate giare e vasellame di medie e piccole dimensioni in uno strato di crollo con travi carbonizzate, mattoni, ceneri e reperti. Al centro di una parete, poi, vi era un sedile in pietra, mentre sul lato sud un grande pithos era murato in una nicchia. I ritrovamenti più significativi sono stati quelli di una giara piena di 584 perle e vaghi di collana in corniola, osso, cristallo di rocca e rame, con alcune perle infilate in sottilissimi fili di rame, una quinta ascia di rame, due falcetti di legno con lame in selce affilate ed una grande brocca in ceramica rossa lustrata ed un rarissimo vaso di importazione forse egiziana.

mercoledì 29 giugno 2011

I primi abitanti di Istanbul prima di Istanbul

Gli scheletri ritrovati ad Istanbul
Due scheletri risalenti ad 8500 anni fa sono stati scoperti durante gli scavi archeologici nell'area di Yenikapi, ad Istanbul. Si tratta degli scheletri più antichi mai trovati finora in Turchia.
"Reperti del genere non sono mai stati rinvenuti durante gli scavi precedenti; sono le sepolture più antiche dell'Anatolia", ha affermato il Dottor Yasemin Yilmaz, un esperto di antropologia e preistoria. Il Dott. Yilmaz ha detto, anche, che l'utilizzo di blocchetti di legno, preservati sinora, per coprire la sepoltura è davvero singolare rispetto ad altri ritrovamenti.
Sin dai primi scavi del 2004 attorno a Yenikapi, dove dovrà essere costruito il tunnel sotterraneo di collegamento al Mar di Marmara, sono stati rinvenuti molti resti di naufragi, anfore ma anche cimiteri che hanno restituito ben 40.000 manufatti. Diversi archeologi hanno collaborato con circa 200 operai per scavare con cura un'area di circa 60.000 metri quadrati dove sono state scoperte, a 16 metri sotto terra e 9 metri sott'acqua, molte tracce della storia dell'uomo.
E' la prima volta che, all'interno della città, viene ritrovata una bara con il suo coperchio in legno. In genere il legno tagliato decade dopo circa 15-20 anni, ma queste assi sono sopravvissute per più di 8 millenni grazie all'argilla nera che le ha preservate.
"Possiamo affermare con certezza che i manufatti rinvenuti accanto alla sepoltura risalgono al 6500 a.C.. La bara risale anch'essa allo stesso periodo. La data esatta sarà stabilita dopo l'analisi con il Carbonio 14. Dopo le analisi del Dna saremo in grado di conoscere da quale paese queste persone vennero in Anatolia ed avremo informazioni sulle loro radici", ha detto Sim Comlekci, responsabile degli scavi.

Eliodoro, un greco seguace di Vishnu

Iscrizione sulla
colonna di Eliodoro
Una scoperta archeologica proverebbe che degli Occidentali erano seguaci dei principi vedici già 2200 anni fa.
Eliodoro era un ambasciatore greco in India nel II secolo a.C. Non si conoscono molti dettagli sulle relazioni diplomatiche intercorrenti tra i Greci e gli Indiani a quei temi, ed ancor meno si hanno maggiori notizie di Eliodoro. Ma la colonna da lui eretta in Besnagar, nell'India centrale, nel 113 a.C. circa, è considerata uno dei ritrovamenti archeologici più importanti del subcontinente indiano.
Si sa che Eliodoro venne inviato alla corte del re Bhagabhadra da Antiakalidas, re greco di Taxila. Il regno di Taxila era parte della regione della Bactriana, nel nordovest dell'India, conquistata da Alessandro Magno nel 325 a.C.. Al tempo di Antiakalidas l'area sotto il dominio greco includeva quelli che sono oggi l'Afghanistan, il Pakistan e il Punjab.
Le prime notizie sulla colonna di Eliodoro risalgono al 1877, durante un'indagine archeologica del generale Cunningham. L'iscrizione sulla colonna, tuttavia, passò inosservata a causa dello spesso strato di minio che ricopriva la parte inferiore del monolito. Era usanza di coloro che si recavano a Besnagar in pellegrinaggio ricoprire la colonna con pasta rossa. Cunningham trasse la conclusione, basandosi sulla forma della colonna, che essa appartenesse al periodo imperiale Guptas (300-550 d.C.). Trentadue anni più tardi, quando l'iscrizione fu riportata alla luce, fu chiaro che il monumento era più antico di diversi secoli.
Nel gennaio del 1901 un certo Mr. Lake affermò che vi erano delle lettere nella parte inferiore della colonna e la rimozione della pasta vermiglia che ricopriva questa parte del reperto dimostrò che aveva ragione. Il Dott. J. H. Marshall, accompagnato da Mr. Lake, descrisse la scoperta sul Journal of the Royal Asiatic Society nel 1909. Cunningham, spiegò il Dott. Marshall, aveva commesso un errore sull'età effettiva della colonna. Uno sguardo più attento alle poche lettere era quanto necessario a far capire che la colonna era molto più antica dell'età Gupta.
L'iscrizione rinvenuta sulla colonna recita: "Questa colonna Garuda di Vasuveda (Visnu), il dio degli dèi, fu eretta qui da Eliodoro, adoratore di Vishnu, figlio di Dion e abitante di Taxila, che venne in qualità di ambasciatore greco del re greco Antialkidas, al re Kasiputra Bhagabhadra, il Salvatore, felicemente regnante nel quattordicesimo anno del suo regno. (...) Tre importanti precetti (orme).... Quando praticata porta al cielo, carità e coscienziosità".
Dall'iscrizione è chiaro che Eliodoro fu notevolmente influenzato dai principi Vedici da considerare se stesso un Vaisnava, seguace o adoratore di Vishnu. Il professor Kunja Govinda Goswami, dell'Università di Calcutta conclude che Eliodoro "aveva familiarità con i testi della religione Bhagavat (Vaisnava)".
Per quel che si sa, Eliodoro fu il primo occidentale ad adottare principi Vedici. Ma molti studiosi, come A.L. Basham e Thomas Hopkins, sono dell'opinione che Eliodoro non fu il solo greco ad abbracciare questi principi. Hopkins, presidente del Dipartimento di Studi Religiosi al Franklin and Marshall College, ha affermato: "Eliodoro non fu, con tutta probabilità, il solo straniero che si convertì alla pratica devozionale Vaisnava, anche se può essere stato l'unico ad aver eretto una colonna, al momento l'unica ancora esistente. Sicuramente devono essercene stati molti come lui".
E' anche interessante notare che la colonna di Eliodoro ha altri meriti storici. In passato molti studiosi di Indologia (Weber, Macnicol e altri) hanno notato molte somiglianze tra la filosofia Vaisnava e la dottrina cristiana. Questi studiosi hanno dedotto che il Vaishnavismo (il culto di Vishnu e Krsna) poteva essere stato un ramo del Cristianesimo e hanno citato la somiglianza tra le storie raccontate su Krsna e quelle su Cristo a supporto della loro teoria. La scoperta della colonna di Eliodoro ha risolto in negativo le ipotesi avanzate da questi studiosi: la tradizione Vaisnava ha preceduto il Cristianesimo di almeno duecento anni.
La colonna di Eliodoro ha demolito anche un'altra credenza popolare. Per secoli era opinione comune tra gli studiosi che la tradizione ortodossa Indiana non accettava convertiti. Uno storico islamico, Abu Raihan Alberuni, che visitò l'India nel 1017 d.C., provò a spiegare, in un suo libro, perchè gli Indiani ortodossi non ammettevano al loro culto gli stranieri. Alberuni suggeriva che la pratica si era sviluppata solamente dopo l'invasione musulmana dell'India, intorno al 674 d.C.. La rivalità tra Musulmani e Indù sembra essere la ragione principale della pratica di non accettazione di convertiti. Prima della presenza musulmana, per molti secoli, comunque, non c'era stato alcun ostacolo alla conversione al credo indiano ortodosso, come è dimostrato dalla colonna di Eliodoro.

Il porto sommerso di Baia

Vista aerea dell'area sommersa di Portus Julius
Portus Julius, così chiamato in onore di Gaio Giulio Cesare Ottaviano, fu un suburbio portuale della città di Puteoli (Pozzuoli) sin dal 37 a.C.
Fu realizzato presso il lago di Lucrino e si estendeva fino al lago d'Averno. Attualmente gli impianti romani sono sommersi per effetto del bradisismo flegreo. Sono stati riscoperti solo nel 1956.
A costruire il porto fu Marco Vipsanio Agrippa, genero e amico fedelissimo di Ottaviano. Inizialmente la sua funzione fu quasi esclusivamente militare, poichè fu attivo nel corso della guerra civile contro Sesto Pompeo, guerra che avrebbe segnato la fine della Repubblica Romana.
Cassio Dione e Velleio Patercolo descrivono il porto come un rifugio naturale e protetto per le navi da guerra, ma anche come un grande cantiere navale. Notevoli opere d'ingegneria lo collegavano sia al lago di Lucrino (allora più vasto di quanto lo sia oggi) che fungeva da rada, sia al lago d'Averno, approdo sicuro e riserva di legname per il cantiere navale vista la sua vicinanza ai boschi. Sotto la direzione dell'architetto Lucio Cocceio Aucto il canale artificiale che collegava i due laghi, lungo 300 metri, venne allargato di 50 metri. Venne creato, presso il porto, uno sbocco per il lago di Lucrino scavando il tratto sabbioso che lo divideva dal mare.
Portus Julius possedeva un molo costiero di 372 metri, edificato su archi che poggiavano su 15 piloni quadrangolari. Lo difendeva una lunga diga su cui si snodava la via Herculea (o Herculanea) che partiva dalla Punta dell'Epitaffio, presso Baia, per raggiungere Punta Caruso. Il complesso militare era arricchito di camminamenti sotterranei commissionati da Agrippa, che permettevano il collegamento in sicurezza tra il lago d'Averno e il porto di Cumae (Strabone).
Venti anni appena dopo la sua costruzione, il porto esaurì la sua missione, poichè il lago Lucrino non era sufficientemente profondo e finì per insabbiarsi parzialmente. Inoltre, proprio a causa del progressivo insabbiamento del lago, la flotta navale venne trasferita a Miseno nel 12 a.C. Tuttavia, per molto tempo, Portus Julius mantenne la sua funzione commerciale. In età augustea l'insediamento portuale prosperò al punto da estendersi verso Pozzuoli con la costruzione di due nuovi vici (sobborghi) cittadini: il vicus Lartidianus e il vicus Annianus. Sotto Nerone si intraprese la costruzione di un lunghissimo canale navigabile, la fossa Neronis, parzialmente visibile dalle foto aeree, che avrebbe dovuto unire Portus Julius a Roma, per consentire un traffico sicuro dalle tempeste per le navi che trasportavano grano all'Urbe. Ma il canale non fu completato a causa della morte di Nerone.
Portus Julius venne abbandonato nel IV secolo a causa dell'abbassamento progressivo della linea di costa causato dal bradisismo. Alla fine del V secolo Cassiodoro afferma che la diga di costa era già crollata e parte del materiale lapideo della stessa era stato riutilizzato per riparare le mura di Roma. Nei secoli successivi, l'arretramento della costa marina fece scomparire il lago di Lucrino e il porto romano fu completamente sommerso.
Dopo la parentesi militare, la zona dove sorgeva il porto e il lago tornarono ad essere un luogo sacro alle divinità infere ed alle cure termali, nonchè un luogo di lussuose residenze.
Venne riscoperto solo nel 1956, grazie alle foto aeree scattate dal pilota e sub militare Raimondo Bucher. Del complesso è stato possibile rilevare solo la parte orientale, con il tracciato di una via che passa tra i resti di due file parallele di magazzini portuali, con mura in opus reticulatum, intonaci, casseforme lignee, impianti idraulici e un edificio più vasto con orientamento diverso dalle altre strutture, disposto obliquamente, nel quale gli archeologi hanno riconosciuto la domus dell'ammiraglio, con pavimenti a mosaico.

Leonardo in America

(Fonte: "La Repubblica") Un capolavoro scomparso di Leonardo da Vinci è stato ritrovato in una collezione privata americana e sarà esposto al pubblico, dopo secoli, alla National Gallery di Londra dal 9 novembre al 15 febbraio 2012. Si tratta di un Cristo "Salvator Mundi", con la mano destra alzata benedicente mentre nella sinistra regge un globo celeste.
Il dipinto, su tavola, misura 66 centimetri di altezza per 46 di larghezza. All'inizio era catalogato correttamente nella collezione di Carlo II Stuart. Riapparve in quella di Sir Francis Cook, un collezionista britannico del XIX secolo, ma qui si era persa l'attribuzione leonardesca ed era semplicemente catalogato come "Di scuola milanese (circa 1500)". Secondo la rivista specializzata Artnews Magazine varrebbe 200 milioni. La mano del maestro toscano ha trovato conferma solo dopo la rimozione di uno strato di pittura scolorita e ritoccata durante un precedente restauro.
Qui la foto in bianco e nero riportata su "La Repubblica".

martedì 28 giugno 2011

Un ossario cristiano a Cagliari

Alcuni teschi ritrovati nella cavità sotterranea a Cagliari
E' stata ritrovata, a Cagliari, una catacomba estesa per ben mille metri quadri. La scoperta è stata fatta dagli speleologi del Gruppo Cavità Cagliaritane e del Gruppo Teses di Vercelli. La catacomba è piena di ossa umane e riposava nel sottosuolo della città sarda da millenni.
Centinaia sono gli scheletri umani che, a prima vista, sono radunati in questo spazio immenso, incalcolabili le ossa ammucchiate in pile alte diversi metri, che si ergono tra cocci antichi, croci e resti di bare. Testimone di quest'incredibile scoperta anche il conduttore Daniele Bossari, che stava realizzando un servizio per il programma televisivo "Mistero".
L'accesso all'antica grotta, una sorta di eremo ripestre, era nascosto dietro un'intercapedine tra un muro del vecchio ospedale di guerra e la parete rocciosa della grotta. Marcello Polastri, giornalista e presidente del Gruppo Cavità Cagliaritane: "Sul finire del 1980 in questa zona venne scoperto un ossario, ma questo riportato alla luce l'altra sera non è un semplice deposito di ossa, bensì una sorta di catacomba labirintica e per un tratto allagata, infatti abbiamo proceduto con le mute nelle parti più profonde e all'apparenza pericolose."
Nei prossimi giorni gli speleologi concluderanno i rilievi nella caverna appena scoperta. Le operazioni saranno condotte con molta cautela, per non alterare il sito.

Novità dall'antica Tanis (San el-Hagar)

Uno dei blocchi ritrovato a San el-Hagar
A San el-Hagar, antica Tanis, sul Delta del Nilo, sono stati ritrovati una serie di blocchi dipinti utilizzati per la costruzione del tempio del faraone Osorkon II.
Durante alcune operazioni quotidiane di scavo, degli operai francesi che stavano lavorando nel sito archeologico di San el-Hagar hanno portato alla luce centinaia di blocchi di calcare dipinto, un tempo utilizzati per la costruzione del tempio funerario del faraone Osorkon II, della XXII Dinastia.
Zahi Hawass ha affermato che un primo esame dei blocchi ha rivelato che questi sono stati smantellati e riutilizzati nella costruzione di altri edifici dall'epoca tardo antica fino all'età tolemaica. Hawass ha promesso che, dopo che i blocchi saranno completamente estratti dal terreno, gli archeologi li studieranno accuratamente per ricollocarli nella posizione originale, in modo da capire se appartenessero ad un tempio oppure ad una cappella.
L'archeolo francese Philip Brissaud, capo della missione archeologica francese, sostiene che i blocchi ritrovati recentemente furono riutilizzati nella costruzione del muro di recinzione del lago sacro della dea Mut, al quale la missione archeologica ha iniziato a lavorare già dall'anno scorso. Il lago sacro ha una lunghezza di 12 metri, una larghezza di trenta ed una profondita di sei metri. Brissaud ha anche affermato che, durante le operazioni di pulizia dei 120 blocchi finora emersi, si è visto che 78 dei 120 blocchi erano stati abilmente dipinti e decorati, mentre due di essi erano stati incisi con il nome di Osorkon II o IV. Altri blocchi, invece, recavano testi geroglifici con il nome della dea Mut, signora del lago di Usher, il lago sacro del tempio di San el-Hagar, simile a quello ritrovato nel tempio di Karnak a Luxor.
San el-Hagar contiene monumenti di epoca ramesside che sono stati praticamente "trasferiti" qui dalla capitale del faraone Ramses II, Per-Ramses, ora nota come Kantir. Vi sono anche edifici che risalgono ad epoca greco-romana e tolemaica.
Dal sito dell'antica Tanis, conosciuto già nel '700, Jean Jacques Rifaud portò via due grandi sfingi in granito rosa che entrarono a far parte della collezione egizia del museo del Louvre a Parigi. Il primo, però, a scavare il sito con metodi scientifici, fu Auguste Mariette, tra il 1860 e il 1864. Fu lui a scoprire la stele dei Quattrocento Anni e diverse statue reali, molte delle quali databili al Medio Regno. Mariette identificò anche, erroneamente, Tanis come l'antica Avaris, la capitale degli Hyksos. Ipotizzò anche che potesse essere Per-Ramses, la capitale fatta costruire da Ramses II. Mariette fu seguito da Flinder Petrie, che scavò a Tanis dal 1883 al 1886, facendo una dettagliata mappa del recinto del tempio, copiando iscrizioni e scavando ed esplorando trincee. Petrie scoprì anche papiri di epoca romana che sono ora custoditi al British Museum.
Pierre Montet scavò a Tanis tra il 1921 e il 1951 ed il sito è stato, da allora fino ad oggi, scavato quasi esclusivamente da francesi. Fu proprio Montet a stabilire che Tanis non era da identificare con l'antica Avaris (oggi Tell el-Dab'a) o Per-Ramses. Scoprì, poi, diverse tombe della XXI e XXII Dinastia, ma le sue esplorazioni dovettero fermarsi a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Le tombe che egli ritrovò erano tutte sotterranee e costruite in mattoni di fango e blocchi di pietra di reimpiego, molti dei quali iscritti. Quattro tombe appartenevano a Psusennes I (1039-991 a.C.), Amenemope (993-984 a.C.), Osorkon II (874-850 a.C.) e Sheshonq III (825-733 a.C.). Gli occupanti di altre due sepolture sono sconosciuti. Molti oggetti appartenenti ad un faraone sono stati ritrovati nella sepoltura di un altro, addirittura alcune mummie reali occupavano tombe che non erano state originariamente costruite per loro.
Durante l'Antico e Medio Regno, la regione di Tanis era conosciuta come i Campi di Dja'u, una riserva di caccia e di pesca. Oggi il suo nome, San el-Hagar, si riferisce ad una collina sulla quale sorge la maggior parte del sito. Sal el-Hagar è attualmente la collina più grande d'Egitto, comprendendo 177 ettari di terreno su un'elevazione di circa 32 metri. Originariamente faceva parte del tredicesimo nomo (provincia) dell'antico Egitto e divenne capitale del diciannovesimo nomo del Basso Egitto in epoca tarda (747-332 a.C.). La prima menzione del centro si ha in alcuni blocchi da costruzione risalenti alla XIX Dinastia scoperti a Memphis, che indicavano un insediamento, ma la metropoli di Tanis non fu probabilmente fondata fino alla XX Dinastia, al tempo di Ramses XI, quando l'Egitto fu diviso tra due regni. Tanis divenne capitale d'Egitto durante la XXI Dinastia e fu il luogo di nascita di Smedes, fondatore di questa Dinastia.
In epoca romana Tanis divenne un villaggio di importanza minore e molti templi corstruiti in calcare furono smantellati per recuperarne il materiale. In epoca bizantina, Tanis divenne un piccolo episcopato, ma fu abbandonata in epoca islamica e non fu più ripopolata fino al regno di Muhammad Ali Pasha.

Nuove scoperte ad Aquileia

Lacerto di pavimento musivo
ritrovato ad Aquileia
Durante lo scavo e l'esplorazione di un pozzo artesiano, nell'ambito della ristrutturazione di un'abitazione privata, si è ritrovato un edificio affacciato sulla strada che delimitava, ad ovest l'isolato occupato dal complesso basilicale di Aquileia. Lo scavo è stato effettuato dalla ditta ArcheoTest Srl in uno dei quartieri più densamente popolati della città sin dall'antichità.
Quello che è emerso dà idea di una lunga continuità di vita dalla prima età imperiale, quando venne costruito un muro, ad oggi, quando il muro fu più volte riutilizzato. Nel IV secolo d.C. fu creato un vano accessibile dalla strada per mezzo di un'apertura fiancheggiata da pilastri. Nel vano è visibile un pavimento musivo a crocette nere su fondo bianco.
L'assedio di Attila e le successive trasformazioni storiche che portarono al declino di Aquileia, indussero al riutilizzo dell'ambiente mosaicato, nel IV secolo d.C., mediante la chiusura dell'ingresso originario con un muro e la sopraelevazione dei livelli pavimentali. I resti ritrovati, pertanto, testimoniano una continuazione di vita in epoca altomedioevale che non è ancora ben documentata, dal punto di vista archeologico. E' soprattutto importante la localizzazione di quanto è stato ritrovato: accanto alla Basilica cristiana che, fin dalla sua creazione, si pose come polo aggregativo della Aquileia tardoantica, poi medioevale ed ora moderna.
Interessantissimo sarà completare l'esplorazione anche attraverso lo studio della vegetazione, dal VI al V secolo d.C. ad oggi. Se ne occuperà il paleobotanico Marco Marchesini. Durante lo scavo si sono prelevati numerosi campioni di terreno che sono stati setacciati per recuperare, in particolare, i pollini in essi contenuti.

lunedì 27 giugno 2011

Anxa, la città di Angitia

Santuario della dea Angitia a Luco dei Marsi
basamento del tempio
I Marsi, antica popolazione italica affine agli Umbri e ai Sanniti, occupavano, un tempo, la conca del Fucino, la valle del Giovenco (affluente del Fucino da est) e l'alta valle del Liri. Sulla sponda nord ovest del lago si trovavano gli Equi nel cui territorio i Romani costruirono, nel 303 a.C., la città di Alba Fucens.
Contemporanea alla fondazione di Alba Fucens fu l'alleanza dei Marsi con i Romani, che pose fine a decenni di guerre. I Marsi adottarono la lingua e gli usi latini e furono fedeli ai Romani persino quando Annibale arrivò a minacciare da vicino l'Urbe. Si ribellarono solo nel 91 a.C., guidando la rivolta degli Italici e dando luogo a quella che fu chiamata Guerra Sociale. Obiettivo: l'integrazione nello stato romano, con pari diritti e pari dignità. I Romani vinsero la guerra ma concessero agli Italici ciò che avevano chiesto.
I Marsi furono iscritti nella tribù Sergia. Fino a quel momento essi occupavano insediamenti fortificati d'altura (oppida), non molto grandi, ai cui piedi sorgevano numerosi villaggi aperti (vici). Esistevano, poi, diversi santuari che avevano una vita piuttosto ricca, aperta anche a influssi culturali esterni, soprattutto magnogreci. Con la conquista romana Alba Fucens e le città come lei, divennero municipia. Dove non esistevano centri abitati di una certa importanza, i Romani cercarono quelli più popolati e sviluppati e li promossero a rango di municipi, avviando il processo di fitta urbanizzazione del territorio.
L'indagine archeologica concorda con le fonti romane (Plinio il Vecchio), riconoscendo tre centri principali, quindi tre municipi. Il primo era quello degli Anxatini (o Anxates) Luceres, abitanti di Anxa, sorta presso il lucus Angitiae, il santuario del bosco sacro alla dea Angizia, la dea nazionale dei Marsi (identificato nell'attuale Luco dei Marsi). C'erano, quindi, gli Antinates, che abitavano ad Antinum, odierna Civita d'Antino, nella Valle Roveto. E poi, infine, la comunità più importante, quella dei Marruvini detti Fucentes, per distinguerli dagli abitanti di un centro omonimo nel reatino.
Questi centri prosperarono soprattutto tra il I e il II secolo d.C., usufruendo dei vantaggi proventi dalla bonifica del lago Fucino ad opera degli imperatori Claudio, Traiano e Adriano.
Il nome Marsi Anxates, ricordato da Plinio il Vecchio, presuppone l'esistenza di una città presumibilmente chiamata Anxa, direttamente affine al nome della dea nazionale, Angitia che, nella forma arcaica, compare come A(n)ctia. Forse anche la città mitica di Anchisia ha un collegamento con Anxa. Anchisia era ricordata come una delle città troiane da Dionigi di Alicarnasso. Già nel III secolo a.C. Anxa, comunque, appare fortemente connessa alla dea Angitia ed al suo culto. La lamina bronzea di Caso Cantovios attesta intorno al 294 a.C. la dedica di un dono alla dea A(n)ctia da parte di soldati Marsi che avevano combattuto al fianco dei Romani ai confini del territorio dei Galli.
Un culto estremamente complesso, quello di Angitia, che le fonti vogliono fosse manipolatrice di serpenti e veleni, dal momento che i Marsi stessi avevano fama di essere incantatori di serpenti e conoscitori di erbe. In realtà Angitia era connessa al ciclo solare ed agrario ed al mondo sotterraneo dei defunti. Caso Cantovios, colui che fece incidere la lamina bronzea che reca il suo nome, era un liberto del II secolo a.C., il che porta a pensare che anche Angitia, come Feronia, avesse un ruolo nella liberazione degli schiavi. Ad Antinum è stata ritrovata una dedica nei pressi del santuario di Colle d'Angelo che la collega alle fonti.
In diverse iscrizioni peligne Angitia compare con l'epiteto di Cereia, il che fa pensare che, ad un certo punto, il suo culto fosse stato assommato a quello di Demetra e Persefone.
Il centro di Anxa sorse già nell'Età del Ferro, quando fu costruita una cinta in opera poligonale che abbracciava un'area di 14 ettari intorno alle tre cime del monte Penna. Già allora Angitia avea il suo santuario ai piedi del monte, sulle rive del lago, dove fu ritrovata la lamina di Caso Cantovios. Originariamente doveva trattarsi semplicemente di un boschetto sacro, tant'è vero che il santuario continuò a chiamarsi lucus Angitiae persino quando cominciò ad ospitare diversi edifici di culto. Successivamente fu costruita la cinta in opera poligonale i cui resti si possono oggi ammirare nei pressi della chiesa di S. Maria delle Grazie. Un'unica cinta, dunque, abbracciò sia il monte Penna che il santuario di Angitia. Tra l'oppidum e il santuario si venne ad avere un'area di 30 ettari che gli studiosi pensano sia stata edificata nel IV secolo a.C.. I ritrovamenti della campagna di scavo del 2003, in particolare l'eccezionale statua di culto in terracotta, con la dea in trono, risalente al III secolo a.C. ed attribuibile ad un artigiano greco, hanno confermato l'esistenza, tra il IV e il III secolo a.C., di profondi legami culturali tra le popolazioni dell'Appennino centrale e le colonie greche dell'Italia meridionale.
Il santuario di Angitia mantenne la sua vitalità anche all'indomani delle guerre sociali e persino in età imperiale, quando fu restaurato e rinnovato. Nel 52 d.C. Claudio iniziò dei grandi lavori per la realizzazione dell'emissario artificiale del lago del Fucino. Anxa funse da base operativa. Con Adriano l'opera venne portata a termine ed un ampia fascia del lago poté essere messa a coltura. Trent'anni fa, all'interno del lago, è stato recuperato un cippo che segnava i nuovi confini dei municipi di Alba Fucens, Anxa e Marruvium. Per indicare Anxa si utilizzò il nome della dea Angitia, dal momento che le terre strappate al lago erano state attribuite al santuario della dea.
Per un secolo, a partire da Claudio, Anxa fu anche un distaccamento della flotta imperiale di stanza a Ravenna con compiti, probabilmente, di manutenzione dell'emissario artificiale. Quando quest'ultimo perse la sua efficienza, Anxa declinò rapidamente, finquando un terremoto, nel 508 d.C., non mise definitivamente fuori uso il canale artificiale.

L'eredità longobarda in sud Italia nel World Heritage

Chiesa di Santa Sofia a Benevento, interno
L'Unesco ha promosso alla World Heritage List la candidatura seriale "I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d.C.)", che comprende le più rilevanti testimonianze longobarde presenti sul territorio nazionale, tra queste figura anche il complesso monumentale di Santa Sofia a Benevento, unitamente al suo campanile, che affaccia su piazza Matteotti, al centro della città.
La candidatura seriale comprende anche: l'area della Gastaldaga con il Tempietto Longobardo a Cividale del Friuli, in provincia di Udine; il Monastero di Santa Giulia con la chiesa di San Salvatore a Brescia; l'area del castrum di Castelseprio, in provincia di Varese; la basilica di San Salvatore a Spoleto e il Tempietto del Clitunno a Campello sul Clitunno, entrambe in provincia di Perugia e il Santuario Micaelico di Monte Sant'Angelo in provincia di Foggia.
La chiesa di Santa Sofia a Benevento fu fondata dal duca longobardo Arechi intorno al 760 d.C., come risulta da diversi placiti firmati dal principe, alcuni dei quali custoditi nel Museo del Sannio. L'edificio religioso ebbe per modello la cappella palatina di Liutprando a Pavia e presto divenne il tempio nazionale dei Longobardi che, dopo la sconfitta di Desiderio da parte di Carlo Magno, si erano rifugiati nel ducato di Benevento.
La chiesa fu dedicata alla Sapienza (Sophia) come la stessa chiesa di Costantinopoli. Arechi vi istituì, con donazione, anche un monastero benedettino nel 774 retto da sua sorella Gariperga. La chiesa subì danni dai terremoti del 5 giugno 1688 e del 1702. Crollarono le aggiunte medioevali e la cupola primitiva. Il cardinale Orsini, futuro papa Benedetto XIII, volle che la chiesa fosse ricostruita secondo il gusto barocco. Durante i lavori di restauro, nel 1705, la pianta venne trasformata da stellare a circolare e vi furono aggiunte due cappelle laterali. Anche l'aspetto dell'abside e della facciata dei pilastri subirono mutamenti. Furono, inoltre, distrutti quasi del tutto gli affreschi che ricoprivano le pareti della chiesa.
La chiesa di Santa Sofia non ha proporzioni enormi. La sua circonferenza è di circa 23,5 metri di diametro. La pianta richiama l'omonima chiesa di Costantinopoli: al centro ha sei colonne prelevate, forse, dall'antico Tempio di Iside, sono disposte ai vertici di un esagono e collegate da archi che sorreggono la cupola. L'esagono è circondato da un anello decagonale con otto pilastri di pietra calcarea bianca e due colonne ai fianchi dell'entrata. La zona delle tre absidi è circolare, ma nella porzione centrale ed anteriore le mura disegnano parte di una stella, interrotta dal portone, con quattro nicchie ricavate negli spigoli.

domenica 26 giugno 2011

Gli splendori e gli orrori di Vindolanda, ai confini dell'Impero Romano

La fibula di Quintus Sollonius
Gli archeologi sperano che una fibula, scoperta presso un forte romano in Gran Bretagna, possa rivelare i segreti degli uomini che costruirono il Vallo di Adriano.
La spilla, una costosa e prestigiosa fibula per tenere fermo un mantello militare, è stata rinvenuta nell'insediamento romano di Vindolanda, nel Northumberland. Apparteneva a Quintus Sollonius, facente parte di un distaccamento di legionari inviati a sorvegliare la costruzione del Vallo di Adriano 2000 anni fa.
Gli storici hanno descritto il reperto come un ritrovamento fantastico. La fibula reca, sulla parte superiore, la figura di Marte che indossa un'armatura e dei sandali e che ha accanto due ampi scudi. Questi ultimi potrebbero voler dire che Quintus Sollonius era un veterano delle campagne contro i Daci (nell'attuale Romania) condotte dal predecessore dell'imperatore Adriano, Traiano.
Secondo il Dottor Birley, direttore degli scavi a Vindolanda, il ritrovamento di questo bellissimo oggetto è la riprova dell'esistenza di legionari romani durante la costruzione del Vallo di Adriano. Il Dottor Birley ha anche affermato che la fibula è un oggetto davvero impressionante e che Quintus Sollonius doveva essere un sottufficiale con esperienza almeno ventennale nell'esercito romano.
Sempre nel forte romano di Vindolanda, gli archeologi avevano già scoperto, nel 2010, i resti di un bambino risalente a circa 1800 anni fa. I resti del bambino sono emersi durante uno scavo. Lo scheletro è stato ritrovato in una fossa poco profonda nell'angolo di quella che, un tempo, doveva essere una caserma. Le ossa sono quelle di un bambino di circa 8-10 anni di età. Da ricordare che era severamente proibito, in epoca romana, seppellire i morti nelle aree abitate. Le mani dello scheletro sono state ritrovate legate e, dalle prime analisi superficiali, si pensa che possa trattarsi di una bambina, più che di un bambino.
Il pozzo della caserma in cui è stato ritrovato il corpo, è stato datato al III secolo d.C. quando la guarnigione di Vindolanda era formata dalla quarta coorte interamente composta da Galli. In un'epoca in cui i morti dovevano essere sotterrati in un cimitero o cremati, il fatto che i resti di questo fanciullo o fanciulla siano stati sepolti alla periferia dell'insediamento militare, accanto ad una caserma, fa pensare alla vittima di un atto criminale. Il Dottor Birley ha affermato che non è la prima volta che si trovano i resti di una vittima di omicidio non lontano dal Vallo di Adriano. "Nel 1930 mio nonno, Eric Birley, trovò due scheletri nascosti al disotto di un pavimento in un edificio civile di Housesteads. - Ha detto il Dottor Birley. - Uno di questi scheletri aveva la lama di un coltello infissa nelle costole e la successiva analisi del medico legale ha confermato che si trattava dell'omicidio di una o entrambe le persone sotterrate, omicidio che è avvenuto intorno al 367 d.C.".

I gioielli della principessa dei Celti

I gioielli della nobildonna celtica
La tomba di una nobildonna celtica morta 2600 anni fa ha restituito un vero e proprio tesoro. La sepoltura è stata rinvenuta nei pressi di Stoccarda, nella Germania meridionale, a Heuneburg, accanto al fiume Danubio. Il feretro pesava ben 80 tonnellate e sono state necessarie delle gru che, nel dicembre 2010, l'hanno trasportato in un campo fuori Stoccarda dove gli archeologi e gli antropologi hanno iniziato il meticoloso lavoro di analisi dei contenuti.
La camera funeraria in legno conteneva lo scheletro di una donna morta tra i 30 e i 40 anni, sepolta con una serie di oggetti molto preziosi ed elaborati come parure in oro e perle e una cintura di ambra finemente cesellata. Il ritrovamento conferma l'importanza di Heuneburg quale centro di cultura ed arte celtica.
Heuneburg fu uno dei più antichi insediamenti celti a nord delle Alpi e fu anche un importante snodo commerciale tra il 620 e il 480 a.C.. Il pavimento della tomba si è conservato intatto ed è in legno di quercia. La dendrocronologia ha permesso di datarlo a 2620 anni fa, quando furono abbattuti gli alberi del cui legno è composto, sempre ammettendo che fossero stati tagliati per far parte della tomba. La donna morì nel 609 a.C. e con le sue spoglie sono stati ritrovati i resti di un bambino, probabilmente il figlio.

Un capolavoro nascosto a Capri

L'affresco della crocifissione ritrovato
nella chiesa di S. Anna a Capri
E' stato ritrovato, nella piccola chiesa dell'isola di Capri dedicata a Sant'Anna, che sorge all'interno del borgo medioevale, un affresco che pare abbia un notevole valore artistico. A dare l'annuncio è stato don Carmine del Gaudio, parroco della chiesa di S. Stefano protomartire.
L'affresco raffigura una crocifissione ed i primi rilievi hanno proposto una datazione al 1300. L'eccezionale scoperta è stata fatta da alcuni operai che lavoravano alla ristrutturazione della piccola chiesa, un tempo prima parrocchia dell'isola, che detenne tale primato fino al 1595. Gli operai stavano intervenendo su una parete quando, attraverso un foro, hanno visto l'affresco, occultato in tempi lontani.
L'affresco presentava una croce lignea della quale, però, per motivi di deterioramento organico, non è stato ritrovato nulla. Gli esperti sono riusciti a riconoscere, poichè ben conservate, le figure della Vergine, di S. Giovanni, di alcuni cherubini e di quello che, in basso a sinistra, sembrerebbe essere il donatore. Tutta la parete, poi, è ricoperta di decori ed elementi geometrici. Gli studiosi dell'arte pensano di poter far risalire l'opera all'epoca giottesca.
La rimozione dell'affresco è avvenuta alla presenza della restauratrice ai Beni Storici Artistici e Antropologici Tina Dal Conzo e dell'architetto Rosalia d'Apice, della Sovrintendenza di Napoli. Si attendono, ora, i restauri che cercheranno di riportare il quadro all'antico splendore per poter essere resa visibile al pubblico.

sabato 25 giugno 2011

Il mistero della sepoltura di Marcus Beleius

Il sarcofago di Marcus Beleius aperto
E' stato aperto il sarcofago di Marcus Beleius, illustre e nobile cittadino dell'antica Bononia. Marcus Beleius non era solo, nella sua ultima dimora. Sono stati, infatti, riconosciuti, nella sepoltura, i resti di una donna le cui ossa delle mani sono sparse tra i femori. E' un mistero che l'archeologa della Soprintendenza Renata Curina sta cercando di capire.
Oltre a quelle di Marcus Beleius e della donna misteriosa, il sarcofago conteneva le ossa di un bambino, sepolto poco dopo la morte dell'uomo (fine età Repubblicana, I secolo a.C. - I secolo d.C.). La donna, invece, sarebbe deceduta due secoli dopo, a giudicare dal vetro della fiala posta a corredo del sarcofago. Non si sa, però, chi sia né perchè sia stata deposta proprio in questo sarcofago. Le testimonianze epigrafiche non aiutano a sciogliere il mistero.
Accanto al sarcofago di Marcus Beleius, però, ne sono stati ritrovati altri due, di epoca successiva. Forse, chissà, la donna avrebbe dovuto essere inumata in uno di questi? E se è così, perchè, invece, si trova nel sarcofago di un altro? Un altro mistero che dovrà essere risolto è la disposizone del corpo femminile. Le ossa degli avambracci sono state trovate all'interno della cavità pelvica e quelle delle mani sparse tra i femori.
Quel che è certo è che il sarcofago di Beleius fu aperto dopo la deposizione e le sue ossa furono spostate per fare posto al bambino. Dell'uomo rimangono in posizione originaria parte dei piedi, in connessione anatomica, all'estremità nord del sarcofago.
Sono stati anche ritrovati, all'interno della deposizione, alcuni oggetti di corredo: bottiglie di ceramica e balsamari in vetro riferibili alla fine I secolo a.C - inizi I secolo d.C.
Un bel rompicato per gli studiosi.

Il gioiello sconosciuto di Acri

Particolare di S. Giovanni d'Acri
Uno dei siti archeologici più interessanti della Terra Santa si trova fuori dalle piste più battute dal turismo internazionale, si tratta della cittadina di Acri, dove gli stretti vicoli di epoca ottomana percorrono tutta la città e dove ora si sta riscoprendo, intatto, l'antico avamposto crociato.
E' stato ritrovato, durante l'apertura di un tunnel sotterraneo, un arco di passaggio. Inciso in gesso, su una parete, appare uno stemma ed alcuni graffiti lasciati da viaggiatori medioevali. Accanto a quest'arco è stata ritrovata una via in ciottoli e una fila di negozi che, un tempo, vendevano statuette di argilla e ampolle di acqua santa, souvenir assai popolari tra i pellegrini. Tutti questi luoghi furono, in qualche modo, utilizzati dai residenti della città fino al 1291, anno nel quale un esercito musulmano proveniente dall'Egitto, sconfisse la guarnigione cristiana di San Giovanni d'Acri e rase tutto al suolo.
L'attuale città di Acri fu costruita dai Turchi ottomani nel 1750 e preservò per secoli, nascosti nel sottosuolo, i resti dell'antica cittadina.
L'area che si sta attualmente scavando apparteneva, un tempo, ad un quartiere crociato e si pensa che possa essere visibile entro quest'anno. Attualmente la città di Acri ospita 5000 cittadini di nazionalità araba, provenienti da Israele, che vivono in un quartiere piuttosto popolato. Gran parte della popolazione è povera. Nel 2001 San Giovanni d'Acri venne nominato patrimonio dell'Umanità dall'Unesco, il primo patrimonio in terra israeliana. Ma la sua importanza è stata per gran tempo oscurata dai siti vicini di Masada e di Gerusalemme.
L'apice dell'importanza, San Giovanni d'Acri la raggiunse nel 1104. Sotto il dominio cristiano la città divenne un importante centro commerciale, sede dei famosi templari e animata dalle diverse fazioni di cittadini europei che vi si erano trasferiti e che, talvolta, si combattevano tra le sue strade. Qui operavano i mercanti di Venezia, Genova e Pisa e piccole comunità ebraiche e musulmane.
Gli scavi israeliani sono iniziati, in modo continuativo, nel 1990 e già oggi alcuni resti dell'antica San Giovanni d'Acri sono perfettamente visitabili. Uno di questi luoghi è la fortezza degli Ospitalieri, con la sua sala da pranzo densa di colonne, i suoi depositi, una perfetta latrina. E' anche aperto un passaggio sotterraneo, ricavato dai cavalieri templari, rivali degli Ospitalieri, che conduce dalla fortezza al porto. Alcuni utilizzarono proprio questo passaggio sotterraneo, durante l'assedio di San Giovanni d'Acri nel 1291, per raggiungere i velieri in partenza per l'Europa dal porto della città, mentre il bisecolare regno crociato crollava tutt'intorno a loro.
Gli archeologi subacquei hanno ritrovato più di venti navi affondate nell'antico porto di Acri e resti di fortificazioni. La nave ritrovata più di recente era equipaggiata con cannoni utilizzati soprattutto per distruggere l'apparato velico del nemico. Risale al periodo del fallito assedio ad Acri di Napoleone Bonaparte, nel 1799.
Ora si sta puntellando le banchine del porto di San Giovanni d'Acri in modo da riportare alla luce il molo ellenistico antico di duemila anni.
Le possenti mura ora visibili furono innalzate nel 1800-1814 da Jazzar Pascià e dal suo consigliere ebreo Haim Farhi. La cittadella di Acri è quanto rimane di una fortificazione ottomana ricavata dalla cittadella costruita dagli Ospitalieri. Sotto la cittadella, scavi archeologici hanno identificato un complesso di sale degli Ospitalieri. Si tratta di sei sale semicomunicanti, un ampio salone, le carceri, una sala da pranzo, la posta e la cripta (resti di un'antica chiesa gotica).

Creature gigantesche ed archeologia misteriosa

Un gruppo di antropologi ha trovato una misteriosa sepoltura nella giungla, vicino alla citta di Kigali Rwanda, nell'Africa centrale. I resti sembrano appartenere a creature gigantesche, che nulla hanno di umano. Il responsabile del team ritiene che possano essere visitatori da altri pianeti, morti a causa di una catastrofe naturale. Secondo quanto accertato dagli scienzati, questi esseri misteriosi sarebbero stati seppelliti circa 500 anni fa.
Inizialmente gli studiosi hanno pensato di essersi imbattuti nei resti di un antico insediamento, anche se non si vedevano, intorno, tracce di vita. Le 40 sepolture comuni ritrovate contenevano circa 200 corpi, tutti perfettamente conservati. I corpi sono alti circa sette metri, le teste sono proporzionate ai corpi. Le creature non avevano bocca, nè naso, nè occhi. Gli antropologi credono che si tratti di creature aliene morte, forse, a causa di un virus contratto sulla terra, nei confronti del quale non avevano protezione. Non sono, però, state ritrovate tracce della probabile navicella che avrebbe trasportato gli alieni sulla terra, nè del luogo di atterraggio.
Già nel 1937 un gruppo di scienziati cinesi, guidati dal professor Chi Putei, perlustrò le grotte del monte Bayan Kara Ula, ritrovandovi degli scheletri con grandi teste e corpi gracili. Nelle vicinanze degli scheletri furono trovate 176 piastre di pietra al centro delle quali c'era un foro con una scanalatura a spirale. Inoltre le cave che contenevano questi misteriosi scheletri avevano le pareti coperte di immagini raffiguranti il sole nascente, la luna, le stelle, alcuni puntini o piccoli oggetti che sembravano in fase di avvicinalmento alla superficie terrestre.
Per anni gli esperti sono stati dubbiosi se decifrare o meno i misteriosi simboli ritrovati nelle grotte di Bayan Kara Ula. Alla fine il professor dell'Università di Beijing, Zum Umniu, ne fece una traduzione. Ne è emersa la narrazione della caduta di un oggetto volante, circa 12 mila anni fa. Menzione di questo disastroso evento sono state trovate nei popoli che vivevano nelle caverne di Bayan Kara Ula.
Un altro cadavere "alieno" è stato ritrovato da alcuni speleologi turchi. Una mummia datata all'era glaciale, riposava in un sarcofago fatto di materiale cristallino. L'umanoide aveva un altezza non superiore al metro e venti centimetri, la pelle era di un color verde chiaro ed aveva quelle che sembravano delle grandi ali trasparenti sui fianchi. Secondo gli speleologi, la creatura aveva un aspetto più simile ad un uomo che a un animale. Sia il naso che le labbra, le orecchie, le mani, i piedi e le unghie erano simili a quelle umane. Solo gli occhi erano molto diversi: più grandi di quelli di un essere umano, incolori come gli occhi di un rettili.
Non molto tempo fa è stata ritrovata, in una sepoltura dell'antico Egitto, la mummia di un uomo di circa 2,5 metri di altezza. L'individuo non aveva nè naso nè orecchie e la sua bocca era molto larga e sprovvista di lingua. L'archeologo Gaston de Villars ha affermato che la strana mummia ha circa 4000 anni. Fu sepolto come un nobile egizio, accuratamente mummificato e circondato diservitori, con cibo ed oggetti destinati alla vita dell'oltretomba. Non tutti gli oggetti, però, si è scoperto, appartenevano ad un corredo "terrestre". Vi era, per esempio, un disco di metallo lucido, coperto di strani caratteri, un abito fatto di metallo con quel che rimaneva di quelle che potevano essere delle scapre in plastica e molte tavole di pietra con, impresse, le immagini di stelle, pianeti e strani macchinari. Anche il luogo di sepoltura della strana creatura era, a sua volta, strano. La tomba era stata ricavata da un materiale sconosciuto, nell'antichità, la pietra è stata letteralmente scolpita nella roccia finchè le pareti non divennero lisce come marmo lucido. Sembra quasi sia stata modellata con un laser, e inoltre la superficie della pietra sembrava fusa. La tomba era, poi, decorata con una sostanza simile al piombo.

venerdì 24 giugno 2011

Il misterioso dodecaedro

Dodecaedro
Il mistero del dodecaedro romano, forse, è destinato a rimanere tale. A cosa serviva realmente questo misterioso oggetto?
Il dodecaedro è chiamato così a causa della presenza, sulla sua superficie, di dodici facce. Generalmente è in bronzo oppure in pietra e misura dai 4 agli 11 centimetri di diametro. Alcuni pensano che i dodecaedri fossero dei semplici oggetti decorativi, in tutto e per tutto simili agli attuali fermacarte.
Le ipotesi formulate su questo particolare oggetto sono state tante e diverse nel corso degli anni. Finora sono stati trovati ben 90 esemplari del dodecaedro in quella parte dell'Europa che, anticamente, faceva parte delle regioni di nord-ovest dell'impero. Le circostanze dei ritrovamenti non sono molto chiare, di quasi certa c'è la data in cui sono stati utilizzati la prima volta: il IV secolo a.C.Una nuova ipotesi è quella che vuole il dodecaedro essere uno strumento di misurazione astronomico, costruito per misurare, in particolare, l'angolo della luce del sole in una data specifica in primavera ed in un'altra, altrettanto specifica, in autunno. Queste date oggetto di misurazione avevano, probabilmente, un'importanza particolare in agricoltura. La data di semina del grano, ovviamente, era importante ai fini dell'ottenimento di una produzione ottimale del cereale.
I luoghi in cui sono stati ritrovati i dodecaedri sono diversi: vicino ad accampamenti militari, accanto ad un santuario, in tesori o nei fiumi. Un dodecaedro è stato trovato come offerta funeraria nella sepoltura di una donna. Resta, comunque, il fatto che nessun dodecaedro è stato ritrovato negli stati che si affacciano sul Mediterraneo: Spagna, Italia e Grecia.
Il dodecaedro classico mostra, su ogni faccia, un foro e su ogni spigolo una piccola sfera. Tra le ipotesi più accreditate in merito alla sua funzione, vi è quella che lo vuole utilizzato come oggetto divinatorio o come strumento per spiegare l'organizzazione dell'universo.

Il tesoro ritrovato di Pantelleria

(Fonte: "La Repubblica") Nell'ambito di uno scavo subacqueo didattico nel mare di Pantelleria, docenti e allievi dei corsi di archeologia delle Università di Sassari e Oristano hanno contribuito alla scoperta di un tesoretto di circa 600 monete bronzee del III secolo a.C."Durante le prime ricognizioni - spiega il dottor Leonardo Abelli, direttore scientifico del progeto e co-responsabile della scoperta - l'esploratore subacqueo Francesco Spaggiari ha individuato un'area che presentava una piccola dispersione superficiale di monete bronzee. L'approfondimento delle indagini ha permesso di riportare alla luce questo piccolo tesoro".
I reeperti presentano da un lato una testa di donna con lo sguardo rivolto verso sinistra, identificata con la dea Tanit, dall'altro una testa di cavallo che guarda a destra, elemento che potrebbe essere determinante per stabilire l'origine delle monete.
Qui si possono vedere alcune foto dell'eccezionale scoperta.

Il signore di Opaka

Il tumulo di Opaka
Reperti d'oro e di bronzo appartenenti ai Traci sono stati ritrovati dagli archeologi nella città di Opaka, nel distretto di Turgovishte, nel nord-est della Bulgaria. Durante gli scavi in un parco, gli archeologi hanno scoperto un tumulo sepolcrale dei Traci intatto e risalente al II secolo d.C., ancora completo dell'arredo funebre.
Il sito ha prodotto anche una scoperta unica, sei foglie di una corona d'oro e alcune figurine in bronzo, riaffermando l'importanza della cittadina di Opeka. L'uomo sepolto nel tumulo doveva essere una personalità di spicco della comunità dei Traci, dal momento che la sua ultima dimora conteneva gioielli in oro e bronzo, collocati solo nelle sepolture dei ricchi. Il corpo dell'uomo fu bruciato ma gli oggetti che lo accompagnavano nell'ultimo viaggio sono stati conservati: vetri, bronzo e artefatti in ceramica. Gli archeologi ritengono che tutti questi oggetti del corredo funebre siano stati importati da fuori la regione.
Vi erano due antiche città della Tracia non lontane dal tumulo sepolcrale. Complessivamente, il tumulo e i centri vicini, formavano un unica acropoli funeraria. Gli oggetti ritrovati saranno restaurati e trasferiti in un museo.

Resti di pulizia etnica a Norwich

Ricostruzione dell'eccidio di Norwich
I resti di 17 corpi sono stati ritrovati sul fondo di un pozzo medioevale in Inghilterra. Gli esseri umani ai quali appartenevano potrebbero essere stati vittime di persecuzioni, almeno da quello che risulta dai risultati di alcune ricerche.
Si tratta, con tutta probabilità, di ebrei uccisi o costretti al suicidio, almeno stando alle affermazioni degli scienziati che hanno analizzato il Dna presente nei resti ossei. Gli scheletri risalgono al XII o XIII secolo, quando gli ebrei erano sottoposti a persecuzione in tutta Europa. I resti sono stati scoperti nel 2004, durante lo scavo di un sito nel centro di Norwich, prima della costruzione del centro commerciale di Chapelfield. Gli scheletri sono stai, in seguito, posti in un magazzino e solo recentemente sono diventati oggetto di indagine.
Sette scheletri hanno avuto riscontro positivo alle indagini scientifiche, di questi sette, cinque mostrano una sequenza del Dna che suggerisce siano imparentati tra loro, membri di uno stesso nucleo familiare.
La squadra di ricercatori è stata coordinata dall'antropologo forense professoressa Sue Blach, del Centro di Antropologia dell'Università di Dundee. E' stata proprio la professoressa Black a parlare di persecuzione per quanto concerne i resti ritrovati nel pozzo, aggiungendo che forse ci si trova di fronte a quella che, in linguaggio moderno, si chiama "pulizia etnica". Undici dei 17 scheletri ritrovati appartenevano a bambini ed adoloscenti con un'età compresa tra i due e i 15 anni. Gli altri erano uomini e donne adulte. Le foto scattate al momento dello scavo suggeriscono che i corpi sono stati gettati nel pozzo a testa in giù. L'analisi delle ossa degli adulti ha rivelato fratture causate dall'impatto con il fondo del pozzo, cosa che non è stata notata sulle ossa dei bambini, suggerendo che costoro siano stati gettati nel pozzo dopo gli adulti.
All'inizio gli scienziati avevano pensato anche alla possibilità di una morte per malattia, ma l'esame delle ossa non ha mostrato evidenze di malattie comuni all'epoca, quali la lebbra o la tubercolosi. Si era anche pensato alla peste, ma quest'ultima fu registrata in un momento successivo ed i morti di peste erano comunque inumati con rispetto e riti religiosi.
Norwich fu sede di una fiorente comunità ebraica intorno al 1135. Ci sono testimonianze, malgrado questo, di una persecuzione di ebrei nell'Inghilterra mediovale, compersa Norwich. Sophie Cabot, archeologa ed esperta della storia degli ebrei di Norwich, ha affermato che gli ebrei prestavano denaro al re, perchè, a quel tempo, secondo l'interpretazione cristiana della Bibbia, non era permesso ai cristiani prestare denaro ad usura, poichè era peccato. Quindi i soldi per finanziare i grandi progetti provenivano dalla comunità ebraica, dove alcuni divennero molto ricchi e fu questo a generare i primi attriti con la comunità cristiana.

Le navi di Istanbul

Particolare del fasciame della nave bizantina
Scavi archeologici a Yenikapi, durante i lavori per la metro di Istanbul, hanno rivelato un relitto del V secolo d.C.. I ricercatori lavorano sul sito dal 2004 e stanno mano a mano scoprendo lentamente i resti di una nave che contiene tutto il suo carico ed ha l'intera centinatura di legno intatta.
La nave è larga 5 metri e probabilmente non è sola, perchè si pensa che ce ne sia almeno un'altra in attesa di essere scoperta. Alcune anfore che erano trasportate dal vascello sono rotte, ma ce ne sono altre intatte. E' una delle più grandi navi da carico mai scoperte. Il relitto era una delle 35 navi affondate nel vecchio porto bizantino, insabbiatosi nel X secolo. Proprio la scoperta di queste navi mercantili bizantine fa di questo sito uno dei maggiori dell'archeologia nautica.
Una raccolta dei ritrovamenti è stata mostrata al Museo Archeologico di Istanbul.

giovedì 23 giugno 2011

Le scale di Tlatelolco

Frammenti di affresco
Nel cercare elementi archeologici della prima fase costruttiva di Tlatelolco, a conferma della data di fondazione, i ricercatori dell'Istituto Nazionale di Antropologia e Storia hanno trovato una scala nei pressi del Templo Mayor, che dava, un tempo, accesso a un santuario risalente, architettonicamente parlando, ad una fase più antica, così come un pavimento in stucco, datato ad un periodo compreso tra il 900 e il 1200 d.C.Il ritrovamento, ha detto l'archeologa Lucia Sanchez, potrebbe confermare il momento in cui si gettarono le fondamenta del primo edificio di Tlatelolco, città gemella di Tenochtitlan.
Secondo le tradizioni etnico-storiche così come secondo le cronache di Fray Diego de Duran e di Padre Acosta, la fondazione di Tlatelolco ebbe luogo nel 1337, mentere Tenochtitlan fu fondata nel 1325. Altre fonti, come la Storia Tolteca. Chichimeca e la Mapa de Siguenza, riportano che Tlatelolco fu fondata prima o nello stesso momento di Tenochtitlan.
Come riempimento della piramide furono utilizzati frammenti di ceramica, pezzi di ossidiana e piccole ossa di animali. Come la pelle di una cipolla, il Templo Mayor di Tlaleloco è stato studiato sia all'interno che all'esterno, approfittando di un tunnel creato in epoca preispanica, che attraversa la struttura. Già durante gli scavi del 1992-1993 fu ritrovata una scala intatta sulla facciata occidentale della piramide. Nel 2009 un'altra esplorazione sulla parte superiore della struttura ha portato alla scoperta, a 7,5 metri di profondità, di un pavimento di stucco e di quanto rimane di un pavimento di stucco con resti di pigmenti rossi, neri e blu, con frammenti di piccoli bracieri policromi.

Scoperta la seconda barca solare

La barca solare
Il Ministro egiziano per le antichità ha annunciato che ha intenzione di scoprire la seconda barca solare presente accanto alle piramidi di Giza. L'imbarcazione è stata scoperta nel 1987 dopo un sondaggio condotto con un radar elettromagnetico ad ovest della prima barca solare attualmente esposta a fianco della Grande Piramide.
La seconda barca solare è stata il centro delle ricerche sin dal 2008 dello staff del Ministro egiziano per le antichità, di una delegazione dell'Università di Wasede e dell'Istituto giapponese per la ricerca e il restauro. Il Ministro ha affermato che ci sono, ora, le condizioni necessarie per rimuovere la copertura in pietra, costituita da quaranta pannelli.
L'evento, che dovrebbe essersi svolto oggi, 23 giugno, ha avuto luogo nell'interno di un grande magazzino costruito per racchiudere e proteggere la seconda barca solare ed è stato organizzato dall'ambasciata del Giappone in Egitto.

Un grande palazzo romano nell'Alto Egitto

Un grande palazzo di epoca romana (31 a.C. - 395 d.C.) è stato scoperto nel Governatorato della New Valley, in Alto Egitto. Una spedizione americana nella regione di Amhada, 500 chilometri a sud del Cairo, sta scavando un palazzo che sarebbe appartenuto ad un certo Sornius.
Il palazzo, molto probabilmente, non sarà aperto al pubblico perchè pericoloso a causa dell'erosione. Ne verrà, comunque, fatta una copia per i visitatori. Gli archeologi sono riusciti a salvaguardare le iscrizioni che sono state trovate nel palazzo, che pare possano aiutare a comprendere come si svolgeva a quel tempo la vita nell'Alto Egitto.
Attendiamo, dunque, notizie più dettagliate su questa importante scoperta.

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