martedì 30 marzo 2010

L'approdo di Enea e il santuario di Athena


I risultati di una campagna di scavo durata dal 2007 al 2008 nella località di Castro, nel Salento, sono stati raccolti in un libro scritto dal professor Francesco D'Adria, docente di archeologia all'Università di Lecce. Proprio a Castro, infatti, sono state scoperte le tracce di un santuario probabilmente dedicato ad Athena.
La fortezza di Castro fu costruita da Cretesi o Greci e fu poi occupata dai Messapi che ne estesero l'abitato. I Romani ne fecero un loro possesso nel 123 a.C. e le diedero il nome di Castrum Minervae per via di un tempio dedicato a Pallade Athena, la Minerva dei Romani. Virgilio accennò a Castro nel III libro dell'Eneide, come approdo del leggendario Enea.
Gli scavi del 2007 hanno interessato la parte sud-orientale dell'abitato, quella che guarda al mare, non lontana dalle mura messapiche, risalenti alla metà del IV secolo a.C.. Sono stati estratti dal terreno frammenti di ceramiche, coppette, boccali decorati a cerchi concentrici sul fondo e verniciati sull'orlo, oggetti utilizzati quasi sicuramente nelle libagioni. Sono stati anche ritrovati ossa animali, soprattutto di ovini, connesse anch'esse a riti religiosi. Ma lo scavo ha restituito anche punte di lancia e di freccia, elementi che ricordano il culto di Athena in altre città della Magna Grecia che avevano aree consacrate alla divinità greca.
Gli archeologi pensano che tutta l'area in cui sorgeva, probabilmente, l'Athenaion di Castro contenga oggetti in ceramica. Quest'area si estende per 35 metri quadrati e già ha restituito frammenti di marmo, pertinenti ad un vaso, una statua femminile in calcare a grandezza naturale, il triglifo di un frontone appartenente ad un tempio.
Nel 2008 la grande svolta: gli archeologi Amedeo Galati ed Emanuele Ciullo hanno riportato alla luce una statuetta in bronzo di Athena Iliaca con elmo frigio, che presenta le stesse caratteristiche dei bronzetti di Athena ritrovati a Sparta.
Castro fu una località estremamente importante sulle rotte marittime lungo il promontorio iapigio che comprendeva la parte meridionale del Salento tra Otranto e Leuca.

La misteriosa bara di piombo di Gabii


Nella antica città di Gabii, non lontano da Roma, l'estate scorsa gli archeologi hanno ritrovato una bara di piombo del peso di circa mezza tonnellata. Nicola Terrenato, dell'Università del Michigan, che conduce lo scavo, ha fatto portare il prezioso reperto all'Accademia Americana di Roma. Qui i tecnici utilizzeranno tecniche di riscaldamento e sofisticate telecamere per riuscire ad individuare il contenuto della bara senza aprirla.
Terrenato è entusiasta della scoperta. Ha affermato che i Romani non avevano l'abitudine di seppellire in bare e, quando lo facevano, utilizzavano casse per lo più di legno. Sono state, finora, ritrovate solo due casse in piombo, appartenenti a sepolture del I-II secolo d.C..
Adesso aspettiamo di sapere cosa contiene la misteriosa cassa di bronzo.

sabato 27 marzo 2010

In un tempio egizio


La struttura architettonica del tempio egizio è la rappresentazione della cosmogonia e dell'origine del mondo secondo gli antichi abitanti del paese del Nilo. Il percorso templare è a forma di imbuto, il soffitto si abbassa gradualmente mano a mano che ci si inoltra nel tempio. Il pavimento, nel contempo, si alza per mezzo di gradini o percorsi in salita.
Il modello canonico del tempio egizio può ritrovarsi nel tempio di Khonsu, all'interno del recinto del tempio di Amon a Karnak. Il Pilone (dal greco pyle, "porta"), preceduto da un viale di sfingi, è un muraglione che rappresenta le montagne tra cui il sole nasce e muore. La Corte Colonnata era, generalmente, a cielo aperto; si trattava di un'area semi-pubblica decorata da scene del faraone trionfante. La Sala Ipostila aveva un numero di colonne multiplo di 3 o di 4 e rappresentava la palude primordiale da cui era emerso il monticello primigenio; le colonne rappresentavano un fitta foresta. Il Vestibolo (aditon) era il luogo in cui si preparavano i culti per le divinità. La Cella (o Naos) era, in "sancta sanctorum", contenente la statua del dio, nella quale poteva accedere solo il faraone o, in sua assenza, il Sommo Sacerdote.
I possedimenti del tempio erano esenti da tasse per decreto reale. La maggior parte di coloro che lavoravano in questi possedimenti erano semplici lavoratori, mentre ai sacerdoti spettava il compito di amministrare le entrate, costituite da grano, frutta, verdura e bestiame.
Il Sommo Sacerdote sovrintendeva all'andamento del tempio. Tre volte al giorno venivano portati, all'interno dell'area sacra, cibo e bevande. La statua del dio - scolpita in oro o argento - veniva quotidianamente lavata, purificata, truccata e vestita. Una volta finita la cerimonia, il Sommo Sacerdote si ritirava volgendo il volto alla statua e spazzando il pavimento per cancellare le tracce della presenza umana al cospetto del dio.

Cellule cerebrali da studiare

Una squadra di ricercatori internazionali è riuscita ad identificare cellule cerebrali e neuroni intatti in un cervello mummificato risalente all'età medioevale.
Il cervello è stato ritrovato nello scheletro di un bambino del XIII secolo, mortò all'età di diciotto mesi, nel nord ovest della Francia. Malgrado l'organo si sia ridotto notevolmente di peso, ha conservato intatte le sue caratteristiche.
La scoperta è un caso unico di cervello umano preservatosi in modo naturale. L'organo appare intatto, come intatti sono i lobi frontale ed occipitale. La conservazione eccezionale del reperto, secondo gli esperti, è dovuta alle caratteristiche del suolo in cui il corpo del neonato fu deposto. Ora gli studiosi stanno cercando di capire le cause della morte del piccolo

venerdì 26 marzo 2010

Schiavi cinesi nell'impero romano?

In un cimitero pugliese è stato ritrovato un uomo di origine asiatica, il che ha portato a pensare che l'impero romano si potesse estendere ben oltre quello che si conosce finora.
Lo scheletro è stato ritrovato in una necropoli che faceva parte di un'antica villa di epoca romana a Vagnari, e visse presumibilmente nel I-II secolo d.C.. Era, probabilmente, uno schiavo od un operaio, la sua sepoltura era molto povera e conteneva solo una ciotola d'argilla. L'analisi del Dna mitocondriale ha stabilito in Asia le origini dell'uomo, ma non ha potuto meglio specificare la regione del continente dalla quale sarebbe stato originario.

domenica 21 marzo 2010

Una necropoli in provincia di Cremona


Tra Casalmorano ed Azzanello, in provincia di Cremona, è spuntata una necropoli che, si presume, risalga al VI-VIII secolo d.C.. Per ora sono state messe in luce due sepolture ma si aspettano sorprese per i prossimi giorni.
Il rinvenimento è stato fatto durante i lavori per la posa in opera di un metanodotto. Ora gli archeologi, coadiuvati anche dagli operai del cantiere di scavo, hanno già effettuato i rilievi topografici e planimetrici.
Le sepolture messe in luce sono del tipo "a cappuccina", con la bara realizzata con mattoni ed il tetto con tegole poste a spiovente. Si pensa che queste due tombe appartengano una ad una donna e l'altra ad un bambino. Il corredo funebre, ritrovato intatto, non è ricco: qualche anforetta, qualche scodella ed un contenitore che sembrerebbe essere stato utilizzato per il profumo.

sabato 20 marzo 2010

Tartesso alias Atlantide?

Atlantide è un argomento sempre all'ordine del giorno e c'è sempre qualcuno che ritiene di aver trovato una risposta all'enigma: dov'era realmente Atlantide?
Gli archeologi hanno iniziato le ricerche di un'antica civiltà nella Spagna del sud. L'area in esame è una regione paludosa nel parco dell'Andalusia. Essi credono di poter riuscire a trovare Tartesso. Le evidenze finora ritrovate portano a pensare che le acque possano essere retrocesse in tempo perchè i tartessiani costruissero un centro urbano, in seguito distrutto da uno tsunami.
Le paludi di Hinojos, un'area non lontana dalla foce del fiume Guadalquivir, è indicata come il sito più importante dove avrebbe potuto essere edificata una città. I ritrovamenti archeologici hanno fornito prove dell'esistenza della civiltà tartessiana sulla sponda opposta del fiume, foto aeree hanno evidenziato l'esistenza di grosse forme circolari e rettangolari, forse prodotte dalla natura.
La civiltà tartessiana si sviluppò nel sud della Spagna tra l'XI ed il VII secolo a.C. e divenne ricca commerciando in oro ed argento, estratti dalle miniere locali. Molti studiosi ritengono che Tartesso fosse l'antica e mitica Atlantide

La collina dei leoni


Nuove scoperte ad Arslantepe, in Turchia Orientale, da parte della Missione Archeologica Italiana dell'Università di Roma "La Sapienza". Sono stati scoperti tre livelli, uno sovrapposto all'altro, dell'antica città.
Lo scavo di Arslantepe fu iniziato tra la I e la II Guerra Mondiale dai francesi, che lo condussero in modo piuttosto sommario. Le attuali ricerche, invece, sono piuttosto accurate ed hanno permesso di riportare alla luce elementi fondamentali per la storia della città, tra i quali la porta urbica, una delle porte della città monumentale del periodo ittita.
Negli archivi reali, i francesi ritrovarono, nel 1932, una statua monumentale di re con dei leoni, da cui la collina, a 5 km dall'Eufrate, si chiama Arslantepe, che in turco vuol dire "collina dei leoni", ora esposta al Museo di Ankara. Nel corso degli anni, gli scavi hanno restituito reperti che vanno dal IX al I millennio a.C.: vasi, sculture, le spade più antiche del mondo e tantissime cretulae, grumi di argilla con impressi diversi sigilli, utilizzati come documenti-ricevuta.
Il sito di Arslantepe è una collina artificiale, costituita dal sovrapporsi di abitati ricostruiti sempre nello stesso punto per millenni. Esso è stato ininterrottamente occupato dal V millennio a.C. fino all'età romana e bizantina, quando si trasforma in un piccolo villaggio agricolo mentre viene edificato il grande castrum di Melitene, più vicina all'Eufrate (attuale Eski Malatya).

Thot rivelato


Gli archeologi egiziani hanno scoperto un'enorme statua raffigurante Thot, il dio della saggezza del pantheon egizio. La divinità è raffigurata nelle sue consuete vesti di babbuino.
La statua è alta circa 4 metri ed è stata ritrovata spezzata in quattro parti. Risale alla XVIII Dinastia che governò le sorti dell'Egitto fino al 1292 a.C. ed è stata ritrovata accanto al tempio dedicato ad Amen-Hotep III.

sabato 13 marzo 2010

Il Signore di Tonina


Nella zona archeologica di Tonina, nel Chapas, è stato scoperto un testo ricco di glifi, che riporta il nome complesto del reggente che fondò una delle più importanti signorie militari maya. Il testo, a parere degli studiosi, può essere molto importante nella comprensione della grammatica maya.
Questa importante scoperta va ad aggiungersi alla tomba con sarcofago, recentemente riportata alla luce dagli archeologi dell'Istituto Nazionale di Antropologia e Storia. Il muro che riporta i glifi con l'appellativo reale risale al 708 d.C. ed è stato individuato nei pressi di un complesso architettonico che comprende due camere a volta, in una delle quali è stato ritrovato un sarcofago con al suo interno diversi oggetti tra cui i resti umani ed il ritratto di stucco di K'inich B'aaknal Chaahk, il più potente signore dell'antica città maya.
Il dottor Juan Yadeun Angulo, coordinatore del Progetto di Conservazione e Ricerca di Tonina, ha dichiarato che K'inich B'aaknal Chaahk istituì una delle più grandi signorie della storia maya. Gli studiosi ritengono che il muro ricoperto di glifi sia essenziale nella comprensione dell'antica storia di Tonina, conosciuta, all'epoca maya, con il nome di Po', tra il 680 ed il 715. Vicino al muro, dai colori azzurro e rosso ben conservati, vi è il sedile di un trono.

Primitive amputazioni


Gli archeologi hanno scoperto le prove che gli uomini primitivi praticavano una rudimentale forma di chirurgia, esplorando una tomba del primo Neolitico scoperta a Buthiers-Boulancourt, a 65 chilometri da Parigi.
Lo scheletro di un uomo piuttosto anziano, vissuto circa 6900 anni fa, presenta tracce di amputazione dell'avambraccio sinistro. Il paziente sembra essere stato anestetizzato in condizioni asettiche, il taglio risulta essere stato netto, la ferita curata.
Questa scoperta potrebbe rivoluzionare la storia della chirurgia, dal momento che sono stati scoperti segni di altre due amputazioni in pieno Neolitico sia in Germania che nella Repubblica Ceca.
L'anziano ritrovato in Francia doveva essere un uomo piuttosto importante, dal momento che era stato sepolto assieme ad un'ascia di sisto, un piccone di pietra focaia ed i resti di un giovane animale. Attraverso gli esami dei resti, gli studiosi sono riusciti a stabilire che il braccio è stato amputato perfettamente per mezzo, forse, di una pietra che servì come scalpello. Come anestetico fu utilizzata, forse, la Datura, una pianta allucinogena, mentre altri vegetali vennero utilizzati per pulire la ferita che non pare essere stata contaminata da infezioni. Gli esami hanno permesso di stabilire, anche, che il paziente sopravvisse all'operazione e non fu escluso dal gruppo al quale apparteneva.

venerdì 12 marzo 2010

L'ultimo segreto di Tutankhamon


Il giovane re Tutankhamon sembra veramente non trovare pace. Dopo aver esaminato, per lungo tempo, la sua mummia e le sue ossa adesso è la volta del suo DNA.
Un gruppo di archeologi tedeschi ed egiziani, guidati da Zahi Hawass avrebbero scoperto l'ultimo segreto del giovane faraone. Ma sarà veramente l'ultimo?
Le analisi hanno rivelato che Tutankhamnon sarebbe nato da un'unione incestuosa tra un fratello ed una sorella, entrambi figli di Amen-hotep III e della moglie Tiy. Del resto i matrimoni tra consanguinei non erano una novità, nell'antico Egitto. Lo stesso re Tut (come viene affettuosamente chiamato dagli archeologi) sposò una sua sorella, Ankhesenamon, figlia di Akhenaton e della bellissima Nefertiti. I due feti ritrovati nella tomba scoperta da Carter nel 1922 hanno un DNA che somiglia per il 50% a quello del loro progenitore. Uno dei due feti, inoltre, era affetto da spina bifida di sicura origine genetica.
La genetica potrebbe aiutare anche a capire i problemi fisici di cui soffriva Tutankhamon. Sempre la genetica, attraverso l'esame delle ossa, ha messo la parola fine sulla diatriba, che si trascinava da anni, se il faraone fosse stato assassinato o fosse morto, invece, per un evento naturale. Pare che la discussa ferita al cranio sia stata provocata dagli imbalsamatori e non, come volevano diversi scrittori ed archeologi "di frontiera", da un colpo sferrato al cranio.
Si è potuto anche appurare che Tutankhamon soffriva di una degenerazione del tessuto osseo del piede sinistro ed anche di malaria, che i medici di corte non riuscirono a debellare. Così, spesso, Tutankhamon, di costituzione estremamente fragile, doveva servirsi di un bastone. Probabilmente proprio la sua gracile costituzione fisica fu la causa della rottura di un femore.

giovedì 11 marzo 2010

Prime tracce di religione umana


Nei pressi di Gobekli Tepe, vicino la pianura di Harran, in Turchia, è stato ritrovato un complesso di templi che potrebbe addirittura risalire ad un tempo antecedente la costruzione della Grande Piramide. Si parla, quindi, di 11.500 anni fa, ben 6000 anni prima che Stonehenge fosse edificata.
Gobekli Tepe è un sito molto particolare, al quale sta dedicando la sua vita l'archeologo tedesco Klaus Schmidt. La civiltà che edificò il sito è stata più volte definita "la Roma dell'era Glaciale". Era costituita da cacciatori-raccoglitori che avevano sviluppato una sofisticata cultura religiosa, un'architettura concettualmente avanzata ed una trama sociale estremamente moderna.
Schimdt arrivò qui nel 1994, convinto che il luogo era promettente per poter iniziare degli scavi. "Solo l'uomo può aver creato una collina come questa", sostenne. A Gobekli Tepe si trovano terrazze, cerchi di pietra, pilastri molto alti a forma di "T", monoliti. Sotto il terreno, poi, si celano ancora altre 15 monumentali complessi. Finora sono stati riportati alla luce alcuni dei 50 pilastri di un complesso che, secondo le datazioni, è l'opera d'arte monumentale più antica del mondo. Uno dei pilastri reca incisi dei simboli astratti. Tutte le pietre del sito, poi, sono ricoperte di bassorilievi con sculture raffiguranti piante ed animali.
Schmidt ritiene che Gobekli Tepe sia sorta per motivi di religiosi. Il tempio delle 50 colonne era il fulcro della vita religiosa della città. La scoperta del sito sta rivoluzionando il mondo dell'archeologia, innanzitutto per quel che riguarda la teoria della nascita prima della città e poi dei luoghi di culto che, nel caso di Gobekli Tepe, appare completamente rovesciata
La mappatura genetica del grano che è stata condotta in questo luogo sembra dimostrare che qui siano stati coltivati, per la prima volta nella storia, i cereali. Ed anche i maiali selvatici sono stati allevati qui, per la prima volta, intorno a 10.000 anni fa. Sono state riportate alla luce oltre 100.000 ossa di animali macellati e cucinati sul posto, tra essi gazzelle, pecore, cinghiali, cervi rossi e moltissimi uccelli.
Non sono stati, finora, ritrovati altri siti, nel mondo, che abbiano la stessa antichità e la stessa monumentalità di Gobekli Tepe. Finora è stato riportato alla luce solo il 5% della città ed i lavori di ben tre team archeologici procedono senza sosta.

domenica 7 marzo 2010

Una meraviglia restituita per caso


Nell'insula XI di Pompei sono ritornate alla luce, grazie al crollo di un terrapieno, ben dieci colonne intatte, complete di scanalature e stucco colorato. L'area è prospiciente via dell'Abbondanza e confinante con l'insula XII, dove si trova la Casa dei Casti Amanti. Tra il 14 e il 15 gennaio si è verificato uno smottamento, dovuto alle copiose piogge, che ha riportato alla luce i preziosi reperti.
Le colonne fanno parte del peristilio di una casa, di cui non si conosce la lunghezza e l'ampiezza. Non si conosce, in verità, nemmeno il proprietario della domus, solitamente identificabile attraverso un graffito oppure delle iscrizioni di anelli-sigilli ritrovati in loco.
Ma le sorprese non finiscono qui, perchè lo smottamento ha permesso di riportare alla luce delle nuove stanze le cui pareti sono ricoperte di magnifici affreschi i cui colori predominanti sono quelli tipici del I secolo d.C. nell'area di Pompei: rossi, verdi e neri. Probabilmente si tratta di triclini di rappresentanza. Le pareti e gli affreschi, come le colonne, sono perfettamente conservate.
E' stata, anche, individuata una casa costruita sui resti dell'abitazione in un momento successivo all'eruzione del 79 d.C., quasi a testimoniare un tentativo di tornare a ripopolare i luoghi colpiti da un evento così violento e definitivo.

sabato 6 marzo 2010

Un teatro "ad personam"


Il Teatro di Balbo, a Roma, inaugurato al tempo di Augusto e poco lontano dal Circo Flaminio, è l'edificio più sconosciuto tra quelli dedicati all'intrattenimento nell'antica Roma. Fu costruito nel settore meridionale del Campo Marzio durante gli interventi urbanistici voluti da Augusto.
Il costruttore del teatro, Lucio Cornelio Balbo, nativo di Cadice, in Spagna, di professione banchiere, investì nel progetto una buona parte di quello che aveva guadagnato nella guerra contro la popolazione libica dei Garamanti, sui quali celebrò un trionfo, l'ultimo da parte di un privato cittadino, nel 19 d.C.. I lavori durarono circa quattro anni. Augusto aveva imposto a chi avesse celebrato un trionfo di costruire un monumento con il bottino di guerra. Teatro ed annessa Crypta furono inaugurati nel 13 a.C. e, forse, l'area in cui era stato edificato apparteneva allo stesso Balbo, oppure ad uno zio stretto collaboratore di Giulio Cesare.
Il primo a parlare del Teatro di Blbo è stato Ovidio ma le informazioni più dettagliate le fornisce Plinio il Vecchio, che si sofferma, in particolare, su quattro piccole colonne di onice. L'incendio di epoca Sillana, uno dei tanti che funestò la capitale, probabilmente investì anche l'edificio di Balbo il quale, comunque, andò distrutto in epoca domizianea, quando dovette cedere spazio all'edificio in cui si distribuiva il grano alla popolazione.
Il Teatro di Balbo fu, forse, ricostruito in epoca severiana perchè se ne trova traccia nella Forma Urbis. Da questa antica pianta di Roma, si evince che al di là della cavea dovevano esserci tre templi che gli archeologi hanno identificato, con qualche riserva, con quelli dedicati a Vulcano, Iupiter Fulgur e Iuno Curitis.
Forse il teatro terminò la sua funzione nel V secolo d.C.. Al suo posto sorse un castello, il Castrum aureum e nella vicina Crypta trovò posto la chiesa di S. Maria Domine Rose. Nel XIII secolo parte del castello, il Trullum, era proprietà dei de Stacio.
Nel pieno della sua funzione, il teatro poteva contenere almeno 7700 persone.
Nel Quattrocento il perimetro circolare del Teatro di Balbo era ancora visibile, ma scomparve nel XVI secolo, quando la famiglia Mattei iniziò ad edificare in questa zona.
Anche un teatro analogo, scoperto a Cadice, nel 1980, potrebbe essere stato costruito da Balbo che, in fin dei conti, era originario proprio di quella città nonchè membro di una famiglia del luogo piuttosto nota. Probabilmente quest'edificio venne costruito tra il 30 ed il 20 a.C., un periodo piuttosto oscuro, nella vita di Balbo, che era stato console nel 32 a.C. ed avrebbe combattuto in Africa nel 20. Il teatro di Cadice, dunque, potrebbe essere stato il modello del teatro di Roma

Una misteriosa ed antica divinità


Nei Musei Capitolini, piuttosto defilati, compaiono i resti di un edificio di culto piuttosto particolare. Il tempio fu ritrovato negli anni Trenta del secolo scorso, durante gli scavi per realizzare la congiunzione tra il Palazzo dei Conservatori ed il Palazzo Nuovo. E' un tempio rettangolare e molto ben conservato. La statua di culto che conteneva, anch'essa conservata nei Musei Capitolini, è di marmo bianco.
L'edificio fu votato nel 196 a.C. al dio Veiove dal console Lucio Furio Purpurione, prima della battaglia di Cremona contro i Galli Boi. Furio Purpurione, vittorioso sui Galli, completò, in seguito, l'edificio nel 192 a.C..
Veiove era un'antichissima divinità etrusco-italica, dai tratti simili al greco Apollo. Suoi attributi erano il fulmine, l'animale a lui caro era la capra. Entrambi gli conferivano un'aurea infera, al punto che un'epigrafe lo collega agli dei Mani. Orazio, Aulo e Gellio considerano Veiove un aspetto giovane di Giove (Ve-iove significherebbe, pertanto, "piccolo Giove"). Altri, invece, lo considerano un aspetto negativo Giove (in questo caso Ve sarebbe una negazione).
Veiove era un dio estraneo al pantheon greco-romano, una divinità molto più antica, parte, comunque, del culto dei romani al punto che fu considerato una delle divinità protettrici della gens Iulia. I Romani mostravano un rispetto quasi timoroso per questo misterioso dio che era considerato, anche, il dio delle vittorie. Un rispetto così reverenziale che coloro che, in seguito, edificarono il Tabularium, sul Campidoglio, non si azzardarono a spostare il tempio. Distruggerlo avrebbe portato sfortuna ed attirato la malasorte su Roma. Il tempio di Veiove, pertanto, fu isolato, ergendogli attorno un muro costruito in grossi blocchi di tufo, che aveva il compito di mantenerlo integro rispetto agli edifici circostanti.
La statua di culto che era ospitata nel tempio raffigura un giovane dall'aspetto atletico e dai lunghi capelli. La testa, purtroppo, è andata perduta. Ovidio e Gellio ce ne tramandano la descrizione ed i tratti possono essere dedotti anche da alcuni denari repubblicani che Lucio Cesio battè negli anni della guerra contro Giugurta di Numidia (112-111 a.C.) nonchè da altre monete emesse da Caio Licinio Macer in piena guerra civile tra Mario e Silla.

Un misterioso santuario filisteo


La rivista tedesca "Antike Welt" ha da poco dato notizia di una scoperta straordinaria: il ritrovamento, nella piana costiera di Yavne, a sud di Tel Aviv, di un importante deposito votivo.
Yavne si trova a 25 chilometri da Gerusalemme ed, in epoca romana, era sede del Sinedrio preposto all'emanazione delle leggi ed all'amministrazione della giustizia. La scoperta riguarda un periodo storico in cui la regione era occupata dai Filistei (IX secolo a.C.). In una collina non distante dall'attuale abitato, chiamata piuttosto felicemente "collina del tempio", già nei tempi passati erano emerse, attraverso scavi clandestini, delle curiose figurine in terracotta.
Nel 2000, i lavori di sistemazione dell'area urbana avevano, in parte, divelto la collina, disseminando intorno un gran numero di frammenti di ceramica. Nel 2003 sono intervenuti gli archeologi dell'Israel antiquities Authority, allarmati dall'estendersi degli scavi clandestini, ed hanno riportato alla luce il contenuto di una gheniza o favissa, una fossa rituale nella quale erano deposti anticamente gli oggetti di culto che non si intendeva utilizzare più e che, a causa della loro natura sacra, non potevano subire il destino degli oggetti comuni. Gli archeologi hanno lavorato di fino, recuperando centinaia di frammenti, affastellati gli uni sugli altri, che hanno riempito 60 casse.
A restauro compiuto, solo pochi frammenti non sono stati ricomposti in un oggetto. In complesso gli archeologi hanno rimesso pazientemente insieme ben cento oggetti: incensieri, porta-oggetti cultuali composti da figure umane e, soprattutto, animali quali tori e leoni. Un repertorio iconografico che è in linea con quello noto per l'Età del Ferro II in Palestina. Si pensa che i preziosi reperti appartenessero ad un santuario filisteo che, con ogni probabilità, doveva sorgere sulla collina sulla quale si trova la favissa o nelle sue immediate vicinanze.

L'arma segreta di Alessandro Magno


Un'armatura simile al kevlar, una fibra sintetica più resistente dell'acciaio, potrebbe essere stata l'"arma segreta" di Alessandro Magno, quella che gli avrebbe consentito le sue rapide e strabilianti conquiste.
Secondo uno studio recente, Alessandro ed i suoi fedelissimi indossavano, durante le campagne militari, il linothorax, un tipo piuttosto sofisticato di armatura, formato da strati sovrapposti di lino laminato. Quest'armatura, per gli studiosi, resta ancora un mistero, in quanto non sono giunti fino a noi dei resti sui quali poter effettuare degli studi. Malgrado questo gli archeologi sono riusciti a stabilire che il linothorax fu utilizzato per ben mille anni dalle antiche civiltà mediterranee.
Allo stato attuale vi sono 27 descrizioni da parte di 18 antichi autori diversi e circa 700 immagini riportate sia su vasi greci che nei templi etruschi. La prova più evidente del fatto che Alessandro Magno indossasse il linothorax si trova sotto gli occhi di tutti, è il famoso Mosaico di Alessandro, ritrovato negli scavi di Pompei ed ora conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. In questo mosaico Alessandro è raffigurato con questa sorta di armatura.
Plutarco, nella "Vita di Alessandro", dichiara che il condottiero indossava una "corazza di lino piegato (o doppio)". Altre prove confermano che il linothorax era un equipaggiamento standard delle truppe macedoni.

Il tesoro di Alessandro



Vicino Hierapolis Bambyce, in Siria, nell'ex governatorato di Aleppo, sono state ritrovate 252 monete risalenti al periodo ellenistico: si tratta di 137 tetradracmi e 115 dracme d'argento. Le monete sono state ritrovate in un contenitore di bronzo da un uomo che stava scavando le fondamenta della sua casa.
Su una faccia dei tetadracmi è raffigurato Alessandro Magno, mentre sull'altra vi è Zeus seduto in trono, il braccio disteso su cui è poggiata un'aquila. Dei 137 tetradracmi, 34 recano l'iscrizione greca "Re Alessandro", 81 "Alessandro" e 22 "Re Filippo".
Le dracme recano le stesse immagini incise, 100 di loro con la dicitura "Re Alessandro", le altre 15 con la dicitura "Re Filippo".

venerdì 5 marzo 2010

Antiquissima civitas Volcei


In antico si chiamava Volcei, oggi ha il nome di Buccino ed è un ridente paesino nel salernitano, lungo la valle del fiume Tanagro, affluente del Sele. Il terremoto che sconvolse l'Irpinia nel 1980 ha indotto la popolazione ad abbandonare la metà dell'abitato ed ora emergono le case costruite nel Settecento.
L'uomo lasciò, da queste parti, orme del suo passaggio già nel III millennio a.C.. Nella necropoli di Sant'Antonio, a sette chilometri da Buccino, ha restituito armi in selce ed in rame e ceramiche. A partire dal IV secolo a.C., la collina di Buccino cominciò ad essere stabilmente abitata. Ne sono venute in luce le necropoli, che mostrano una comunità ben organizzata e piuttosto fiorente che deve molto della sua prosperità alla vicinanza con la città di Poseidonia, quella che i Romani chiameranno Paestum.
Nel IV secolo a.C. compaiono, a Volcei, monili e vasellame che provengono proprio dalla città magnogreca di Poseidonia. Proprio nello stesso periodo si afferma, nella città, un'importante famiglia aristocratica. Nell'area sono stati trovate delle terrazze legate al culto dell'acqua e delle sale da banchetto delle quali è tuttora ammirabile il bel mosaico pavimentale, che raffigura dei delfini intorno ad una stella a sei punte.
La polis di Volcei viene fondata alla fine del IV secolo a.C.. E' protetta da mura rinforzate da torri quadrate, al centro delle quali c'era, con tutta probabilità, un bouleterion, un edificio in cui si riunivano i maggiorenti in assemblea.
Un secolo più tardi, Tito Livio racconta che i Volceientes, con gli Hirpini ed i Lucani, si arresero al console Quinto Fulvio consegnandogli i presidi cartaginesi. L'unica punizione, aggiunge lo storico, fu un rimprovero verbale, anche se i fatti sul campo mostrano segni di distruzione ed abbandono del sito (III secolo a.C.). Nel II secolo a.C. alcuni edifici pubblici vennero restaurati, tra questi il macellum, il mercato pubblico. Le tracce di queste riedificazioni sono visibili nel centro storico di Buccino ed al museo. Si può visitare il caesareum, tempio in cui si tributava il culto dell'imperatore e che è attualmente conservato sotto il piano stradale. Nel 178 d.C., l'imperatore Commodo sposò, in prime nozze, Bruzia Crispina, figlia del senatore di origine volceiana Lucio Fulvio Gaio Bruzio Presente.
Ma anche il terremoto ha la sua parte, nella storia di Volcei. Ancor prima di quello del 1980, un terremoto violento cambiò il volto della città, nel I secolo d.C.. Il centro andò progressivamente spopolandosi finquando non venne installato, sul luogo dell'antico abitato, una torre normanna, nel XII secolo. In epoca medioevale Buccino fu feudo dei Lamagna
Il Museo archeologico nazionale di Volcei è intitolato a Marcello Gigante ed occupa l'ex convento degli Eremitani. I reperti più notevoli sono le ceramiche a decorazione geometrica ed i corredi funebri di cavalieri e guerrieri. Si possono ammirare anche gli oggetti provenienti da una particolare tomba, risalente alla fine del IV secolo a.C., chiamata la tomba della "Signora degli Ori". Si trattava di una donna di circa 25 anni, sepolta con oggetti femminili ma anche maschili, come il corredo da banchetto ed alcuni strumenti da palestra (un unguentario e lo strigile in argento). Il pezzo forte, però, è la sala del banchetto, che ricostruisce un ambiente rinvenuto nell'area sacra della necropoli di Santo Stefano. Il pavimento a mosaico della sala, originale e rimontato in loco, è il simbolo che illustra degnamente il culto dei morti all'interno di una famiglia aristocratica del IV secolo a.C. in un paese dell'entroterra magnogreco.

giovedì 4 marzo 2010

Tesori in fondo al mare


Un gruppo di archeologi della Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana e dell'Università di Napoli "Suor Orsola Benincasa", ha scoperto, nell'ambito del progetto ArCoLibia (Archeologia Costiera della Libia), tra le città di Derna e Bomba, non lontano di Tobruk, i resti di una vera e propria città sommersa. Questi giacevano ad una profondità compresa tra uno e tre metri.
Finora è visibile solo un ampio settore del tracciato urbano, gran parte dell'antica città si è inabissata per via di un forte bradisismo negativo. I resti ritrovati dagli archeologi risalgono all'età romana imperiale (II secolo d.C.).
La città sorgeva in un'insenatura riparata, che le consentiva di offrire ancoraggio alle navi che navigavano lungo la costa della Cirenaica, costantemente flagellata da venti e piena di isolotti affioranti. I ruderi, oltre che nelle profondità marine, sono visibili anche sulla terraferma. Per un certo periodo la città basò la sua ricchezza sulla lavorazione della preziosa sostanza estratta dal murex, il mollusco ben conosciuto dai Fenici, che aveva il potere, dopo una particolare lavorazione, di colorare i tessuti di un rosso chiamato porpora. Sono state trovate, infatti, grandissime quantità di murex sia in terra che in mare e sono state anche individuate delle vasche di macerazione rivestite di cocciopesto e colme di sedimenti e di murex.
Pare che le vasche siano state abbandonate all'improvviso, quando ancora i molluschi dovevano terminare il processo di macerazione. Probabilmente questa fretta fu dovuta ad un evento distruttivo: alcuni muri superficiali sembrano quasi essere stati spostati di peso. La data del disastro, secondo gli studiosi, è da fissare al 365 d.C., quando un tragico terremoto sconvolse tutta la Cirenaica.
Le ricerche sott'acqua hanno anche permesso di individuare una parte della necropoli, in cui, grazie all'azione del mare, sono emersi degli scheletri. Una delle tombe, ritrovata sulla battigia, conservava un ricco corredo che non fa che confermarela prosperità del centro urbano nei periodo II-III secolo d.C.

mercoledì 3 marzo 2010

Un Amenhotep III colossale

E' stata scoperta una testa colossale appartenente ad una statua, altrettanto colossale, di Amenhotep III (1390-1352 a.C.) nel suo tempio a Kom el-Hettan, nei pressi di Luxor, in Egitto.
Il pezzo misura 2,5 metri di altezza e reca, visibili, tracce di colore rosso sull'ureus, il cobra, simbolo dello stesso potere faraone. Si pensa che la statua completa rappresentasse il faraone in piedi con le braccia incrociate sul petto e nelle mani i simboli del potere. Amenhotep III reca lo hedjet, la corona bianca dell'Alto Egitto, la sua barba cerimoniale è rotta, ma gli archeologi sperano di trovarla sotto le macerie del tempio

lunedì 1 marzo 2010

Le sorprese di Città del Messico, il tempio di Ehecatl

Dietro la cattedrale metropolitana di Città del Messico, gli archeologi hanno riportato alla luce i resti di un tempio circolare del diametro di 14 metri. Forse si tratta del più importante tempio edificato in onore di Ehecatl, la divinità atzeca del vento.
Raul Barrera Rodriguez, direttore degli scavi, afferma che il ritrovamento conferma la vastità della zona sacra di Tenochtitlan, pari a circa 500 metri quadri. Due sono i livelli di costruzione riconoscibili dagli scavi. Il primo è datato al sesto ampliamento del Templo Mayor (1486-1502 a.C.), nel momento di massimo splendore della civiltà Azteca. Il secondo livello coincide con la venuta degli spagnoli.
Con i resti del tempio sono stati ritrovate tracce di una scultura di Miquixtli, la dea della morte che, assieme ad altri elementi, venne utilizzata per edificare case coloniali.

Gli affreschi della catacomba di Santa Tecla


Le catacombe di Santa Tecla, sulla via Ostiense, a Roma, stanno riservando diverse sorprese per gli studiosi di archeologia sacra cristiana. Le voci che si rincorrono parlano di un cubicolo con le raffigurazioni di due apostoli, forse Giacomo e Giovanni, forse Daniele nella fossa dei leoni.
Gli studiosi stanno operando con il laser per rimuovere la patina calcarea dagli affreschi e riscoprire la volta dell'ipogeo.
La via Ostiense è il luogo nel quale San Paolo e San Pietro si incontrarono per l'ultima volta. Di questo incontro rimane una lapide marmorea che ricorda il sito, al civico n. 124, davanti all'ingresso della centrale Montemartini.
Le catacombe di Santa Tecla si dice contengano centinaia di resti di cristiani che vollero essere inumati accanto alla santa che non è l'omonima, amica di San Paolo. Alcuni studiosi ritengono che la Tecla qui venerata è una Tecla di Iconio, sepolta e venerata a Seleucia, attuale Selefkie, in Asia Minore. La santa venne convertita da San Paolo e le sue spoglie, dopo la sepoltura in Asia Minore, vennero prelevate e portate a Roma.
Lo studioso Fasola, invece, ritiene che Tecla sia una martire romana rimasta vittima delle persecuzioni di Diocleziano. Egli esclude che eventuali reliquie di una Tecla abbiano viaggiato da Seleucia a Roma.
Il fulcro delle catacombe di Santa Tecla è una piccola basilica sotterranea in cui è custodita la sepoltura della martire. Da qui si diparte una serie di gallerie. La piccola basilica è stata impiantata sfruttando un complesso sepolcrale preesistente, allargandone una galleria, sollevandone la volta e creando, lungo le pareti, altre nicchie. Il sepolcro di Tecla è un importante arcosolio con un grande lucernaio per illuminare il luogo dove era stata sepolta la santa.

Turchia, gli "inviti" di Antioco I di Commagene...

Turchia, l'iscrizione di Antioco di Commagene (Foto: AA) Un'iscrizione trovata vicino a Kimildagi , nel villaggio di Onevler , in Tu...