martedì 31 agosto 2010


La tomba romana del IV secolo d.C. ritrovata presso la città di Silistra, uno dei siti archeologici più importanti della Bulgaria, è stata riaperta al pubblico per la prima volta dopo vent'anni.
Questa notizia è stata resa nota dalla televisione nazionale bulgara. La tomba è nota per i suoi murales e gli affreschi che appartengono ad un periodo di passaggio tra l'arte altomedioevale e l'arte bizantina. Probabilmente si trattava della sepoltura di un magistrato romano e di sua moglie.
Per preservare gli affreschi dalla distruzione, l'interno della tomba deve avere una temperatura costante. Il monumento resterà aperto fino alla fine di settembre.

lunedì 30 agosto 2010


(Fonte: Adnkronos) - E' stato ritrovato, a Tel Hazor, un documento risalente a 3.700 anni fa, con un codice legale parallelo ad una delle più antiche raccolte di leggi conosciute nell'antichità, il Codice di Hammurabi.
Il testo ritrovato è scritto su frammenti di una tavoletta in caratteri cuneiformi che risale all'età del Bronzo (XVIII-XVII secolo a.C.) ed è stato ritrovato negli scavi effettuati questa estate dall'Università di Gerusalemme nel nord del paese. Gli scavi sono diretti da Amnon Ben-Tor e Sharon Zuckerman, dell'Istituto di Archeologia dell'Università Ebraica di Gerusalemme.
I reperti sono costituiti da due pezzi di un frammento di argilla recante scritte in carattere cuneiforme accadico su quattro linee. Il testo fa riferimento a problemi di diritto circa danni fisici alla persona riguardanti schiavi e padroni.
"E' la prima volta che un frammento del Codice di Hammurabi viene rinvenuto in Terra d'Israele e al di fuori della Mesopotamia", ha dichiarato l'archeologo Ben-Tor. Il reperto è stato datato al 1700 a.C., dieci secoli prima della redazione della Bibbia. I due pezzi sono il 18mo ed il 19mo reperto cuneiforme ritrovati nello scavo di Hazor, che oggi forma il più esteso corpus di documenti con testi cuneiformi ritrovati in Israele. Altri documenti, precedentemente recuperati, riguardavano la spedizione di persone o merci, una disputa legale a proposito di una donna del luogo e un testo di tavole di moltiplicazione.

venerdì 27 agosto 2010

Alla ricerca della chiesa perduta


All'interno della rocca malatestiana di Fossombrone (PU), riemergono i resti della cattedrale. Sono state effettuate, a cura dell'Università di Urbino, delle ricerche archeologiche e nella parte nord occidentale è affiorata una vasca battesimale per catecumeni, risalente all'VIII secolo d.C..
La vasca ha forma rettangolare, appare scavata nella roccia ed è circondata dai resti di quattro murature di pietra rivestite dell'intonaco originario in cocciopesto rosato. Il fondo della vasca è ancora in parte pavimentato da lastre di calcare bianco. In relazione con l'invaso sono anche state ritrovate 16 grosse buche di palo, probabilmente riferibili ad un porticato. I motivi decorativi che ancora si possono intuire appartenevano, forse all'antico edificio della Cattedrale altomedioevale, la chiesa di Santa Maria Maggiore che i documenti attestano in questa zona ma che ancora non è stata individuata.
Nella seconda metà del '400, i Malatesta ampliarono il preesistente fortilizio duecentesco in una rocca con cinta muraria e pianta quadrilatera e torrioni angolari. Nel 1444 Fossombrone passò a Federico da Montefeltro e la rocca divenne uno dei capisaldi del sistema fortificato del neonato ducato di Urbino (1443-1631). Sotto Federico da Montefeltro la rocca assunse il suo aspetto attuale, adeguandosi alle nuove esigenze militari di carattere difensivo.
La rocca subì gravissimi danni e fu smantellata nel 1502 dal Valentino. Il complesso fortificato finì per cadere in rovina. Nel '700, al suo interno, venne eretta la chiesetta di S. Aldebrando.

giovedì 26 agosto 2010

Una misteriosa maschera cultuale



Una maschera pagana, risalente a circa mille anni fa, è stata trovata nel centro storico di Veliki Nogorod.
La maschera presenta delle aperture per gli occhi, il naso e la bocca, ed è stata ricavata dalla parte superiore di un lungo stivale di cuoio. E' stata ritrovata all'esterno di una falda del XII secolo.
La parte posteriore della maschera ha dei fori per piccole cinghie o cordoncini che erano allacciati nella parte posteriore della testa.
Gli archeologi ritengono che questa maschera possa essere stata utilizzata durante alcuni riti pagani. Ne sono state ritrovate venti simili.

Il tesoro romano di Pantelleria



Sono state ritrovate ben 107 monete d'argento del I secolo a.C. ed un medaglione punico a Pantelleria.
La scoperta è stata fatta nell'acropoli di Santa Teresa, nel corso degli scavi guidati dall'archeologo Massimo Osanna, dell'Università di Matera e dal professor Thomas Schafer, dell'ateneo di Tubinga.
Le monete sono dei denarii, risalenti alla seconda metà del I secolo a.C..
Gli insediamenti più antichi finora conosciuti, nell'isola, risalgono all'età del bronzo (II millennio a.C.). Si tratta del villaggio fortificato di Mursia e della sua necropoli, costituita da monumenti piuttosto singolari, propri dell'isola di Pantelleria e sconosciuti al di fuori di essa: i Sesi.
L'acropoli di Santa Teresa e San Marco era la sede dell'insediamento fenicio-punico ed, in seguito, romano più importante di Pantelleria: l'antica Cossyra. Di questo insediamento rimangono consistenti resti delle mura urbiche e delle abitazioni. Gli scavi hanno permesso di individuare anche una scalinata di accesso all'acropoli ed alcune abitazioni che, con tutta probabilità, appartenevano a personaggi di un certo livello sociale.
Gli scavi al santuario punico del Lago di Venere hanno permesso di accertare che il tempio possedeva una struttura porticata piuttosto importante ed una grande scalinata di accesso. Il santuario, che fu scavato nella roccia, è tuttora da esplorare.
I Fenici occuparono l'isola intorno al X secolo a.C. e fondarono la città-stato di Cossyra che possedeva un porto ed una marina da guerra, come attesta un documento che celebra la vittoria dei Romani, nell'anno 254 a.C.. La nascita di Cossyra viene comunemente datata al VII secolo a.C. dallo studio dei reperti e dai resti del santuario del Lago di Venere. Il porto, in particolare, fu protetto da massicce fortificazioni.
Quando fu conquistata dai Romani, Cossyra divenne municipio e conservò parte del suo splendore. La popolazione continuò ad essere costituita da Fenici e continuò a godere dei diritti civili, ma non di quelli politici. Roma stanziò sull'isola di Pantelleria le sue truppe ed inviò i suoi funzionari. Data proprio a questo periodo l'arrivo a Pantelleria di un gruppo di ebrei.
Alla caduta dell'impero romano, Pantelleria fu occupata da Genserico, capo dei Vandali, subito dopo la conquista di Cartagine del 439 d.C.. A seguito della vittoria sui vandali del generale Belisario, Pantelleria passò sotto i Bizantini, godendo di un secolo di pace e benessere.
Con la conquista araba, Pantelleria finì per diventare un piccolo emirato governato da un kàid, nelle cui mani si assomano diversi poteri. Attorno al 1123 Pantelleria passa sotto il dominio normanno. Nel 1306 viene data in dono da Federico II d'Aragona alla consorte. Nel 1361, data storica per l'isola, nasce, per volontà di Federico IV, il feudo di Pantelleria, donato al genovese Emanuele d'Oria.
L'isola subì, a più riprese, le incursioni dei pirati barbareschi dell'Africa settentrionale e dei Turchi.

martedì 24 agosto 2010

Tracce di Ulisse...


La reggia di Ulisse ad Itaca esiste, eccome. Alcuni archeologi greci, infatti, hanno identificato, sull'isola omerica, quelli che ritengono i resti del palazzo di Ulisse. Questo confermerebbe l'esistenza del mitico re omerico, uno dei protagonisti della Guerra di Troia.
Il professor Atanasio Papadopoulos, capo di un'equipe di archeologi che effettua da ben 16 anni scavi nel nord di Itaca, inseguendo Ulisse, ha affermato che i resti del grande edificio a tre livelli, ritrovato in località Exogi, potrebbe essere proprio la reggia dell'astuto re. Il palazzo ha anche scale scavate nella roccia ed al suo interno sono stati ritrovati frammenti di porcellana micenea ed una fontana che risale al 1300 a.C., l'epoca in cui sarebbe vissuto Ulisse.
Papadopoulos ha spiegato che le dimensioni del palazzo sono simili a quelle del palazzo di Agamennone, Menelao o Nestore a Micene, Pellana, Pilos, Tirinto. L'archeologo e la collega Litsa Kontorli avevano già, recentemente, ritrovato ad Itaca una tavoletta con incisa una scena dell'Odissea: Ulisse legato all'albero della sua nave per resistere al canto delle sirene. L'importanza del ritrovamento del palazzo, se ne verrà confermata l'appartenenza all'eroe omerico, è senza dubbio immensa.

lunedì 23 agosto 2010

I dipinti dei Cassoni fiorentini

Fino al 1° novembre prossimo, a Firenze, sarà possibile visitare una mostra allestita presso la Galleria dell'Accademia ed al Museo Horne che, attraverso oltre 40 tavole del '400 provenienti da musei sia nazionali che esteri, mostra la vita coniugale nel Rinascimento, con particolare attenzione al ruolo della donna nell'ambito domestico e la condotta che si raccomandava di tenere alle donne.
Queste tavole dipinte erano nate come parti di arredi (cassoni, spalliere, letti) delle case fiorentine del '400 che dovevano celebrare le virtù civiche dei coniugi. Solitamente erano commissionate in occasione delle nozze e dovevano arredare la camera degli sposi. Con la pittura da camera, infatti, si trasmettevano messaggi, moniti, incitamenti ad una condotta ritenuta esemplare per la coppia. L'amore doveva necessariamente cedere a leggi che non contemplavano i sentimenti ma, piuttosto, legami ed obblighi sociali.
Le storie che si possono ammirare, narrano dei passaggi del rituale di nozze; il banchetto, solitamente sfarzoso, lo scambio degli anelli ed altri passaggi di un rituale piuttosto lungo e complesso, fatto di contratti che con i sentimenti avevano ben poco a che fare.
La mostra trae spunto dal Cassone Adimari, conservato nella Galleria dell'Accademia e dipinto dal fratello di Masaccio, Giovanni di Ser Giovanni detto lo Scheggia. Il Cassone non è che una grande spalliera raffigurante il ballo rinascimentale.
Le opere esposte traggono ispirazione, oltre che dai temi della vita sociale del Rinascimento, anche ad episodi storici del Petrarca e di Boccaccio e ad episodi biblici tutti incentrati sulla concezione dell'amore.


Luogo: Galleria dell'Accademia, Via Ricasoli n. 58-60 e Museo Horne, via de' Benci n. 6 - Firenze
Orario: Galleria dell'Accademia: domenica ore 8.15-18.50 (chiuso il lunedì); dal 1° luglio al 30 settembre ogni giovedì apertura mostra dalle 19.00 alle 22.00 con ingresso gratuito. Dal 6 luglio al 28 settembre apertura del museo e della mostra dalle 19.00 alle 21.00 con ingresso a pagamento.
Museo Horne: dal lunedì al sabato ore 9.00-13.00 (chiuso domenica e festivi)
Info e prenotazioni: Firenze Musei Tel. 055.294883

domenica 22 agosto 2010

I celati segreti di Esfahan


Una squadra di ben 17 archeologi, diretta da Alireza Jafari-Zand, mentre stava scavando ad est della città di Esfahan, ha identificato una struttura Sasanide ed i resti del distrutto palazzo safavida di Tappeh Ashraf.
Tappeh Ashraf si trova ad est di Esfahan, vicino alla riva del fiume Zayandeh-Rud, non lontano dal ponte Sasanide di Sharestan. Tappeh è considerato il tumulo archeologico più antico di Esfahan.
In questa stagione di scavo, gli archeologi hanno scoperto una struttura di fondazione in pietra, circondata da spesse mura costruite con mattoni di fango. I primi saggi di scavo indicano che questa struttura fu costruita durante l'epoca Sasanide (224-651 d.C.), ma sicuramente, a scavo ultimato, sarà possibile una datazione più sicura.
Gli archeologi, dopo aver mappato il sito, hanno aperto una trincea di circa 8 metri di profondità, che ha intercettato e rivelato il tumulo. Uno storico locale, Lotfollah Honarfar, ritiene che il tumulo sorga dove, un tempo, la vecchia fortezza Sasanide di Kohan-Dez-e Saruyè.
Il sito archeologico attualmente consiste di due parti divise da una nuova strada costruita da qualche anno. Il tumulo più grande deve ancora essere scavato ed è a tutt'oggi conosciuto con l'antico e (forse) proto Sasanide nome di Gey. L'area era abitata prevalentemente da Zoroastriani fino al regno di Shah Abbas il Grande (1571-1629), quando questi furono obbligatoriamente stanziati nel villaggio di Gabr-Abad.
A Tappeh Ashraf, gli archeologi hanno anche identificato le rovine di un palazzo Savafide, che si pensa sia il palazzo di Ashraf Afghan. Sembra che il palazzo sia stato distrutto durante il regno di Nader Shah, il fondatore della dinastia di Afsharid (1736-1796). Ashraf Afghan era cugino di Mahmoud, il capo della tribù Ghaljai di Kandahar, che con un esercito formato da un miscuglio di musulmani sunniti e zoroastriani stanchi del tirannico regime del sultano Shah Hossein, marciò attraverso Sistan, Kerman e Yazd e conquistò Esfahan, la capitale della dinastia imperiale Safavida, nel 1722. Un anno più tardi Shah Hossein fu messo a morte. Durante il suo regno, Hossein aveva ordinato la persecuzione di musulmani sunniti, zoroastriani, ebrei e cristianni, finendo per indebolire la base della società Safavida. L'eccidio di zoroastriani è considerato, per numero, il più grande in assoluto in sette secoli di occupazione araba dell'Iran.
Tre anni dopo Ashraf fece uccidere Mahmoud e si proclamò re dell'Iran nel 1725. Il suo governo, però, fu piuttosto breve ed egli fu presto sotituito dalle elites più rappresentative del paese e, dopo una battaglia decisiva con Tahmasp-Qoli (futuro Nader-Shah), nel 1729, Ashraf fuggì a Shiraz e fu, più tardi, assassinato da uno dei suoi compagni Baluchi. Quest'evento rappresentò la fine della settennale rivolta contro il ruolo assunto dalla religione Savafide.
La presenza di soldati zoroastriani nelle armate di Ashraf è spiegato dal fatto che egli aveva un palazzo a Gey, che preferiva al lussuoso palazzo Savafide costruito al centro di Esfahan, vicino alla famosissima piazza Naqsh-e Jahan.

Nuovi scavi ad Erice


Dopo settanta anni, Erice torna ad essere esplorata dagli archeologi. Si aprirà presto, infatti, una campagna di scavo che vedrà impegnato l'Istituto di Archeologia Classica della Freie Universitat di Berlino. Le ricerche saranno coordinate dal professor Salvatore De Vincenzo.
Saranno indagate le zone del Castello, del Quartiere Spagnolo e la cerchia muraria vicino a Porta Spada. Queste ricerche permetteranno di conoscere meglio il millenario passato di questa suggestiva cittadina siciliana.
Il nome di Erice si fa comunemente risalire ad un personaggio mitologico ucciso da Ercole. Secondo Tucidide la città fu fondata dagli esuli Troiani, che qui si insediarono dopo la guerra che distrusse la loro città. Questi profughi avrebbero, poi, secondo lo scrittore, dato origine al popolo degli Elimi. Erice fu contesa tra Siracusani e Cartaginesi sino alla conquista di Roma, nel 244 a.C..
Anticamente sembra che Erice, come Segesta, fosse uno dei centri più antichi degli Elimi, il luogo in cui questo popolo soleva celebrare i suoi rituali religiosi.
Durante la guerra punica, Amilcare fortificò la cittadina. I Romani vi venerarono la Venere Ericina, la prima divinità romana che somigliava alla greca Afrodite.
Gli arabi occuparono la rocca nell'831 d.C., chiamandola Gebel-Hamed. I normanni, succeduti agli arabi, restaurarono la fortezza e le antiche porte di età elimo-punica, aprendone ulteriori tre e costruendo un castello nell'area dove, un tempo, sorgeva il santuario dedicato a Venere Ericina. Furono sempre i normanni a ribattezzare Erice con il nome di Monte San Giuliano, nel 1167.

mercoledì 18 agosto 2010

Il più grande puzzle dell'antichità


Diversi pezzi del puzzle più vecchio e più grande del mondo, praticamente frantumato; frammenti di una mappa di Roma vecchia di 2.200 anni composta da centinaia di pezzi di marmo, potrebbe essere riportata alla luce in seguito ai lavori del cantiere per la costruzione della nuova linea della metropolitana romana, adiacente al foro. Si tratta della famosa Forma Urbis Severiana.
I lavori della nuovoa linea della metropolitana cittadina sono un'occasione praticamente unica per scavare il Foro della Pace, dove un tempo era stata collocata la mappa. Quest'ultima fu ricavata da pezzi di marmo nel 210 d.C., durante il regno di Settimio Severo. Originariamente era stata appesa al muro del Tempio della Pace, che si trovava nel mezzo di uno spazio chiamato Foro della Pace. Il muro è tuttora in piedi accanto alla chiesa dei Santi Cosma e Damiano (VI secolo d.C.): possono ancora vedersi i fori nei quali erano stati collocati dei sostegni di rame ai quali era stata appesa la mappa.
La Forma Urbis Severiana descriveva in ogni dettaglio i singoli edifici, le strade, le scale della Roma del II secolo d.C., almeno finquando non fu strappata dal muro che la sosteneva, probabilmente per ricavarne calcina. Quello che non si riuscì a staccare, cadde e si ruppe in centinaia di pezzi difficilmente riconoscibili. I 1.1186 frammenti ritrovati formano solo il 10 o 15 per cento della superficie della mappa originale e sono ora custoditi nel Palazzo dei Conservatori, che ospita i Musei Capitolini. Questi frammenti sono un mistero archeologico ancora non risolto.
Gli studiosi del Rinascimento identificarono ed assemblarono circa 250 pezzi, riconoscendo in essi importanti punti di riferimento come il Colosseo ed il Circo Massimo.
Di recente esperti di computer ed archeologi della Stanford University si sono serviti delle tecnologie informatiche per tentare di ricostruire la parte mancante della mappa. Gli archeologi ritengono che molti frammenti della mappa si trovino ancora intorno al luogo dove, originariamente, questa era stata collocata e potrebbero riemergere durante un unico scavo.
Ma molti altri tesori potrebbero venire alla luce nel Foro della Pace, considerato il più interessante tra tutti i fori imperiali. Indubbiamente l'edificio centrale del Foro è il Tempio della Pace, costruito tra il 71 ed il 75 d.C. da Vespasiano. Il Tempio celebrava la violenta pacificazione della Giudea e la distruzione del Tempio di Gerusalemme del 70 d.C.. Tonnellate di oro, trombe d'argento e candelabri d'oro furono saccheggiati nel tempio di Gerusalemme ed ostentati in una parata che percorse le vie di Roma. Quest'evento è stato immortalato in un fregio di marmo dell'Arco di Tito, figlio di Vespasiano, che mostra chiaramente la menorah, il candelabro ebraico a sette braccia, che era il simbolo dell'antico Israele.
Tra il 75 d.C. ed i primi anni del V secolo, il tesoro del tempio aiutò in parte a finanziare la costruzione del Colosseo, mentre il rimanente fu esposto proprio nel Tempio della Pace. Comunque gli archeologi non pensano di poter recuperare i resti dell'antico tesoro, quanto, piuttosto di riportare alla luce altri resti preziosi del Foro della Pace. L'area era un grande spazio dedicato alla cultura ed alla meditazione, adorno di una galleria di sculture, che occupava il sito dove, tempo prima, sorgeva una parte della Domus Aurea di Nerone. L'area del Foro della Pace era caratterizzata da uno splendido giardino e da una grandissima biblioteca, con una sezione dedicata interamente alla medicina.
Recentemente sono state ritrovate le tracce delle fondazioni dove si trovavano le statue volute da Nerone. Questi resti recano la firma dell'artista che le scolpì. Gli archeologi sperano di trovare anche oggetti inerenti la biblioteca, come statuette in bronzo ed avorio, con ritratti degli autori dei libri nonchè, ovviamente, altri frammenti della preziosa Forma Urbis.

domenica 15 agosto 2010

I capolavori di Tell Halaf


Un puzzle di ben 27 mila tasselli, fragilissimi e non numerati. Questo è quello che si sono trovati davanti un team di archeologi e restauratori tedeschi guidati da Nadja Cholidis e Lutz Martin. Si tratta di un tesoro artistico ed archeologico vecchio di tremila anni: le monumentali statue del Tell Halaf Museum di Berlino.
Queste sculture, peraltro notissime, non erano mai state esposte al pubblico, finora, perchè ridotte ad un cumulo di macerie durante un bombardamento della Seconda Guerra Mondiale e dimenticate in uno scantinato. Ora saranno visibili nel Museo di Berlino dal 28 gennaio al 14 agosto 2011, per la prima volta dopo ben 70 anni.
Chi scoprì questi capolavori fu l'archeologo Max Von Oppenheim, destinato dal padre alla carriera diplomatica ed inviato, nel 1896, al consolato tedesco del Cairo. Tre anni dopo, seguendo le indicazioni di una guida beduina, scoprì i resti di un palazzo aramaico su una collina a nord della Siria chiamata Tell Halaf, situata nei pressi dell'antica città di Guzana, citata anche nell'Antico Testamento. Da allora trascorsero dodici anni prima che Von Oppenheim potesse riportare alla luce, a Tell Halaf, i resti di un palazzo principesco risalente al primo millennio a.C. e diverse statue imponenti, raffiguranti divinità, animali ed esseri fantastici.
Tra le statue riportate alla luce spicca "la bella Venere", un'imponente figura di donna seduta, il volto contornato da grosse trecce. Le sculture furono trasportate in Germania nel 1930. Le trattative per esporle sull'Isola dei Musei a Berlino fallirono e così Von Oppenheim decise di creare, in un vecchio padiglione industriale, un proprio museo, il Tell Halaf Museum, che presto acquisterà notorietà mondiale.
I frammenti, devastati dai bombardamenti dell'ultima guerra, sono stati ricomposti in nove anni di lavoro ed hanno restituito 30 tra sculture e rilievi.

Altri relitti nel mare di Gela


Gela ha regalato un altro relitto navale, di un'imbarcazione del V secolo a.C., come le altre rinvenute nella zona. Nella stessa zona sono stati ritrovati vasellame ed anfore, oltre a tre grandi navi, anch'esse del V secolo a.C., ritrovate in precedenza.
Il rinvenimento recente è un trave di circa quattro metri, che, probabilmente era la chiglia di un'antica imbarcazione. Sempre nello stesso specchio di mare, un mese fa, erano stati rinvenuti anfore e vasellame.
Il recupero del materiale è stato effettuato da quindici subacquei dell'associazione "Sviluppo e Ambiente". Il relitto, una volta estratto dal fondo marino, è stato deposto in una vasca per il processo di desalinizzazione, terminato il quale potranno iniziare gli esami da parte degli archeologi della Sovrintendenza del mare, che dovranno datarlo con precisione.

venerdì 13 agosto 2010

I misteri di Leonardo


La studiosa Carla Gori, in un volume che sarà a breve pubblicato, sostiene che Leonardo da Vinci avrebbe firmato i suoi capolavori non solo con l'impronta del dito ma anche attraverso delle iscrizioni contenute in cartigli presenti accanto ai soggetti. Rebus, dunque, anagrammi che hanno come soluzione la parola "Vinci".
Lo studio della Gori analizza, in particolare, il dipinto intitolato "Il Musico", custodito presso la Pinacoteca Ambrosiana, dove, secondo una sua ipotesi, sarebbe ritratto Galeazzo Sanseverino, genero di Ludovico il Moro e comandante generale dell'Armata Ducale.
La Gori sostiene anche che per la prima volta sono state decifrate le frasi in latino, contenute nei cartigli presenti nel "Ritratto di Luca Pacioli con un allievo", custodito a Capodimonte e nell'opera "Ginevra Benci", presente alla National Gallery di Washington.
La parte conclusiva dell'opera della studiosa è stata dedicata alla ricerca della vera identità della Gioconda che, a dire della Gori, sarebbe la figlia naturale legittimata di Ludovico il Moro nonchè moglie di Galeazzo Sanseverino.

Marche sconosciute: Pausulae


(MIBAC) I carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Ancona e del V Nucleo Elicotteri di Falconara Marittima, coadiuvati dai funzionari della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche, nel corso della consueta attività di monitoraggio dei siti archeologici marchigiani - attraverso ricognizioni in volo effettuate con l'ausilio degli elicotteri dell'Arma - hanno individuato, nei pressi di Macerata, una vasta area urbana, di circa 20 ettari, riferibile all'insediamento romano di Pasulae.
In particolare, la lettura delle fotografie aeree ha consentito di riconoscere un fitto tracciato viario con relativo abitato ed edifici a pianta quadrangolare con colonnati.
Il reticolo urbano, avente orientamento N.E., è racchiuso da un'imponente cinta muraria che asseconda l'andamento della valle fluviale.
I nuovi dati scientifici, frutto della costante collaborazione tra i reparti specializzati dell'Arma dei Carabinieri e i competenti organi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, opportunamente rielaborati, porteranno ad un decisivo miglioramento delle attuali conoscenze sull'anatomia topografica dell'antico insediamento romano.

********

L'antica città di Pausulae si trova nei pressi dell'Abbazia di S. Claudio al Chienti, in località S. Claudio di Corridonia. Le sole menzioni di questo centro della bassa valle del Chienti sono rappresentate da un passo di Plinio che la indica come municipio autonomo, parla della bonifica agraria in età triumvirale e ne indica la delimitazione dei confini. Un'ulteriore notizia storica su Pausulae risale al 465 d.C. ed attesta l'esistenza della città ancora nel V secolo d.C. e la sua importanza come sede episcopale.
Le fonti documentano l'esistenza di due percorsi viari che interessavano Pausulae: quello Asculum-Pausulae-Potentia e quello Firmum-Pausulae. Le ricerche topografiche, confrontando le fonti con le evidenze archeologiche, hanno ricostruito gli assi viari Urbs Salvia-Pausulae e Pausulae-Ricina ed hanno ipotizzato, senza, però, avere ancora riscontri precisi, il percorso Falerio-Pausulae.
La documentazione epigrafica, riguardo lo status politico di Pausulae, ne parla solamente come municipium ascritto alla tribù Velina. Le iscrizioni, in particolare, coprono un arco temporale che va dall'età augustea alla tarda età imperiale e sono quasi esclusivamente di carattere onorario e funerario. Significative, in particolare, sono la dedica al divo Augusto e quella a Commodo, databili tra il 177 ed il 178 d.C., che forniscono ragione di credere che vi fosse un qualche tipo di legame tra Pausulae e la casa imperiale.
Gli scavi hanno permesso di individuare, ad est dell'Abbazia di S. Claudio, una vasta zona di affioramento di materiali e la presenza di strutture murarie. Le campagne di scavo che la Soprintendenza ha condotto in loco tra il 1980 ed il 1982, hanno evidenziato che l'area urbana più antica si estende ad est oltre la cinta muraria. Le due fasi più antiche, risalenti agli ultimi decenni del I secolo a.C., sono rappresentate da ambienti a pianta quadrangolare, allineati ai lati della carreggiata stradale ed affacciati ad ovest, su di un portico. La presenza, nella seconda fase edilizia, di numerosi focolari che si aprono su uno spesso strato di bruciato e di abbondantissime scorie di ferro, fa supporre che si tratti di un complesso industriale.
Notevole interesse riveste il ritrovamento di etichette plumbee iscritte, usate come contrassegno di produttori o nel trasporto di merci. Un'altra attestazione dell'attività commerciale ed un frammento in terra sigillata italica con bollo in planta pedis dell'officina di C. Memmius, vasaio aretino la cui produzione si era diffusa anche nelle Marche.
In località limitrofe a Pausulae sono emersi i resti di una villa romana del I secolo a.C. e frammenti di dolii, laterizi e ceramica.

Le meraviglie sepolte di Aquileia


Gli archeologi dell'Università di Trieste hanno ritrovato uno degli accessi alla monumentale domus dei Putti Danzanti di Aquileia. La domus, risalente al IV secolo d.C., probabilmente apparteneva ad una personalità piuttosto in vista dell'epoca, forse un funzionario imperiale.
Gli scavi sono condotti dall'archeologa Federica Fontana e stanno rivelando, di anno in anno, l'intera pianificazione del quartiere cittadino in cui è stata rinvenuta la domus, compreso tra il foro ed il porto fluviale.
"Abbiamo rinvenuto, proprio in corrispondenza dell'accesso orientale della domus, un ambiente riscaldato su suspensurae, con un pavimento musivo policromo molto bello. - Racconta l'archeologa Fontana. - Grazie a queste scoperte possiamo dire che la casa occupava molto probabilmente l'intero quartiere e si articolava su una serie di piccoli cortili scoperti e di veri e propri peristili. Uno di questi era dotato di un grande canale in calcare per lo scolo dell'acqua piovana, di un tipo che si ritrova, in genere, solo negli edifici pubblici. Questi elementi ci fanno comprendere meglio quanto fosse importante questa domus per Aquileia".
Proprio qui, nel 2005, furono riportati alla luce due mosaici policromi di straordinaria importanza e nel 2009 venne ritrovato un frammento di coppa in vetro "diatreta", di cui esistono pochissimi esemplari integri. Questa coppa era un oggetto di lusso, destinato ad essere utilizzato solo dagli alti funzionari imperiali o da coloro che gravitavano alla corte dell'imperatore.
"Nell'area del peristilio, il portico che cingeva il cortile interno della domus, abbiamo trovato pure una testa femminile in marmo che forse faceva parte della decorazioen scultorea dell'ambiente", ha aggiunto la Dott.ssa Fontana.

mercoledì 11 agosto 2010

Qubbat al-Sakhra


La Cupola della Roccia o Qubbat al-Sakhra, domina la spianata del Tempio o Haram al-Sharif. Questo edificio, di forma ottagonale, misura 54 metri di diametro e la sua cupola raggiunge i 36 metri di altezza. I quattro lati dell'ottagono, rivolti verso i punti cardinali, sono dotati di porte aggettanti, la più importante delle quali è rivolta a sud ed è preceduta da una tettoia sorretta da otto colonne. E' l'edificio islamico più grande al mondo è fu completata nel 691.
La roccia al centro dell'edificio è ritenuta, dai musulmani, il luogo in cui Maometto, asceso al cielo nel suo miracoloso viaggio notturno, completò il suo spostamento cominciato a La Mecca, prima di cominciare la sua ascesa al cielo. Sulla medesima roccia, Abramo avrebbe dovuto sacrificare Ismaele od Isacco prima dell'intervento di Dio. A volere la sua edificazione, ad opera di maestranze bizantine, fu il califfo Abd al-Malik ibn Marwan.
All'interno si snoda un doppio deambulatorio destinato al rito della circumambulazione. Questi anelli sono fiancheggiati da portici concentrici, il più grande è ottagonale e corre parallelamente ai muri dell'edificio, comprende 24 archi. Su ogni lato dell'ottagono due colonne si alternano ai pilastri d'angolo. Il portico interno ha solo quattro pilastri ed è circolare. Fra l'uno e l'altro pilastro si ergono tre colonne. Al di sopra di questa arcata si innalza il tamburo cilindrico sul quale si poggia la cupola.
Molti studiosi hanno analizzato questa struttura fatta di elementi circolari ed ottagonali, di spazi circolari ed anulari, di alternanza di pilastri e colonne. Creswell ed Ecochard, analizzando le formule geometriche alla base della pianta di questa meraviglia architettonica, hanno constatato che la disposizione delle arcate concentriche deriva da un tracciato basato su un cerchio esterno del raggio di 28,87 metri, nel quale si iscrivono due quadrati intersecantisi.
Strutture simili, la cui pianta si desume a partire da un unico dato, sono comuni nel mondo antico ed anche a Bisanzio. Ecochard ha, infatti, scovato analoghe strutture in S. Vitale a Ravenna (540) e nella chiesa dell'Ascensione a Gerusalemme (378). Uno schema analogo sembra sia anche alla base dell'ottagono di Kalat Siman (476), martyrium di S. Simeone Stilita nella Siria settentrionale.
Il tracciato della Cupola della Roccia è un vero e proprio ricettatcolo dell'esoterismo matematico antico e risponde all'idea dei filosofi greci secondo cui i numeri ed i corpi geometrici semplici consentono la comprensione della realtà. Nella Cupola la simbologia è insita nel passaggio dal quadrato al cerchio, ossia dalla terra al cielo, tramite l'ottagono. Sostanzialmente è una sorta di mandala. Attraverso la circumambulazione, il pellegrino esperisce la quadratura del cerchio, l'unione di corpo e anima.
Sul tamburo cilindrico emergente dall'ottagono, si innalza la grande cupola, con copertura in rame interamente rivestito di foglie d'oro. Questa cupola è stata realizzata mediante due armature in legno, l'una dentro l'altra. La calotta esterna, lievemente a ferro di cavallo e sopraelevata, ne contiene un'altra perfettamente emisferica.
La decorazione, ricchissima, della Cupola della Roccia, riprende il linguaggio ornamentale bizantino. L'esterno dell'ottagono è stato interamente rivestito di maioliche policrome in epoca ottomana. All'interno è il trionfo del fasto bizantino: colonne in marmo colorato su basi cubiche, capitelli corinzi dorati sormontati da dadi, i magnifici mosaici a festoni e ramature su fondo oro che coprono pareti ed arcate.
Nelle intenzioni di colui che ideò e fece costruire la Cupola della Roccia, il califfo Abd el-Malik, l'edificio doveva diventare il centro del mondo islamico, sottraendo alla Kaaba il suo ruolo preminente. Inoltre doveva sottolineare la convergenza tra le religioni nate dal Pentateuco. Tra l'altro la Cupola della Roccia evoca il primo Santo Sepolcro di Gerusalemme (335), dal quale non è molto distante. Esiste un'analogia tra questi due edifici: entrambi obbediscono ad una pianta centrale a doppio deambulatorio sormontato da una cupola che misura, rispettivamente, 20 e 40 metri di diametro interno. L'uno e l'altro custodiscono, al loro interno, una roccia sacra al di sotto della quale si apre una grotta. In tutti e due viene mostrata l'impronta di un piede: quello di Gesù risorto e quello dell'"inviato di Allah" al momento di ascendere ai cieli.
Sotto la placca di diaspro, situata nella caverna sotto la roccia, è situato il cosiddetto Pozzo delle Anime, dove i musulmani credono si riuniscano le anime dei defunti a pregare in attesa del giudizio universale.

domenica 8 agosto 2010

Hera, la Grande Madre del Sele


Aggiungo alcune notizie a quelle già postate circa il Santuario di Hera Argiva alla foce del Sele, in Campania.
Il luogo di culto era molto famoso, nell'antichità, al punto che ne parlarono Plinio il Vecchio e Strabone. Con il tempo si persero le tracce del santuario, che si impaludò precocemente, e già in epoca romana, pur essendo a conoscenza dei suoi passati splendori, si ignorava dove si trovava, un tempo.
La prima ricognizione archeologica del sito si data al 1933, quando l'archeologa Paola Zancani Montuoro ed il suo collega Umberto Zanotti Bianco decisero di concedere fiducia a Strabone ed alle sue indicazioni e si avventurarono nella pianura del Sele. Dopo aver vagato ben due giorni nell'ampia pianura popolata dalle bufale, i due ricercatori riuscirono a ritrovare le tracce dell'antico santuario. Oggi i resti del santuario, a causa dell'insabbiamento progressivo dovuto al bradisismo, si trovano a circa 1,5 chilometri dalla foce del fiume.
Anticamente, però, questo luogo fuori dal tempo doveva veramente rappresentare un locus sacer: vi era un fiume ricco di acque che traversava un luogo in parte palustre, in parte lussureggiante di olmi, pioppi e salici, con un luogo felice per l'attracco di imbarcazioni.
Le oltre settanta metope scolpite, ritrovate nell'area dove un tempo sorgeva il santuario, costituiscono uno dei cicli lapidei più complessi del mondo occidentale antico. Quaranta di queste lastre sono databili al VI secolo a.C. e sono le più antiche, scolpite nella tenera arenaria gialla locale. Esse raccontano le storie di eroi cari alla memoria di molti, studiosi e non: Ulisse, Eracle, Achille, Giasone, Oreste. Due di queste lastre furono trovati, dagli archeologi Zancani Montuoro e Zanotti Bianco, nei pressi di una struttura a pianta rettangolare, identificata, poi, come un thesauros, con una ricca decorazione in pietra ed un corredo di ben 36 metope. La ricostruzione di questo thesauros si può, oggi, ammirare al Museo Nazionale di Paestum.
Ma chi era Hera? La moglie-sorella di Zeus, innanzitutto, regina degli dei e simbolo di fedeltà coniugale. Veniva adorata come fanciulla, protettrice della giovinezza e della crescita dell'uomo e della natura. Ma è anche la solitaria, che si nasconde, si allontana dal marito (chera, vedova) per riconquistare la sua verginità per mezzo di un bagno rituale nelle acque di un fiume o di una sorgente. I suoi aspetti sono collegati direttamente al ciclo naturale: come fanciulla rappresenta la primavera, in qualità di sposa incarna l'estate, come vedova è l'autunno. E questo triplice aspetto le consente di sovrintendere alla fertilità dell'umanità e della natura. In tal modo essa protegge le greggi ed i raccolti; il suo animale sacro è il bue e viene chiamata "la dea dagli occhi di vacca", ma le sono sacri anche il cavallo, il leone, il cuculo ed il pavone.
Come moglie di Zeus è protettrice dell'ordine sociale basato sulle nozze e sulla nascita, per questo Hera sovrintende ai parti, sciogliendo i dolori delle doglie, rende fertile non solo la coppia ma anche il territorio sotto la sua protezione. Il giardino (kepos) è l'ambiente familiare alla dea, ricco e rigoglioso. Il frutto che dai tempi più antichi la rappresenta è la melagrana, i cui mille semi rappresentano, appunto, la fertilità dell'uomo e della natura.
Il culto della dea è attestato in tutta l'Italia antica ancor prima dell'arrivo degli Argonauti, che, vuole la leggenda, furono i fondatori del santuario di Hera Argiva. Il culto della dea era legato soprattutto ai santuari fondati dagli euboici in terra italica ed era connesso fortemente agli scali commerciali: Hera proteggeva, infatti, la navigazione e gli approdi. Modellini di imbarcazioni venivano costruite al fine di propiziarsi una buona navigazione.
Il culto della dea, insegna Omero, era originario della città di Argo. Spesso i suoi santuari erano costruiti sul limitare di boschi, giardini, fiumi, montagne o presso il mare. L'heraion di Argo era posto su un'altura, nella piana dell'Argolide, e di fronte aveva le montagne, c'era il bosco di Hera, dove pascolava il bestiame sacro alla dea, ed era circondato da tre fiumi: Eleutherio, Asterion ed Inacos. L'heraion di Samo si trovava in un bacino paludoso a sei chilometri dalla città, vicino al mare, mentre a Perachora il tempio di Hera Akraia era situato sul lato meridionale della parete del promontorio lungo il porto. L'heraion di Olimpia era circondato da un bosco e due fiumi, l'Alfeo ed il Cladeo. A Metaponto l'heraion è situato in una piana resa fertile dai fiumi Basento e Bradano. A Crotone l'heraion è posto sul promontorio Lacinio, molto visibile da lontano.
Gli Etruschi assimilarono Hera alla loro divinità Uni, i Romani la chiamarono Giunone ed in suo onore istituirono i Matronalia, che cadevano i primi giorni di marzo. L'iconografia più tipica della dea era quella che la vedeva rappresentata con in braccio un bambino. I Romani dedicarono ad Hera/Giunone il mese di giugno, considerato propizio alle nozze.
I doni portati ad Hera erano considerati molto preziosi e non venivano mai gettati via né riutilizzati. Una volta che erano diventati vecchi, venivano sepolti in apposite fosse votive, stipi, o in stanze sotterranee, le favisse. Nel 1936 proprio nell'area del santuario di Hera Argiva venne individuato un deposito votivo formato di cinque loculi contigui. I doni - immagini della dea in terracotta - erano sistemati con molta cura all'interno dei locali. Il terreno attorno ai loculi era anch'esso pieno di ex voto, ma questi apparivano frantumati, ridotti in molti pezzi. Il materiale votivo è stato datato tra la fine del VI ed il III-II secolo a.C..
Nel santuario sono stati rinvenuti due pozzi (bothroi) con altari affiancati che attestano il culto ctonio di Hera in qualità di divinità infera. In questi pozzi sono stati trovati i resti di legna per il fuoco dei sacrifici (olmo e castagno), resti di vittime sacrificate (cani, gatti, capre, galli, piccioni) ed oggetti votivi. Già nel 1934 era stato individuato un enorme scarico votivo in cui furono individuati ben seimila oggetti: testine di varia grandezza e tipologie differenti, statuette di offerenti femminili, busti di donne alcune delle quali recano in testa un fiore, invenzione delle botteghe pestane. Meno numerosi i vasi, raramente figurati ed i piccoli oggetti di bronzo di uso comune. La maggior parte del materiale copre un periodo storico che va dal VI al II secolo a.C..

giovedì 5 agosto 2010

La tomba del principe sconsociuto di Tarquinia


A Tarquinia, in provincia di Viterbo, è stata fatta una scoperta davvero eccezionale: è stata ritrovata la più antica tomba dipinta della necropoli dei lucumoni etruschi.
L'Adnkronos informa che la scoperta è stata fatta durante la terza campagna di scavi dell'Università degli Studi di Torino e della Soprintendenza Archeologica per l'Etruria Meridionale. Ad essere riportata alla luce è stata l'anticamera di una maestosa sepoltura a tumulo, recante resti di un rarissimo intonaco del VII secolo a.C. con l'affresco più antico del mondo etrusco.
L'area in cui si trova l'antico tumulo è chiamata Doganaccia e gli studiosi ritengono che vi siano stati sepolti i notabili ed i nobili etruschi. L'accesso alla tomba è monumentale, con un'ampia gradinata a cielo aperto, relativa al più grande tumulo funerario di Tarquinia di età orientalizzante detto "della Regina". Attraverso questo ingresso gli archeologi sono arrivati alla sepoltura di un personaggio di spicco della comunità etrusca, forse di rango reale. L'ambiente è rivestito di un consistente intonaco bianco in gesso alabastrino, secondo una modalità conosciuta a Cipro, in Egitto ed in area siro-palestinese.
E' un esempio piuttosto raro di rivestimento murario, finora mai attestato in Etruria, che sicuramente richiedeva l'impiego di maestranze specializzate provenienti dal Levante mediterraneo. Le tracce di pitture permettono di riconoscere una fascia orizzontale di colore rosso che doveva svilupparsi su tutti i lati dell'ingresso, sulla quale si trova una raffigurazione che non è ancora stata interpretata. Forse, come era tradizione tra gli Etruschi, si tratta di un animale (campito in nero con contorni in rosso) che doveva alludere al mondo infero.
I dipinti sono ottenuti con una tecnica pittorica assimilabile alla tempera, ricordata da Plinio il Vecchio e nata in Grecia tra l'VIII ed il VII secolo a.C.. Se lo scavo confermerà la datazione della tomba, si tratta della più antica pittura etrusca conosciuta

domenica 1 agosto 2010

Il Caravaggio non è...un Caravaggio

Il "Martirio di San Lorenzo" dei Gesuiti non sarebbe, come da più parti annunciato, opera di Michelangelo Merisi, detto Caravaggio.
Autore sarebbe un caravaggesco siciliano o maltese.
Qui si trova un video e la notizia dell'Adnkronos.

Pulizie alla villa di Lucullo a Miseno


Alcuni volontari hanno riportato alla luce, liberandole dai rifiuti, alcune strutture di epoca romana appartenenti, così parrebbe, alla Villa di Lucullo a Miseno. Sono visibili enormi volte in opera laterizia suddivise da diversi ambienti di servizio ben conservati. C'è anche una preziosa porta articolata con colonne addossate alle pareti. Il resto della struttura si trova sotto la sabbia.
Miseno era ben conosciuta dagli antichi romani, i più ricchi dei quali avevano qui le loro lussuose residenze. Miseno ospitava, sul suo promontorio, una grandissima residenza, poi passata nel demanio imperiale, fatta costruire dal generale Lucullo. Gli ambienti erano disposti su più livelli e digradavano tutti verso il mare. Ninfei e peschiere sono ben conosciuti, sebbene accessibili solo via mare. E' anche conosciuta un'antica cisterna scavata nel tufo, chiamata Grotta della dragonara, che convogliava le acque che venivano utilizzate nel complesso. Buona parte del complesso è, però, sconosciuto, in quanto è sprofondato a causa del bradisismo.
I volontari che hanno compiuto l'encomiabile opera di sgombero della struttura dai rifiuti, appartengono in parte all'associazione Misenum, alla quale ci si può rivolgere per effettuare delle visite guidate attraverso un itinerario marino ed uno terrestre (prenotazioni ai numeri telefonici 328.6892886 e 081.5233977).

Turchia, gli "inviti" di Antioco I di Commagene...

Turchia, l'iscrizione di Antioco di Commagene (Foto: AA) Un'iscrizione trovata vicino a Kimildagi , nel villaggio di Onevler , in Tu...