domenica 17 marzo 2024

Turchia, gli "inviti" di Antioco I di Commagene...

Turchia, l'iscrizione di Antioco di Commagene
(Foto: AA)

Un'iscrizione trovata vicino a Kimildagi, nel villaggio di Onevler, in Turchia, può gettare nuova luce sulla storia della Commagene.
Il regno della Commagene si faceva risalire sia ad Alessandro Magno che agli Achemenidi. Il re Antioco I (69-34 a.C.) affermava di discendere da Dario I attraverso Oronte il Battriano, un ardente sostenitore di Artaserse II contro Ciro, di cui sposò la figlia.
Questo piccolo regno cercò di equilibrare la sua eredità iraniana con la realtà politica che lo faceva essere parte del mondo greco-romano. Il regno di Commagne mantenne la sua identità dal 163 a.C. fino a quando divenne parte della provincia romana di Siria nel 72 d.C.
Antioco I sostenne Pompeo contro Mitridate VI del Ponto e si definiva Filoromaios (amico dei romani). Non solo si considerava un dio, ma aspirava anche ad essere colui che era in grado di riconciliare tutte le religioni. Oltre a se stesso, le altre divinità da lui adorate erano Zeus/Ahuramazda, Apollo, Hermes, Mitra, Helios, Artagnes, Eracle, Ares. La sepoltura di Antioco I si trova sulla vetta del monte Nemrut.
Nel 2023 gli abitanti del luogo hanno scoperto una scultura in rilievo vicino a Kimildagi e l'hanno segnalata alla direzione del Museo Adiyaman. I ricercatori accorsi sul luogo hanno affermato che l'area era, un tempo, un luogo di culto. Gli archeologi hanno anche scoperto, sul posto, un rilievo raffigurante una scena in cui due individui si stringevano la mano ed una stele con iscrizioni. A causa del terreno accidentato e dei ripidi pendii rocciosi, i manufatti recuperati vennero trasportati in aereo nell'antica città di Perre. L'opera litica vennero poi studiati da Charles Crowther dell'Università di Oxford e da Margherita Facella, dell'Università di Pisa.
Nelle iscrizioni rinvenute, si legge che Antioco I dava istruzioni alla popolazione. Si tratta, per lo più, di inviti all'obbedienza ed al rispetto delle leggi. Sul retro di questa iscrizione è presente un rilievo raffigurante Antioco I e Mitridate I. Si tratta di un'iscrizione che può gettare nuova luce sia sulla storia dell'umanità che su quella della Commagene.

Fonte:
AA

sabato 16 marzo 2024

Turchia, la tavoletta in cuneiforme che richiama antiche guerre civili

Turchia, la tavoletta in lingua cuneiforme, sia hittita che
hurrita (Foto: Kimiyoshi Matsumura, Istituto giapponese
di archeologia anatolica)
Una tavoletta di argilla di 3300 anni fa, proveniente dalla Turchia centrale, descrive una catastrofica invasione straniera dell'impero hittita. L'invasione ebbe luogo durante una guerra civile, apparentemente motivata dal tentativo di aiutare una delle fazioni in guerra, almeno questo risulterebbe dalla recente traduzione del testo iscritto sia in lingua hittita che hurrita
La tavoletta, grande quanto il palmo di una mano, è stata rinvenuta nel maggio 2023 da Kimiyoshi Matsumura, archeologo dell'Istituto giapponese di archeologia anatolica, tra le rovine della città hittita di Buklukale, che si trova a circa 60 chilometri dalla capitale turca Ankara. Gli archeologi ritengono che Buklukale fosse un'importante città hittita, la nuova scoperta aggiunge che fosse anche una residenza reale, alla pari - forse - della residenza reale che si trovava nella capitale del regno hittita Hattusha.
Secondo la traduzione di Mark Weeden, professore associato di antiche lingue mediorientali presso l'University College di Londra, le prime sei righe di testo cuneiforme sulla tavoletta riportano, in lingua hittita, che "quattro città, inclusa la capitale Hattusha, sono nel disastro", mentre i restanti 64 versi sono una preghiera in lingua hittita per favorire la vittoria. Gli hittiti usavano la lingua hurrita per le cerimonie religiose, ha detto Matsumura, e sembra che la tavoletta sia la registrazione di un rituale sacro eseguito dal re hittita.
Gli archeologi ritengono che i primi regni hittiti siano comparsi nell'Anatolia centrale - attuale Turchia - intorno al 2100 a.C. e che gli hittiti assursero a grande potenza regionale nel 1450 a.C. Sia la Bibbia che le fonti egizie riportano la presenza di questo importante regno. Gli antichi Egizi si scontrarono con gli hittiti nella battaglia di Kadesh (1274 a.C.), un'antica città vicino all'odierna Homs, in Siria.
Matsumura ed i suoi colleghi stanno scavando le rovine di Buklukale da 15 anni. Finora erano state rinvenute solo tavolette di argilla in frammenti, ma quella rinvenuta di recente è quasi intatta. Inizialmente l'hurrita era una lingua parlata dai Mitanni, che occupavano la regione ed il cui regno, alla fine, divenne uno stato vassallo degli hittiti. 
La tavoletta reca una preghiera indirizzata a Teshub, nome hurrita del dio della tempesta, divinità principale sia del pantheon hittita che di quello hurrita. Nella preghiera si loda il dio ed i suoi antenati divini e si menzionano ripetutamente i problemi di comunicazione tra gli dei e gli esseri umani. Il testo, poi, elenca diversi individui che sembrano essere stati re nemici e si conclude con la richiesta di un consiglio divino.
L'impero hittita scomparve dalla storia all'inizio del XII secolo a.C., durante l'Età del Bronzo, in un periodo nel quale molte civiltà mediterranee furono scosse da disordini. Le ragioni del collasso di questa potente civiltà non sono note, ma potrebbero essere collegate a carestie causate dai cambiamenti climatici.
Matsumaura ha affermato che la tavoletta, rinvenuta e tradotta di recente, risale al regno del re hittita Tudhaliya II, tra il 1380 ed il 1370 circa a.C., quasi duecento anni prima del crollo della civiltà hittita. Sembra che il testo sia stato redatto in un periodo di guerra civile, durante il quale il regno hittita subì diverse invasioni da altrettante direzioni contemporaneamente e molte città vennero distrutte.

Fonte:
livescience.com


Parco di Marturanum, scoperta una tomba etrusca a cubo scavata nella roccia

La sepoltura etrusca a cubo rinvenuta nella necropoli
rupestre di San Giuliano (Foto: Soprintendenza Archeologia
Belle Arti e Paesaggio dell'Etruria Meridionale)
E' stata ritrovata, recentemente, una gigantesca tomba rupestre a forma di cubo nella necropoli rupestre di San Giuliano.
La necropoli ospita circa 500 tombe che vanno dal VII al III secolo a.C. e si trova nel Parco Regionale di Marturanum, vicino al comune di Barbarano Romano, nel Lazio.
La tomba rupestre a cubo è venuta alla luce dopo alcune operazioni di bonifica e rimozione della vegetazione invasiva. E' ben conservata ed era visibile solo parzialmente.
La pianta della tomba è stata definita a "semi-cubo", in cui un lato è aperto e tre sono scavati nella parete rocciosa. Si trova accanto alla Tomba della Regina, la più grande della necropoli, che risale al V secolo a.C., con la facciata alta dieci metri.
La Tomba della Regina ha scale laterali, scavate nella roccia, e due porte doriche semilavorate che conducono a due camere funerarie gemelle. Non lontano sorge la Tomba del Cervo, che presenta sopra una gradinata laterale una singolare scultura a bassorilievo con la rappresentazione della lotta tra un cervo e un lupo.
Secondo gli archeologi, nessuna necropoli etrusca conosciuta presenta una varietà e ricchezza di tipi sepolcrali come San Giuliano. La necropoli sorge sui fianchi di una rupe tufacea occupata da un insediamento stabile già durante l'Età del Bronzo. Ma è durante il VI secolo a.C. che la città di Marturanum conobbe il massimo splendore, favorita dalla posizione naturalmente fortificata sulla via che da Cerveteri conduceva ad Orvieto, fino a diventare l'avamposto della potente Tarquinia verso Roma.

Fonti:
news.artnet.com
parchilazio.it

Pompei, rinvenuto uno splendido affresco raffigurante il mito di Frisso ed Elle

Pompei, l'affresco trovato di recente negli scavi
(Foto: pompeiisites.org)
Un'incredibile scoperta di enorme valore è stata fatta durante gli scavi archeologici nella città di Pompei: un affresco dal contenuto mitologico.
E' emerso un affresco mai rinvenuto prima, che raffigura due gemelli della mitologia greca, Phrixus, figlio del re Atamante di Beozia e della ninfa Nefele, ed Helle, da cui prende il nome lo stretto di Ellesponto, in cui cadde durante la traversata insieme al fratello.
Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico di Pompei, ha annunciato il ritrovamento, affermando che l'affresco è in ottimo stato di conservazione. "Il mito di Phrixus ed Helle è diffuso a Pompei, ma è anche di grande attualità. - Ha aggiunto Zuchtriegel. - Sono due profughi in mare, fratello e sorella, costretti a fuggire perché la matrigna Ino vuole liberarsi di loro e lo fa con l'inganno e la corruzione".
L'affresco presenta colori vividi e raffigura proprio la caduta di Helle nelle acque, mentre tende una mano verso Phrixus in cerca di aiuto. L'affresco, che raffigura i due fratelli in fuga sul manto dorato di Crisomallo, un ariete alato, è stato rinvenuto durante i lavori di restauro in corso nei pressi della Domus di Leda. E' inserito tra le decorazioni di IV stile che ricoprono le pareti di fondo.
Gli archeologi hanno trovato anche altri dipinti nella casa, molti dei quali raffiguranti figure femminili. Nell'atrio sono situati dei pannelli gialli e rossi segnati da finta architettura, con al centro quadri mitologici - uno con Narciso è emerso già nel 2018 - mentre nel tablino e nei cubicoli si preferisce lo sfondo bianco con elementi naturalistici come uccelli, vedute di alberi e paesaggi marini.
Le opere saranno ripulite dalla cenere vulcanica e successivamente restaurate. Un affresco scoperto sempre nel 2018, quello di Leda e il cigno, si trova ancora sepolto per metà sotto le rovine ed è in attesa di essere restaurato.

Fonte:
pompeiisites.org


Celleno, emergono inaspettatamente i resti di una chiesa dedicata all'Arcangelo Michele

Celleno, frammenti della chiesa di San Michele
Arcangelo (Foto: viterbotoday.it)

Sorprendente scoperta a Celleno, dal borgo fantasma in provincia di Viterbo, riemerge l'antichissima chiesa di San Michele Arcangelo. Uno spazio sacro di cui, finora, si avevano solo frammentarie notizie attraverso documenti di archivio che parlano di una chiesa, o meglio di una cripta, annessa a quella di San Donato, attualmente oggetto di interventi di consolidamento.
Durante gli scavi è emersa, inaspettatamente, una chiesa inferiore, con un'altezza di almeno 5 metri. I documenti di archivio e gli archeologi impegnati nello scavo pensano che questa chiesa avesse un ingresso separato con accesso dal versante nord. Già alla fine dell'Ottocento, però, il vescovo fece chiudere questo spazio sia perché destinato ad usi impropri, sia per la difficoltà di accedervi.
Nel 1944 se ne perdono ufficialmente le tracce: la chiesa madre crollò, anticipando di pochi anni il destino di tutto l'antico insediamento di Celleno. Seguì un lungo periodo di oblio e di saccheggi, ma negli ultimi anni l'amministrazione comunale ha intrapreso un'azione di recupero e valorizzazione, cercando di salvare quanto possibile della chiesa di San Donato. Nel corso di queste operazioni, la scoperta da parte di architetti ed archeologi dell'antichissima cripta di San Michele Arcangelo.
Lo cavo archeologico è diretto dalla società di ingegneria Alma Civita Studio insieme all'Università della Tuscia. Alla notizia della chiesa inferiore si affiancano ritrovamenti di materiali lapidei di pregevole fattura scultorea, alcuni dei quali del periodo longobardo.
Celleno sorge su uno sperone tufaceo di 341 metri s.l.m. Il suo castello è documentato dal 1026, quando l'imperatore Corrado II il Salico concesse il feudo ai Conti di Bagnoregio. Il sito venne progressivamente abbandonato a partire dalla fine dell'Ottocento, a causa di ripetute epidemie e terremoto e per l'instabilità dei pendii.

Fonte:
viterbotoday.it
storiearcheostorie.com

Bibione, riemergono parti nascoste dell'antica villa romana di Mutteron dei Frati

Bibione, i mosaici emersi dagli scavi nella villa romana
di Mutteron dei Frati (Foto: veneziatoday.it)

Lo scavo archeologico della villa romana di Mutteron dei Frati, situato all'interno della Valgrande di Bibione, continua a rivelare tesori. Sta emergendo, infatti, un patrimonio inestimabile: secondo gli archeologi, la testimonianza meglio conservata degli insediamenti che dovevano trovarsi lungo il litorale Alto-Adriatico in epoca romana.
Dopo qualche settimana - gli scavi sono iniziati a fine febbraio - si sta evidenziando che la zona residenziale della villa romana è decisamente più estesa di quanto si pensasse inizialmente. Lo testimoniano i nuovi ambienti riportati alla luce dagli studiosi guidati da Dirk Steuernagel e Alice Vacilotto dell'Università di Regensburg e da Maria Stella Busana dell'Università di Padova, con la supervisione della Soprintendenza e il sostegno di proprietà e affittuario della valle.
Nuovi reperti musivi sono stati ritrovati in una delle quattro aree oggetto di scavo, tutte localizzate ad ovest rispetto al sito precedentemente noto; da programma le zone previste erano tre, ma le anomalie del terreno segnalate dalle prospezioni geofisiche hanno portato ad un ampliamento delle indagini.
Ritrovati diversi materiali tra cui un coltello e una serie di monete, particolarmente interessanti perché in grado di confermare la presenza umana nel sito in epoca tardoantica.
L'esistenza del sito è nota fin dalla metà del Settecento. La sua rilevanza è stata segnalata a più riprese, prima dall'avvocato concordiese Dario Bertolini (inizi '800) e poi da Aulo Gellio Cassi (anni '30 del Novecento), un latisanese a cui si deve il primo scavo nell'area di Mutteron dei Frati.
Nell'area, attualmente ricoperta da bosco, sono presenti alcune dune costiere fossili, in quanto in epoca romana si trovava sulla linea di costa, mentre attualmente dista 1,5 chilometri da essa, a causa del progressivo accumularsi dei sedimenti trasportati dai fiumi.
Il nome Mutteron dei Frati deriva dal fatto che in passato gli abitanti del posto pensavano che il sito avesse ospitato un antico convento di frati, a causa dei ritrovamenti di sferette perforate in terracotta, scambiate per grandi di rosario, ma che in realtà erano pesi da rete utilizzati in epoca romana per pescare.

Fonti:
veneziatoday.it
ecomuseoaquae.it

domenica 10 marzo 2024

Turchia, un antico pezzo di pane rinvenuto tra le rovine di Catalhoyuk

Turchia, gli scavi di Catalhoyuk (Foto: aa.com.tr)

Un pezzo di pane risalente a 8600 anni fa è stato ritrovato in una struttura simile ad un forno a Catalhoyuk, nella Turchia centro-meridionale, uno dei primi luoghi al mondo in cui sono stati registrati insediamenti urbani.
Si è stimato che Catalhoyuk vivessero circa 8.000 persone durante il Neolitico. Nel cosiddetto "Spazio 66" è venuta alla luce una struttura simile ad un forno, tra case in mattoni con tetti interconnessi ai quali si accede dall'alto. In realtà, hanno scoperto gli archeologi, si trattava di una struttura che fa pensare ad una sorta di forno comunitario per la cottura di alimenti, ipotesi suffragata anche dal ritrovamento di alcuni pezzi di materiale incombusto. Vicino al forno, gravemente danneggiato, è stato trovato un manufatto grande quanto un palmo, contenente semi di grano, orzo e piselli, probabilmente utilizzato come cibo. Analisi condotte presso il Centro di ricerca e applicazione della scienza e della tecnologia dell'Università Necmettin Erbakan di Konya, hanno rivelato che il residuo spugnoso era, in realtà, quanto rimaneva di un pezzo di pane lievitato risalente al 6600 a.C.
Il pane trovato a Catalhoyuk (Foto: Centro di Ricerca e 
Applicazione di Scienza e Tecnologia dell'Università
di Necmettin Erbakan)
La sottile copertura di argilla che ha protetto il pane, lo ha preservato assieme a tracce di legno, consentendo a tutti i residui organici di arrivare fino ai giorni nostri. I primi esempi di pane lievitato sono stati rinvenuti in Egitto ma quello di Catalhoyuk può ben dirsi il pane più antico del mondo, anche se il record, almeno per ora, spetterebbe ad un analogo reperto trovato recentemente in Australia (34000 anni) che ha battuto in termini di longevità una focaccia di 14000 anni fa, prodotta da cacciatori raccoglitori. Ma queste farine cotte non erano fermentate, mentre il pane anatolico era lievitato. Si tratta di una versione in miniatura di una pagnotta di pane. Non era mai stato rinvenuto un reperto simile. Già durante i primi anni di scavo a Catalhoyuk furono scoperti i primi tessuti del mondo ed anche manufatti in legno.
L'analisi di laboratorio ha dimostrato che il reperto è un impasto che presenta residui di cereali. Il ritrovamento di pezzi macinati o rotti appartenenti a piante quali l'orzo, il grano ed i piselli ha, inoltre, rafforzato la possibilità che il reperto fosse proprio una sorta di pane. Naturalmente sono necessarie altre analisi chimiche per confortare questa prima ipotesi.

Fonti:
aa.com.tr
stilearte.it

Spagna, trovata un'antichissima necropoli in una grotta

Spagna, teschio proveniente dalla Cova deis Xaragalls,
vicino a Barcellona (Foto: Antonio Rodriguez-Hidalgo,
Instituto de Arqueologia de Mérida)

A partire da circa 7000 anni fa, gli esseri umani che vivevano nella Spagna nordorientale usavano seppellire i loro morti nelle profondità di una grotta, dando luogo ad una sorta di necropoli che ha ospitato defunti per circa quattro millenni e nella quale sono state rinvenute più di 7.000 ossa.
La Cova del Xaragalls (Grotta dei burroni) era un "luogo di sepoltura collettivo", secondo l'archeologo Antonio Rodrìguez-Hidalgo, ricercatore dell'Istituto catalano di paleoecologia umana ed evoluzione sociale e dell'Istituto di archeologia di Merida.
Le persone venivano sepolte in tombe comuni all'interno della grotta già durante il Tardo Neolitico e nella Nuova Età della Pietra, sebbene la maggior parte delle ossa appartenga a defunti vissuti nel Calcolitico e in tutta l'Età del Bronzo.
Un'analisi dei corredi funerari sepolti con i morti - ceramiche, strumenti in selce e collane - suggerisce che gli individui di alto rango venivano sepolti singolarmente nel Tardo Calcolitico e nell'Età del Bronzo, mentre le sepolture comuni erano appannaggio dei ranghi più bassi della popolazione.
Uno dei crani di un individuo vissuto nell'Età del Bronzo presenta un foro realizzato mediante trapanazione. Sembra che questo individuo soffrisse di diverse malattie e la trapanazione potrebbe essere stata un tentativo di cura. L'individuo (ancora non si sa se maschio o femmina) non sopravvisse all'intervento dal momento che non è stata trovata traccia di rigenerazione ossea nel foro. Questo è l'unico cranio con segni evidenti di trapanazione trovato finora nella Cova del Xaragalls.
Il sito archeologico è stato scavato più volte nel corso del XX secolo e nel 2008. Gli ultimi scavi hanno rivelato la presenza di ossa di capre selvatiche e carbone in parte della grotta, elementi datati a 45000 anni fa. All'epoca questa regione era abitata dai Neanderthal. I paleoantropologi pensano che esseri umani anatomicamente moderni - l'Homo Sapiens - abbiano sostituito i Neanderthal in tutta Europa circa 40.000 anni fa, anche se indagini genetiche hanno dimostrato che i due gruppi umani si sono, a volte, incrociati tra loro.

Fonte:
livescience.com

martedì 5 marzo 2024

Panama, scoperte preziose sepolture

 Panama, la sepoltura preispanica appena scoperta
(Foto: finestresullarte.info)

A Panama, nel Parco Archeologico di El Cano, è stata scoperta la sepoltura di un individuo vissuto in epoca preispanica, risalente al 750-800 d.C.
Gli archeologi stanno portando avanti il progetto archeologico relativo alla tomba n. 9, un progetto a lungo termine avviato nel 2022.
All'interno della sepoltura, oltre ai manufatti in ceramica, sono stati trovati pezzi d'oro appartenenti al corredo funerario, un tesoro di grande valore storico e culturale. Il corredo funerario include 5 pettorali, 2 cinture di perle d'oro, 4 braccialetti, 2 orecchini a forma umana, un orecchino a forma di doppio coccodrillo, una collana di piccole perle circolari, 5 orecchini con denti di capodoglio rivestiti in oro, un set di placche circolari d'oro, due campanelli, braccialetti confezionati con denti di cane e diversi flauti in osso.
Questo corredo funerario potrebbe essere appartenuto ad un uomo di alto rango. La sepoltura risale al 750 d.C. ed ospita anche altri individui che accompagnavano il defunto nell'aldilà. L'uomo "proprietario" della tomba è stato seppellito a testa in giù, secondo una pratica comune dell'epoca, unitamente al corpo di una donna.
El Cano è una necropoli risalente al 700 d.C. e abbandonata nel 1000 d.C. circa. Comprendeva anche monoliti ed un'area cimiteriale con diverse strutture. Le sepolture erano multiple e simultanee, comprendendo un numero di inumati tra 8 e 32 persone.

Fonte:
finestresullarte.info


sabato 2 marzo 2024

Francia, la coppa diatreta di Autun svela il suo segreto...

Francia, la coppa di vetro scolpito con, al centro,
le lettere applicate per la scritta "Vivas feliciter"
(Foto: Hamid Azmoun/Inrap)

Trovata nel 2020, in Francia, in un sarcofago romano, ai piedi di un defunto, una coppa di vetro detta diatreta è stata ora studiata e restaurata. Il prezioso, raffinatissimo contenitore di vetro che reca la scritta "Vivas feliciter" (vivi felicemente) conteneva tracce di ambra grigia, il "vomito di balena", una sostanza preziosa utilizzata in profumeria, ricavata dai resti digestivi dei grandi cetacei.
Questo rarissimo oggetto è stato portato alla luce dall'Inrap, in collaborazione con il Servizio Archeologico della città di Autun (Saone-et-Loire) che ha scavato parte della necropoli situata nei pressi dell'antico insediamento paleocristiano della chiesa di Saint-Pierre-l'Estrier
Gli scavi hanno portato alla luce un sarcofago in pietra che conteneva questa coppa diatreta, risalente al IV secolo d.C., completa anche se molto frammentata. La coppa è stata affidata al Romisch-Germanisches Zentralmuseum di Magonza, in Germania che, dopo il restauro, l'ha riportato in Francia, ad Autun.
La coppa diatreta è una tipologia estremamente di pregio di coppa romana in preziosissimo vetro, diffusasi intorno al IV secolo d.C. circa e considerato il vertice delle potenzialità romane nella lavorazione del vetro. Le coppe di questo tipo consistono in un contenitore interno e in una gabbia o un guscio decorativo esterno, che si distacca dal corpo della coppa al quale resta attaccata tramite dei corti supporti.
Questi capolavori dell'arte vetraria romana, scolpiti a partire da un blocco di vetro, sono piuttosto rari a trovarsi e richiedevano diversi mesi di lavoro da parte di un esperto vetraio. La coppa di Autun è, pertanto, un oggetto molto prestigioso e venne offerto come dono ad una persona importante, molto probabilmente vicina all'imperatore romano. Il diametro della coppa è di 15 centimetri per 12,6 di altezza, è leggermente inclinata su un lato ed il bordo non è perfettamente circolare. Sulla fascia laterale si sviluppa la scritta latina "Vivas feliciter", sormontata da un collare decorato con ovuli. Una rete in filigrana composta da otto ovuli cuoriformi con rosetta circolare costituisce la base del vaso.
L'iscrizione, composta da grandi lettere in rilievo, trova rari confronti nel mondo antico. Le lettere, circostanza eccezionale, sono molto ben conservate, con un arco a coste o un separatore a forma di "V" che segna la fine della frase. Il vaso ha un difetto sorprendente: la lettera C sembra, infatti, essere stata aggiunta in seguito. Il vetro in cui viene eseguita questa riparazione è chimicamente identico ma visivamente diverso nel suo aspetto opaco, quasi lattiginoso. Secondo gli studiosi, si sarebbe verificato un incidente durante la produzione della lettera: il vetro venne, quindi, fuso per sostituire la C e questa circostanza, probabilmente, ha contribuito all'aspetto insolito e alla consistenza del vetro.
Per conoscere il contenuto della coppa sono state effettuate diverse indagini. Queste hanno rivelato la presenza di una miscela di oli, piante e fiori oltre all'ambra grigia. Quest'ultima deriva dalla concrezione intestinale del capodoglio e viene solitamente raccolta sulle spiagge. Si tratta di un prodotto estremamente raro e prezioso, chiamato a volte "tartufo di mare" o "vomito di balena", utilizzato per le sue proprietà aromatiche e medicinali. Ezio d'Amida, medico greco vissuto a cavallo tra il V ed il VI secolo d.C., lo cita come componente di una ricetta a base di nardo, un profumo destinato alla chiesa. Le analisi effettuate sul contenuto della diatreta di Autun ne fanno attualmente la più antica testimonianza archeologica dell'utilizzo di questa sostanza.
L'ambra grigia è una secrezione a base di una molecola chiamata ambreina e secreta dal capodoglio. Si tratta di un lubrificante che protegge le mucose dello stomaco e dell'intestino del cetaceo da frammenti indigesti. Il capodoglio rilascia ambra grigia quando vomita o diluita nelle feci. Il prodotto è profumatissimo ed è utilizzato dall'uomo per fissare e rendere più durature le fragranze volatili delle essenze di fiori o piante.
La necropoli in cui è stata rinvenuta la coppa diatreta fu attiva dall'inizio del III secolo alla metà del V secolo d.C., con la maggior parte delle tombe che sono del IV secolo d.C. Testi antichi ci dicono anche che i primi vescovi di Autun furono sepolti in questo vasto spazio funerario di tre ettari. Tra i defunti vi erano probabilmente cristiani ma anche individui di altre religioni. I sarcofagi in pietra rinvenuti nel sito contenevano pochissimi oggetti, ma tutti molto preziosi: tessuti d'oro e porpora, spille d'ambra, gioielli d'oro.

Fonti:
stilearte.it
finestresullarate.infoFr


Egitto, scoperta una necropoli rupestre a Saqqara

Egitto, area cimiteriale rupestre appena scoperta
(Foto: stilearte.it)

La missione archeologica egizio-giapponese, in un'operazione congiunta del Consiglio Supremo egiziano di Archeologia e dell'Università di Waseda, è riuscita a scoprire un'area cimiteriale rupestre, una serie di elementi architettonici arcaici, sepolture e reperti archeologici di diverse epoche storiche.
Le scoperte sono avvenute durante l'attuale stagione di scavi all'interno ed in cima nella zona di Katacomb, nella regione archeologica di Saqqara. Saqqara è una vasta area funeraria egizia che si trova a circa 30 chilometri a sud della città de Il Cairo. Nonostante contenga diversi complessi funerari, il più rilevante e conosciuto è la piramide a gradoni di Djoser, risalente alla III Dinastia. Questa piramide è considerata la più antica tra tutte le piramidi e servì come prototipo per le successive "piramidi perfette" costruite durante la IV Dinastia. La scoperta è avvenuta in una nuova zona.
Lo stile architettonico delle sepolture, le lastre qui ritrovate e i vasi di ceramica presenti nei sepolcri si riferiscono al periodo storico della costruzione di quest'area sepolcrale che risale all'epoca della II Dinastia. La II Dinastia si inquadra nel periodo della storia dell'Antico Egitto detto Periodo Protodinastico o Arcaico e copre un arco di tempo che va dal 2925 al 2700 a.C. circa.
Il Dottor Mohamed Youssef, Direttore Generale del sito di Saqqara e capo del gruppo di archeologi egiziani, ha affermato che le sepolture tornate alla luce consistono nella tomba di un uomo con una maschera colorata e nella sepoltura di un ragazzo. L'area ha offerto anche una serie di sepolture tardive tra le quali un sarcofago della XVIII Dinastia all'interno di una tomba di alabastro.
Nazumo Kawai, capo della missione giapponese, ha detto che sono stati trovati numerosi reperti archeologici, tra i quali due statue in terracotta di Iside, sulle quali restano tracce di colorazione bianca, e la statuetta di un bambino che cavalca un uccello, sul quale restano tracce di colorazione verde e bianca. Numerose anche le ceramiche, tra le quali un'ostraca con iscrizioni ieratiche. Notevoli anche gli ushabti (quelli che rispondono), piccole statue che erano parte interante ed indispensabile del corredo funebre. Rappresentavano le forze positive all'interno di pratiche magiche e sostituivano i defunti nei "lavori" che questi avrebbero dovuto svolgere nell'aldilà.
La XVII Dinastia, alla quale si riferiscono i reperti più spettacolari, si sviluppò tra il 1543 ed il 1292 a.C. e segnò l'avvento del Nuovo Regno. Fu il periodo in cui gli Hyksos furono cacciati definitivamente dalla terra del Nilo e rappresentò il culmine dell'arte egizia e dell'espansione territoriale del Paese. A Tebe si sviluppò, in questo periodo, il culto del dio Amon e furono eretti imponenti monumenti, quali il Tempio di Karnak. La città di Tebe divenne talmente potente da non avere rivali. 

Fonte:
stilearte.it

Turchia, gli "inviti" di Antioco I di Commagene...

Turchia, l'iscrizione di Antioco di Commagene (Foto: AA) Un'iscrizione trovata vicino a Kimildagi , nel villaggio di Onevler , in Tu...