giovedì 30 giugno 2016

Israele, la porta del santuario di Pan

Il team archeologico che ha scoperto la porta di accesso al santuario
di Pan in Israele (Foto: Dr. Michael Eisenberg, University of Haifa)
Forse gli archeologi che lavorano nel nord di Israele hanno rintracciato un santuario del dio greco Pan nella antica città di Hippos. Ad effettuare la scoperta sono stati gli archeologi dell'Istituto Zinman di Archeologia dell'Università di Haifa. E' emersa una porta romana monumentale che costituiva, forse, l'accesso ad un complesso dedicato al culto di Pan, dio delle greggi e dei pastori, raffigurato, nella mitologia greca, metà uomo e metà capra.
La nuova scoperta archeologica può aiutare i ricercatori a comprendere meglio i precedenti ritrovamenti nell'antica città. Lo scorso anno gli archeologi hanno riportato alla luce una maschera in bronzo di Pan, insolitamente grande rispetto alle altre maschere del dio greco risalenti allo stesso periodo. Tuttora i ricercatori non sono riusciti a spiegare le funzioni della maschera.
Il ritrovamento della porta di accesso al probabile santuario di Pan potrebbe fornire risposte circa l'utilizzo della maschera del dio. Quest'ultima è stata rinvenuta tra i resti di un grande edificio in pietra. Sulla base di quanto è stato ritrovato negli scavi, i ricercatori stimano che la porta di accesso al santuario di Pan fosse originariamente alta 6 metri e che l'edificio era probabilmente anche più alto. Quest'ultimo è stato datato all'epoca dell'imperatore Adriano, che regnò dal 117 al 138 d.C..
Hippos, chiamata anche Sussita, si affaccia sul Mar di Galilea e venne fondata nel III secolo a.C. Venne distrutta da un terremoto nel 749 d.C.. Hippos rivestì un'importanza notevole anche durante l'epoca cristiana, quando era parte della Decapoli, una zona lungo il fiume Giordano, ricordata nel Nuovo Testamento.

Fonte:
Live Science

Israele, la lampada...del bagnino

La lampada trovata sulla spiaggia di Ashkelon
Una comune corsa sulla spiaggia si è trasformata in un'affascinante scoperta archeologica quando l'uomo che faceva jogging ha trovato una lampada ad olio in argilla di 900 anni fa. La scoperta è stata fatta da Meir Amsik, un bagnino che ha raccontato di essersi imbattuto nella lampada mentre si era fermato a raccogliere delle tavole portate dal mare sul litorale di Ashkelon, antica città portuale nel sud di Israele.
Dopo aver analizzato la piccola lampada ad olio, Sa'ar Ganor, archeologa della IAA per il distretto di Ashkelon, l'ha datata al periodo crociato, XII secolo d.C. dai segni dell'usura e della fuliggine. Ashkelon era, un tempo, un'importante città portuale, dove affluivano beni e si esportavano manufatti provenienti da tutto il sud d'Israele. Nel Parco Nazionale Tel Ashkelon è possibile trovare prove di vita del periodo cananeo, 4000 anni fa.

Fonte:
jpost.com/Israel-News

Uruk, una busta paga molto particolare...

La tavoletta-busta paga proveniente da Uruk in cui viene menzionata
la birra come salario (Foto: British Museum)
Un'antica tavoletta cuneiforme, risalente al 3000 a.C., scoperta nella città mesopotamica di Uruk, rivela che i lavoratori dell'antico centro mesopotamico vennero pagati con razioni di birra. La bevanda, all'epoca, era molto nutriente, carica di carboidrati, adatta a chi doveva costruire edifici in pietra, ziggurat e piramidi.
La tavoletta è scritta in cuneiforme. Vi compare un volto umano nell'atto di mangiare da una ciotola, questo gesto complesso è stato tradotto come "razione" mentre un vaso conico è stato tradotto come "birra". Sono stati individuati anche segni di registrazione della razione di birra spettante a ciascun lavoratore. In pratica la tavoletta può essere considerata la più antica busta paga del mondo.
Uruk non era l'unico luogo, nel mondo antico, dove i lavoratori erano pagati in birra. In un articolo pubblicato su Smithsonian.org, si fa cenno ai lavoratori delle piramidi, la cui razione giornaliera era di 4-5 litri di birra. Ma anche in tempi moderni vi sono stati casi di pagamenti di prestazioni lavorative in bevande. Geoffrey Chaucer, membro del parlamento e funzionario di governo nell'Inghilterra del XIV secolo, venne pagato con circa 252 litri di vino dal re Riccardo II. Anche nel poema di Gilgamesh vi è un accenno alla birra (III millennio a.C.).
Le più antiche tracce relative alla birra risalgono a 6000 anni fa e si riferiscono ai Sumeri che, si dice, scoprirono per caso il processo di fermentazione dei cereali.

sabato 25 giugno 2016

Scavando Pompei: ancora sorprese

Uno degli aurei trovati nel retrobottega recentemente scavato
(Foto: campaniasuweb.it)
Archeologi italiani e francesi hanno scoperto quattro scheletri e tre monete d'oro tra le rovine di un'antica bottega alla periferia di Pompei. Gli scheletri appartengono ad individui giovani, tra i quali vi è un adolescente probabilmente di sesso femminile, che perirono nel retrobottega durante l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
Tra le ossa gli archeologi hanno trovato tre monete d'oro, tre aurei datati tra il 74 e il 77-79 d.C., un ciondolo a forma di fiore in foglia d'oro ed una collana. Lo scavo in questa e in una bottega vicina sono iniziati nel maggio scorso e si sono estesi ad una necropoli nella zona di Porta Ercolano. Gli archeologi stanno cercando di capire quale attività venisse svolta nella bottega, nella quale sono state identificate tracce di una precedente fase di utilizzo. L'ambiente è dotato di un forno verticale dove, a detta degli archeologi, forse venivano forgiati oggetti in bronzo. Si tratta, al momento, di un unicum a Pompei. La bottega è stata saccheggiata da scavatori clandestini già all'indomani dell'eruzione del Vesuvio, scavatori che, probabilmente, andavano in cerca di tesori sepolti sotto la coltre di cenere. Le monete e il ciondolo a forma di fiore in oro, a quanto pare, sono sfuggiti alla razzia.
La cava scoperta all'interno di una delle botteghe
(Foto: napolipost.com)
Anche l'esplorazione di una seconda bottega, verso la porta della città, ha rivelato una interessante stratigrafia che narra le ultime fasi dell'esercizio commerciale, quando l'intero edificio era in fase di restauro. Una delle stanze che si affacciano direttamente sulla strada era utilizzata, probabilmente, come cava di materiale. Al centro un pozzo circolare del diametro di 1,75 metri, scavato nel terreno ed accessibile tramite dei gradini, anch'essi scavati nel terreno, che doveva servire per l'estrazione del materiale, anche se per molti versi questa struttura rimane un mistero. Sul fondo del pozzo è stato individuato uno strato di tufo friabile che ha scoraggiato gli antichi scavatori che hanno, di conseguenza, abbandonato la struttura prima di riempirla nuovamente.
Gli scheletri rinvenuti nel retrobottega durante gli scavi recenti a Pompei (Foto: napolipost.it)
In un altro scavo, nella necropoli di Porta Ercolano, scoperta un anno fa, è avvenuto un ritrovamento eccezionale: una sepoltura di IV secolo a.C. di un adulto, sepolto in una tomba a cassa in lastre di calcare, completa di corredo di vasi funerari. Si tratta di un notevole contributo alle rare testimonianze funerarie dell'epoca pre-romana. Lo scheletro trovato appartiene ad un individuo adulto, probabilmente di sesso maschile, deposto sul dorso. Accanto alle braccia ed ai piedi vi erano almeno sei vasi dipinti di nero.
Fonti:
abcnewsgo.com
Il Mattino

Echi della storia: scoperte le fortificazioni portuali del Pireo

L'esplorazione delle fortificazioni dell'antico porto del Pireo in un raro
giorno di buona visibilità (Foto: University of Copenhagen)
Nel 493 a.C. il generale e politico ateniese Temistocle esortò la sua città a costruire una forza navale di 200 triremi e a fortificare la penisola con opere portuali per affrontare il pericolo dei Persiani. Nei tre anni successivi questi ultimi attaccarono, senza successo, la Grecia e nel 490 a.C. vennero respinti a Maratona. Nel 480 a.C. tentarono nuovamente un attacco alla Grecia, stavolta via mare, e furono vinti nella battaglia di Salamina.
Le fortune della marina greca, dopo quell'epico scontro, andarono calando nel corso dei secoli, durante i quali, però, la base principale della flotta si trovava poco fuori Atene, al Pireo, che da ben 15 anni viene accuratamente esplorato dagli archeologi. Un ricercatore danese, proprio in questi giorni, ha annunciato che una spedizione subacquea avrebbe permesso di individuare i resti di quelle che, un tempo, erano le basi navali ateniesi nelle città portuali di Mounichia e di Zea sul Pireo.
La struttura appena scoperta era una delle più grandi del mondo antico ed era un elemento fondamentale delle difese del continente greco da tutti i pericoli che potevano venire dal Mediterraneo. All'interno della base di un colonnato è stato trovato un pezzo di legno lavorato che è stato esaminato, insieme con altri frammenti di ceramica, mediante il Carbonio 14, ed ha dato una datazione compresa tra il 520 e il 480 a.C., una data che permette di collocare la struttura subacquea all'epoca della minaccia persiana.
I porti di Mounichia e Zea (Foto: Zea Harbor Project)
La battaglia di Salamina fu un evento cruciale nella storia della penisola ellenica. Non è facile prevedere cosa sarebbe accaduto se la flotta greca avesse perso lo scontro, ma è chiaro che si sarebbe trattato di una sconfitta dalle enormi conseguenze sul piano culturale e sociale per tutta l'Europa. La flotta greca era, a Salamina, in evidente inferiorità numerica e vinse contro ogni previsione. L'elemento chiave furono, sicuramente, le 200 triremi ateniesi. La vittoria greca segnò anche il futuro dell'Europa che venne, proprio grazie a Salamina, influenzata dallo spirito greco piuttosto che dalla cultura persiana.
Anche se attualmente prevale ancora il pensiero che la cultura greca sia la massima espressione del pensiero umano, i Persiani avevano anch'essi una civiltà ed una cultura straordinari e si sta studiando se gli Ateniesi, all'indomani di Salamina, non finirono per ispirarsi, in qualche modo, all'architettura e alla filosofia politica persiana. Senza pensare che i Ciro il Grande aveva abolito la schiavitù in Persia molto prima delle guerre persiane, mentre in Grecia gran parte delle architetture spettacolari erano state edificate proprio grazie all'opera degli schiavi.
Busto di Temistocle, copia romana di epoca
adrianea da un originale greco del 400 a.C.
Museo Pio-Clementino
Il porto appena scoperto venne costruito in modo da poter essere sbarrato da enormi porte fortificate da torri poste su entrambi i lati. A queste si aggiungevano ulteriori fortificazioni che avevano il compito di impedire alle navi nemiche di avvicinarsi alla terraferma. I Greci, poi, avevano disposto un'enorme catena subacquea che, all'occorrenza, poteva essere tirata da una parte e dall'altra per sbarrare l'entrata al porto alle navi nemiche.
Il piano di fortificazione dei porti venne completato tra il 460 e il 445 a.C., unendo il Pireo ad Atene mediante le Lunghe Mura, di cui fu costruito prima il muro nord, poi il muro del Falero. Nel 403 a.C., alla fine della guerra peloponnesiaca, Lisandro impose la distruzione di tutte le fortificazioni del Pireo e delle Lunghe Mura e vendette, per 30 talenti, le attrezzature portuali che erano costate ben 1000. Dopo soli dieci anni Conone, vincitore della battaglia navale di Cnido, nel 395-394 a.C., ricostruì le fortificazioni del Pireo e le Lunghe Mura, ad eccezione del muro del Falero, reso ormai inutile dall'abbandono. Restaurò, anche, le opere portuali, gli arsenali e il tempio di Afrodite, dedicando una statua, opera di Kephisodotos il vecchio, ad Atena Soteira. Iniziò il periodo di massimo splendore del Pireo, le cui fortificazioni, all'epoca di Licurgo, vennero rimaneggiate ed adattate alle nuove esigenze belliche che comportavano l'utilizzo di macchine da guerra.
Sono state identificate, durante l'esplorazione archeologica subacquea, le basi navali del V secolo a.C. nel Pireo, gli scivoli per le navi e le fortificazioni del porto ma anche i luoghi in cui le navi venivano custodite. La scoperta delle due basi navali del Pireo, una nel porto di Zea ed una nel porto di Mounichia, data al 2010, quando un vecchio pescatore le segnalò agli archeologi, dicendo che quando era ragazzo aveva utilizzato, per pescare, la cima di un'antica colonna nel porto di Mounichia.
Le condizioni di lavoro degli archeologi sono state piuttosto difficili, poiché spesso la visibilità sott'acqua, all'interno dei porti, era limitata a 20 centimetri appena. Tuttavia, pur attraverso molte difficoltà, sono stati individuati i resti dei ricoveri delle imbarcazioni che erano monumentali.
Dopo il 480 a.C. i Greci affrontarono altre battaglie navali e terrestri: contro Sparta; contro i Persiani in Tracia, in Asia Minore ed in Egitto; a Corinto, in Sicilia e in Italia meridionale e Macedonia. I ricoveri navali del Pireo vennero distrutti dai romani nell'86 a.C.

Fonti:
ancient-origins.ne
Treccani

Cosma e Damiano e il primo tentativo di trapianto?

Il dipinto di Matteo di Pacino che raffigura il miracolo della gamba
(Foto: North Carolina Art Museum)
Alcuni ricercatori sostengono di aver individuato la prima rappresentazione pittorica di chirurgia di trapianti. La scena ritrarrebbe un intervento avvenuto intorno al V secolo d.C., 1400 anni prima che la medicina moderna teorizzasse il trapianto.
Il dipinto, del XIV secolo, si trova nel North Carolina Art Museum di Raleigh, negli Stati Uniti e raffigura la storia di un presunto miracolo operato dai santi medici Cosma e Damiano i quali, secondo una tradizione, presero una gamba sana da un uomo deceduto e la posero al posto di una gamba divorata dalla cancrena di un altro uomo. I ricercatori italiani affermano che si tratta della prima rappresentazione di un trapianto di arti. Il dipinto, del pittore Matteo di Pacino, è realizzato a tempera e foglia d'oro su tavola, è una pala d'altare che fa riferimento ad una vicenda ambientata nel 474 d.C.
Diversi ricercatori e bioantropologi hanno esaminato il dipinto, pubblicando i risultati sul Journal of Vascular Surgery. Cosma e Damiano, i due fratelli gemelli, erano medici che curavano sia persone abbienti che poveri, nulla pretendendo per le loro prestazioni. Erano nati in Arabia ed avevano studiato medicina in Siria, che all'epoca era una provincia romana. Secondo la leggenda avrebbero eseguito il trapianto di gamba in Etiopia. Il trattamento normalmente adottato per curare la cancrena, in passato, era l'amputazione dell'arto malato. I ricercatori ipotizzano che i medici dell'epoca abbiano tentato il trapianto degli arti ma che era pressoché impossibile che abbiano avuto successo, vista la mancanza di strumenti adatti a verificare la compatibilità tra donatore e ricevente.
Cosma e Damiano furono tra i primi santi martiri. Secondo la tradizione morirono durante la persecuzione di Diocleziano. Si racconta che operassero miracoli anche durante il loro processo. Furono arrestati per ordine di Lisia, governatore della Cilicia, sottoposti a tortura e decapitati. I loro corpi vennero poi portati in Siria e sepolti a Cyrus.
Il miracolo del trapianto della gamba è rappresentato da diversi pittori in molte chiese sparse in tutta Italia: nel Santuario di Isernia, a cura di Agostino Beltrano, che completò l'opera del fiammingo Agostino Pussé; a Conversano, in provincia di Bari, nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano, la cui volta è stata affrescata da Paolo Finoglio (1590-1654); a Paternò (Ct) nella chiesa detta del Pantheon Gesù e Maria, dove il miracolo della gamba è stato rappresentato da un ignoto autore della fine del 1600; su un altare ligneo tardo gotico custodito nel Museo di Bolzano.

Fonti:
ancient-origins.net
santimedici.net/files/Maggioni

lunedì 20 giugno 2016

Eupalino, l'acquedotto e l'Heraion di Samos

Veduta interna del tunnel di Eupalino (Foto: CC BY-SA 4.0)
Il tunnel di Eupalino è un antico tunnel che, un tempo, funzionava come acquedotto. Si trova sull'isola greca di Samos ed è stato da sempre considerato una delle realizzazioni più ardite e moderne dell'ingegneria classica. Il progetto del tunnel data al VI secolo a.C., durante il quale l'antica città di Samos era nota come Pythagorio o Pythagoreio o Pythagorion e stava vivendo un particolare momento di prosperità. Proprio questa prosperità aveva portato ad un aumento della popolazione e delle esigenze umane. Purtroppo le fonti d'acqua non erano sufficienti per soddisfare le esigenze di tutti, così il tiranno Policrate dovette elaborare una soluzione e assoldò l'ingegnere Eupalino di Megara per costruire un acquedotto.
Oggi si sa poco di Eupalino. Si dice che fosse figlio di un certo Naustraphos e che veniva da Megara, una città che si trovava tra Atene e Corinto. Eupalino fu anche incaricato di costruire le mura ciclopiche che circondavano la città di Samos.
Eupalino elaborò il progetto di un acquedotto che doveva collegare la città di Samos a nord del monte Kastro. Proprio da questa  montagna la città avrebbe avuto il suo fabbisogno di acqua. Quest'ultima venne condotta in un bacino coperto, oggi situato sotto l'antica cappella del villaggio abbandonato di Ayiades, che dà nome alla sorgente, secondo Erodoto. L'acquedotto era completamente costruito sotto terra e dalla sorgente alla città, l'acqua percorreva circa 2,5 chilometri. Eupalino decise di costruire parte del tunnel attraverso la montagna.
Rovine dell'Heraion di Samos (Foto: Paolo Zampieri)
Il tunnel venne scavato simultaneamente da entrambe le estremità, utilizzando esclusivamente picconi, martelli e scalpelli. Molti degli operai erano, si dice, prigionieri di Lesbo. Vennero posti in opera tubazioni in argilla per facilitare il flusso delle acque. E' stato stimato che ci siano voluti circa dieci anni per costruire l'acquedotto e che, una volta completato, abbia fornito a Samos circa 400 metri cubi di acqua al giorno.
Si dice che il tunnel di Eupalino abbia continuato a funzionare fino al VII secolo d.C., quando, durante il periodo bizantino, cadde in disuso. In seguito venne trasformato in un rifugio per la popolazione locale, che vi si riparava durante gli attacchi dei pirati. Infine si perse la localizzazione del tunnel di Eupalino, anche se venne citato nelle "Storie" di Erodoto.
L'entrata del tunnel di Eupalino (Foto: CC BY-SA 2.0)
Nel 1853 l'archeologo francese Victor Guerin scoprì i primi 400 metri dell'acquedotto. Tuttavia fu il monaco Kyrillos Moninas, nel 1882, che convinse il principe di Samos, Kostakis Adosidis, ad intraprendere una campagna di scavi per cercare gli ingressi nord e sud del tunnel. I tentativi di pulire e ripristinare il canale d'acqua succedutisi nello stesso anno, furono abbandonati a causa delle grandi difficoltà incontrate. L'acqua venne portata a Tigani, il precedente nome di Samos, attraverso un condotto di superficie. Venne eretto, all'entrata sud del tunnel, un piccolo edificio tuttora in loco. Nel corso del secolo successivo vennero fatte altrettante importanti scoperte fino al 1992, quando il tunnel di Eupalino divenne patrimonio mondiale dell'Unesco come parte del Pythagoreion e dell'Heraion di Samo.
Samos fu una potenza marittima del VI secolo a.C. e fu conosciuta con il nome di Pythagoreion, dal nome del suo porto e poiché considerata il luogo di nascita del filosofo e matematico greco Pitagora. Precedentemente era nota con il nome di Tigani. Il principale insediamento sull'isola data al XVI secolo a.C., quando quest'ultima venne colonizzata dai Minoici di Creta che vennero, in seguito, soppiantati dai Micenei.
Frammenti dell'Heraion di Samos (Foto: Alessandro Barbato)
Gli antenati degli abitanti di Samos arrivarono da Epidauro nell'XI secolo a.C. circa, dopo la guerra di Troia. In seguito alla crescente importanza dovuta anche alla sua posizione di porto naturale, Samos giunse a fondare anche colonie commerciali sulla costa della Ionia, in Tracia e nel Mediterraneo occidentale. La città di Samos venne saccheggiata dai barbari nel III secolo d.C. e non si risollevò più.
Le fortificazioni che cingono la città risalgono al periodo classico con aggiunte ellenistiche. Gli scavi archeologici hanno rivelato gran parte del piano stradale della città antica, con il suo acquedotto, le fognature, gli edifici pubblici, i santuari, i templi, l'agorà, i balnea, lo stadio e le domus romane ed ellenistiche.
Il grande tempio di Hera (Heraion) venne originariamente costruito nell'VIII secolo a.C. e fu il primo tempio greco ad essere circondato da un peristilio di colonne. Lo seguì un tempio che fu il primo con una doppia fila di colonne sulla parte anteriore. Entrambi questi edifici vennero superati da quello iniziato, nel 570 a.C., da Rhoecus e Teodoro, che edificarono una struttura colossale, la prima di ordine ionico, sostenuta da ben 100 colonne. Trenta anni dopo la sua costruzione il tempio venne distrutto durante un'incursione persiana e venne progettato ex novo su pianta più vasta. Non venne, però, completato.

Fonti:
Greek Tunnelling Society
homepages.cwi.nl
samosguide.com
romanaqueducts.info

mercoledì 15 giugno 2016

Trovata una parte di un trono miceneo?

La pietra che il Dottor Maggidis pensa essere parte di
un antico trono (Foto: Christofilis Maggidis)
Un archeologo greco è convinto di aver trovato un frammento del trono perduto dei re di Micene. Christofilis Maggidis, che dirige gli scavi presso il sito nel sud della Grecia, ha affermato che due anni fa è stato trovato un pezzo di calcare lavorato sotto gli imponenti resti della moderna cittadella.
Il Dottor Maggidis ha affermano, nel corso di una conferenza stampa ad Atene, che è stato trovato un trono reale negli ambienti del palazzo reale di Micene, crollato durante un terremoto nel 1200 a.C.. I funzionari del Ministero greco per la cultura hanno preso le distanze dalle affermazioni dell'archeologo Maggidis, ma quest'ultimo ha affermato che la pietra era inequivocabilmente stata forgiata per costituire un sedile. Gli archeologi pensano che, comunque sia, si tratta di uno dei reperti più emblematici dell'epoca micenea.
Nessun altro trono è stato trovato nei palazzi micenei della Grecia continentale. Un esempio più antico e di dimensioni minori è stato trovato nel palazzo Minoico di Knossos, sull'isola di Creta. Il Dottor Maggidis ha affermato che altre parti del trono potrebbero trovarsi sotto la città di Micene e spera di ottenere un permesso per ispezionare il torrente che corre al di sotto della città.
Ricostruzione del trono miceneo in alabastro del palazzo di Knossos a Creta
(Foto: Christofilis Maggidis)

Fonte:
The Associted Press

Bulgaria: l'uomo con l'ascia di pietra

Il corpo appena scoperto nella necropoli di Kamenovo
(Foto: Archaeologist Dilen Dilov)
La sepoltura di un uomo di 6500 anni fa, con in mano uno scettro a forma di ascia in pietra, è stata scoperta dagli archeologi nel recente scavo della necropoli di Kamenovo, nel nordest della Bulgaria, risalente al Calcolitico.
Nella necropoli di Kamenovo sono state trovate, in totale sette sepolture tutte di donne e bambini. Quella ritrovata attualmente è la prima sepoltura di un maschio adulto. Poco prima di scoprire questa sepoltura, nella primavera del 2015, gli archeologi hanno scoperto un laboratorio di 6500 anni fa, dove venivano lavorati strumenti in selce. Il laboratorio conteneva anche un gran numero di strumenti in selce non ancora terminati.
Gli archeologi, guidati dal Professor Yavor Boyadzhiev, dell'Istituto e Museo Nazionale di Archeologia di Sofia e Dimitar Chernakov, del Museo Regionale di Storia di Ruse, hanno continuato i loro scavi nella necropoli di Kamenovo. Gli scavi attuali devono essere completati entro il 25 giugno e sono finanziati dal Museo Regionale di Storia di Razgrad.
L'ascia in pietra tra le mani dell'uomo di Kamenovo
(Foto: Archaeologist Dilen Dilov)
La sepoltura appena trovata è quella di un uomo sepolto con un'ascia in pietra risalente al 4500-4300 a.C.. All'interno della tomba gli archeologi hanno trovato il guscio di un'ostrica da perla, proveniente dal Mediterraneo. Probabilmente questo guscio era indossato a mò di collana dall'uomo. Perle dello stesso mollusco (lo Spondylus) sono state trovate anche in altre tombe della zona scoperte nel 2015. I ricercatori hanno interpretato la loro presenza come una testimonianza dei legami commerciali tra la regione del nordest dell'attuale Bulgaria con la costa mediterranea durante l'Età del Rame.
La sepoltura era situata in uno strato superficiale del terreno, sotto l'asfalto di un cortile moderno nella ex scuola elementare di Kamenovo. L'uomo era stato sepolto in posizione fetale, sdraiato sul fianco sinistro, con l'ascia tra le mani ed il corpo orientato in direzione est-ovest. Anche se gli esami antropologici devono confermare il sesso del defunto, gli archeologi sono convinti che si tratti di un maschio proprio per la presenza dell'ascia litica. Tutte le asce in pietra - in totale 15 - trovate in Bulgaria erano state deposte in sepolture maschili. L'ascia non è mai stata utilizzata come strumento di lavoro o arma in battaglia, probabilmente era solo un simbolo di potere.

Fonte:
archaeologyinbulgaria.com

Recipienti per il vino rituale in Georgia

La scoperta del recipiente potorio (Foto: Ca' Foscari)
Una spedizione archeologica georgiano-italiana ha scoperto del polline di vite in un recipiente zoomorfo utilizzato durante cerimonie rituali da parte della cultura Kura-Araxes.
La spedizione dell'Università Ca' Foscari di Venezia, guidata da Elena Rova, e quella del Museo Nazionale georgiano di Tbilisi, guidata da Iulon Gagoshidze, ha scoperto, nel sito archeologico di Aradetis Orgora, a 100 chilometri dalla capitale Tbilisi, tracce di vino all'interno di un recipiente zoomorfo di circa 3000 a.C.
Il vaso ha un corpo a forma di animale con tre piedini ed un foro sulla parte posteriore che serviva per versare. La testa è mancante. E' stato trovato con un altro recipiente simile e un vaso Kura-Araxes, sul pavimento bruciato di una grande area rettangolare, probabilmente una sorta di tempio utilizzato per attività cultuali. I risultati con il carbonio 14 confermano che i reperti risalgono al 3000 a.C. circa. Entrambi gli oggetti costituiscono un unicum nella regione.
All'interno di una delle brocche sono stati trovati numerosi granuli ben conservati di polline di Vitis vinifera (vite comune). Secondo la professoressa Rova si tratta di una scoperta significativa, "perché il contesto della scoperta suggerisce che il vino è stato versato dal vaso per essere offerto agli dei o per essere consumato dai partecipanti alla cerimonia religiosa".
In Georgia la vite è stata coltivata sin dal periodo Neolitico ed è stata collocata nel periodo Kura-Araxes, più di 5000 anni fa, e continua tuttora: nel corso dei banchetti tradizionali georgiani, i supra, il vino viene consumato da recipienti ricavati dalle corna degli animali nel contesto di elaborati brindisi rituali.
La cultura Kura-Araxes (seconda metà del IV e prima metà del III millennio a.C.) è l'unica cultura preistorica del Caucaso meridionale, sviluppatasi su vaste aree del Vicino Oriente fino all'Iran e alla regione Siro-Palestinese.

Fonti:
Università Ca' Foscari di Venezie
sciencedaily.com

martedì 14 giugno 2016

Il fantino Lukuyanus e le più antiche regole della corsa

La tavola con l'iscrizione delle regole delle corse (Foto: Getty Images)
Una tavola di pietra scoperta recentemente a Konya, in Turchia, vicino al monumento al fantino romano Lukuyanus, riporta le antiche regole delle corse dei cavalli. Potrebbe essere per ora il più antico formulario di regole sportive mai trovato, con i suoi 2000 anni di età.
Varenne ha scritto la storia dell'ippica con tante vittorie consecutive, ma 2000 anni fa probabilmente non sarebbe andata così, perché le regole erano alquanto diverse. L'iscrizione in greco rivela che i cavalli vincenti e tutti gli altri cavalli allenati nella scuderia del vincitore venivano esclusi dalle successive corse per garantire un ricambio nella competizione.
La tavola di pietra faceva parte del monumento di Lukuyanus,che si pensa sia stato eretto in onore del fantino romano Lukuyanus, morto prematuramente 2000 anni fa, ed è stata ritrovata nello stesso sito. Il monumento fa parte del complesso dell'antico ippodromo che i Greci usavano per le corse dei cavalli e dei carri, sport che appassionava notoriamente anche i Romani.
Il Professor Hasan Bahar dell'Università di Selçuk ha raccontato all'Hurriyet Daily News che il documento si riferisce proprio al fantino Lukuyanus e che aiuterà gli storici a capire il modo in cui le corse dei cavalli venivano concepite e svolte, e come venivano allevati i cavalli destinati a tale scopo. "Le regole di allora - sostiene Bahar - erano propriamente 'cavalleresche'. Il vincitore doveva ritirarsi e così c'era la possibilità per altri di vincere". Forse la concezione dello sport era sensibilmente diversa dalla nostra.
L'artefatto ritrovato è considerato molto raro e nessun altra incisione contenente le regole delle corse era mai stato trovato. E' il più antico regolamento sportivo mai trovato e, chissà, forse il più antico mai scritto. Le corse dei cavalli erano uno sport molto apprezzato nel mondo antico, ma erano anche molto pericolose. Tradizionalmente infatti esse seguivano la corsa dei carri, cosicché i fantini si trovavano a correre su un terreno irregolare e pieno di buche. Inoltre i fantini dovevano cavalcare senza sella e senza staffe, che non erano state ancora inventate.
Ma a differenza delle corse contemporanee anche cavalli con fantino disarcionato potevano vincere la gara giungendo primi al palo e il cavallo vincente e il suo proprietario venivano festeggiati con entusiasmo. Queste corse di cavalli erano diffuse a Babilonia, in Siria e nell'antica Grecia. Ma lo sport è diffuso anche in altre culture antiche, si pensi solo alle corse tra i destrieri di Odino e il gigante Hrungnir nella mitologia Norrena.

Fonte:
Hurriyet Daily News

domenica 12 giugno 2016

Monete celtiche trovate in Austria

Le 44 monete celtiche trovate nel sito di Traun, in Austria (Foto: OO Landesmuseum)
Gli archeologi hanno riportato alla luce, in Austria, un vero e proprio tesoro. Si tratta di 44 monete d'oro celtiche, del peso di 7,5 grammi ciascuna, trovate nel sito di Traun, vicino Linz.
Si pensa che le monete risalgano all'Età del Ferro (II-I secolo a.C.) della regione oggi conosciuta come Boemia. Si tratta di una scoperta importantissima poiché vi sono solo altri due ritrovamenti simili in Alta Austria. Da quando sono iniziati, ben 80 anni fa, i lavori nella zona, sono emersi molti reperti antichi quali ceramiche, gioielli, strumenti di lavoro. Gli archeologi pensano che qui vi fosse un insediamento che occupava circa 15 ettari di terreno.

Fonte:
thelocal.at

Chi bella vuole apparire... analisi di una testa egizia

La testa della giovane donna egiziana affetta da ocronosi esogena
(Foto: Professor Reverte Coma, Museo di Antropologia Medica)
L'analisi della pelle della testa di una mummia femminile egiziana risalente a 3500 anni fa, ha portato gli studiosi a formulare l'ipotesi che all'epoca fosse in uso sbiancarsi la pelle. La donna aveva all'incirca 20-25 anni al momento della morte, la sua identità non è nota.
Sotto le guance della giovane e sulla parte posteriore del collo sono presenti piccoli noduli che fanno pensare ad una malattia oggi nota come ocronosi esogena. L'antropologa greca Despina Moissidou ha affermato che "tale dermatosi è causata dal largo uso di cosmetici per sbiancare la pelle". L'analisi chimica del nodulo ha confermato questa diagnosi.
Il colore della pelle era un indicatore di status sociale elevato, nell'antico Egitto, un pò come i piedi deformati per le donne della classe alta in Cina. Indicava che l'individuo non svolgeva lavoro duro e soprattutto non lo svolgeva all'esterno, nei campi. La testa esaminata fa parte della collezione del Museo di Antropologia Medica Forense, Paleopatologia e Criminalistica di Madrid e finora si credeva appartenesse ad una giovane donna di colore. Nel 2007 approfondite analisi hanno, però, accertato che si trattava di una giovane donna egiziana.
Un contenitore per kohl appartenente alla regina Tiye,
XVIII Dinastia (1410-1372 a.C.)
La testa è stata trovata nella necropoli di Tebe. Lo stile della mummificazione la fa risalire alla XVIII Dinastia, nel Nuovo Regno, tra il regno del faraone Thutmosis II e quello di Tuthmosis III. Si tratta della Dinastia più conosciuta al grande pubblico, dal momento che ad essa appartenevano faraoni quali Tutankhamon, Akhenaton, Hatshepsut e Amenhotep III. Il reperto finì al Museo del Cairo tra il XIX e il XX secolo, poi un collezionista e banchiere spagnolo, Ignacio Bauer, la acquistò per venderla, in seguito, al Museo di Antropologia Medica di Madrid.
Per stabilire se la malattia di cui soffriva la giovane donna fosse realmente l'ocrosi esogena, i ricercatori hanno effettuato diversi test, prendendo campioni di tessuto dalla base del collo della donna e sottoponendoli a diversi esami istologici. Le analisi hanno dimostrato che la giovane soffriva di un'infiammazione cronica della pelle. L'esame al microscopio elettronico ha confermato che mostrava le stesse patologie di cui soffrono, oggi, le persone che hanno questo tipo di malattia.
Gli antichi Egizi utilizzavano molto i cosmetici. I membri della famiglia reale, in particolare, usavano cosmetici a base di piombo, causa di malattie ed infiammazioni della pelle. Il fatto che la donna alla quale apparteneva la testa mummificata soffrisse di queste patologie, apre agli studiosi un campo interessante sulla sua identità.
I cosmetici, nell'antico Egitto, erano utilizzati sia a scopo terapeutico che per abbellire la persona. Contenevano, però, solfuro di piombo (galena) oppure ossido di manganese (pirolusite) oppure malachite od altri minerali a base di rame. Le persone di condizione sociale elevata avevano una sorta di truccatore personale, che decorava le loro palpebre con il kohl e le labbra e le guance con l'ocra rossa. Anche dopo la morte ci si prendeva cura della persona, dal momento che durante il giudizio il defunto doveva osservare bene alcune regole di abbigliamento e di trucco per dare la giusta impressione. Recita il capitolo 125 del Libro dei Morti: "Un uomo fa questo discorso quando è puro, pulito, vestito di abiti freschi, quando calza sandali bianchi, quando ha gli occhi dipinti, quando la sua pelle è unta con il migliore olio di mirra".
Per la loro importanza anche nell'aldilà, i cosmetici erano tra le offerte lasciate ai defunti nella tomba. Seshat-Hetep, detto Heti, funzionario della V Dinastia, nella sua  mastaba di Giza elenca tra le offerte: "Incenso, del trucco color verde, trucco per gli occhi nero, l'unguento migliore...".

Fonti:
seeker.com
Instituto de Estudios Cientìficos en Momias, Madrid

sabato 11 giugno 2016

Antichissimi abitati nel deserto del Gobi

Il deserto del Gobi
Una missione archeologica congiunta polacca e mongola ha trovato traccia di antichi insediamenti nel deserto del Gobi, un'area che aveva, secoli fa, un aspetto fiorente.
Le ricerche si sono concentrate nella parte meridionale del deserto ed ha accertato che gli insediamenti umani sorgevano dove, un tempo, vi erano laghi prosciugatesi nel corso dei secoli. Il secondo deserto più grande del mondo era abitato da famiglie nomadi che profittavano della sua ricca fauna selvatica e delle condizioni di vita migliori rispetto a quelle attuali.
La datazione più antica è quella di alcuni strumenti in pietra forgiati nel Paleolitico medio (tra i 200.000 e i 40.000 anni fa). Gli archeologi hanno scoperto anche manufatti in diaspro di 40.000 anni fa. La spedizione ha cercato tracce della storia di questi antichissimi insediamenti umani fino al Pleistocene, tra la catena montuosa dell'Altai e il deserto del Gobi, una zona vasta 50.000 chilometri quadrati ancora da esplorare.
La spedizione archeologica, unica ad operare nella zona, è composta da studiosi dell'Istituto di Archeologia l'Università di Wroclaw, in Polonia, l'Accademia Mongola delle Scienze, l'Università Mongola di Educazione e il Museo di Danzica.

Fonte:
RadioPoland News

Trovato un tesoretto d'argento in Israele

Monete di Antioco VII trovate nello scavo della tenuta (Foto: Clara Amit)
Gli archeologi che stanno scavando a Modii, in Israele, hanno scoperto, all'interno di una fessura in un muro, il nascondiglio di un tesoro in monete d'argento risalenti al periodo degli Asmonei (126 a.C.). Probabilmente si tratta di un tesoretto appartenuto ad un ebreo che lo ha nascosto sperando di avere l'opportunità di recuperarlo quanto prima.
Il tesoro in monete d'argento, piuttosto raro a trovarsi in Israele, è composto da shekel e mezzi shekel (tetradracme e didracme) coniate nella città di Tiro con le immagini del re Antioco VII e di suo fratello Demetrio II. Sono state trovate nel muro di una tenuta agricola. Si tratta di 16 monete tra le quali sono comprese alcune monete del 135-126 a.C.. Dal momento che si tratta di monete di epoche diverse, si è pensato che appartenessero ad un collezionista ante litteram.
Gli scavi nella tenuta agricola dove è stato trovato il tesoretto dimostrano che una famiglia ebrea vi si stabilì durante il periodo degli Asmonei. Qui piantarono viti e ulivi, una zona industriale, come confermato anche dal ritrovamento di frantoi e magazzini di stoccaggio dell'olio. La casa venne costruita con potenti muraglioni per difenderla dall'attacco di possibili saccheggiatori.
Il tesoretto in monete d'argento trovato nella tenuta israeliana
(Foto: Assaf Peretz, Israel Antiquities Authority)
Numerose sono le monete di bronzo trovate durante lo scavo. Queste monete recano i nomi di re come Yehohanan, Giuda, Jonathan e Mattatia e il titolo che era loro attribuito: Sommo Sacerdote e Capo del Consiglio. I reperti dimostrano che la proprietà ha continuato la sua vita per tutto il primo periodo di dominio romano. Vi era installato anche un bagno rituale, mikvah, mentre sono stati rinvenuti diversi vasi realizzati in gesso che, secondo la tradizione ebraica, è un materiale che non può diventare impuro.
Gli archeologi sono convinti che gli abitanti della tenuta abbiano anche partecipato alla prima rivolta contro i Romani del 66 d.C.: le monete di questo periodo recano, infatti, la data "Anno Due" della rivolta e lo slogan "Libertà di Sion". La tenuta continuò ad essere utilizzata anche dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme del 70 d.C.. All'interno vi vennero, all'epoca, scavati una sorta di rifugi sotto i pavimenti della casa, collegati per mezzo di gallerie a cisterne, pozzi di stoccaggio e stanze nascoste. In una delle aree adiacenti al mikvah, gli archeologi, scavando in profondità, hanno scoperto un'apertura che conduceva a un ampio rifugio dove erano stati nascosti degli artefatti risalenti all'epoca della rivolta di Bar Kokhba.
Quanto è stato rinvenuto nello scavo sarà conservato in un parco archeologico nel cuore del nuovo quartiere che verrà presto costruito a Modii-Maccabiim-Re'ut.

Fonte: ancient-origins.net

Eccezionale sepoltura trovata in Bulgaria

Sepolture della famiglia aristocratica bulgara Shishman nelle fondamenta
della chiesa di San Giorgio (Foto: National Museum of History)
Gli archeologi hanno scoperto, in Bulgaria, la sepoltura di una principessa all'interno delle fondazioni di una chiesa. La sepoltura appartiene ad una donna della dinastia Shishman che governò la Bulgaria tra il 1185 e il 1396 ed è stata trovata nella chiesa dedicata a S. Giorgio.
Si pensa che la chiesa di S. Giorgio sia quanto rimane di un monastero medioevale. Al suo interno sono stati trovati affreschi dell'epoca. Sul sito dove si trova la chiesa sono state trovate delle monete bizantine di V-VI secolo d.C. ed una colonna in marmo, che hanno fatto pensare agli studiosi che la chiesa risalga, in realtà, ai primi secoli del cristianesimo. La scoperta è stata fatta dal Professor Filip Petrunov, del Museo Nazionale di Storia di Sofia, che guida gli archeologi che operano sul sito.
La sepoltura della principessa bulgara è stata trovata letteralmente inserita nelle fondamenta in pietra della chiesa. All'interno gli archeologi hanno trovato un anello con il monogramma della dinastia Shishman ma, soprattutto, hanno trovato le prove che nel medioevo la chiesa di San Giorgio si  trovava su un'isola nel mezzo di un lago che si prosciugò del tutto nel XIV secolo.
Anello con il monogramma della dinastia Shishman trovato nella sepoltura
della principessa bulgara (Foto: National Museum of History)
La vecchia chiesa di pietra non è lontana dalla fortezza di Bozhenishki Urvich, vicino la città di Bozhenitsa. L'altra fortezza di Urvich, vicino Sofia, venne utilizzata dallo zar Ivan Shishman (1371-1395), che fu l'ultimo del secondo impero bulgaro. Il portavoce del Museo Nazionale di Storia della Bulgaria ha affermato che la chiesa di San Giorgio era un tempio-mausoleo per la locale aristocrazia bulgara nel XIV secolo. Quella della principessa è soltanto una delle cinque sepolture trovate dagli archeologi.
Gli archeologi sono più che certi che si trattasse di una principessa della famiglia Shishman, che salì al potere con Ivan Alexander. La donna venne sepolta con in testa un panno con ricami d'oro. I ricercatori stanno cercando di salvaguardare il tessuto. Per seppellire la principessa Shishman sono state rimosse le pietre dalle fondamenta della chiesa. Si pensa che questa sepoltura facesse parte di un'usanza simbolica. Ora gli archeologi stanno lavorando per scoprire l'identità della donna.

Fonte: archaeologyinbulgaria.com

Petra: scoperto dal satellite un edificio monumentale

Vista di Petra (Foto: Ansa.it)
Un edificio monumentale forse di 2150 anni fa sepolto sotto la sabbia presso il sito archeologico di Petra, in Giordania, è stato individuato dagli archeologi attraverso foto satellitari ed aeree, che rivelano una grande piattaforma con tracce di un colonnato e di una scalinata.
Secondo l'articolo pubblicato dall'organizzazione Usa America Schools of Oriental Research e ripresa da vari media, si tratta di una struttura che non assomiglia a nient'altro che si trovi a Petra, non è lontana dalla cittadina ma in un luogo di difficile accesso. Vari indizi che facevano presupporre l'esistenza di una struttura in quella zona, forse contemporanea o di qualche secolo successiva alla necropoli di tombe scolpite nella roccia dai Nabatei. Anche se nella zona non esiste nulla che abbia quelle dimensioni. La piattaforma misura circa 56 per 50 metri, con all'interno della superficie una piattaforma più piccola, quadrata, di circa 10 metri per lato, da cui parte una scalinata che discende verso est.

Fonte:
Ansa.it

mercoledì 8 giugno 2016

Circeo, i segreti della grotta delle Capre

I resti umani trovati nella grotta delle Capre
(Foto: roma.repubblica.it)
Uno scheletro, dai primi accertamenti, di età romana e dall'apparenza appartenente ad un bambino, è stato scoperto sul promontorio del Circeo, all'interno della grotta delle Capre. E non è il primo venuto alla luce nel sito preistorico che la leggenda indica come l'antro in cui la maga Circe preparava i suoi incantesimi.
I resti sono stati così recuperati dalla Soprintendenza per essere studiati, e il Comune di San Felice Circeo, in costante contatto con il Ministero, sta vagliando l'ipotesi di avviare nella grotta una campagna di scavi. L'area potrebbe, infatti, essere stata utilizzata dai romani come luogo di sepoltura legato a riti particolari.
La grotta delle Capre, oggetto di studi già nell'Ottocento e così denominata perché in epoca recente sarebbe stata utilizzata come ricovero per animali, è una tra le più visitate del promontorio, sita nella zona cosiddetta di Quarto Caldo. Il Professor Carlo Alberto Blanc, a cui si devono le principali scoperte relative all'epoca preistorica del Circeo, individuò in quello spazio 12 strati di terreno, con tracce evidenti dell'ultima glaciazione e persino resti di un ippopotamo.
Marcello Zei, scomparso sedici anni fa e allievo di Blanc, nella stessa grotta recuperò poi due scheletri, che sarebbero appartenuti sempre a bambini e che risalirebbero sempre all'età romana. Tali resti vennero portati alla luce dal professore in una zona della grotta dove vi è un cumulo di terra, a lungo ritenuto frutto di uno dei tanti smottamenti che si verificano al Circeo e che di recente avevano portato a chiudere proprio l'accesso all'antro della maga. Scheletri coperti sempre da anfore, utilizzate come sarcofago. Ora, nello stesso punto, sono state scoperte altre ossa.
L'accesso alla grotta delle Capre è stato così bloccato e si sta appunto valutando l'ipotesi di una campagna di scavi, ipotizzando che parte del sito sia stata impiegata dai romani per la sepoltura dei bambini, al termine di particolari riti funebri. I carabinieri inoltre stanno indagando sul recente ritrovamento. Le ossa sono state segnalate da presunti escursionisti, ma dove sono state recuperate vi sono chiare tracce di recenti scavi, che avrebbero portato anche a mandare in frantumi l'antica anfora che copriva quei resti. Un mistero.

Fonte:
roma.repubblica.it

lunedì 6 giugno 2016

Kashmir, una stele di più di mille anni fa

La stele-statua trovata in Kashmir (Foto: Dna India)
Gli archeologi hanno scoperto una rara statua risalente al periodo Karkota (600-800 d.C.) nel villaggio di Kunan, nel nord del Kashmir. La figura è ricavata da una lastra di pietra commemorativa ed è assai rara. E' stata scoperta durante i lavori per rimuovere i detriti da un locale parco giochi.
Il reperto è ora in fase di studio. L'effige è all'interno di tre pannelli raffiguranti bestiame ed esseri umani, ha la testa avvolta in un turbante e reca in mano arco e frecce.
Ora gli archeologi stanno studiando anche la vita delle persone che vivevano in questo luogo quando venne scolpita questa figura.

Fonte:
Dna India

sabato 4 giugno 2016

Scoperto un nilometro a Thmuis

Parte delle pietre trovate nell'antica città portuale di Thmuis costituivano
un nilometro (Foto: Greg Bondar, Tell Timai Project)
Nell'antica città di Thmuis, nella zona del Delta, in Egitto, durante i lavori di scavo per le fondamenta di una stazione di pompaggio, sono stati trovai i resti di un nilometro, un dispositivo che misurava, nell'antico Egitto, il livello del fiume e che serviva a calcolare l'entità delle tasse dovute al faraone.
Gli archeologi che hanno scavato il nilometro ritengono che fosse funzionale ad un complesso di templi. Gli antichi Egizi consideravano il Nilo come un dio e lo chiamavano Hapi. Si pensa che la struttura appena ritrovata sia stata costruita nel corso del III secolo a.C. e che fu in uso, da allora, per circa mille anni.
Il nilometro è essenzialmente un pozzo con una serie di gradini scavati nella terra. Quello di Thmuis è stato costruito con grandi blocchi di pietra calcarea ed ha un diametro di circa 2,4 metri. L'altezza ottimale dell'acqua, durante le inondazioni periodiche, era circa 7 cubiti, equivalente a 3,04 metri.
Il nilometro era, forse, parte di un complesso templare che sorgeva
sulle rive del Nilo che, da allora, ha cambiato corso
(Foto: Jay Silverstein, Tell Timai Project)
Il nilometro serviva all'amministrazione reale per calcolare il prelievo delle imposte e questo sistema rimase in uso molto probabilmente anche in epoca ellenistica. Ad un livello dell'acqua corrispondente ad una stima di raccolto favorevole corrispondeva un prelievo delle tasse maggiore. Le inondazioni del Nilo cambiarono drasticamente dopo la costruzione della diga di Assuan, completata nel 1970. Prima di allora, nei mesi di settembre e di ottobre, le acque del fiume depositavano il loro fertile limo, essenziale alle colture che alimentavano l'economia dell'Egitto, tra le quali spiccavano l'orzo e il frumento. I ricercatori hanno stimato che durante l'epoca faraonica vi furono inondazioni eccessive o inadeguate circa ogni cinque anni.
Anche i canali del Nilo si sono ridotti. In origine erano sette, oggi ne rimangono solo tre. Gli altri si sono essiccati o hanno cambiato corso. Gli scavi archeologici dell'antica città di Mendes, hanno provato che quest'ultima attraversò un forte stato di declino nel IV secolo a.C.. Thmuis, che sorge solo ad alcune centinaia di metri a sud, venne costruita quando il corso del Nilo cambiò. Il significato di Thmuis è "nuova terra". Anche il nilometro appena scoperto conferma agli esperti che il vecchio canale del Nilo scorreva lungo la parte occidentale della città.
Thmuis è ancora una città abitata, ma il fiume ha di nuovo cambiato corso ed ora quella che un tempo era una città fiorente è un piccolo villaggio privo d'acqua. Nelle vicinanze, sulle rive del Nilo, sorge la più grande città della regione, El Mansoura.

Fonte:
ancient-origins.net

venerdì 3 giugno 2016

La grotta dei teschi sfavillanti...

Uno degli scheletri della grotta di Talgua (Foto: Dean Love Films/Youtube)
La grotta di Talgua è conosciuta come la grotta dei teschi che brillano. Si trova nella valle di Olancho, nel comune di Catacamas, in Honduras. Il nome della grotta è improprio in quanto i teschi in realtà non brillano per conto proprio. Le pila di ossa umane poste nella grotta sono state rivestite, per secoli, da uno strato di cristalli di calcio. Questi cristalli riflettono la luce, dando alle ossa un aspetto luminoso. I cristalli di calcio sono un dono del Rio Talgua, il fiume che ha inondato, per diversi secoli la grotta, riempiendola con la sua acqua carica di minerali che si sono, nel corso dei secoli, cristallizzati.
L'esistenza della grotta era conosciuta dalla popolazione locale da generazioni, ma non era stata svelata al mondo esterno. Questo sito può essere considerato una scoperta relativamente recente perché l'esistenza della grotta è stata scoperta solo nel 1994 da Jim Brady, archeologo della George Washington University.
Un piatto in ceramica ritrovato nella grotta
(Foto: ancient-origins.net)
La grotta venne utilizzata da una cultura precolombiana che occupava la regione. Non si trattava di Maya ma i ricercatori non sanno esattamente di che cultura si trattasse. La caratteristica della grotta di Talgua sono proprio le ossa: ne sono stati scoperti 23 depositi, quasi tutti contenenti i resti di più di una persona. I ricercatori ritengono che si trattasse di una sepoltura secondaria e che le ossa siano state portate nella grotta da un ingresso andato perduto.
All'inizio è stato ipotizzato che le ossa risalissero ad un periodo compreso tra il 300 e il 500 d.C.. La datazione al radiocarbonio, invece, ha dato come esito un periodo compreso tra il 1400 e l'800 a.C., una data di molto antecedente a quanto ipotizzato dagli archeologi.
La scoperta di questa grotta ha indotto gli studiosi a rivedere la storia dell'Honduras. I vasi di marmo trovati nel sito, per esempio, "parlano" di un alto grado di abilità da parte degli artigiani che li hanno plasmati. Questi oggetti erano ricavati da un unico blocco di marmo e poi erano levigati a mano

Fonti:
ancient-origins.net
terran.org
atlasobscura.com
nytimes.com

giovedì 2 giugno 2016

I segreti della chiesa dell'Addolorata di Quinto

La cosiddetta mummia Van Gogh, sepolto con un saio
monacale (Foto: Instituto de Estudios Cientificos
en Momias, Madrid)
Una mummia ben conserva, dalla impressionante rassomiglianza con il famoso autoritratto di Van Gogh, è stata trovata in un'antica chiesa spagnola. L'individuo, di cui non si conosce il nome, è uno dei più di 30 corpi mummificati rinvenuti durante i lavori di restauro della chiesa dell'Assunzione della Madonna nel villaggio di Quinto, vicino Saragozza. Le sepolture sono state rinvenute nel 2011, quando una parte del pavimento della chiesa è stato rimosso per installare un sistema di riscaldamento.
I corpi mummificati erano in ottimo stato di conservazione ed erano custodite in bare di legno aperto. Si tratta di corpi di adulti e bambini che ora sono in attesa di essere esaminati. Nel 2014 è stato varato un progetto per studiare i reperti rinvenuti ed è stato anche installato un laboratorio sul sito del rinvenimento.
Uno dei defunti mummificati con tracce ben conservate di barba
(Foto: Jorge Sese)
I corpi, mummificatisi grazie ad un terreno molto secco, risalgono alla fine del XVIII - inizio XIX secolo, secondo quanto è emerso dall'esame degli abiti. Alcune mummie maschili indossavano abiti da monaco francescano, un'antica tradizione che coinvolgeva anche laici. I veri monaci erano sepolti a piedi nudi, mentre le mummie di Quinto indossavano espadrillas, una calzatura tipica dell'Aragona, fatta in paglia e cotone, utilizzata dai contadini.
La maggior parte delle mummie avevano ancora capelli e barba perfettamente conservati. Nel XVIII secolo l'Aragona venne funestata da diverse epidemie che fecero molte vittime: vaiolo, febbre gialla, colera. Qualora potesse essere provato che alcune delle mummie sono morte per colera, potrebbero essere condotte altre indagini per individuare di quale ceppo colerico si tratta. Questo porterebbe nuove informazioni sulla microevoluzione del batterio Vibrio cholerae. Proprio l'alta presenza di bambini tra le mummie sembra suggerire un'epidemia quale causa della morta. Finora le mummie di bambini che sono state studiate hanno un'età compresa tra i 6-9 mesi e i 7 anni.

Fonte:
seeker.com

Londra: tavolette di legno che "parlano" romano

Tavoletta di legno con il primo riferimento alla Londra
romana (Foto: MOLA)
Durante uno scavo a Londra sono state ritrovate delle tavolette romane che costituiscono i più antichi documenti scritti a mano mai trovati in Gran Bretagna. Il Museo di Archeologia di Londra (MOLA) ha affermato di aver decifrato un documento risalente all'8 gennaio del 57 d.C. unitamente a documenti finanziari e prove di una buona scolarizzazione. Presto oltre 700 reperti saranno in mostra.
I ricercatori del MOLA pensano che queste tavolette siano importantissime per capire la vita delle persone che vivevano, lavoravano e amministravano l'antica Londra.
Una tavoletta che mostra segni di un alfabeto (Foto: MOLA)
Una delle tavolette pare si possa datare ai primi decenni del governo romano. Nello scritto si legge: "...perché si sono vantati per tutto il mercato del fatto che tu hai prestato loro dei soldi. Quindi ti chiedo, nel tuo interesse, di non apparire squallido...tu non potrai favorire i tuoi affari..."
I documenti sono scritti su tavolette in legno che sarebbero, in seguito, cosparsi di cera d'api. Anche se la cera non ha lasciato traccia, le parole sono rimaste impresse nel legno, dal momento che era abitudine scrivere utilizzando uno stilo appuntito. Le tavolette sono state conservate dal fango, che ha contribuito a preservare il legno dal deterioramento. Una volta estratte dal fango, le tavolette sono state immerse nell'acqua, poi ripulite e asciugate.
Il Dottor Roger Tomlin, che ha tradotto i testi, ha affermato che è stato un privilegio entrare in contatto con la vita della popolazione della Londra romana. La mostra nella quale saranno esposti i reperti sarà inaugurata nell'autunno del 2017.

Fonte:
bbc.com

Egitto: il ferro celeste del pugnale di Tutankhamon

Pugnali ritrovati nella tomba di Tutankhamon. Quello in alto è d'oro,
quello in basso è in ferro meteorico (Foto: ancient-egypt.co.uk)
Alcuni ricercatori hanno scoperto che il ferro di uno dei pugnali rinvenuti nella tomba di Tutankhamon, così come altri preziosi reperti provenienti dall'Egitto, sono fatti di materiale meteoritico. La ricerca è stata condotta da scienziati del Politecnico di Milano e Torino, dell'Università di Pisa, del Museo Egizio del Cairo, del CNR e dell'Università del Fayoum.
Per molti decenni gli archeologi hanno sospettato che il ferro utilizzato nel Nuovo Regno e nelle precedenti Dinastie, poteva provenire da meteoriti ma non ne hanno potuto, finora, avere riscontro. Nel 2014 la ricercatrice Diane Johnson della Open University e Joyce Tyldesley, dell'Università di Manchester, hanno esaminato alcuni reperti provenienti dalla necropoli di Gerzeh, a 70 chilometri dal Cairo, risalente al 3600-3350 a.C.. La sepoltura di un uomo conteneva un piatto in avorio, un arpione in rame, gioielli in oro e ferro ed altro ancora. Alcuni rari esempi di manufatti in ferro sono stati rinvenuti anche in altri luoghi. Gli esempi più impressionanti sono, senza dubbio, quelli emersi dalla tomba di Tutankhamon, tra cui figura un pugnale e un amuleto in ferro posto su un bracciale d'oro. Johnson e Tyldesley hanno utilizzato il microscopio elettronico e i micro raggi X per una tomografia computerizza al fine di controllare la superficie dei manufatti. Hanno inoltre esaminato le perline di ferro provenienti dalla necropoli di Gerzeh ed hanno scoperto che la struttura e la chimica del ferro suggeriva un'origine meteorica.
Le ricerche più recenti hanno confermato che i due ricercatori avevano ragione. La composizione del ferro utilizzato per forgiare il pugnale di Tutankhamon è nichel e cobalto, metalli che si trovano comunemente nei meteoriti. Lo studio delle perle di ferro provenienti dalla necropoli di Gerzeh, risalenti a 5000 anni fa, hanno confermato che durante la XVIII Dinastia gli antichi Egizi avevano una tecnica molto progredita per la lavorazione del ferro e che quest'ultimo era sicuramente di provenienza metoritica.

Fonte:
ancient-origins.net

Turchia, gli "inviti" di Antioco I di Commagene...

Turchia, l'iscrizione di Antioco di Commagene (Foto: AA) Un'iscrizione trovata vicino a Kimildagi , nel villaggio di Onevler , in Tu...