giovedì 22 settembre 2011

Tracce di preistoria in Portogallo

Portogallo, Cromlech Almendres
Recenti indagini in Portogallo hanno permesso di individuare un certo numero di siti preistorici che comprendono incisioni varie ed arte rupestre. I siti sono dislocati a Laje da Churra, a Serra de Santa Luzia, nel Portogallo del sud.
Un archeologo della squadra che sta attualmente lavorando in questi luoghi, ha affermato che una pietra da tempo custodita nella chiesa locale rappresenterebbe uno dei più importanti reperti di arte rupestre. Su di essa sono presenti ben 1200 incisioni, delle quale solamente dieci sono state interpretate finora.
Si pensa che il sito dove è stata effettuata la scoperta della pietra sia stato frequentato a partire dal 3000-4000 a.C.. Nel medesimo luogo, oltre alla pietra, sono state individuate incisioni di cavalli, armi ed imbarcazioni.
Laja da Churra è uno dei dieci siti archeologici individuati dagli studiosi a partire dal maggio scorso.

Riemergono i resti del castello di Quinzano d'Oglio

Alcune delle macine scoperte a Quinzano
Le ruspe hanno rivelato le fondamenta dell'antico castello di Quinzano d'Oglio, in provincia di Brescia. Si stava procedendo alla riasfaltazione delle strade del centro storico ed al rifacimento della rete idrica sottostante il manto stradale quando, in via Cavour, in pieno centro storico, sono comparsi dei sottopassaggi e le arcate della porta d'ingresso al castello, nonchè alcune macine utilizzate a sostegno della struttura.
Quinzano conserva tracce molto antiche, risalenti addirittura alla preistoria, ma è l'età romana quella che ha sicuramente lasciato più ricordi e reperti. Anche il nome stesso della cittadina ricorda la famiglia romana dei Quinti, che avevano diverse proprietà nella zona. Con la caduta dell'impero Romano, anche Quinzano, come gli altri territori dell'impero, fu soggetta alle invasioni barbariche.
Intorno al X secolo Quinzano era controllata dalla famiglia Martinengo che fece costruire il castello. Nei secoli seguenti si ebbero numerose dispute tra le famiglie storiche dell'epoca. Ezzelino da Romano saccheggiò il comune nel 1256 e si interessarono a Quinzano anche i Visconti e la Repubblica di Venezia.

mercoledì 21 settembre 2011

Gli arsenali dell'imperatore

Marco Ulpio Traiano
Scoperta eccezionale tra Ostia e Fiumicino: un edificio lungo almeno 145 metri che gli archeologi pensano sia l'arsenale di Traiano. Si è stimato che le volte fossero alte ben 12 metri e si trova tra l'antico porto di Claudio (che si insabbiò e per questo venne presto dismesso) e il bacino esagonale del porto di Traiano, edificato tra il 110 e il 117.
L'eccezionale scoperta è stata effettuata dagli archeologi dell'Università di Sotuhampton e della British School di Roma, in collaborazione con la Soprintendenza archeologica della capitale. A tutt'oggi dell'edificio in questione sono riemersi la prima delle otto navate parallele, larga 12 metri e lunga 58, ed alcuni pilastri in opera laterizia, alti 2,5 metri. Si pensa che in questo edificio venissero costruite e ospitate, in inverno, le navi. Che possa, verosimilmente, trattarsi di un arsenale lo si è dedotto da alcune iscrizioni in pietra che citano un "collegium" dei "fabri navales portuensis" ed un altro dei "fabri navales ostensium", forse delle corporazioni di schiavi liberati.
Questa scoperta induce maggiormente a credere che la città di Porto fosse il cantiere navale della Roma del II secolo d.C.

lunedì 19 settembre 2011

Il ritorno del cratere

Il cratere restituito
Il Minneapolis Institute of Arts restituirà all'Italia un cratere greco del V secolo a.C.. Lo ha annunciato il Ministero dei Beni Culturali. Il Minneapolis Institute ha cominciato a sospettare della provenienza del reperto ed ha contattato il Ministero dei Beni Culturali.
Le analisi dell'Università di Roma "La Sapienza" hanno permesso di identificare il cratere con un reperto raffigurato nelle fotografie sequestrate durante un'indagine dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale nel 1995. Le stesse fotografie hanno permesso di avanzare l'ipotesi che il reperto provenga dall'area archeologica di Rutigliano, in provincia di Bari.
Il vaso è decorato con figure rosse che compongono una processione animata di satiri e menadi capeggiata da Dioniso. A dipingere le figure potrebbe essere stato un artista chiamato il Pittore di Methyse, di cui sono state, finora, identificate 20 opere.

Tracce di Mesolitico corso

Il sito archeologico di Aleria
E' stata scoperta, in Corsica, una sepoltura eccezionale, che risale a 9000 anni fa. Probabilmente si tratta della più antica sepoltura corsa. Gli studiosi si augurano che questa scoperta riesca a completare il quadro del primo popolamento dell'isola e del quadro del Mediterraneo durante il Mesolitico.
La sepoltura è stata riporta alla luce da un'equipe composta da archeologi di diverse università francesi, sotto un blocco di granito grigio a forma di nicchia che era servito, probabilmente, da ripare alle popolazioni preistoriche dell'isola.
Gli archeologi hanno, peraltro, già recuperato sul sito di Campo Stefano le ossa sparse di quattro o cinque adulti, di un adolescente e di un neonato. Poi hanno rinvenuto lo scheletro quasi completo di un adulto. Il numero delle sepolture ritrovate rende il sito veramente eccezionale, a detta del paleontologo Patrice Courtard, specialista nelle pratiche funerarie del mesolitico corso.

I bagni romani della fortezza islamica di Yavneh Yam

Il promontorio di Yavneh-Yam
Gli archeologi sanno da molto tempo che Yavneh Yam, un sito archeologico tra le città israeliani di Tel Aviv e Ashdod, sulla costa mediterranea, aveva le funzioni di porto nel secondo millennio a.C.. Ora i ricercatori dell'Università di Tel Aviv hanno scoperto le prove che il sito è stata una delle roccaforti dell'Islam nella regione.
Secondo il professor Moshe Fischer, del Dipartimento di Archeologia delle Culture del Vicino Oriente nonchè responsabile degli scavi di Yavneh-Yam, la recente scoperta di un balneum del periodo islamico, che aveva riportato in uso le tecniche romane dei pavimenti sospesi e delle pareti riscaldate, indica che i governatori islamici avevano il controllo di Yavneh-Yam in un momento in cui il 70% del territorio circostante era nelle mani dei crociati.
La fortezza era abitata da ufficiali dell'esercito, ma non dai governatori di alto rango, ha spiegato il professor Fischer. Le fonti scritte arabe coeve identificano Yavneh-Yam come porto e suggeriscono che coloro che hanno abitato la fortezza erano responsabili dei negoziati di ostaggi tra arabi e crociati. Dal porto stesso gli ostaggi erano trasferiti dai loro rapitori oppure ripartivano per tornare a casa.
Tra i reperti più recenti che sono stati ritrovati qui vi sono due pesi di vetro risalenti al XII secolo che recano il nome dei Fatimidi. Quest'anno, però, per la prima volta i ricercatori hanno completato un'approfondita analisi del promontorio sul quale sorge il sito, un pezzo di terra che si protende nel mare. Le strutture principali, una serie di sistemi di fortificazione tra le quali una torre e mura piuttosto spesse che circondano la parte superiore della collina, sono state costruite con la tecnica in uso nel primo periodo islamico. La scoperta di terme romane all'interno della fortezza, ha detto il professor Fischer, non lascia dubbi che nel XII secolo la fortezza era ancora occupata dagli arabi, piuttosto che dai crociati.
Le terme sono una vesione ridotta dei tradizionali bagni romani, riscaldate dall'aria calda che circolava nei tubi posti nel pavimento e nei muri. I crociati non avevano l'abitudine di costruire questo genere di bagni e dopo la fine del primo periodo islamico questi scomparvero del tutto. I ricercatori hanno ritrovato grandi lastre di marmo che adornavano le pareti ed hanno accertato, anche, che i bagni si affacciavano sul mare.
La fortezza era un punto strategico che serviva da vedetta per proteggere il fragile sistema di roccaforti arabe dall'invasione crociata.

domenica 18 settembre 2011

Giallo pompeiano!

Murecine, triclinio a parete
Il rosso pompeiano non era... rosso! A "creare" questa splendida tonalità di rosso sarebbe stata una sequenza di sintesi chimiche innescate dai gas espulsi dal Vesuvio durante l'eruzione del 79 d.C.. In realtà le famose pareti della Villa dei Misteri erano affrescate con delle gradazioni di giallo ocra. Il grande calore e l'ossidazione avrebbero trasformato il giallo in rosso. Il famoso "rosso pompeiano".
La scoperta è stata presentata durante la settima "Conferenza nazionale del colore", che si è tenuta a Roma, nella sede della facoltà di ingegneria de "La Sapienza". Queste conclusioni sono il frutto di studi ed indagini condotte sulle pareti di Ercolano da Sergio Omarini, fisico dell'Istituto nazionale di Ottica del Cnr, e dalla Soprintendenza Archeologica Speciale di Napoli e Pompei.
Secondo quanto emerso dalle indagini sarebbero 246 le pareti di Ercolano la cui pellicola pittorica venne percepita come rossa, mentre le pareti gialle ammonterebbero a 57. Alla luce delle analisi, però, il numero originale dovrebbero essere, rispettivamente, 165 e 138.

Dinasty alla macedone

Alessandro Magno
Che la famiglia di Alessandro Magno non fosse una di quelle famiglie cosiddette esemplari, lo si sapeva da diverso tempo. Il grande condottiero era figlio di Filippo II di Macedonia e di Olimpiade o Olimpia, principessa epirota. Le fonti non lo descrivono con un aspetto gradevole, tutt'altro. Innanzitutto non era molto alto ed aveva una corporatura piuttosto robusta e gli occhi di colore diverso l'uno dall'altro. Ateneo di Naucrati, scrittore greco, lo vuole dedito alle grandi bevute e, pertanto, all'ubriachezza.
Il suo rapporto con l'augusto genitore non fu facile: Filippo II era piuttosto geloso delle qualità del figlio che, a soli 18 anni, nel 338 a.C., guidò la cavalleria durante la battaglia di Cheronea e sterminò il celeberrimo Battaglione Sacro tebano, composto da 300 fanti ritenuti, fino ad allora, invincibili.
Proprio il successo di Cheronea inasprì i contrasti tra il padre, che nel frattempo aveva divorziato dalla madre di Alessandro, e il figlio. Alessandro non fu molto tenero nei confronti del genitore, verso il quale manifestò più volte il suo disprezzo. Addirittura, almeno in un caso, i due rischiarono di sfidarsi apertamente in duello.
Nel 336 a.C. Filippo II venne assassinato ad Aigai, antica capitale macedone, mentre assisteva alle nozze della figlia Cleopatra con Alessandro I d'Epiro. Plutarco lascia intendere che Alessandro e sua madre Olimpiade fossero a conoscenza della congiura.
Con queste premesse la vita di coloro che gravitarono nell'orbita del grande macedone non poteva certo essere tranquilla. Discendenti compresi. Se ne sono resi conto gli archeologi che scavano a Vergina, l'antica Aigai, che hanno recentemente riportato alla luce tre possibili vittime di una faida tutta familiare, tesa a eliminare del tutto i discendenti di Alessandro Magno.
In meno di mezzo secolo, a partire dal 336 a.C., ben diciassette membri della famiglia del macedone furono tolti spietatamente di mezzo da altri componenti della medesima famiglia o da compagni d'arme di Alessandro Magno. Gli archeologi hanno riportato in luce i resti di tre persone cremate, tra i quali vi è anche un giovanetto, probabilmente Eracle, primogenito illegittimo di Alessandro Magno. L'identità degli altri due corpi, uno dei quali appartiene a una bambina dell'età apparente compresa tra i tre e i sette anni, è un mistero.
I resti dei tre corpi furono deposti in una tomba anonima, situata nell'alveo di un corso d'acqua rimasto in secca che passava nel bel mezzo del mercato cittadino. Si pensa che il cognato di Alessandro, Cassandro, sia stato il mandante dell'assassinio di Eracle, che poteva ostacolarlo nell'ascesa al potere. Sempre il perfido Cassandro decise di far seppellire i resti del giovane in un luogo segreto e non nel cimitero reale di Aigai.
Gli archeologi greci, guidati dal professor Chrysoula Paliadeli, hanno scoperto che il defunto - che si suppone essere il giovane Eracle - venne sepolto in un recipiente d'oro posto all'interno di un calderone di bronzo che conteneva anche una corona formata da una quercia e da una ghianda d'oro. Il corpo del giovane, come gli altri due sepolti accanto a lui, è stato trovato parzialmente carbonizzato.
I resti della bamnbina sono stati deposti, con una corona e un orecchino d'oro, in un'urna di argento dorato a forma di trofeo simile a quella che comunemente era consegnata ai vincitori dei giochi greci. I resti dell'adulto, invece, giacevano in un'urna del tipo di quelle utilizzate per le sepolture reali.
Cassandro, il probabile autore della strage della famiglia di Alessandro Magno nonchè uno dei generali (diadochi) del macedone, aveva sposato la sorellastra del macedone, Tessalonica. Oltre ad Eracle, Cassandro fece uccidere l'altro figlio di Alessandro Magno, Alessandro IV, le madri di Eracle e di Alessandro IV, Barsina e Roxanna e costrinse al suicidio Olimpiade. Questi omicidi gli permisero di esercitare un potere assoluto in Grecia e di trasmettere questo potere ai suoi figli.
Cassandro, è bene ricordarlo, era figlio di Antipatro, reggente del trono di Macedonia mentre Alessandro era occupato nella conquista dell'Asia. Alcuni studiosi pensano che quest'ultimo possa essere stato la prima vittima di Cassandro, inviato dal padre a Babilonia per rispondere di una convocazione inviatagli dal macedone. Questi studiosi fanno notare che il fratello più giovane di Cassandro aveva l'incarico di mescere il vino ad Alessandro e che quest'ultimo morì subito dopo l'arrivo di Cassandro a Babilonia. Un caso?

I tesori nascosti di Areni

Gli scavi in Armenia
Gli scavi in una grotta di Areni, nella zona di Vayots Dzor nell'Armenia, hanno permesso di ritrovare una gonna di paglia intrecciata di 5900 anni fa.
Il manufatto, in realtà, è stato scoperto nel 2010, ma l'interesse nei confronti del prezioso ritrovamento è piuttosto recente. Lo stato di conservazione del reperto è eccezionale, così come la sua fattura. L'oggetto è, per il momento, affidato agli archeologi ed agli etnografi, in attesa di un restauro da parte di un'equipe francese che permetterà di esporre il reperto al pubblico.
La grotta di Areni è la stessa in cui sono stati ritrovati, tra gli altri reperti, la scarpa più vecchia del mondo (più di 5500 anni fa) e i resti mummificati di una capra.

sabato 17 settembre 2011

Il fascino antico delle conchiglie

Murex Globosus
Distribuzione e commercio delle conchiglie marine iniziarono nel Paleolitico Medio, al tempo dell'uomo di Neanderthal. Conchiglie di molluschi del genere Cypraea venivano indossati dai cacciatori di mammuth del Paleolitico Superiore nelle pianure dell'Ucraina. Le conchiglie erano state raccolte a 600 chilometri di distanza, sulle coste della Crimea o, forse, in località ancora più lontane.
Altre minuscole conchiglie di gasteropodi erano utilizzate dai cacciatori nel Mesolitico, accompagnate da denti animali e perline d'osso, che creavano sontuosi ornamenti funebri per i sepolti di alto rango. Conchiglie marine forate vennero ritrovate nelle sepolture dei Balzi Rossi, in Liguria e in altre tombe coeve tra le quali quella della cosiddetta Signora di Ostuni, in Puglia.
La conchiglia divenne il simbolo del lusso e della distinzione sociale. Ma nel Mediterraneo, in età neolitica, le conchiglie vennero anche utilizzate per imprimere delle decorazioni su anfore per liquidi e in Cina gli agricoltori ricavavano proprio dalle conchiglie dei grandi molluschi i falcetti utilizzati nel loro lavoro.
Le conchiglie continuarono a rivestire un ruolo di primo piano anche durante l'Età del Bronzo. Se ne utilizzarono di diversi tipi ed i loro gusci, o i resti di questi ultimi, sono stati ritrovati in diversi siti in Egitto, in Asia centrale, in Arabia e in India. Gli antichi Egizi le chiamavano "pietre del margine dell'acqua" oppure "pietre della spiaggia". Sin dal Predinastico, nel IV millennio a.C., gli Egizi creavano ornamenti con le strutture tubolari della Tubipora, un corallo violaceo del Mar Rosso. Le conchiglie diventavano bracciali, anelli, amulenti, grani di collane. Nel Medio Regno pettorali di madreperla con il nome del faraone venivano indossati come insegne militari. Le conchiglie di Cypraea erano indossate dalle donne come amuleti contro i pericoli del parto.
Nei centri urbani della Mesopotamia, dell'Iran, nei paesi delle coste del golfo, si lavorava la madreperla ottenuta dalla Pinctada Margaritifera che donavano pezzi di intarsio per gli strumenti musicali, per i pannelli a mosaico, per piccole sculture e ornamenti. Tracce di questa conchiglia si trovano nei pannelli intarsiati di Ur, nel cuore di Sumer, a Ebla. La spirale della Fasciolaria trapezium serviva per creare lampade a olio e piccoli contenitori per cosmetici, trovate nelle sepolture dei notabili dell'epoca. Il cuore della conchiglia piriforma della Turbinella pyrum forniva agli Indiani del III millennio a.C. la materia prima per bracciali e recipienti rituali per libagioni. Da questa conchiglia si ottenevano, anche, dei cilindri da spedire in Mesopotamia per essere trasformati in sigilli preziosi.
Durante l'Età del Ferro le popolazioni preromane dell'Adriatico utilizzano, in modo ancora non del tutto chiaro, le conchiglie rosate del Pectunculus, forate naturalmente e artificialmente. Nelle tombe degli aristocratici Piceni le grandi conchiglie di Cypraea provenienti dai mari d'Oriente, venivano lavorate a formare pendenti incastonati nel bronzo.
Uno dei prodotti marini più importanti e ricercati era la porpora, il colorante in assoluto più prezioso, simbolo di regalità. Questo colore, contrariamente a quanto ancora si pensa, era un violetto carico e cupo, molto simile al nero. Si otteneva da una secrezione dei molluschi mediterranei Murex trunculus e Murex brandaris. Il Murex è un gasteropode la cui conchiglia è riconoscibile da un gambo o sifone allungato e dalle corte spine sulla spira. Ogni mollusco produceva una piccolissima quantità di colorante e bisognava raccoglierne e trattarne enormi cumuli per ottenere le quantità richieste.

Il signore di Carn Menyn

La tomba di Carn Menyn
Nelle vicinanze di una cava, utilizzata per estrarre pietre per costruire il noto sito di Stonehenge, è stata ritrovata una sepoltura. Ci troviamo a Carn Menyn, una località del Galles che gli studiosi ritengono essere una sorta di cava per il materiale, la pietra, utilizzato per costruire il famoso henge intorno al 2300 a.C.
La tomba, un tipico monumento funebre del neolitico, è stata disposta su un cumulo che pare contenere altre due pietre erette. A guidare il progetto che ha portato alla scoperta della sepoltura sono due esperti di Stonehenge, Geoff Wainwright e Timothy Darvill. La tomba sembra essere stata già violata, così gli studiosi hanno preferito scavare tutt'intorno ad essa. L'area ospita numerose sorgenti probabilmente associate a rituali di guarigione preistorici. Questo potrebbe spiegare il motivo per il quale i costruttori di Stonehenge III abbiano deciso di estrarre proprio qui le pietre che dovevano utilizzare, a 240 chilometri di distanza dal famoso circolo di pietre.
La sepoltura sembra essere appartenuta ad un personaggio di una qualche importanza, probabilmente responsabile del trasporto delle pietre.

martedì 13 settembre 2011

Le miniere di turchese dei faraoni

Un antico sito minerario egizio nel Sinai del Sud
"Sua Maestà ha inviato il tesoriere del dio, l'assistente e il responsabile delle truppe Her Wer Re, nella regione delle miniere e lui ha riferito: c'è abbondanza di turchese nelle colline". Con queste parole Her We Re iniziò a documentare il lavoro della sua spedizione mineraria, inviata dal faraone a Serabit al-Khadem, nel sud del Sinai, durante il periodo del Medio Regno (2055-1985 a.C.).
Nell'iscrizione sulla sua stelle ritrovata nei pressi della miniera, Her We Re vanta il successo della sua spedizione, malgrado all'epoca si dicesse che il turchese fosse piuttosto carente anche in quelle miniere. L'iscrizione sulla roccia, lasciata dagli antichi minatori Egizi nel sud del Sinai, è ricca di dettagli sulle condizioni di lavoro, sul tempo e sulle lodi che si profondevano al farone, rappresentando, in tal modo, una vivace narrazione della vita quotidiana che può essere efficacemente paragonata agli odierni report lavorativi o ai diari.
Il Sinai è chiamato, in arabo, Ard al-Fayrouz, la terra del turchese, dall'antico nome egizio Ta Mefkat o Khetyou Mefkat, che vuol dire "terrazze di turchese". I minerali erano tenuti in grande considerazione, nell'antichità, per creare gioielli da destinare al faraone oppure offerte da lasciare alle divinità. Le pietre preziose erano utilizzate anche per gli ornamenti e gli amuleti da apporre sulle mummie. Questa necessità di pietre preziose spinse i faraoni, sin dal primo periodo dinastico (3050-2890 a.C.) ad inviare spedizioni minerarie ad estrarre turchese e rame dal sud Sinai.
Wadi Maghara, Wadi Kharig, Bir Nasb e Serabit al-Khadem sono tra le miniere più attive dell'antichità e visitarle oggi offre un'esperienza insolita e diversa della storia e dell'archeologia, differente soprattutto dall'esperienza consueta dai templi e dalle tombe della Valle del Nilo e del Delta, che riflettono le credenze degli antichi Egizi sull'Aldilà. I siti archeologici nel sud del Sinai, infatti, rappresentano efficacemente la vita di ogni giorno in un'antica comunità mineraria.
Queste comunità hanno documentato il loro lavoro e le loro avventure nel deserto attraverso delle iscrizioni sulla roccia, dei graffiti e, talvolta, anche per mezzo di cappelle erette in onore della divinità locale, Hathor, conosciuta anche come la Signora dei Turchesi. Il responsabile della spedizione aveva il compito di sovrintendere anche alla documentazione della stessa: quanto era stato scavato dall'entrata della miniera, la data dell'inizio della spedizione, il nome del responsabile e quanto materiale era stato estratto. A Serabit al-Khadem l'iscrizione n. 56 recita: "La galleria della miniera è stata aperta dal responsabile Sanofret e chiamata Ammirando la Bellezza di Hathor".
Poichè gli antichi Egizi vedevano strette connessioni tra la vita di ogni giorno e la religione, i minatori si preoccupavano di offrire cappelle e stele alle divinità locali. Il sito di Serabit al-Khadem conserva ancora i resti del più ampio edificio religioso egizio nella penisola del Sinai. Situato ad 800 metri sul livello del mare, il tempio è costituito da dozzine di stele inscritte dai responsabili delle spedizioni del Medio e Nuovo Regno in onore di Hathor. L'edificio è circondato di antiche miniere.
I minatori scolpirono anche numerosi graffiti. L'attuale punto di ristoro di Rod al-'Air ricalca un analogo punto di sosta degli antichi minatori. Mentre si riposa, si possono ammirare i graffiti di imbarcazioni, animali e strumenti da lavoro. Si pensa che i graffiti si riferiscano alle imbarcazione utilizzate dalle diverse spedizioni minerarie per attraversare da est il deserto del Sinai. I resti di queste imbarcazioni sono stati scoperti dalla spedizione archeologica dell'Istituto Francese di Archeologia Orientale, che ha iniziato a scavare ad Ain Sokhna dal 2001.
A partire nel XIX secolo, queste località sono state esplorarte dai viaggiatori e dagli archeologi europei, come l'esploratore italiano Alessandro Ricci, che arrivò qui nel 1828, oppure l'egittologo tedesco K. Richard Lipsius (1845). I resoconti sul Sinai del grande archeologo Flinders Petrie, tra il 1905 e il 1906, sono le prime testimonianze archeologiche di ricerca in queste antichissime miniere. Molte esplorazioni furono condotte, in quest'area, tra gli anni '70 e gli anni '90 del secolo scorso. Ancor oggi la maggior parte dei siti minerari sono sconosciuti al pubblico.
Oltre che per la ricerca archeologica, queste località del Sinai hanno attirato l'attenzione anche da parte degli antropologi. La popolazione di Serabit al-Khadem offre un prezioso ritratto di una comunità beduina, in quando conserva tuttora molte delle antiche tradizioni, malgrado la presenza, nella comunità, di antenne paraboliche e telefoni cellulari. Queste comunità sono un'impareggiabile occasione di studio per gli etno-archeologi. Gli uomini guidano i tour nelle miniere mentre le donne creano il famoso artigianato beduino.
Malgrado non sia molto praticata, l'estrazione del turchese - chiamato tarkiz nel dialetto locale - è un segreto locale. E' un'attività piuttosto comune nel sud del Sinai, specialmente attorno alle antiche miniere.

Iside a Cuma, scoperto un nuovo tempio

I volontari del Gruppo Archeologico dei Campi Flegrei, a Cuma, ha riportato alla luce un tempietto del I secolo a.C., di struttura romana, dedicato alla dea egizia Iside. Il tempietto era nascosto da una folta vegetazione di canne e di erbacce.
Secondo una ricostruzione da parte degli studiosi, l'edificio avrebbe ospitato cerimonie in onore della dea della fertilità fino al IV secolo d.C., prima di essere abbandonato definitivamento. Sarà possibile vedere la struttura i prossimi 24 e 25 settembre, nell'ambito delle giornate di apertura al pubblico dell'Acropoli Cumana.

venerdì 9 settembre 2011

Nag el-Hamdulah, l'alba dei faraoni

Il rilievo di Nag el-Hamdulah
La più antica immagine conosciuta di un sovrano egizio con indosso la corona bianca associata al potere dinastico, è stata portata alla luce da un team internazionale di archeologi guidati dagli egittologi dell'Università di Yale.
Intagliato intorno al 3200 a.C., quest'unica prova di una celebrazione reale avvenuta all'alba del periodo dinastico in Egitto è stata trovata in un sito scoperto circa cinquanta anni fa dall'egittologo Labib Habachi a Nag el-Hamdulah, sulla riva destra del Nilo a nord di Assuan. Il sito è stato parzialmente danneggiato negli ultimi anni e il team guidato dagli archeologi di Yale, che comprende una missione italiana dall'Università di Bologna ed una missione belga, attraverso metodi all'avanguardia, come l'utilizzo di tecnologia digitale, hanno ricostruito e analizzato le immagini e il testo in geroglifico ritrovato recentemente.
Secondo Maria Carmela Gatto, direttrice del progetto, le immagini e la breve scritta sono la più antica rappresentazione finora giunta a noi di un giubileo reale, completo di tutti gli elementi di identificazione del primo periodo dinastico, conosciuto da documenti successivi come la cosiddetta pietra di Palermo (che riporta alcuni annali reali). Il bassorilievo ritrovato recentemente mostra un faraone egizio che indossa una corona egiziana e un'iscrizione che allude ai "Seguaci di Horus", la corte reale.
Il ciclo di immagini di Nag el-Hamdulab rivela l'emergere del faraone come di una suprema figura sacerdotale incarnante le manifestazioni del potere divino e umano. Questo ciclo, inoltre, è l'unico del periodo a recare, a corredo, un'iscrizione geroglifica. Sembra che si tratti della testimonianza della più antica riscossione di imposte e della prima espressione di controllo economico reale sull'Egitto.
Gli archeologi hanno datato il ciclo di Nag el-Hamdulah al 3200 a.C. circa, un periodo compreso tra la Dinastia Zero e Narmer, il primo faraone della prima Dinastia.

giovedì 8 settembre 2011

Il centro romano di Durnovaria

Scavi nel Dorchester
Gli archeologi del Wessex hanno appena completato, dopo quattro settimane, uno scavo nel Dorchester, a Charles Street. Il sito occupa un'area vicino al margine meridionale della città romana di Durnovaria, dove si pensava che si potessero trovare le tracce della città romana, scoperte, poi, durante gli scavi.
Le supposizioni si sono rivelate corrette: immediatamente sotto le fondamenta della città moderna sono emersi i resti della città romana. Gli edifici della città antica furono costruiti nel 100 d.C. ed erano orientati secondo il piano stradale del centro urbano, che è stato mappato utilizzando quanto è stato scoperto in altri scavi nel Dorchester. Le case erano in prossimità del muro meridionale e dei bagni pubblici della città. Gli edifici erano ben costruiti, adorni di intonaco dipinto alle pareti, con pavimenti in mosaico. La scoperta di una base di colonna in una casa ha fatto supporre l'esistenza di un peristilio colonnato, forse intorno al cortile interno oppure al giardino.
I depositi che sono stati ritrovati associati agli artefatti, sono ben rappresentativi della vita tra le mura domestiche, come ceramiche, monete, ossa di animali e anche la sepoltura di un bambino. Le case sono sopravvissute finquando furono demolite nel 300 d.C.. Dopo questo periodo non furono costruite ulteriori strutture e la sottrazione di materiale da costruzione si prolungò fino al XVII secolo.
Al di sotto delle strutture abitative romane, un grande deposito di macerie è stato utilizzato per riempire e livellare il sito prima di costruirci sopra. Tra il materiale di riempimento sono stati ritrovati alcuni oggetti, come i frammenti di un braccialetto di scisto, cocci di anfore spagnole (comunemente utilizzate per il trasporto dell'olio di oliva) ed alcune pedine di un gioco in gesso e ceramica.

Il nonno dell'uomo

Il cranio dell'Australopitecus Sediba
Il più vicino antenato dell'uomo è vissuto quasi due milioni di anni fa. Era un ominide e si "chiamava" Australopitecus Sediba, aveva un pò dell'uomo e un pò della scimmia. Gli studiosi indicano con il termine "ominide" un membro della famiglia allargata che comprende scimmie moderne e antenati comuni.
La scoperta degli Australopitecus Sediba è avvenuta nel 2008, in Sudafrica a Malapa. Sono stati ritrovati oltre 220 frammenti di ossa di almeno 5 individidui in un'antica grotta dove sono scivolati nel giro di poco tempo l'uno dall'altro. I sedimenti presenti nella grotta hanno conservato i corpi nel tempo. Alcuni resti sono conservati in modo eccellente.
Gli studiosi si sono concentrati in modo particolare su due individui, quelli meglio conservati: un piccolo di 10-13 anni ed una femmina, che hanno restituito alcune informazioni interessanti. Il cervello, per esempio, ha mostrato una conformazione che non corrisponde alla transizione al genere Homo, mentre la mano ha una struttura molto diversa da quella delle scimmie e mostra le caratteristiche adatte ad afferrare gli oggetti.
I fossili sono stati datati tra 1,97 e 1,98 milioni di anni fa.

venerdì 2 settembre 2011

Egyptian coiffeur

La mummificazione, nell'antico Egitto, comportava l'applicazione di prodotti chimici sul corpo del defunto, per conservarlo. Altri prodotti chimici erano, invece, utilizzati per fini rituali. Gli unguenti erano utilizzati, anche, nella vita di ogni giorno, alcuni specificatamente sui capelli. Si tratta di un composto dalla consistenza piuttosto grassa che fungeva da "gel".
L'aspetto esteriore era molto importante per gli antichi Egizi, al punto che li pettinavano e li disponevano artisticamente anche nei defunti. Questo permetteva di conservare l'individualità del defunto anche nella morte, in modo che potesse essere riconoscibile.
Gli scienziati hanno esaminato campioni di capelli di diverse mummie di entrambi i sessi, di un'età compresa tra i 4 ed i 58 anni. Nove delle mummie avevano i capelli ricoperti da questa sostanza grassa, forse un prodotto di bellezza. Per la maggior parte i corpi erano sepolti in un cimitero greco-romano nell'oasi di Dakhleh.
Era noto, dalle pitture rinvenute nelle tombe, che gli antichi Egizi utilizzavano dei prodotti per capelli, ma si pensava che fossero composti di grassi e resine profumate. La sostanza grassa permetteva di fissare gli stili e i tagli dei capelli, persino i riccioli.

Un Colosseo austriaco?

Qualche giorno fa il sito del quotidiano inglese "Guardian" ha riportato la notizia che una squadra di archeologi austriaci avrebbe ritrovato, nella periferia est di Vienna, le rovine di un grande anfiteatro risalente all'epoca romana.
Le informazioni sono poche e sono quelle diffuse in un breve comunicato pubblicato dal parco archeologico Carnuntum, un museo a cielo aperto costruito attorno ai resti di un accampamento romano non lontano da Vienna.
Quel poco che si sa è che l'anfiteatro austriaco avrebbe le dimensioni del Colosseo e del Ludus Magnus di Roma, la famosa palestra per i gladiatori, la più grande mai costruita.

giovedì 1 settembre 2011

Il tempio di Dioniso, dio dei Traci

Il rilievo con il cavaliere trace
L'archeologo bulgaro Nikolay Ovcharov ha presentato i suoi nuovi ritrovamenti nella terra dove, un tempo, si trovava il regno di Tracia. Qui il professor Ovcharov ha scavato nella fortezza medioevale di Perperikon, provando l'esistenza di un santuario risalente ad età più antica che ritiene essere quello dedicato a Dioniso.
I rilievi in marmo rappresentanti un cavaliere trace, ritrovati durante gli scavi, sono un'ulteriore prova dell'esistenza di un santuario a Perperikon. La rappresentazione di un cavaliere e della sua cavalcatura è un tema piuttosto ricorrente, nell'iconografia e nella mitologia paleo-balcanica in epoca romana. Si crede che questo cavaliere rappresenti una divinità del pantheon trace, solitamente raffigurato come stele funeraria mentre uccide una fiera con una lancia.
Ovcharov ha scavato nell'antica città di Perperikon, nei monti Rodopi, negli ultimi anni e le sue scoperte hanno sempre dimostrato che questa città, anticamente nota come Hyperperakion, era un centro urbano cruciale durante il medioevo e durante l'impero bizantino. Le scoperte più recenti hanno anche rivelato che Perperikon potrebbe essere stato un antico santuario greco dove i Traci adoravano Dioniso.
Si sa con certezza che a Perperikon, 7000 anni fa, c'era un santuario di roccia deputato al culto del sole. Ne sono state viste le immagini sulla ceramica dell'età della pietra. Uno degli altari di pietra contenuto nel tempio era alto 3 metri ed ha continuato ad essere utilizzato fino a che il cristianesimo ha soppiantato l'antica religione. Il professor Ovcharov ritiene che quello appena ritrovato sia uno dei più famosi santuari dedicati, nell'antichità, a Dioniso, e che si tratti di quello menzionato da Erodoto.
Il tempio era famoso al pari di quello di Apollo a Delfi.

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