sabato 30 novembre 2013

Ritrovati resti del primo tempio buddhista a Lumbini

Lumbini, il luogo dove, secondo la tradizione,
nacque il Buddha
In Nepal gli archeologi hanno scoperto una struttura che si trova sul luogo dove, secondo la tradizione, nacque il Buddha. Le strutture risalgono al VI secolo a.C. e sarebbero le prime ricollegabili alla vita di Buddha. Gli scavi sono curati dalla Durham University all'interno del tempio sacro di Maya Devi a Lumbini, sito patrimonio mondiale dell'Unesco,  che si ritiene da lungo tempo il luogo di nascita del Buddha. I resti ritrovati giacevano sotto una serie di templi costruiti in mattoni.
La struttura, che mostra la stessa planimetria delle costruzioni che vi si sovrapposero successivamente, era in legno e conteneva uno spazio aperto al centro che pare essere collegato direttamente alla storia della nascita di Buddha. Finora le uniche prove di strutture buddiste a Lumbini erano datate al III secolo a.C., al tempo dell'imperatore Asoka, che promosse la diffusione del Buddhismo negli attuali Afghanistan e Bangladesh.
Diverse tradizioni fanno risalire la nascita del Buddha al III secolo a.C., le scoperte attuali, invece, mostrano l'esistenza del credo predicato dal profeta già a partire dal VI secolo a.C.. Il Professor Coningham, ricercatore responsabile del Dipartimento di Archeologia dell'Università di Durham, che ha lavorato con il Professor Kosh Prasad Acharya del Pashupati Area Development Trust del Nepal, ha affermato che la scoperta appena fatta può contribuire in modo determinante ad una maggiore comprensione degli inizi della diffusione del buddhismo e della spiritualità nel Nepal.
Per datare la struttura in legno preesistente a quelle in mattoni, sono stati analizzati frammenti di carbone e granelli di sabbia, utilizzando una combinazione di radiocarbonio e tecniche di luminescenza otticamente stimolata. Le ricerche hanno inoltre confermato la presenza di antiche radici al centro dello spazio vuoto della struttura.
La tradizione buddhista vuole che la regina Maya Devi, madre del Buddha, lo abbia dato alla luce tenendosi ad un ramo di un albero del giardino di Lumbini, a metà strada tra il regno di suo marito e quello dei suoi genitori. I ricercatori sostengono che lo spazio aperto individuato all'interno della struttura in legno, potrebbe aver ospitato un albero. I templi successivi, edificati al di sopra dei resti del primo tempio ligneo, si sono disposti attorno a questo spazio centrale, che rimase non coperto.
Perduta per lungo tempo nella giungla nepalese, Lumbini è stata riscoperta nel 1896 ed identificata come il luogo di nascita del Buddha grazie ad un pilastro in arenaria del III secolo a.C., visibile tuttora, con un'iscrizione che documenta la visita dell'imperatore Asoka nel luogo di nascita del profeta e il nome del luogo, Lumbini, appunto.
Le indagini archeologiche sono state finanziate dal governo giapponese in collaborazione con quello del Nepal, nell'ambito di un progetto dell'Unesco volto a promuovere la conservazione e la razionale gestione di Lumbini. La ricerca è stata sostenuta anche dalla National Geographic Society e dalla Stirling University.

Vesti cinesi di duemila anni fa

Una delle mummie di Xinjiang
Gli archeologi cinesi hanno recuperato, con estrema attenzione, capi di vestiario di 2200 anni fa. I vestiti appartenevano a quattro mummie e sono stati recuperati per evitare che si deteriorassero con i resti dei loro proprietari.
Finora gli archeologi hanno scoperto tre teschi e alcuni resti di mandibola di dimensioni differenti che, pensano, appartenevano a un uomo, due donne ed un bambino. Potrebbe trattarsi dei componenti di un nucleo familiare sepolti insieme. Tra i vestiti recuperati vi sono pantaloni di lana, mantelle in maglia, cappotti in tessuto, sciarpe di seta e stivali di pelle di pecora dai colori vivaci, che restituiscono un'incredibile ed insolito quadro dell'epoca in cui furono confezionati.
E' stata ritrovata anche una cintura marrone e rossa in pelle e lana decorata con seta verde, che doveva appartenere al defunto di sesso maschile. Le mummie femminili, invece, indossavano cappotti in lana con sciarpe di seta. Alcune pietre di agata, ritrovate nelle sepolture, facevano forse parte di una collana. Si trattava, senza ombra di dubbio, visto il valore dei reperti recuperati, di una famiglia aristocratica. I resti sono venuti alla luce in un cantiere per la costruzione di un'autostrada nella regione autonoma di Xinjiang Uygur, a nordovest della Cina, nel 2007.
Il sito ha finora restituito circa 31 sepolture contenenti individui accompagnati, nel loro ultimo viaggio, da grandi quantità di tessuti di seta e di lana e persino una gamba artificiale, la prima protesi al mondo. Test di laboratorio hanno confermato che i resti appartengono al periodo della Dinastia Han Occidentale (2200-2500 anni fa). Gli archeologi che operano sul sito hanno preferito asportare il vestiario per evitare che si deteriorasse con le mummie. Le vesti sono rimaste praticamente intatte grazie al clima e alle caratteristiche geografiche della regione di Xinjiang, conosciuta per essere una regione dal clima secco e dalle numerose formazioni sabbiose, che hanno permesso la rapida disidratazione dei cadaveri e la loro conservazione.

giovedì 28 novembre 2013

Ritrovata una statua nell'antico foro di Plovdiv

Particolare della statua romana rinvenuta a Plovdiv
(Foto: Sofia Globe)
Gli archeologi che stanno scavando nel sito di epoca romana della città di Plovdiv, in Bulgaria, hanno scoperto una statua che si presume risalga al IV secolo d.C.
La statua, a grandezza naturale, rappresenta un alto magistrato con in mano un rotolo. Si tratta del primo ritrovamento di questo tipo a Plovdiv. In precedenza erano stati scoperti solamente frammenti di statue che, nel Medioevo, erano stati utilizzati per costruzioni varie. La statua in questione era stata probabilmente eretta durante l'ultimo periodo di frequentazione del foro romano, prima che l'ascesa del cristianesimo attirasse l'attenzione sulle chiese.
Una volta che la statua sarà completamente riportata alla luce e restaurata là dove necessario, verrà esposta presso il museo archeologico di Plovdiv.

martedì 26 novembre 2013

Ritrovati scheletri bizantini in Turchia

Gli scheletri ritrovati a Safranbolu (Foto: DHA)
Scheletri di epoca bizantina sono stati ritrovati durante i recenti scavi a Safranbolu (in greco Saframpolis), nel distretto di Karabuk, in Turchia.
Gli scavi sono diretti dal Professore Associato Sahin Yildrim e sono iniziati nel 2011, interessando quasi subito il tumulo di Goztepe. La ricerca ha permesso il ritrovamento degli scheletri di due donne e due uomini all'interno del tumulo, scheletri che si pensa risalgano al IV secolo d.C.. Il professor Yildrim ha affermato che la collina risalirebbe a 2500 anni fa.

Nuova basilica paleocristiana a Cipro

Rovine della basilica paleocristiana dell'antica
Kourion, a Cipro (Foto: mahout)
Il Dipartimento delle Antichità di Cipro ha dato l'annuncio della scoperta di una basilica di VII secolo d.C., dopo sei anni di scavo. Gli archeologi continuano ad estrarre dal terreno reperti e rovine a testimonianza dell'enorme importanza rivestita dall'edificio religioso.
Al massimo della sua espansione, la basilica doveva raggiungere la grandezza dell'Abbazia di Westminster. I ricercatori ritengono che la chiesa risalga al 616 d.C. e che fosse un centro importante di "smistamento" di reliquie sacre provenienti da Gerusalemme. Inoltre vanta la presenza di mosaici eccezionali, ora protetti da una speciale ghiaia, marmi, bronzi e statue.
La scoperta dell'edificio religioso può riscrivere la storia di Cipro nel VII secolo d.C., anche se la sua vita fu estremamente breve, circa 30 anni, passati i quali venne abbandonato e distrutto.

lunedì 25 novembre 2013

Ritrovato antico cimitero in Armenia

Veduta aerea del sito di Karmir Blur a Yerevan
(Foto: Public Radio of Armenia)
Un enorme cimitero è il risultato di tre anni di scavi archeologici nell'antico sito di Karmir Blur, a Yerevan, in Armenia. Questo ritrovamento riveste un'importanza notevole per gli archeologi, poiché i reperti rinvenuti potrebbero fornire una risposta ad una serie di domande sulla popolazione che abitava la zona e sui suoi rituali di sepoltura.
Kamir Blur o Teishebaini era, nel V secolo d.C., la capitale del Regno di Van, meglio noto come Urartu, che si trova vicino l'attuale città di Yerevan, in Armenia. Nessuna necropoli era stata, finora, ritrovata in quest'enorme territorio. I lavori per la costruzione di un'autostrada hanno permesso, però, di far emergere dal terreno, per la prima volta, quello che gli archeologi andavano cercando da anni.
Nel luogo dove dovrebbe essere costruita la strada sono emerse 500 tombe. Ma la città di Karmir Blur custodisce anche altri tesori, quali dei grandi depositi di grano e delle dispense per custodire le riserve di vino. Tra gli elementi più importanti ritrovati dagli archeologi vi sono quattro idoli, in realtà piastrelle in tufo con fori a forma di occhi. Gli archeologi pensano che si tratti di idoli posti a protezione della pace dei defunti.
Gli studiosi non sono ancora in grado di stabilire se coloro che erano seppelliti nel grande cimitero di Karmir Blur fossero dello stresso gruppo etnico o appartenessero a diverse "nazionalità", poiché i test del Dna sono ancora in corso. 

I macabri segreti delle grotte spagnole

Uno degli scheletri ritrovati in Spagna (Foto: Università di Barcellona)
Gli scavi nella grotta Can Sadurni, nei pressi di Barcellona, hanno riportato alla luce quattro scheletri umani risalenti a circa 6400 anni fa, sepolti a seguito di uno sconosciuto rituale funerario. Alcune delle grotte circostanti sono, in realtà, antiche necropoli risalenti al Neolitico Medio.
I resti ritrovati sono particolarmente importanti, in quanto gli scheletri sono quasi del tutto intatti. Una frana li ha sepolti nel momento in cui cominciava il processo di decomposizione, proteggendo i cadaveri e permettendo che essi arrivassero fino a noi praticamente integri, nella posizione in cui erano stati sepolti. I resti appartengono ad un uomo di circa 50 anni di età, un giovane e due bambini, uno di circa 3-4 anni, l'altro di 5-6. L'uomo più anziano era accompagnato da diversi oggetti di corredo: un vetro ovoidale con due manici ed i resti di due capre e un vitello. Sotto il braccio sinistro dell'uomo, vicino al gomito, è stato ritrovato un ciondolo d'osso smaltato.
Gli scheletri giacevano in posizione fetale, con le spalle rivolte alla parete nord della grotta. Gli arti inferiori sono stati piegati, le ginocchia poste all'altezza del torace. Le braccia erano piegate tra le gambe. Per mantenere questa posizione i cadaveri potrebbero essere stati legati ed avvolti in una sorta di sudario. Nel 1999, nello stesso luogo, i ricercatori hanno ritrovato il frammento di una tazza che, analizzato con le tecniche moderne, ha permesso di individuare tracce di fitoliti di orzo e di mais che hanno fatto pensare alle tracce della fermentazione della più antica birra mai ritrovata in Europa.

domenica 24 novembre 2013

Una lettera per l'aldilà...

Stralcio della lettera scritta dalla vedova di Eung-tae, membro
dell'antico clan Goseong Yi (Foto: Andong National University)
Una poetica lettera d'amore scritta da una donna coreana, rimasta vedova, è stata ritrovata accanto al corpo mummificato del marito. A trovarla, con il destinatario della missiva, sono stati gli archeologi della Andong National University.
La sepoltura maschile risale al XVI secolo ed è situata nella città di Andong, nella Corea del Sud. E' stata scoperta nel 2000. Il defunto è stato identificato come Eung-tae e sono state ritrovate ben tredici altre missive a lui indirizzate, nella sua sepoltura.
La lettera della vedova di Eung-tae era indirizzata al "Padre di Won", come si sarebbe chiamato il bambino che la donna stava per avere e che non avrebbe mai conosciuto il padre, ed era stata deposta sul petto del defunto. La missiva risale al 1568 d.C., trenta anni prima che Shakespeare scrivesse la celeberrima tragedia d'amore "Giulietta e Romeo". Nella lettera, la vedova di Eung-tae gli chiede perché l'ha lasciata sola e lo prega di venirle in sogno. "Io non posso vivere senza di te. Voglio raggiungerti. Per favore, portami dove sei ora. Non posso dimenticare i sentimenti che mi hanno legata a te in questo mondo e il mio dispiacere non conosce limiti".
Eung-tae era, in vita, un uomo molto più alto della media dei Coreani. Si sono ben conservate sia la sua barba che la sua pelle. Aveva baffi scuri ed una vita sentimentale davvero piena. Accanto al corpo di Eung-tae, gli archeologi hanno scoperto un pacco contenente pantofole fatte di capelli; sulla carta che le avvolgeva c'è scritto "ho intessuto queste con i miei capelli" e "prima che tu fossi in grado di indossarle". Quella di confezionare pantofole con i capelli umani è una tradizione coreana, che la considera un simbolo di amore e di speranza.

La pedina del re...

La pedina da gioco ritrovata nel villaggio di Lyminge, nel Kent
(Foto: Design and Print Studio/University of Reading)
Un oggetto molto prezioso, all'epoca, che dimostra la perizia dell'artigiano che lo ha creato, sicuramente importato d'oltre Manica, è quello che gli archeologi hanno ritrovato a Lyminge, un villaggio del Kent. Si tratta di un piccolo pezzo da gioco risalente al VII secolo d.C., ritrovato in una lussuosa residenza anglosassone.
E' stato ritrovato solo quest'unico pezzo da gioco, anche se altri sono stati rinvenuti, in precedenza, in sepolture anglosassoni. Alcuni archeologi ritengono, addirittura, che la fattura della pedina da gioco sia italiana, lombarda per la precisione. Le pedine, realizzate con osso o legno, erano molto comuni, all'epoca, in Inghilterra. Il pezzo ritrovato, invece, è stato ricavato dalla parte cava di un osso, le cui estremità sono state chiuse con tappi di legno torniti in modo raffinato e resi stabili mediante l'inserzione di una spilla in bronzo al centro.
La pedina è stata ritrovata tra i resti di uno dei padiglioni di legno adiacenti una grande sala da banchetto, le cui fondamenta giacciono sotto il parco cittadino di Lyminge. Qui sono stati recuperati anche frammenti di ceramica, ossa di animali, oggetti in bronzo, gioielli e vetro. Alcuni preziosi sono stati ricavati da gioielli più antichi, di origine romana.
Gli Anglosassoni erano accaniti giocatori di giochi da tavola e di giochi d'azzardo. Molti sono stati sepolti con i loro dati o i loro pezzi da gioco. Gli altri pezzi da gioco rinvenuti nel Kent, sono emersi da una sepoltura aristocratica scavata nel Buckinghamshire. Si tratta di dieci pezzi che erano stati posti sotto i piedi del defunto, ora custoditi al British Museum.
La sala banchetti anglosassone ritrovata a Lyminge è talmente grande da contenere almeno 60 persone. Gli scavi dell'estate scorsa sono stati finanziati dall'Arts and Humanities Research Council. I pavimenti della sala erano in piastrelle tenute insieme da malta tritata, comune anche alle prime chiese anglosassoni.

sabato 23 novembre 2013

Donne-sacerdotesse nelle prime comunità cristiane?

Catacombe di Priscilla, una sacerdotessa cristiana?
La riapertura di alcune catacombe romane ha riacceso, tra gli studiosi, il dibattito sul sacerdozio femminile nelle prime comunità cristiane.
Alcuni affreschi delle Catacombe di Priscilla mostrano dei gruppi di donne che, per alcuni studiosi, sembrano svolgere dei riti religiosi, fungendo da sacerdotesse. Cinque anni di restauri hanno permesso di rivelare maggiori particolari sugli affreschi di queste catacombe, che sembrano dar credito alla "voce" che anche le donne fossero ammesse al sacerdozio attivo tra i primi cristiani. Il Vaticano ha respinto questa tesi bollandola come una leggenda.
Le Catacombe di Priscilla sono state scoperte nel XVI secolo e sono note per la presenza della più antica immagine conosciuta di Madonna con Bambino, risalente al 230-240 d.C.. Il percorso delle gallerie, scavate nel tufo, è di circa 13 chilometri, le sepolture - databili ad un periodo compreso tra il II e il IV secolo d.C. - sono disposte su più livelli.
A destare la curiosità degli studiosi sono state, in particolare, due camere, oggetto di dibattito per molto tempo. In una di queste, il Cubiculum della Velata, compare l'immagine di una donna con le braccia aperte come se stesse celebrando una messa. La figura indossa quello che alcuni studiosi ritengono essere gli indumenti propri dei sacerdoti. In una seconda stanza, la cosiddetta Cappella Greca, un gruppo di donne sono sedute ad un tavolo, tengono le braccia aperte e celebrano quello che sembra essere un banchetto.
Catacombe di Priscilla, donne a banchetto
Le organizzazioni fautrici del sacerdozio femminile, come la Conferenza per l'Ordinazione delle Donnne e l'Associazione Cattolica Romana delle Donne Sacerdoti, sostengono che queste scene sono la prova dell'esistenza, tra i primi cristiani, di una forma di sacerdozio femminile.
Fabrizio Bisconti, della Commissione Archeologica Vaticana, ha, invece, affermato che l'affresco della donna con le braccia spalancate rappresenta una donna deceduta arrivata in paradiso, mentre le donne sedute a tavola stanno semplicemente prendendo parte ad un banchetto funebre.
Sulle tombe comuni, nelle catacombe, le iscrizioni erano in greco o in latino. Nel caso non vi fossero epigrafi, i parenti del defunto deponevano degli oggetti che potessero facilitare la sua identificazione. Nel primo piano delle Catacombe di Priscilla erano sepolti i martiri e, pertanto, solo qui si trovano delle piccole stanze dette "cubicula", tombe di famiglie benestanti. Negli affreschi sono spesso raffigurate scene bibliche tratte dall'Antico e dal Nuovo Testamento.
Interno degli ambienti affreschi delle Catacombe di Priscilla
(Foto: La Stampa)
Le Catacombe di Priscilla si formarono da tre nuclei che, in origine, erano indipendenti e separati tra loro: un arenario, il criptoportico di una villa e l'ipogeo degli Acilii Glabrioni. E' uno dei più estesi ed antichi complessi sepolcrali cristiani di Roma ed al suo interno trovarono sepoltura anche alcuni papi. Nell'indice degli antichi cimiteri cristiani dell'Urbe (Index coemeteriorum) le catacombe sono indicate anche come Cimitero di Priscilla a San Silvestro, in riferimento alla basilica ivi costruita nel IV secolo per onorare la sepoltura dei martiri Felice e Filippo e di papa Silvestro. Le catacombe devono il loro nome ad una nobile donna romana, appartenente all'influente e ricca famiglia degli Acilii Glabriones. Nell'ipogeo di quest'antica gens vi è un'iscrizione che menziona una "Priscilla Clarissima", con "Manius Acilius Verus Clarissimus", un appellativo, quest'ultimo, ricorrente nelle famiglie di rango senatorio.
Le gallerie cimiteriali della Catacomba di Priscilla si articolano su due piani, dei quali il superiore è quello più antico e segue l'andamento dei cunicoli in arenaria scavati dai cristiani. Il piano inferiore, invece, ha una pianta a spina di pesce, molto più regolare del primo, a indicare l'obbedienza a schemi più ordinati e razionali. Il piano sotterraneo comprende tre ipogei primitivi del II secolo d.C. ed in uso fino al IV secolo d.C.
L'ipogeo degli Acilii è formato da una larga galleria sotterranea resa accessibile da una scala in muratura. Le pareti contengono le nicchie per le sepolture alle quali, tra il III e il IV secolo d.C., si affiancano le tombe ad arco con muratura in laterizio e decorazioni musive. La galleria dà accesso ad una grande camera che, in origine, era servita probabilmente come riserva d'acqua ma che venne utilizzata anch'essa a scopo funerario. Attraverso uno stretto corridoio laterale si accede ad un ambiente di IV secolo d.C., dove sono conservati ancora i sarcofagi in marmo delle sepolture degli Acilii.
Catacombe di Priscilla, la più antica immagine di Madonna con Bambino
Svetonio, nella sua "Vita di Domiziano" narra che durante il suo principato Domiziano condannò a morte un gran numero di senatori, tra i quali figura Manlio Acilio Glabrione, accusati di voler introdurre "cose nuove". Un'accusa estremamente generica che, insieme a quella di ateismo e di giudaismo, era assai frequente nei confronti dei cristiani. Manlio Acilio Glabrione fu console nel 91 d.C. con Traiano, futuro imperatore.
La basilica dedicata a papa Silvestro, che risulta tra i pontefici sepolti nelle Catacombe di Priscilla e che fa parte del complesso monumentale delle Catacombe, si compone di due ambienti, uno dedicato al culto e l'altro utilizzato, durante il restauro del complesso cimiteriale che ha coinvolto, in parte, anche la basilica, come deposito del materiale scultoreo. Quest'ultimo contiene 700 frammenti di sarcofagi provenienti dalla necropoli che, in epoca tardo imperiale, si estendeva in questo tratto della via Salaria Nova.
Il restauro delle Catacombe è stato curato dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. Presto i corridoi di questo esteso complesso cimiteriale saranno "percorribili" anche virtualmente attraverso una nuova sezione di Google Maps, Views Priscilla, che permetterà di accedere e di muoversi nei vari ambienti alla scoperta dei tesori che contengono.

Il mistero della tenuta di Tel Kabri

L'ala occidentale del palazzo cananeo di Tel Kabri
(Foto: Skyview)
Tel Kabri, nel quale è stata fatta la sorprendente scoperta di giare contenenti resti di vino aromatizzato, è un sito archeologico che si trova a circa cinque chilometri dalla costa del Mediterraneo. Il sito è noto soprattutto per l'esistenza di un palazzo molto articolato. Non si conosce il nome antico di questa località.
Il palazzo sembra essere stato edificato nel Bronzo Medio ed essere stato abitato ininterrottamente per 250 anni, dal 1850 a.C. al 1600, quando una catastrofe naturale - probabilmente un terremoto - lo distrusse. Non è stato trovato alcun sigillo e nemmeno un'iscrizione che menzioni questo edifcio di 6.000 metri quadrati di superficie, con diverse stanze e sale per banchetti. Il Professor Assaf Yasur-Landau, dell'Università di Haifa ed il Dottor Eric H. Cline della George Washington University, direttori dello scavo, propendono a pensare che si tratti di un palazzo abitato dall'èlite cananea.
Ortostrato dell'edificio di Tel Kabri
(Foto: Dig Tel Kabri 2013)
Di questa popolazione dell'area mediorientale non esistono molte informazioni, né si sa che tipo di governo avesse. Nemmeno si conosce quale fosse il tipo di scrittura adottata. Le poche tavolette che si posseggono, sono in scrittura cuneiforme e per lo più provengono da Tel Hazor, un sito in cui l'influenza della cultura siriana era preponderante.
Quanto ritrovato in Israele che risale ad un'età antecedente a quella del Ferro non fa pensare ad una società alfabetizzata. Questa regione era stata quasi sempre sotto il dominio egiziano o della civiltà mesopotamica, entrambe civiltà molto avanzate, infatti la scrittura cuneiforme di origine mesopotamica è stata utilizzata nella regione in questione negli ambienti amministrativi e nei rapporti internazionali. Il "sistema cuneiforme", come lo chiama il Professor Assaf Yasur-Landau, durò per più di 3500 anni e fu "esportato" con la visione mesopotamica della vita e della società nelle terre assoggettate.
Il Professor Yasur-Landau, però, ritiene che le prove archeologiche dimostrino che i Cananei erano sostanzialmente al di fuori dell'influenza del "sistema cuneiforme" e svilupparono una diversa forma di predominio e di amministrazione del territorio basata sul dominio dei cosiddetti palazzi, misteriosamente scomparsi. Questi palazzi edificati dalle antiche genti cananee erano molto diversi dagli edifici vicini costruiti per analoghi scopi.
Frammenti di intonaco provenienti dal palazzo
(Foto: Nurith Goshem)
Normalmente nel Vicino Oriente i palazzi costituivano le dimore per la famiglia reale ed erano, al contempo, una sede amministrativa, con archivi, magazzini e unità abitative. Il palazzo era, perciò, al centro di una redistribuzione delle risorse agricole ed umane nonché dell'amministrazione del governo. Queste attività, nel Vicino Oriente, si avvalevano dell'uso dell'alfabeto cuneiforme. Solo in Israele vi era una diversa amministrazione e struttura palaziale, ma anche, probabilmente, un alfabeto differente.
Non vi era, nell'allora Levante, un sistema di ridistribuzione delle risorse, non vi erano palazzi con magazzini e con laboratori artigiani. Forse è vero quello di cui si lamentava il faraone Merikare durante il Medio Regno: il Levante era una terra difficile, costantemente flagellata dalle guerre e sostanzialmente priva di un'autorità centrale.
Oltre un secolo di scavi nella regione hanno, però, accertato che nell'antico Levante erano esistiti i grandi palazzi, ma avevano prosperato prima dell'arrivo della scrittura cuneiforme ad uso amministrativo. In questo modo la cultura del luogo poté sviluppare un sistema organizzativo e di potere diverso, se non opposto, a quello mesopotamico ed egizio. Nel Levante arrivarono prima i palazzi, seguiti dall'urbanizzazione e, per ultima, dalla scrittura. Ed anche quando quest'ultima si diffuse fu solo raramente utilizzata a fini amministrativi.
Scavi 2011 dell'Università di Haifa a Tel Kabri
(Foto: Hanay/Wikicommons)
L'unica informazione pervenutaci dei governanti Cananei è contenuta nelle cosiddette lettere di Amarna, risalenti alla metà del XIV secolo a.C.. In questi documenti i governanti cananei non vengono citati con l'appellativo di re (tranne il governante di Hazor, chiamato re forse perché inserito pienamente nella cultura siriana dell'epoca), tant'è vero che gli studiosi e gli archeologi hanno coniato l'espressione "il problema del sovrano mancante" per definire questa civiltà ancora misconosciuta.
Elementi di studio che provengono da diverse discipline quali l'archeologia e la zooarcheologia, dimostrano che nei suoi 250 anni di vita Tel Kabri si è sviluppata da villaggio in piccola città, con l'aggiunta di fortificazioni che servivano a proteggere gli abitanti che vi vivevano. Interessante e notare che a Tel Kabri le fortificazioni furono edificate dopo che fu costruito il palazzo. Probabilmente perché il governatore locale aveva rafforzato notevolmente il suo potere. A questa fase di rafforzamento difensivo, seguì la fase del palazzo vero e proprio. I resti rinvenuti sui pavimenti hanno fatto pensare ad una sostanziale continuità abitativa, le vecchie strutture sono state riutilizzate e riadattate ai nuovi usi.
Planimetria dell'area ovest del palazzo del Bronzo Medio di Tel Kabri
(Foto: DigKabri 2009)
Quando il palazzo divenne più complesso, si arricchì anche dal punto di vista architettonico. Nel XVII secolo a.C., infatti, le sue pareti vennero decorate con affreschi di stile egeo, con paralleli come quelli di Tel el-Dab'a, in Egitto. All'interno del palazzo, oltre alle molte sale e ad un piccolo tempio, sono stati individuati, dagli archeologi, anche dei quartieri residenziali, posti probabilmente al piano superiore, crollato durante quello che si pensa essere stato un forte terremoto che portò alla distruzione dell'intero edificio. La recente scoperta delle anfore di vino contenute nel piccolo deposito annesso ad una delle sale per banchetti, porta a confermare l'ipotesi che l'economia di questo palazzo non era basata sulla ridistribuzione delle risorse, in quanto il contenuto dei magazzini era sufficiente appena per soddisfare le esigenze dell'èlite governante.
Il Professor Yasur-Landau pensa che Tel Kabri dovesse essere una sorta di tenuta, più che un palazzo. La tenuta di una famiglia molto in vista, arricchitasi con i commerci con altre famiglie, con la concessione di credito e l'accumulo di immobili e terreni. Per questo lo studioso crede che all'interno del palazzo-tenuta vivessero solo poche decine di persone, in un estremo lusso e con a disposizione un vasto spazio.
Malgrado la vicinanza della più evoluta Tel Hazor, nulla del sistema amministrativo e degli archivi, nonché della documentazione scritta di questo ricco vicino è arrivato a Tel Kabri, poiché quest'ultima si sviluppò pienamente prima dell'arrivo del sistema cuneiforme. Quello su cui stanno lavorando i ricercatori è il sistema di governo di questi antichi Cananei, apparentemente basato su una sorta di obbligo da parte di un piccolo gruppo di persone nei confronti di alcuni "sudditi", senza ricorso allo stoccaggio e alla ridistribuzione delle risorse. Il che ha portato il Professor Yasur-Landau a pensare che i Cananei facessero parte di una sorta di "civiltà diffusa" nel Mediterraneo, piuttosto che essere una popolazione esclusiva del Vicino Oriente Antico.

Vino cananeo?

Resti delle anfore contenenti tracce di vino aromatizzato ritrovate
nel sito cananeo di Tel Kabri
E' stata scoperta in Israele, da alcuni archeologi, la cantina più antica conosciuta del Medio Oriente. Il vino che si beveva all'epoca aveva, si pensa, il sapore dell'attuale Bordeaux e del Chianti, è stato conservato grazie all'utilizzo di resina ed erbe aromatiche quali ginepro, menta e mirto. Il vino attuale più vicino a questa bevanda è la Retsina, vino greco aromatizzato con resina di pino.
Il ritrovamento è considerato importante per quel che rivela della cultura degli antichi Cananei. Testi ed iscrizioni antiche menzionano vini a base di erbe ma l'attuale ritrovamento è il primo vino aromatizzato mai trovato finora.
Il ritrovamento è stato effettuato in un sito chiamato Tel Kabri, nel nord di Israele, dove gli archeologi hanno scavato i resti di un palazzo risalente al 1700 a.C., costruito e occupato dai Cananei. Il palazzo venne distrutto nel 1600 a.C. da un cataclisma improvviso, forse un terremoto, che schiacciò il deposito di vino, celandolo nel terreno. Gli archeologi hanno scavato in un terreno che si trovava, un tempo, fuori dalle mura del palazzo e qui hanno ritrovato un grande vaso di circa un metro di altezza, coricato su un fianco.
Non è stato il solo a ritornare alla luce, gli archeologi ne hanno trovati altri 39, sepolti accanto al primo, ed hanno stimato che un tempo tutti quanti erano stipati in una sorta di cantina di 5 metri per 8. Presso il sito dello scavo, il ricercatore Andrew Koh della Brandeis University, specializzato in chimica archeologica, ha preso i reperti dei vasi e li ha trattati con dei solventi per poter estrarre il materiale organico che era stato assorbito dall'argilla. Il materiale è stato, in seguito, inviato negli Stati Uniti per determinare quale fosse il contenuto dei vasi. I ricercatori hanno sottoposto a test tutti i contenitori che hanno ritrovato.
Le analisi hanno confermato che gli orci contenevano proprio del vino, unitamente a delle resine che dovevano servire alla sua conservazione. Oltre a questo elemento, le analisi hanno riscontrato la presenza di miele, ginepro, menta, corteccia di cannella ed altre erbe aromatiche.
La piccola cantina che conteneva gli orci si trova accanto ad una grande sala che gli archeologi pensano sia stata utilizzata per i banchetti, dal momento che sono state trovate, nei pressi, ossa di bovini ed altri indizi sul consumo di carne. Il palazzo conteneva reperti che riportano all'arte egea, mentre il vino conteneva ingredienti importati, a dimostrazione dell'intensità del commercio marittimo nel Mediterraneo.

Chi ha costruito l'altare di Shiloh?

Per quanto riguarda l'altare scoperto a Shiloh, è doveroso rendere nota una interessantissima considerazione, pubblicata nel blog di Antonio Lombatti, segnalatami da Il Censore, che si può leggere per esteso qui.

giovedì 21 novembre 2013

Shiloh, ritrovato un altare dell'Età del Ferro

L'altare dell'Età del Ferro ritrovato a Tell Shiloh
(Foto: Ancient Shiloh)
Sono decenni che gli archeologi israeliani cercano prove a supporto dell'ipotesi che la città di Shiloh fosse, nei tempi antichi, un importante centro religioso. Ora hanno ritrovato un altare in pietra, datato all'Età del Ferro, il periodo corrispondente a quello dei re in Israele.
Il reperto è stato scoperto accidentalmente durante uno scavo archeologico, giaceva tra le pietre di un muro bizantino. I Bizantini, sembra, rimossero l'altare dalla sua posizione originale a Tel Shiloh e lo hanno utilizzato per costruire una struttura ai piedi della collina. E' quest'altare la prova tangibile che Shiloh era, anticamente, un centro cultuale.
Precedentemente gli unici indizi di una tale importanza erano contenuti nella Bibbia. Fino ad oggi gli archeologi ritenevano che dopo che i Filistei ebbero catturato l'Arca dell'Alleanza, come descritto nel Libro di Samuele, distrussero diverse città edificate dagli ebrei. Shiloh, a giudicare dall'altare appena ritrovato, continuò a svolgere la sua funzione di centro religioso, funzione che la città ricoprì nonostante la costruzione del Primo Tempio di Salomone.
Oltre all'altare, i ricercatori hanno ritrovato, a sud di Tel Shiloh, un'antica strada che conduceva all'ingresso meridionale del sito.

Il menhir silenzioso...

La statua-menhir del lago di Raviège (Foto: F3 MP)
Una sorta di pilastro megalitico, risalente al Neolitico, è stata trovata sulle rive del Lago Raviège, in Linguadoca, nel sud della Francia.
La statua-menhir, alta 2,07 metri, è stata forgiata nel granito ed è in ottime condizioni. Sembra raffigurare un uomo con un coltello. Il volto è piuttosto singolare e ricorda quello di una maschera. Si tratta della prima statua ad avere una sorta di bocca. Solo quattro delle 150 statue-menhir provenienti dalla regione hanno una bocca e tutti raffigurano delle donne. Per questo motivo queste statue sono state soprannominate "divinità silenziose". Tutti i reperti sono stati datati ad un periodo compreso tra il Neolitico e l'Età del Rame.

Indiani...d'Europa?

I resti del ragazzo siberiano con genoma particolare (Foto: Kelly Graf)
I resti di un giovane vissuto 24.000 anni fa nel villaggio siberiano di Mal'ta hanno permesso di aggiungere un nuovo tassello nella conoscenza dell'albero genealogico degli indigeni americani. Mentre alcuni antenati dei Nativi Americani recano evidenti tracce che rimandano all'Asia orientale, il genoma del ragazzo di Mal'ta rivela che un terzo del genoma degli antenati può essere fatta risalire all'Europa.
Gli studi mostrano che le persone legate agli Euroasiatici dell'ovest, si sono diffuse più ad est di quanto si era pensato sinora e sono vissute in Siberia durante il periodo più freddo dell'ultima glaciazione. I ricercatori hanno scoperto che il Dna mitocondriale del ragazzo di Mal'ta apparteneva all'aplogruppo U, che si trova in Europa ed in Asia occidentale ma non in Asia orientale, dove il corpo è stato riportato alla luce. Praticamente il ragazzo, dal punto di vista genetico, non aveva somiglianze con i ceppi asiatici orientali ma sembrava piuttosto un Europeo o un individuo proveniente dall'Asia occidentale. 

I Moche e i sacrifici umani

Gli scheletri delle vittime di sacrifici umani di Huacas de Moches, Perù
In un antico tempio Moche in Perù sono state trovate tracce di sacrifici umani rituali, prigionieri di guerra sacrificati. Sono state analizzate ossa e denti ritrovate nel sito.
I resti umani, mutilati e smembrati, sono stati sepolti in fosse comuni e potrebbero gettare una nuova luce sulle lotte territoriali tra i Moche, che governarono la costa arida del Perù dal 100 all'850 d.C.. Il dibattito tra gli studiosi di quest'antica popolazione peruviana è incentrato sulla questione se i sacrifici rituali interessassero un'élite oppure riguardasse esclusivamente dei prigioni di guerra.
I Moche hanno lasciato ceramiche molto particolari, opere di irrigazione e giganteschi cumuli di mattoni, alcuni decorati con raffigurazioni di prigionieri di guerra. Uno dei tumuli più importanti è quello di Huacas de Moches, nell'attuale città di Trujillo, in Perù, costituito da tre piattaforme collegate tra loro da corridoi, piazze e templi.
Nel tumulo di Huacas de Moches sono state finora ritrovate circa 70 vittime sacrificali, ad indicare che queste ultime erano numerose ed i sacrifici umani frequenti. Il che fa ovviamente pensare che i sacrifici umani interessassero quasi esclusivamente i prigionieri di guerra che, una volta uccisi, sono stati mutilati e smembrati e le cui ossa sono state esibite come trofei.
Le scene di sacrifici umani sono spesso raffigurate nelle opere d'arte Moche, dove compaiono uomini nudi, prevalentemente legati, con sacerdoti e sacerdotesse ritratti nell'atto di offrire calici colmi del sangue delle vittime alle divinità.
Le attuali conoscenze sui sacrifici umani presso i Moche sono il risultato degli esami compiuti su 34 resti umani, alcuni seppelliti in fosse ben ordinate altri in fosse comuni, molti dei quali uomini giovani con la gola tagliata e le ossa smembrate. L'acqua che queste persone hanno bevuto ha lasciato tracce di ossigeno nelle ossa e nei denti, che possono aiutare a determinare dove vivevano le vittime sia nell'età infantile che negli ultimi anni della loro vita. Le vittime in questione erano tutti maschi locali, poiché l'analisi delle ossa ha rilevato che hanno bevuto l'acqua di un fiume locale.
Nel periodo di massimo splendore di Huacas de Moche, intorno al 600 d.C., vivevano in questo luogo 25.000 persone. Due erano i templi più importanti della cittadina: la Huaca de la Luna (il Tempio della Luna) e la Huaca del Sol (il Tempio del Sole), collocati in cima al tumulo.
I vari centri abitativi Moche erano spesso in lotta tra loro per il potere e le risorse. Le locali battaglie hanno sicuramente determinato la cattura di diversi prigionieri, che sono stati, poi, uccisi durante i sacrifici rituali. Le analisi hanno anche rivelato che le donne dell'élite di Huacas de Moche erano spesso seppellite presso i templi e che venivano in gran parte da altri centri Moche.

mercoledì 20 novembre 2013

Tesori di ... sigilli

Alcuni dei sigilli ritrovati in Turchia
(Foto: Forschungsstelle Asia Minore)
Scoperti diversi sigilli in un antico santuario in Turchia. Sono stati degli studiosi di materie classiche a rivelare l'esistenza di più di 600 sigilli a forma di timbro e di sigilli cilindrici custoditi presso il tempio di Giove Dolicheno, dio della tempesta.
I sigilli risalgono ad un periodo compreso tra il VII e il IV secolo a.C. e sono stati ritrovati nell'antica città di Doliche. Si tratta di oggetti estremamente importanti per il culto di Giove Dolicheno, al quale sono stati consacrati come ex voto. Molti pezzi mostrano scene di adorazione. Si tratta di scarabei in vetro, pietra, ceramica, quarzo, realizzati con grande maestria. Dopo i restauri i sigilli sono stati consegnati al museo di Gaziantep.
I preziosi reperti vanno dal tardo impero babilonese, al periodo achemenide, a quello siriano fino all'impero romano. Questi oggetti consentiranno agli studiosi di rispondere a diverse domande sulle pratiche di culto e la storia del santuario soprattutto nel I millennio a.C.

Riemerge una città dimenticata in Turchia

I resti dell'antica città romano-bizantina
(Foto: Hurriyet)
Una città greco-romana e poi bizantina è stata scoperta dai cacciatori di tesori nella provincia anatolica di Cicekdagi, nel villaggio di Buyuk Teflek. A rivelare l'esistenza di quest'antico centro, è stato l'aumento, sul mercato clandestino, di manufatti storici.
L'antica città risale al II secolo a.C. ed ha restituito dei balnea e molti manufatti. Gli scavi sono iniziati lo scorso anno. Gli archeologi hanno profittato degli scavi clandestini per esplorare quello che, in seguito, avrebbe dovuto essere riportato alla luce. Il primo luogo ad essere stato esplorato, è stata la fornace nella quale veniva bruciata la legna per alimentare il fuoco che avrebbe riscaldato i balnea. Questa fornace è, ovviamente, di origine romana.
In seguito, quando la città greco romana decadde e la zona venne occupata dai Bizantini, là dove sorgevano le terme venne edificata una chiesa. Al di sotto di quest'ultima sono state ritrovate 21 sepolture maschili: si tratta, secondo un'antica usanza ortodossa, di coloro che hanno contribuito all'edificazione della chiesa con donativi in denaro.

Scoperto un palazzo hittita in Turchia

Resti del palazzo hittita ritrovati a Kayalipinar
(Foto: Hurriyet)
Un altro pezzo dell'eredità hittita è stato scoperto a Kayalipinar, in Turchia. Si tratta dei resti di un palazzo costruito intorno al 1500 a.C.. Gli archeologi hanno in programma di condurre ulteriori scavi del sito per far luce sulla storia dell'edificio.
La planimetria del palazzo mostra che esso possedeva almeno 40, se non più, camere contenenti reperti di epoca hittita, tra i quali numerosi sono i reperti di natura militare. Molte le tavolette iscritte in lingua cuneiforme, trattanti temi di natura religiosa.
Il palazzo risulta essere stato completamente bruciato almeno una volta e subito dopo ricostruito.

lunedì 18 novembre 2013

La signora dall'alta fronte...

Il cranio deforme della donna ritrovata in una Necropoli in Alsazia
(Foto: Denis Gliksman, INRAP)
In una necropoli in Francia è stato rinvenuto lo scheletro di una donna aristocratica il cui capo era deformato in modo evidente. La necropoli si trova nella regione francese dell'Alsazia e consta di 38 tombe che occupano un arco temporale di 4000 anni, dall'Età della Pietra al Medioevo.
La zona dell'Obernai, in Alsazia, dove giacevano i resti della donna, ha un terreno ricco e fertile che ha spinto diversi gruppi umani a stanziarvisi nel corso dei millenni. Le prime tombe sono state ritrovate dagli archeologi nel 2011. Erano ben conservate e scavate nella roccia calcarea. Una delle sepolture era multipla, in quanto conteneva i resti di 20 individui tra uomini, donne e bambini. I corpi erano distesi sulla schiena, le gambe distese e il capo rivolto verso ovest.
Le sepolture multiple risalgono al 4900-4750 a.C. e contenevano anche vasi in pietra, strumenti di uso quotidiano, ornamenti quali bracciali da gomito in madreperla e collari. Questo piccolo gruppo qui sepolto poteva essere una comunità neolitica dedita all'allevamento e alla pastorizia.
In una seconda sepoltura multipla, separata dalla prima, i ricercatori hanno individuato più di 18 tombe appartenenti sia al periodo tardo romano, sia al primo Medioevo. Una di queste sepolture apparteneva ad una donna, quella che gli archeologi ritengono essere un'aristocratica, con il cranio deforme e la fronte schiacciata. La deformazione del cranio era ottenuto con il supporto di sottili strisce di stoffa e tavole in legno legate, fin dall'infanzia, al cranio. E' un'usanza tipica dell'Asia centrale, popolare tra gli Unni ed adottata da molte popolazioni germaniche. Il cranio deforme, all'epoca, era un segno caratteristico dei nobili.
La tomba della donna con il cranio deforme conteneva spille d'oro, cinture, perle, un pettine ricavato dall'osso di un cervo ed uno specchio in bronzo proveniente, si pensa, dall'Asia centrale. Gli archeologi pensano che mercenari asiatici dell'esercito romano e le loro famiglie si siano stanziati nell'Alsazia durante gli ultimi giorni dell'impero romano.

Il sacerdote e lo scriba del tempio di Montu

La statua del sacerdote dal tempio di
Montu ad Armant (Foto: Luxor Times)
Alcuni archeologi francesi hanno scoperto, nella zona archeologica di Luxor, in Egitto, due statue risalenti al Nuovo Regno (1539-1075 a.C.).
I ricercatori fanno parte dell'Istituto Francese di Archeologia Orientale del Cairo. Le due statue sono state rinvenute nel cortile di un tempio dedicato al dio-falco della guerra, Montu, situato nella città di Armant.
Una delle due statue raffigura un sommo sacerdote, mentre il nome e la professione dell'altro uomo raffigurato nella seconda statua - uno scriba - sono incisi su quest'ultima.
La prima scultura è in diorite ed è alta 69 centimetri per 48 di larghezza. Il sacerdote è rappresentato in ginocchio, vestito di paramenti sacri. Davanti a lui una tavola d'offerta con due teste di falco, simbolo del dio Montu, e con incise delle formule religiose. La seconda statua è in pietra calcarea, di altezza maggiore, raffigura uno scriba del tempio con il sarcofago e la statuetta di Montu.
Il tempio venne iniziato a partire dal Medio Regno e fu ampliato nel corso delle successive Dinastie faraoniche. Gli ultimi interventi sono datati all'epoca tolemaica (332-30 a.C.).

I Guerrieri delle Nuvole

I sarcofagi a forma umana dei Chachapoya, in Perù
(Foto: worldsurfr)
Su una parete rocciosa, in una zona remota del nord del Perù, a fare da sentinelle verso l'orizzonte per proteggere il prezioso contenuto, vi sono dei sarcofagi antichi, scolpiti in forme umane, i purunmachu, nei quali il popolo Chachapoya ha sepolto i suoi morti.
Quando gli Spagnoli arrivarono in Perù, agli inizi del XVI secolo, i Chachapoya erano stati già conquistati ed assorbiti nell'impero Inca. Sebbene di loro, dopo la conquista, rimangono ben poche tracce, questa misteriosa popolazione è nota ai ricercatori attraverso dei veri e propri "testimoni" della loro esistenza: sarcofagi in terracotta dipinta con volti umani. Proprio questi sarcofagi molto particolari sono stati oggetto di indagini archeologiche, poiché sono testimonianze molto rare. La maggior parte dei purunmachu, infatti, sono stati saccheggiati e distrutti già in passato. I ricercatori, comunque, sono riusciti a trovarne ben sette intatti, su questo sperone roccioso peruviano. L'inaccessibilità del luogo è stata la salvezza di questi preziosi reperti.
Mummie Chachapoya contenute nei sarcofagi antropomorfi
ritrovati in Perù (Foto: pmoroni)
La datazione al C14 dei reperti li ha collocati in un periodo intorno al 1470 d.C., quando i Chachapoya furono sconfitti e assorbiti dagli Incas. Secondo la Professoressa Adriana von Hagen, che ha effettuato uno studio accurato sui purunmachu, i corpi dei defunti sono stati avvolti in bende e collocati all'interno dei sarcofagi in terracotta i cui coperchi, in seguito, sono stati quasi "modellati" sui corpi che custodivano, servendosi di elementi vegetali ricoperti di fango e paglia e dipinti, una volta secchi, di colore bianco o crema, con raffigurazioni di collane, pettorali, tuniche piumate, volti e genitali nei toni del giallo ocra e di due sfumature di rosso. La parte superiore dei sarcofagi è stata modellata in argilla mescolata a paglia.
Diversi luoghi in cui sono stati seppelliti i Chachapoya mostrano purunmachu impreziositi da pittogrammi in ocra rossa che rappresentano scene di pastorizia o caccia ai lama o ai cervi, affiancate a rappresentazioni di figure umane con raggi che emanano dal capo ed acconciature di piume. Altri purunmachu sono stati scoperti ad Aya-Chaqui. Gli archeologi pensano che questa pratica sepolcrale sia stata mantenuta per centinaia di anni.
Per quel che riguarda la semisconosciuta civiltà Chachapoya, questa fu definitivamente spazzata via dall'arrivo degli Spagnoli di Alvarado, che invasero la regione nel 1539. Una volta che la cultura Chachapoya scomparve, le loro sepolture non furono più considerate sacre e la maggior parte finirono per essere profanate e distrutte da chi vi cercava ricchezze e tesori.

L'alba di Ghezer, tra Egizi e Filistei

Rovine di un edificio di Ghezer, dove sono state trovate tracce
di un insediamento precedente (Foto: S. Wolff, Scavi di Tel Ghezer)
Gli archeologi hanno riportato alla luce tracce di una sconosciuta città cananea del XIV secolo a.C., sepolta sotto le rovine di un'altra città in Israele. Tra i reperti che fanno intuire la presenza di un più antico centro abitato vi sono un amuleto del faraone egiziano Amenhotep III e diversi vasi in ceramica risalenti all'Età del Bronzo Tardo, ritrovati in alcuni ambienti dell'antica città di Ghezer.
Ghezer era, un tempo, un centro di una certa importanza, posta al crocevia delle rotte commerciali tra l'Asia e l'Africa, lungo il percorso della via Maris, antica rotta commerciale che collegava tra loro Egitto, Siria, Anatolia e Mesopotamia. I resti di quest'antico centro recano, dunque, tracce di una frequentazione molto più antica di quanto si credeva finora.
Il controllo di Ghezer fu, per molti secoli, tenuto da Cananei, Egiziani e Assiri. Nel X secolo a.C. un faraone diede in dono la città al re Salomone per le sue nozze con una principessa egizia.
E' circa un secolo che scavi regolari si svolgono nel sito archeologico di Ghezer. La maggior parte degli scavi ha evidenziato tracce e reperti risalenti ad un periodo temporale che va dal X all'VIII secolo a.C.. Sono state ritrovate anche gallerie sotterranee utilizzate, in passato, per far pervenire l'acqua potabile in città in caso di assedio.
Quest'anno, durante gli scavi estivi, gli archeologi si sono imbattuti in tracce ben più antiche di quelle scavate e repertate finora. In particolare la stratigrafia ha rivelato una sezione risalente al XIV secolo a.C., nella quale è stato ritrovato un amuleto a forma di scarabeo di Amenhotep III, padre di Akhenaton e nonno di Tutankhamon. Con l'amuleto sono emersi frammenti di ceramica filistea. Questo fa pensare che nel XIV secolo Ghezer fosse sotto il controllo egiziano.

domenica 17 novembre 2013

Sepoltura sassone a Lincoln Castle

Il sepolcro in pietra ritrovato a Lincoln Castle
(Foto: This is Lincolnshire)
Un sarcofago sassone in pietra è stato rinvenuto sotto Lincoln Castle, in Inghilterra. Una volta aperto, il sarcofago ha rivelato i resti di un uomo che si pensa sia stato una figura importante del passato della cittadina.
Si pensa che il reperto risalga a circa 1000 anni fa. Giaceva ad una profondità di quasi tre metri nel luogo dove era prevista l'installazione di un vano ascensore. Il coperchio del sepolcro è stato rimosso in tre fasi, dal momento che risultava aver subito fratture in più punti. L'uomo che giaceva nel sepolcro di pietra indossava scarpe o stivali di cuoio e questo ha fatto immediatamente pensare ad un personaggio che rivestisse una qualche carica pubblica.

Trovato un sepolcro romano a Corinto

Il sepolcro romano rinvenuto a Corinto (Foto: Taxydromos)
Una tomba romana ben conservata e riccamente decorata, completa di pitture murali, è stata rinvenuta a Corinto durante i lavori per l'ampliamento della strada statale che congiunge Corinto a Patrasso. La sepoltura misura 3,30 metri per 2,63 ed è stata datata provvisoriamente al I-II secolo d.C., ma potrebbe essere anche più antica.
Si accede alla sepoltura da sud, attraverso una scalinata decorata su entrambi i lati. Le pitture parietali mostrano una quadriga e un carro trainato da delfini con creature marine. Nella tomba vi sono più nicchie in cui, verosimilmente erano collocate le urne cinerarie e tre bare in terracotta in cui erano contenute ossa, lucerne, monete in bronzo e frammenti di ceramiche. Una delle bare in terracotta è stata dipinta con la raffigurazione di un copriletto.
La sepoltura apparterrebbe, secondo il Consiglio Archeologico Centrale di Grecia, ad un cimitero romano rintracciato negli anni scorsi, del quale era stata ritrovata un'altra ricca sepoltura nel 2012. L'archeologa Anna Karapanagiotou, membro del Consiglio Archeologico, ha affermato che la tomba appartiene ad un cittadino romano oppure ad un greco romanizzato che intratteneva rapporti stretti con Roma.

I segreti del palazzo Mantica di Udine

I sotterranei di Palazzo Mantica
Il Palazzo Mantica di Udine ha subìto un restauro delicatissimo della facciata rinascimentale. Nel contempo è stata restaurata e pulita la Madonna con il Bambino del XVI secolo di Carlo da Carona (lapicida operante in Friuli nel XVI secolo della cui vita si conosce molto poco) e sono state aperte tre finestre murate da secoli. Il restauro era finalizzato all'ampliamento degli spazi interni dell'edificio, che custodisce un patrimonio di 20.000 volumi, alcuni dei quali molto pregiati, e 350 titoli di riviste.
Il restauro, però, è stata anche l'occasione per riportare alla luce un pò dell'antica storia di Udine: il castelliere che è emerso, infatti, è il più antico insediamento del Friuli, dal momento che si fa risalire la sua esistenza al 1400 a.C.. Il progetto è iniziato nel 2005, in seguito all'incremento costante della biblioteca di pregio del palazzo. Si voleva ricavare degli spazi per l'archivio nell'area seminterrata del palazzo. Tecnici e ricercatori erano convinti che, nel seminterrato, si sarebbero trovati antichi spazi occultati da crolli passati. Carotaggi nel terreno ed ispezioni con il georadar hanno rivelato che i muri del palazzo si spingevano fino alla quota del vano seminterrato.
E' emerso, in questo modo, l'edificio basso medioevale ed un secondo ambiente interrato più recente (1500-1600), un vano con copertura a volta in laterizi e con murature perimetrali in ciottoli. Sono state trovate anche ceramiche di età protostorica in frammenti e l'antico terrapieno. Estendendo gli scavi in una zona contigua è stato riportato alla luce, inoltre, parte dell'abitato interno del castelliere, con alcuni buchi di palo pertinenti antiche capanne. E' emerso, anche, il focolare. I ritrovamenti fanno pensare anche ad insediamenti risalenti addirittura al 1700 a.C.

Sorprese dal terreno in provincia di Avellino

Una delle cosiddette Grotte dei Briganti in
Contrada Migliano (Av)
Casuale scoperta archeologica in Campania, contrada Migliano, in provincia di Avellino. Grazie all'erosione e allo sprofondamento del terreno agricolo è stata rivelata una cavità che pare non essere di origine naturale.
In questa zona erano già note le cosiddette "Grotte dei Briganti", ne erano state contate almeno sette. Il nuovo ritrovamento è stato segnalato da Paolo Cusano, professionista del luogo ma, soprattutto, estremamente attivo nella salvaguardia e nella valorizzazione del territorio. L'altezza di queste cavità è mediamente di sei metri e un diametro di cinque. La loro conformazione è a tumulo o a imbuto rovesciato. All'interno presentano tracce di muratura, testimonianza che queste grotte erano state create dall'uomo nella locale arenaria. A supportare questa tesi vi sono resti pavimentali e buchi nelle pareti che, probabilmente, servivano ad inserire travi di sostegno.
Gli studiosi non sono concordi sull'origine e sulle finalità di queste grotte artificiali. Alcuni pensano che si tratti di ricoveri per antichi gruppi umani, dal momento che sono stati trovati, all'interno delle cavità, elementi in pietra, forse utensili, di origine paleolitica e cocci di terracotta risalenti ad epoche successive (sannitiche e romane). Secondo altri ricercatori, invece, queste cavità sarebbero dei luoghi di sepoltura antecedenti all'invasione degli Osci e dei Sanniti. Ma quest'ipotesi non è stata suffragata dal ritrovamento di reperti quali corredi funerari o resti umani.
Molto probabilmente queste grotte sono state utilizzate, durante il dominio romano, come cisterne per la conservazione dell'acqua piovana o sorgiva, utilizzata per l'approvvigionamento idrico. Quest'ipotesi è avvalorata dalla scoperta, in loco, di resti di ville rustiche di epoca romana. Almeno una di queste ville è menzionata in documenti storici. Del resto la contrada Migliano era anticamente attraversata da vie di una certa importanza, che avevano, come riferimento del loro percorso, il torrente Calaggio. Tra queste vie sicuramente è da menzionare la via Aurelia Aeclanensis e la via Herculea. Del passaggio di questi percorsi viari rimane un cippo miliare della fine del II secolo d.C., trovato proprio in questa località.
La via Herculea collegava il Sannio alla Lucania e fu realizzata verso la fine del III secolo d.C.. A realizzarla fu Massimiano Erculio, cesare ed augusto durante la Tetrarchia. L'andamento di questo percorso viario non è stato, ad oggi, ancora del tutto rintracciato. Durante le persecuzioni cristiane, la via metteva in collegamento, attraverso una fitta rete di viuzze, le comunità più marginali, le aree urbane più piccole, le contrade ed i borghi sperduti, convogliandoli tutte sulla via Romea.

sabato 16 novembre 2013

Un crociato in Finlandia?

La sepoltura contenente le spade (Foto: Simo Vanhatalo -
Museovirasto)
Archeologi dilettanti hanno riportato alla luce, in Finlandia, a Janakkala, una tomba contenente i resti di un uomo sepolto con due spade di epoche differenti. Forse si tratta della sepoltura di un crociato.
La deposizione è ben conservata. Una delle spade presenti risale al XII secolo e con essa è stata seppellita anche una spada che pare essere di epoca vichinga. Gli archeologi pensano che le due armi siano state seppellite durante un rituale funerario. Le armi sono state disposte una sull'altra. Probabilmente la spada vichinga era un cimelio di famiglia.
Oltre alle spade sono stati rinvenuti altri reperti quali una punta di lancia ed una lama di ascia. I resti indicano che l'uomo sepolto con queste armi era alto 180 centimetri e che era vissuto all'epoca delle crociate. I ricercatori sperano di poter acquisire maggiori informazioni sulla provenienza dell'uomo attraverso l'esame del Dna e la datazione isotopica.

Adji Kui, Turkmenistan, da qui vennero i Paleoveneti?

Oasi di Adji Kui, in Turkmenistan (Foto: Centro Studi Ricerche Ligabue)
La missione archeologica del Professor Gabriele Rossi Osmida nell'oasi di Adji Kui, nel deserto del Turkmenistan, ad est del Mar Caspio, sembra confermare le lontane origini asiatiche delle popolazioni paleovenete.
Negli scavi archeologici, tra gli altri reperti, è stata una straordinaria placca in osso del III millennio a.C., decorata con una serie di rosette incise secondo lo stilema proprio e ricorrente delle decorazioni della cultura paleoveneta. Quest'ultima, secondo la tradizione, proverrebbe da un'area geografica caspiana che, un tempo, era nota con il nome di Paflagonia (Strabone, nella sua "Geografia", menziona Omero che indica nella Paflagonia la terra d'origine degli Eneti, vale a dire i Veneti).
Sono circa 25 anni che il Professor Rossi Osmida sta lavorando allo scavo di alcune cittadelle del III-II millennio a.C. della cosiddetta Civiltà delle Oasi, una cultura di carovanieri che si spostava nei deserti dell'Asia centrale che egli stesso ha identificato nell'antica Margiana. La missione Antiqua Agredo-Centro Studi ricerche Venezia-Oriente, ha effettuato le sue ricerche ad ovest della cittadella di Adji Kui. In quest'area, dove, un tempo, esistevano dei laboratori artigiani, sono stati ritrovati pesi da telaio, fusaiole e belle cuspidi in selce grigia appuntite e taglienti, probabilmente utilizzate come coltelli.
Resti di una casa di Adji Kui, in Turkmenistan
A dominare, nella decorazione degli oggetti, è lo stilema dell'incisione a rosette, un motivo ornamentale che il Professor Rossi Osmida aveva già rintracciato su diverse fusaiole e su piccoli contenitori da cosmesi in steatite ritrovati in Margiana. Lo stesso stilema, secondo gli studi dell'archeologo Serge Cleuziou, avrebbe raggiunto anche l'Oman.
Ora gli archeologi ed i ricercatori si impegneranno a dare una risposta agli interrogativi sull'origine degli antichi Margi, gli abitanti della Margiana, l'area abitata più antica del Turkmenistan, nonché sull'origine dei Paleoveneti. Si pensa ad una mirata analisi per tracciare una mappa del Dna da estrarre dai resti umani giunti fino a noi. Ad effettuare la ricerca antropologica sarà il Dipartimento di Antropologia dell'Università di Harvard.
La missione del Professor Gabriele Rossi Osmida è stata realizzata con il contributo del Ministero degli Affari Esteri Italiano e dal gruppo Francesco Molon. Inizialmente la missione doveva solo individuare il limite della necropoli e dei resti murari a sudovest e mettere in luce l'antico impianto urbano della città di Adji Kui, sopravvissuto ad un grande incendio del 2200-2250 a.C. che ne distrusse la cittadella. Interventi sul tessuto urbano hanno confermato che la struttura del pomerio è una caratteristica costante delle cittadelle della Civiltà delle Oasi. All'interno o all'esterno di questo pomerio si aprivano i laboratori artigiani, in uno dei quali è stata rinvenuta la placca ossea decorata a rosette.
Una delle mattonelle decorate trovate a Adji Kui(Foto: Centro Studi Ricerche Ligabue)
La cittadella, già emersa nel 2008, ha un'estensione di circa 15 ettari e fu costruita in almeno tre fasi successive. L'insediamento tutto occupa un periodo temporale che va tra la fine dell'epoca calcolitica (IV millennio a.C.) e la fine dell'Età del Bronzo (1500 a.C. circa). Nell'area esplorata nel 2008 dalla missione italiana, sono emerse tracce del grande incendio che distrusse la cittadella di III millennio a.C. e che ha provocato crolli rilevanti. Sono state recuperate, malgrado questo, le coperture di un tetto carbonizzato e un consistente deposito di cereali (orzo, frumento selvatico, fave, piselli), studiati a suo tempo dagli esperti. Nell'angolo sudest dell'acropoli è anche emerso quello che gli archeologi pensano essere un tempio, praticamente un complesso sopraelevato con una piattaforma in mattoni cotti, contenente numerosi resti di coppe e di calici di piccole dimensioni. Gli abitanti di Adji Kui adoravano, forse, una figura femminile assimilabile alla Grande Madre, di cui sono state ritrovate 200 figurine in terracotta. In seguito pare che il culto si fosse orientato sulla figura di un Dio Padre.
L'incendio è dovuto, probabilmente, alle turbolenze che percorrevano questa regione tra la fine del periodo di Accad e l'avvento di quello di Ur. L'acropoli venne, in seguito, ricostruita e dotata di una protezione muraria massiccia, con torri e contrafforti che assolsero egregiamente al loro compito, proteggendo la cittadella fino alla decadenza, intorno al 1800 - 1300 a.C.
Cartina che mostra la localizzazione di Adji Kui(Foto: Centro Studi Ricerche Ligabue)
Numerose le tracce di caminetti per il riscaldamento e la cottura del cibo, alcuni anche di dimensioni ragguardevoli, elegantemente rifiniti con colonnette laterali ed intonaco di alabastro, dotati di canne fumarie all'interno delle mura. Nella necropoli è stata scoperta, nel 2008, un'eccezionale sepoltura con un ricco corredo: l'ultima dimora di una donna d'alto rango di circa 40 anni di età, assassinata con un colpo d'ascia al centro della fronte.
Nel 2010 è terminato lo scavo della necropoli, che ha restituito circa 700 sepolture della fine del III - inizi del II millennio a.C.. Nello stesso anno è emerso un archivio amministrativo, custodito all'interno della cittadella, con numerose cretole e bulle contabili.

venerdì 15 novembre 2013

L'amore coniugale nell'Antico Regno

I coniugi Meretites e Kahai (Foto: Centro di Ricerca
Macquarie University)
Lei era una sacerdotessa di nome Meretites, lui un cantante di nome Kahai e faceva parte del seguito del faraone. Entrambi sono vissuti circa 4400 anni fa, in un'epoca che vide nascere le famose piramidi. L'amore di Meretites e Kahai si riflette in una scena della loro ultima dimora terrena, una scena che conserva ancora, in parte, i vividi colori di quando fu dipinta.
La tomba di Meretites e di Kahai si trova a Saqqara. In essa, oltre ai coniugi, vi sono seppelliti i figli ed i nipoti. Il monumento è stato descritto dai ricercatori del Centro Australiano di Egittologia della Macquarie University. La scena che ritrae i coniugi è un altorilievo. I coniugi si guardano l'un l'altro negli occhi, Meretites posa la mano destra sulla spalla destra di Kahai. Si tratta di una manifestazione d'affetto insolita per l'Egitto dell'età delle piramidi. Sopravvivono solo alcune scene che di coniugi che si guardano faccia a faccia risalenti all'epoca dell'Antico Regno (2649 - 2150 a.C.).
La scena ritrovata a Saqqara, come pure tutte le altre raffigurazioni della sepoltura di Meretites e Kahai, suggeriscono che le donne, durante l'età delle piramidi, godevano di una particolare posizione paritaria. Condizione che è stata, del resto, confermata da altre rappresentazioni rinvenute in altre tombe della stessa epoca.
Interno della tomba di Meretites e Kahai (Foto: Centro di Ricerca
Macquarie University)
Nella scena ritrovata nella tomba di Saqqara, il cantore Kahai indossa una parrucca, un gonnellino, bracciali ed ha un collare sulle spalle. In mano reca un bastone e lo scettro, simboli entrambi di autorità e responsabilità, probabilmente connessi alla carica di amministratore del canto, che Kahai ricopriva quando era in vita.
Il guardaroba di Meretites, invece, include una lunga parrucca, un girocollo, un ampio collare, bracciali e un vestito aderente con delle spalline.
La tomba dei coniugi di Saqqara è stata scoperta nel 1966 e la scoperta è stata pubblicata in un libro nel 1971, con immagini in bianco e nero. Nel 2010 gli archeologi sono ritornati nella tomba per studiare e documentare le splendide pitture parietali, uno degli esempi più importanti sull'uso del colore nell'Antico Regno.
Particolari della tomba di Saqqara (Foto: Centro di Ricerca
Macquarie University)
Al momento della scoperta, nel 1966, furono ritrovati, nella tomba, dei resti umani mummificati, ma non si è certi che appartenessero ai membri della famiglia di Kahai. Spesso gli Egizi avevano l'abitudine di riutilizzare le sepolture di quanti erano vissuti prima di loro. Testimonianze archeologiche ed artistiche indicano che la tomba fu costruita durante o subito dopo il regno del faraone Niuserre (2420-2389 a.C.), il quale costruì la propria piramide appena a sudest delle piramidi di Giza, in un sito che ora è chiamato Abusir.
Kahai ed i suoi figli recano titoli che indicano la loro professione di cantanti presso la corte del faraone. Per questo, forse, la tomba di famiglia è così riccamente e raffinatamente decorata. La vita di Kahai non fu priva di tragedie. Studiando le iscrizioni presenti sulle pareti del monumento funebre, gli archeologi hanno scoperto che l'uomo dovette seppellire uno dei suo figli di nome Nefer. Nelle decorazioni compaiono anche le raffigurazioni dei bambini che Nefer aveva avuto e che lasciava. Una scritta lascia intendere che la moglie di Nefer era incinta al momento della morte del marito.

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