lunedì 31 dicembre 2012

Fenici giramondo

Maschera ghignante fenicia
I Fenici goderono della fama di ottimi navigatori sin dal loro primo apparire sulle scene del Mediterraneo, nel II millennio a.C.. Essi percorrevano il mare alla ricerca delle materie prime tanto loro necessarie, di luoghi dove stabilire empori e mercati, come Cartagine.
I Fenici si arrischiarono, pare, anche oltre le Colonne d'Ercole, come risulta da alcuni scritti di autori classici. Le prime notizie riguardo gli scambi tra le città fenicie con l'esterno, si trovano nel racconto romanzato del sacerdote egiziano di Tebe Wenamon, che raggiunse Biblo per comprare il legno di cedro necessario per costruire la barca sacra ad Amon (XI secolo a.C.).
Anche la Bibbia fornisce importanti testimonianze delle imprese commerciali marittime che Salomone intraprese con Hiram, re di Tiro, nel X secolo a.C.. Si trattava di viaggi commerciali verso il paese di Ofir (la Somalia o la Nubia) e verso Tarshish (Tartesso, nella Spagna sudoccidentale). Da Ofir provenivano l'oro e l'incenso, da Tarshish l'argento, il ferro e lo stagno.
Gli autori classici riportano che i Fenici colonizzarono il Mediterraneo nell'XI secolo a.C.. Al 1110 a.C. è attribuita la fondazione di Cadice, al 1101 quella di Utica e Lixus. Cartagine venne fondata nell'814-813 a.C., come è stato confermato anche dagli scavi.
Nell'isola di Cipro, isola del rame (Cuprum) per antonomasia, l'impianto urbano di Kition, colonia di Tiro, risale al IX secolo a.C., e proprio da Cipro si diffusero, in tutto il Levante, idee e tecniche del Vicino Oriente.
Manfatto fenicio in pasta di vetro
Nella seconda metà dell'VIII secolo a.C. Rodi aveva una folta comunità di coloni Fenici che commerciavano in olii aromatici. Contemporaneamente a Creta lavoravano stabilmente artisti orientali ed anche Malta ebbe la sua razione di contatti con l'intraprendente popolo di navigatori.
Nel Mediterraneo i Fenici raggiunsero la Sicilia per poi penetrare nel Tirreno, facendo tappa nel fondaco di Pithecoussa (Ischia), per raggiungere le coste etrusche e la Sardegna, dove la metallurgia aveva avuto modo di svilupparsi già a partire dal XV secolo a.C., su influsso dei navigatori Micenei. Tra gli approdi fondati sull'isola si contano Tharros, Nora, Cagliari e Monte Sirai.
La più antica fondazione fenicia nel Mediterraneo fu Cadice, chiamata Gdr in fenicio e importante per il commercio dell'argento. Gli storici Strabone e Velleio Patercolo collocano la fondazione della colonia di Tiro Gadir nel 1100 a.C.. Oggi la città si presenta come una penisola, ma studi paleotopografici hanno dimostrato che, anticamente, era un vero e proprio arcipelago composto da tre isolette: Erytheia, dove si sviluppò l'abitato, Kotinoussa, dove si trovava la necropoli e il tempio di Melqart e Antipolis. Altre colonie fenicie erano state impiantate sulla Costa del Sol tra il 750 e il 550 a.C.

I Dioscuri del Quirinale

I Dioscuri che dominano piazza del Quirinale a Roma sono tra le statue più significative che ci sono giunte dall'antichità.
Inizialmente decoravano il tempio di Ercole e Bacco (creduto dedicato al Sole o a Serapide), voluto da Settimio Severo intorno al 198 d.C. in onore del futuro dei figli Caracalla e Geta. Le due statue furono trasferite nelle adiacenti terme di Costantino.
Dal Medioevo i Dioscuri furono un riferimento topografico in descrizioni della zona e  piantine della città. Nel 1470 vennero puntellati con muri in mattoni (così appaiono in stampe del Cinquecento). Sisto V (1585-1590) fa integrare con il marmo le parti mancanti da Flaminio Vacca. Domenico Fontana, grande architetto dell'epoca, invece, libera piazza del Quirinale dai ruderi delle terme.
Nel 1783 Pio VI fa prelevare un obelisco dal Mausoleo di Augusto (compagno di quello attualmente visibile sull'Esquilino) per collocarlo tra le statue dei Dioscuri. Sulle basi le iscrizioni "opus Phidiae" e "opus Praxitelis" furono fatte apporre da Sisto V. In realtà gli studiosi non sono mai stati d'accordo su quest'attribuzione, preferendo, per motivi di congruità stilistica, l'attribuzione del gruppo marmoreo all'età Severiana.

Riaperti i sotterranei delle Terme di Caracalla

Uno dei capitelli che saranno visibili nei sotterranei
delle Terme di Caracalla
Le Terme di Caracalla apriranno presto i loro sotterranei, un complesso unico al mondo, nonché conservato in modo pressoché perfetto. Si tratta di 130 mila metri quadrati di superficie presto in parte visitabili. Qui sarà collocato un piccolo museo contenente 47 marmi del complesso e anche enormi capitelli ed il rilievo proveniente da una delle palestre.
I capitelli, di grandezza eccezionale, sono esposti su false colonne, a tre metri di altezza dal suolo. Dal 2000 i restauri ed i recuperi hanno permesso di "ritrovare" il mitreo, ma ci sono voluti ben 16 anni per poter mostrare i marmi al pubblico. I sotterranei delle Terme di Caracalla sono lunghi due chilometri, sono alti e larghi sei metri. In tre livelli sotterranei, con i lucernai che permettevano all'aria di circolare e di non far marcire la legna, c'erano i depositi, i forni che venivano utilizzati per riscaldare l'acqua del calidarium e delle saune, un mulino, il mitreo, l'impianto idrico. I sotterranei erano così grandi perché servivano a far passare la legna su carri tirati da cavalli.
Altri capitelli provenienti dalle Terme di Caracalla
Un'attrazione era, senza dubbio, la natatio, una piscina di 50 x 22 metri con una scalinata che permetteva di accedervi. Ma anche le biblioteche erano spettacolari. L'unica riconoscibile, scoperta nel 1912 e scavata negli anni Ottanta) è vicino all'ingresso che dà all'Aventino. Questa biblioteca è un rettangolo di 38 x 22 metri, con le pareti coperte da 32 nicchie ed una nicchia più grande al centro che doveva, forse, contenere la statua di Atena.
E' stata ritrovata anche parte della decorazione delle palestre, una decorazione molto complessa, ottenuta dal marmo del monte Pentelikon. Vi erano corone di quercia, immagini di Giove, un'architrave ed altri simboli come putti alati, putti che cacciavano, armi e persino una testa di barbaro. Tutto questo sarà visibile ai visitatori. Il rilievo forse raffigurava le tappe di una campagna militare condotta da Settimio Severo, padre di Caracalla, il quale costruì le terme, inaugurate nel 216. Per farlo l'imperatore abbatté un intero quartiere, del quale rimane, ancora visibile, a sei metri sotto l'attuale livello, una domus dell'epoca di Adriano.
I capitelli, le colonne e le basi della biblioteca, all'inizio del XIII secolo, sono stati inseriti nella navata centrale di Santa Maria in Trastevere e ancora conservano i busti delle divinità egizie.

Orari: dalle 9.00 ad un'ora prima del tramonto. Il lunedì aperto dalle ore 8.30 alle ore 13.00
Biglietto: € 7,00 (ridotto € 4,00) - il biglietto è valido 7 giorni e consente l'accesso anche a Villa dei Quintili e al Mausoleo di Cecilia Metella sull'Appia Antica
Info per visite guidate: 06.39967700 - www.coopculture.it

domenica 30 dicembre 2012

Ritrovato un manoscritto di Boccaccio

Un manoscritto, conservato nella British Library di Londra, contrassegnato dal codice Harley 5383, è stato vergato dalla mano di Giovanni Boccaccio (1313-1375). Si tratta di una copia del XIV secolo della "Historia Langobardorum" di Paolo Diacono.
A fare la scoperta è stata Laura Pani, docente di Paleografia del Dipartimento di studi umanistici dell'Università di Udine. Si sapeva che l'"Historia Langobardorum" era stata una delle fonti del Boccaccio, tra le quali il Decameron. La scoperta di questo manoscritto, Harley 5383, permette di ricomporre definitivamente il manuale di storia antica, romana e medioevale di proprietà del Boccaccio e da lui stesso copiato.
Il manoscritto Harley 5383 fu comperato nella prima metà del '700 dai conti Harley ad un prezzo irrisorio, poi passo nelle raccolte del British Museum dove rimase ignorato dagli studiosi per più di quattro secoli. Il manoscritto presenta, a margine, una nota di Boccaccio in relazione ad un passo dell'"Historia Langobardorum" in cui è descritta l'epidemia di peste del VI secolo.
Sono noti almeno venti manoscritti autografi di Boccaccio, che sono custoditi per lo più nelle biblioteche italiane. Una delle ultime scoperte di un autografo boccacciano, una copia degli "Epigrammi" di Marziale conservata nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, risale al 2006.

I Romani e i loro...antenati nel Vicentino

Gli archeologi a Tezze d'Arzignano
Nei pressi di Tezze d'Arzignano, in provincia di Vicenza, gli archeologi hanno ritrovato un insediamento romano che sembra essere stato edificato su un preesistente sito preistorico. Un agricoltore locale aveva scoperto quella che sembrava essere ceramica, mosaico e un bicchiere risalente all'epoca romana.
Un'indagine condotta da ricercatori guidati da George Crothers, professore associato di antropologia presso la Facoltà delle Arti e delle Scienze del Regno Unito, ha appurato che esistono delle grandi caratteristiche circolari al di sotto del sito romano. Paolo Visonà, archeologo e storico dell'arte originario del nord Italia e professore associato di storia dell'arte presso il College of Fine Arts del Regno Unito, ha affermato che i cerchi sono molto in profondità, nel terreno. Visonà ritiene che questi cerchi possano essere la prova dell'esistenza di capanne di una popolazione preistorica. I resti potrebbero risalire al Neolitico o alla tarda Età del Bronzo. Le fonti antiche, in proposito, parlano dei Dripsinates, una comunità subalpina vissuta proprio in questi luoghi.

Il ritorno delle coppe di Stabia

Una delle coppe di Stabia appena restaurate
Il cedimento di un piano d'appoggio all'interno del Museo Archeologico Nazionale di Napoli ha determinato, nella scorsa primavera, la distruzione di tre coppe in ossidiana provenienti dall'antica Stabia.
Il restauro dei reperti è stato piuttosto difficile, dal momento che essi sono stati ricavati dall'ossidiana, un vetro naturale di origine vulcanica, ma oggi i reperti sono nuovamente visibili.
Le coppe sono state ritrovate nel 1954, durante gli scavi di Villa San Marco. Già allora erano in condizioni frammentarie e si impiegarono due anni per riunire tutti i pezzi. Le coppe sono state realizzate con filamenti d'oro e pietre dure. Le scene sono di smalto colorato e richiamano temi egizi: un piccolo tempio con corallo e malachite, il bue Api, il falco Horus e Ibis Toth. La terza coppa presenta una decorazione floreale. Il colore di fondo è nero ed ha fatto supporre che l'ossidiana provenisse dall'isola di Lipari.
Lo studioso Stefano De Caro, però, ritiene che, proprio per le decorazioni egittizzanti, l'ossidiana proveniva probabilmente dall'Etiopia, dove fu scoperta da un certo Obsidius, che le lasciò anche il nome. Oggi, inoltre, accurati studi hanno escluso che l'ossidiana provenisse dalle isole Lipari, dalla Sardegna, dalla Grecia e dall'Anatolia e l'ipotesi dell'origine etiopica ha acquistato forza, contemporaneamente alla certezza che la decorazione era opera di qualche bottega di Alessandria d'Egitto.
L'intarsio è composto di malachite, lapislazzuli, corallo bianco e rosa, inseriti in alveoli rivestiti di lamina aurea. Due delle coppe hanno una grandezza quasi uguale, mentre la terza è di dimensioni inferiori.
Le coppe di Stabia risalgono ad un periodo di tempo compreso tra il I secolo a.C. e il II secolo d.C. e sono attualmente visibili al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

sabato 29 dicembre 2012

Un antico teatro romano a Favisham

I resti del teatro romano di Faversham
Scavi archeologici a Faversham, Gran Bretagna, hanno rivelato i resti di un teatro romano. Le indagini sono iniziate nel 2007, ma i risultati sono stati resi pubblici solo ora.
Il Dottor Paul Wilkinson afferma che il monumento ha almeno duemila anni ed è il primo del genere ritrovato in Inghilterra. In origine poteva ospitare 12.000 persone e gli archeologi si apprestano a farlo diventare un monumento da preservare per le future generazioni.
Il Dottor Wilkinson ritiene che quanto è tornato alla luce è un esempio, unico in Gran Bretagna, di santuario rurale romano con tanto di teatro ricavato dal fianco della collina.

Finziade, città dimenticata

Scavi nella Casa 1 di Finziade
Nel 1998 l'archeologa Graziella Fiorentini scoprì, all'interno del vano 7 della Casa I dell'antica città di Finziade, nel territorio di Licata, tra Agrigento e Gela, un gruppo di gioielli in oro e oltre 400 monete d'argento di fine III secolo a.C.
Diodoro Siculo, nativo di Agyrion, odierna Agira, in provincia di Enna, nella sua Historia universalis narra come fu fondata Finziade. La città trae nome, secondo lo storico, dal nome del tiranno di Agrigento Finzia, che la fondò trapiantandovi i cittadini di Gela, costretti all'emigrazione a causa dell'abbattimento delle mura e delle abitazioni della loro città.
Finziade fu l'ultima fondazione greca in Sicilia, risalente al 282 a.C.. Fu al centro di una polemica sull'identificazione del luogo dove sorgeva. La città fu edificata sul Monte Sant'Angelo, 134 metri sul livello del mare, in posizione dominante sulla foce del Salso (nome attuale dell'antico Himera). Per molto tempo gli archeologi rinvennero solo materiali isolati, quali monete e una lunga iscrizione che fu ritrovata nel 1660, datata all'epoca romana, tra il II e il I secolo a.C.
La Soprintendenza, coadiuvata dall'Associazione Archeologica Licatese, ha ritrovato ed esplorato diversi settori dell'abitato dell'antica città e della sua necropoli. Finziade aveva un impianto urbanistico impostato su terrazzamenti e improntato al principio della regolarità degli isolati abitativi e delle strade, che si incrociavano ad angolo retto.
Licata, area archeologica di Finziade
Le case dell'antica città avevano tutte un piccolo cortile centrale che serviva a far entrare la luce e a raccogliere l'acqua piovana. I tetti avevano falde inclinate verso l'interno e convogliavano l'acqua in cisterne scavate nella roccia. Bagno e cucina erano solitamente contigui. La casa più interessante è quella denominata Casa 1. Le pareti ricavate nella roccia presentavano ancora i rivestimenti in intonaco dipinto con cornici modanate in stucco. Inoltre, a differenza delle altre case, la Casa 1 presenta un portico a pilastri davanti ai vani retrostanti e persino un piano superiore con altre stanze. La stanza centrale della casa era accessibile dal cortile e presenta pareti interamente intonacate, con zoccolo dipinto di rosso. In un angolo è stato ritrovato, ancora al suo posto, un altare in argilla cruda. Sulla parete retrostante si trova una nicchia che conteneva le figurine delle Cariatidi rappresentate nell'atto di sorreggere tre arcate e ritrovate crollate al suolo.
Il sakkos rinvenuto a Finziade
Nel 1998, mentre si continuava lo scavo della Casa 1, a circa 30 centimetri dal livello pavimentale, si rinvennero 443 monete d'argento, che furono battezzate "tesoretto di Finziade". Probabilmente le monete furono nascoste dal proprietario della casa in un apposito vano del piano superiore della stessa, custodite in un contenitore di stoffa o di pelle andato perduto. Le monete risalgono agli anni della seconda guerra punica. Anche i gioielli ritrovati nella medesima casa, forgiati, forse, ad Alessandria d'Egitto, risalgono allo stesso periodo.
La distruzione della Casa 1 è stata datata, dagli archeologi, al 40 o 30 a.C. e questo ha fatto pensare che i successivi occupanti dell'abitazione ignorassero l'esistenza del tesoretto. Quest'ultimo comprendeva, oltre a monili d'oro, 162 sesterzi, 278 quinari, 2 denari, tutti in argento e 4 monete in bronzo. Si tratta di una delle prime testimonianze dell'introduzione del denarius, nuova moneta di Roma dal 215 a.C..
Il bracciale ritrovate a Finziade
Per quel che riguarda i gioielli, l'uso dei monili in oro per ornamento personale si documenta, in Italia meridionale e in Sicilia, sin dal VII secolo a.C.. I monili di Finziade comprendono quattro mezze armille che si riferiscono a una coppia di bracciali, un bracciale a verga, un anello con castone in granato e un sakkos con medaglione centrale collegato a una catena mobile entro la quale si raccoglievano i capelli. Quest'ultimo è un elemento piuttosto raro e, insieme agli altri, è di provenienza egiziana, dalle botteghe più rinomate di Alessandria d'Egitto.
Le monete ritrovate nella casa di Finziade sono ritenute, dagli archeologi, essere la paga di un soldato congedato, mentre i gioielli erano, forse, una parte dell'ingente bottino che i soldati di Marcello razziarono durante il sacco di Siracusa. Tito Livio narra che Marcello inseguì le truppe cartaginesi scontrandosi con esse nei pressi del fiume Himera e sconfiggendole.

La Mecca era una città cristiana?

L'uomo con la corona ritrovato a Zafar
Gli archeologi sulle tracce di un imperatore cristiano che sarebbe stato sepolto sull'altopiano dello Yemen. Queste ricerche stanno scatenando molta curiosità e una serie di domande sulla nascita dell'Islam.
Dell'imperatore in questione non si hanno ritratti ufficiali. Si sa che aveva la barba. Lo si è dedotto da una figura, scolpita nella pietra, che risale all'epoca di Maometto. Paul Yule, un archeologo della città di Heidelberg, nel sudovest della Germania, ha studiato il rilievo, alto 170 centimetri, nella città di Zafar, a 930 chilometri da La Mecca. Vi è raffigurato un uomo con collane preziose, riccioli ed occhi rotondi. Yule ritiene che l'immagine risalga al 530 circa d.C.
Scavi archeologici nello Yemen
L'archeologo tedesco ha scavato a lungo nei siti archeologici degli altopiani rocciosi dello Yemen. Nella sua ultima missione ha raccolto una serie di appunti, frammenti di detriti ed ossa che gli hanno permesso di affermare che Zafar era il centro di una confederazione araba di stati tribali, un regno estremamente esteso, che esercitò una potente influenza anche su La Mecca. Yule ritiene che la misteriosa figura emersa dagli scavi a Zafar fosse un imperatore cristiano.
L'uomo appare a piedi nudi, com'erano raffigurati abitualmente i santi copti. Ha in mano un fascio di ramoscelli, simbolo di pace. Una traversa ed un bastone alludono alla croce e indossa, sulla testa, una corona simile a quella che portavano i governanti cristiani dell'antica Etiopia. La fisionomia dell'uomo, con il suo viso tondo, porta a pensare che sia un discendente dei conquistatori africani dello Yemen.
Nel 525 d.C., infatti, il Negus di Aksum (una sorta di sovrano) aveva inviato una flotta attraverso il Mar Rosso. I suoi soldati e gli elefanti furono traghettati su apposite imbarcazioni verso est, dove si proponevano di diffondere il Vangelo. Nei decenni successivi il suo esercito venne in parte sconfitto e distrutto in Arabia. Zafar era la sua punta di diamante. La città è stata costruita su un vulcano spento, ad un'altitudine di 2.800 metri sul livello del mare. Le sue mura e le sue torri presentano una lunghezza di quattro chilometri e mezzo. A Zafar vivevano circa 25.000 persone.
Effige del re Kaleb (o Ella Asbeha) d'Etiopia
Secondo Yule, tra il III e il V secolo d.C. la Confederazione araba degli stati tribali divenne una superpotenza, nel territorio. I suoi mercanti scambiavano il legno di sandalo da Ceylon e la valeriana dalla Persia. Lo stato di cui Zafar divenne ben presto la capitale, controllava il porto di Aden, dove gettavano l'ancora le navi dei commercianti di spezie che provenivano dall'India. Zafar era una città splendida, Yule ha ritrovato anfore vinarie, resti di favolosi palazzi decorati con sfingi e leoni e residui di cibo pregiato.
Zafar aveva una grande comunità ebraica, come è emerso dal ritrovamento di un sigillo con l'effige della Torah. Sono state scoperte anche iscrizioni in ebraico. Vi erano anche dei cristiani, a Zafar, che costruirono, nel 354 d.C., una chiesa. Ma questa pace idilliaca era destinata a finire. Le tensioni si acuirono sempre più intorno al V secolo d.C.
Centro storico di Sanaa
L'impero bizantino si faceva sempre più potente, accompagnato da missionari cristiani, che portavano la dottrina del Vangelo. Per fermare l'avanzata del cristianesimo, i singoli sovrani arabi della grande confederazione di cui Zafar era capitale, si convertirono inizialmente al giudaismo, seguiti dall'intera classe dirigente. In seguito presero le armi e, nel 520 d.C., attaccarono la colonia cristiana di Najran, ricca di chiese e monasteri. Furono uccisi molti cristiani, durante l'assalto.
I Bizantini, infuriati con i loro alleati africani, affidarono al re etiope Kaleb, che usava portare gioielli tra i capelli e girava su una carrozza trainata da elefanti, la controffensiva. Se le fonti, in proposito, sono affidabili, la sua prima offensiva, portata con le navi, fu un vero fallimento. Nel 525 d.C., con l'aiuto di rifornimenti navali da Costantinopoli, Kaleb riuscì a completare la traversata del Mar Rosso e ad imporre il cristianesimo nello Yemen. Pare che il suo nome vero fosse Ella Asbeha.
Ritratto di Maometto
Il rilievo ritrovato a Zafar rappresentante un uomo incoronato, è stato creato, forse, proprio durante questo periodo turbolento. Yule lo ha interpretato come una rappresentazione del re cristiano degli Etiopi.
Kaleb intraprese una vera e propria crociata che portò, tra le altre cose, alla ricostruzione delle chiese distrutte di Najran e alla costruzione di altri edifici religiosi a Marib e Aden. La chiesa più bella era quella di Sanaa, con porte dorate ed un trono di ebano e avorio. I raggi del sole attraversavano un pannello di alabastro posto sulla cupola. I Bizantini avevano finanziato il progetto con l'invio di artigiani, di marmi e di mosaici.
La chiesa di Sanaa fu distrutta dopo il trionfo dell'Islam nel VII secolo. I suoi tesori furono completamente asportati e al suo posto venne edificata una moschea. L'archeologa tedesca Barbara Finster ha scoperto che una delle colonne della moschea proveniva dalla chiesa distrutta, mentre alcuni dei magnifici mosaici della chiesa furono inviati a La Mecca come bottino.
Ma i contrasti tra Sanaa e La Mecca vennero immediatamente allo scoperto. Studiosi medioevali del Corano affermano che la moschea che il condottiero Abraha, luogotenente del re etiope che aveva conquistato lo Yemen, aveva fatto costruire nella città yemenita serviva a attirare i pellegrini dal luogo più sacro dell'Islam, dove si trovava la misteriosa Kaaba. Abraha, secondo lo storico Procopio di Cesarea, era stato schiavo di un bizantino che si era stabilito ad Adulis, in Etiopia.
La tradizione musulmana attribuisce ad Abraha un attacco su larga scala contro i ribelli delle tribù arabe vicino a La Mecca nel 552 d.C.. Questo attacco pare essere stato effettuato per mezzo di una truppa dotata di elefanti. La Mecca era difesa da Abd al-Muttaib, nonno paterno di Maometto e, sempre secondo la tradizione, si salvò per intervento divino. L'anno in cui si verificò questo episodio venne chiamato, dagli annalisti, "anno dell'elefante". Alcuni storici occidentali ritengono che questo sia l'anno in cui nacque Maometto. Sembra che la tribù del Kuraish, alla quale apparteneva il Profeta, aveva a volte combattuto per i cristiani. Non si sa se fossero alleati di questi ultimi e se Maometto fosse, in realtà, nato in una città che si trovava, all'epoca, sotto il dominio cristiano. Tra le prove a favore di quest'ipotesi vi è quella che menziona un cimitero cristiano esistente a La Mecca già all'inizio della sua storia.

Monaci privilegiati nell'antica Gerusalemme

Facciata della chiesa di S. Stefano
a Gerusalemme
Analisi archeologiche dei resti umani in un monastero nel Vicino Oriente, hanno permesso di porre in luce verità insospettate e aspetti interessanti della vita quotidiana dei monaci.
I monaci dei monasteri del Vicino Oriente solitamente conducevano una vita piuttosto austera ed ascetica, che li escludeva dai piaceri mondani. Dovevano nutrirsi di poco più che pane ed acqua. Un'eccezione a questo straordinario rigore era il monastero di Santo Stefano a Gerusalemme, che permetteva ai suoi monaci di accedere a tentazioni sconosciute ai loro colleghi che vivevano nel deserto. Sembra che i monaci di Santo Stefano, però, non siano stati in grado di arginare la tentazione.
Gli studiosi dell'University of South Alabama hanno analizzato i campioni ossei di 55 degli scheletri ritrovati nel cimitero del monastero. I rapporti tra isotopi di carbonio e di azoto nel tessuto osseo possono aiutare a ricostruire con verosimiglianza un quadro della dieta degli antichi monaci.
Molte delle ossa sono state trovate ricche di azoto15, derivato dal consumo di proteine animali. Queste proteine derivano sia dal consumo di carne che da quello di latticini. In entrambi i casi, comunque, i monaci si nutrivano di alimenti "proibiti". Latte e carne erano beni di lusso nella Gerusalemme del VI secolo.

giovedì 27 dicembre 2012

Nuove scoperte ad Atzompa

Gli scheletri ritrovati sotto il pavimento di una casa
nella zona archeologica di Atzompa
Nuove, interessantissime, scoperte in Messico: è stato riportato alla luce un sepolcro di circa 1200 anni fa, appartenente ad una famiglia di classe media di etnia Zapoteca, che sosteneva, con il suo lavoro, l'elite al potere. La scoperta è stata fatta nella zona archeologica di Atzompa.
Il ritrovamento è stato opera degli archeologi dell'Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH), che stanno lavorando alla conservazione di un sito di antiche abitazioni la cui datazione è stata stimata appartenere ad un periodo compreso tra il 750 e il 900 d.C.. La sepoltura emersa recentemente è la quarta in ordine di tempo ritrovata nei pressi della metropoli di Monte Alban ed è successiva alla scoperta di un complesso funerario composto da tre sepolture poste all'interno di un edificio appartenente a personaggi di rango dell'etnia Zapoteca.
I vasi ritrovati nella sepoltura di Atzompa
L'archeologa Laura Mendoza Escobar ha affermato che la sepoltura è stata ritrovata sotto la sala principale di una casa. Il sepolcro era intatto ed ha restituito i resti di due adulti posti a testa in giù, una tradizione funeraria propria degli Zapotechi che usavano seppellire i defunti sotto la stanza principale della casa, poiché era il luogo più importante dove si riuniva abitualmente la famiglia.
Alcuni vasi costituivano il corredo funebre dei defunti. Due di questi vasi recano l'effige di Cocijo, divinità zapoteca della pioggia, riconoscibile dal naso e dalla bocca simili a quelli di un rettile e dal glifo "C" legato al mais. Le raffigurazioni degli altri vasi alludono ad una divinità femminile, rappresentata seduta con le mani in grembo ed una collana di perline.
L'archeologa Laura Mendoza Escobar ha aggiunto che all'esterno della casa, nel patio centrale, è stato scoperto il corpo di un terzo individuo privo di tomba, poggiato in terra e ricoperto di pietra arenaria. Si tratterebbe, pare, di una donna imparentata con i personaggi ritrovati sepolti sotto il pavimento della casa. Questi ultimi, a detta degli archeologi, erano degli artigiani.

Ritrovata ad Atene la Iera Odos

Un tratto della Iera Odos ad Atene
Gli Ateniesi moderni hanno la possibilità, grazie alla metropolitana di percorrere un tratto della Iera Odos, la Via Sacra, in sotterranea. Durante gli scavi archeologici per la costruzione della metropolitana, infatti, è emersa una considerevole sezione della Iera Odos nei pressi della stazione di Egaleo.
La Iera Odos collegava, un tempo, Atene con il centro di Eleusi ed era percorsa dalla processione sacra che culminava nei Misteri Eleusini, cerimonie particolari nelle quali si onoravano Demetra e Persefone. La parte emersa è accompagnata da muri di sostegno e da una necropoli.
Seguendo la Via Sacra, gli archeologi greci hanno potuto recuperare sarcofagi, corredi funerari ed altri reperti, tra i quali le ruote di un antico carro. Nei pressi della stazione di Eleonas sono emersi tre fondazioni del ponte che, anticamente, scavalcava il fiume Kifissos. Tutto quello che è emerso è stato disposto in modo da essere ammirato da chi percorre i tunnel della metropolitana.
Decine di brocche d'argilla testimoniano che l'Attica era ricca di acque sotterranee efficacemente sfruttate. Lampade e pesi da telaio, kernoi (pentole nelle quali, durante le feste dedicate a Dioniso, venivano messi a germogliare dei semi) e le offerte ai defunti fanno immaginare quanto è stato perduto dell'antica Iera Odos.
Il reperto più affascinante, a detta del Segretario Generale del Ministero della Cultura Lina Mendoni, è costituito dalle ossa di un cavallo annegato durante una delle piene del fiume Kifissos. L'animale, malgrado abbia lottato contro la piena del fiume, è stato alla fine sommerso dall'alluvione con la testa leggermente sollevata nell'ultimo sforzo per restare fuori dal fango che presto avrebbe ricoperto tutto.

In mostra i mosaici della domus di Melda di Sotto

Ricostruzione del mosaico principale
della domus di Savignano
A ben 115 anni dal suo ritrovamento, il mosaico tardoromano di Savignano, finalmente restaurato, fa bella mostra di sé nel Lapidario Romano dei Musei Civici di Modena fino al 12 maggio 2013.
I resti di una grande struttura di età tardo antica vennero alla luce a Savignano sul Panaro nel 1897. Subito emersero eccezionali pavimenti musivi che indussero l'allora direttore del Museo Civico di Modena, Arsenio Crespellani, ad intraprendere uno scavo archeologico durante il quale vennero eseguiti anche degli acquerelli policromi dei mosaici.
Mosaici così raffinati non potevano che appartenere ad una domus di prestigio che testimoniava l'importanza di Savignano come residenza elitaria della società tardoantica. Al termine delle indagini dell'Ottocento, i mosaici vennero ricoperti e lasciati là dove erano stati ritrovati. Il recupero è avvenuto tra il 2010 e il 2011, durante i lavori per la realizzazione di una rotatoria.
La Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna, memore che nel sottosuolo giacevano i preziosi reperti, ha predisposto il controllo archeologico che ha portato alla conferma dell'esistenza dei mosaici. Uno di essi è stato distaccato dall'ambiente al quale apparteneva. Originariamente questo tappeto di pietre policrome misurava 7 x 4,50 metri. La sua decorazione è prevalentemente a treccia, con motivi geometrici e vegetali alternati al nodo di Salomone.
Mosaico estratto dall'"ambiente 2" della
domus di Savignano
Le indagini archeologiche sul campo sono state condotte da Giorgia Dalla Casa e dalla Ditta Tecne Srl e sono stati diretti da Luca Mercuri, della Soprintendenza per i Beni Archeologici. Durante lo scavo moderno sono stati indagati quattro ambienti della domus, dei quali solo uno è stato ben individuato e studiato. Gli ambienti, nel loro complesso, sono stati piuttosto danneggiati da interventi effettuati in epoche diverse.
L'ambiente esplorato completamente sembra essere la stanza più importante della domus, con una pianta rettangolare di 6,90 per 4,80 metri. L'elemento centrale del mosaico pavimentale di questo ambiente è una stella a otto punte; ogni punta, a sua volta, dà origine a otto ottagoni. Il mosaico presenta tessere vitree di colore rosso e verde disposte casualmente.
Un altro ambiente, chiamato "ambiente 3", è stato scavato, fotografato e nuovamente ricoperto. E' una stanza quadrata con lati della lunghezza di 3 metri. Il cosiddetto "ambiente 2" è stato scavato solo parzialmente. Era in pessime condizioni e ne è stato estratto e restaurato solo un angolo di pavimento musivo.
Probabilmente la domus alla quale appartenevano gli splendidi mosaici era una villa rustica del I secolo a.C. - I secolo d.C., che ha avuto una vita piuttosto lunga con diversi adattamenti a seconda del gusto e dei bisogni di chi l'ha abitata nel corso degli anni. Gli archeologi pensano che i mosaici siano stati composti da un'officina locale che utilizzava cartoni provenienti da aree e periodi diversi, non mancando, ovviamente, di adattarli all'epoca e al gusto dei committenti.
Uno dei mosaici individuati da A. Crespellani
Una delle ricostruzioni subite dalla domus è, forse, ricollegabile all'arrivo della corte imperiale a Ravenna, che dette luogo ad una riqualificazione dell'area emiliano-romagnola ed una trasformazione sia delle ville rustiche che delle strutture urbane. Gli edifici cittadini acquisirono nuovi ambienti anche absidati e lo stesso accadde alle ville rustiche che divennero dei casini di caccia.
Sotto uno dei pavimenti della villa tardoantica sono emersi i resti di una vasca in cocciopesto che, forse, era destinata alla decantazione del vino o dell'olio o per la lavorazione dell'argilla. Sono stati recuperati, anche, frammenti in ceramica a vernice nera e rossa del I secolo a.C. - I secolo d.C. ed alcuni recipienti in vetro (la parete di una coppa, il fondo di un balsamario e quello di una coppetta), oltre  a ceramiche da mensa sia di uso comune che di un certo pregio, vetri e anfore di produzione africana, nonché alcuni scarti di fornace.
La Villa di Melda di Sotto, dalla quale proviene il mosaico in esposizione a Modena, faceva probabilmente parte di un centro rurale nelle vicinanze dell'antica via Claudia, le cui attività più importanti erano sicuramente la lavorazione dell'argilla, la coltivazione della vite e dell'olivo, l'allevamento degli ovini e la produzione della cosiddetta "lana modenese", ricordata anche da Strabone nel I secolo a.C.

mercoledì 26 dicembre 2012

Antichissimi assistenti sociali...

Scheletri delle sepolture di Man Bac
La compassione nell'antichità. Anche gli uomini preistorici avevano il senso di quello che noi consideriamo un modernissimo sentimento. E' questo il senso della scoperta effettuata da Lorna Tilley e Marc Oxenham della Australian National University di Canberra.
Queste rivelazioni sono generate dalla scoperta del corpo di un giovane uomo, molto malato, vissuto 4000 anni fa in quello che oggi è il nord del Vietnam. Il giovane venne sepolto, come altri della sua cultura, in un luogo chiamato Man Bac. Quando gli archeologi hanno esaminato i resti del giovane, nel 2007, hanno scoperto che aveva le vertebre fuse, le ossa deboli e che, quando era in vita, doveva essere semiparalizzato dalla vita in giù a causa di una malattia congenita, la sindrome di Klippel-Feil. Il giovane non poteva utilizzare più le braccia e non poteva alimentarsi da solo, ma riuscì a sopravvivere per diversi anni. Evidentemente, hanno concluso gli archeologi, le persone della sua comunità, che viveva di pesca, caccia e di allevamento di maiali, lo hanno curato ed accudito in ogni suo bisogno.
Il giovane sepolto in posizione fetale a Man Bac
Sono diversi i casi, nel mondo, di scheletri di uomini e donne preistorici che hanno sofferto di varie e invalidanti patologie, riuscendo, però, a sopravvivere per un congruo lasso di tempo grazie al sostegno e alla presenza della comunità alla quale appartenevano. Tra questi un neanderthaliano - Shanidar 1 - ritrovato in Iraq, risalente a 45.000 anni fa, che morì all'età di 50 anni, con un braccio amputato e la perdita di un occhio. Un altro reperto umano, ritrovato in Florida e risalente a 7500 anni fa, aveva una grave malformazione congenita della colonna vertebrale (spina bifida) e, malgrado questo, è riuscito a sopravvivere per 15 anni. Un altro caso, quello di un adolescente chiamato Romito 2 e rinvenuto in Italia nel 1980, risalente a 10.000 anni fa, mostrava segni di un grave nanismo. La comunità alla quale apparteneva, una comunità nomade di cacciatori e raccoglitori, hanno sopperito alle sue necessità dal momento che il giovane non poteva correre e partecipare alla caccia come tutti gli altri componenti maschi della comunità.

Sorprendenti scoperte a Tel Motza

Testine antropomorfe ritrovate a Tel Motza
A Tel Motza sono stati scoperti reperti in ceramica del primo periodo monarchico e figurine, ugualmente in ceramica, di uomini e cavalli che forniscono una rara testimonianza di un culto rituale nella regione di Gerusalemme, all'inizio dell'epoca monarchica.
Tel Motza si trova ad ovest di Gerusalemme e gli scavi sono qui seguiti dalla Israel Antiquities Authority, che affianca gli operai che lavorano alla costruzione di una nuova strada che colleghi il centro di Sa'ar Hagai a Gerusalemme. Durante le operazioni di scavo sono emersi un edificio templare e un ripostiglio contenente diversi vasi sacri antichi di circa 2750 anni.
Secondo Anna Eirikh, Hamoudi Khalaily e Shua Kisilevitz, direttori dello scavo per conto della Israel Antiquities Authority, la costruzione templare di Tel Motza è piuttosto insolita, dal momento che ben poco, se non nulla, è rimasto degli edifici sacri del periodo dei re e del Primo Tempio, in Giudea. Un'altra peculiarità è la vicinanza della struttura alla città di Gerusalemme.
Vista generale del sito scavato a Tel Motza
Sono diversi i reperti che, negli ultimi anni, sono stati ritrovati a Tel Motza. Il sito è scavato ininterrottamente dal 1990. Al momento gli archeologi propongono l'identificazione del sito con il biblico Mozah, menzionato nel Libro di Giosuè, una delle città della tribù di Beniamino. Questa identificazione si basa essenzialmente sulla scoperta, in loco, di un edificio pubblico, una grande struttura con magazzini e numerosi silos.
Gli ultimi scavi hanno rivelato parte di un'altra grande struttura risalente all'Età del Ferro. Le pareti di questa struttura sono enormi, con un ingresso ampio ad est che permetteva ai raggi del sole, allo spuntare dell'alba, di illuminare quello che era posto all'interno del tempio.
Figurina di cavallo (Foto Clara Amit)
Le ceramiche ritrovate comprendono vasi rituali, frammenti di calici, colonne decorate e una serie di figurine di due tipologie: la prima serie è composta da figurine antropomorfe dotate di teste piuttosto piccole, con un copricapo piatto e capelli arricciati; la seconda tipologia è composta da figure zoomorfe.
Durante gli scavi sono stati identificati elementi che caratterizzarono il Regno di Giuda. Si pensa che i reperti di Tel Motza possano testimoniare l'esistenza di templi e recinti rituali nel Regno di Giuda e nella regione di Gerusalemme, prima che il culto dell'intera nazione venisse concentrato negli edifici religiosi di Gerusalemme, soprattutto nel Tempio.
Figurina di ariete emersa negli scavi estivi
di Tel Motza
Già quest'estate erano stati riportati alla luce elementi risalenti al Neolitico, figurine che, secondo i direttori di scavo, risalgono a 9000-9500 anni fa, ritrovate nei pressi di un grande edificio circolare, le cui pareti erano, con molta probabilità, fatte in mattoni di fango. Le figurine ritrovate l'estate scorsa rappresentano, con incredibile realismo, un ariete con le corna ritorte e un bovino selvatico non meglio identificato.
Durante il periodo in cui sono state scolpite le statuette, iniziò la transizione umana dal nomadismo, basata sulla caccia e la raccolta, alla sedentarietà che portò alla costruzione di insediamenti permanenti su vaste aree. L'archeologa Anna Eirikh collega le figurine di Tel Motza al processo di addomesticazione degli animali, in particolare dei bovini selvatici. Le figurine sono reperti unici e, probabilmente, si trattava di una sorta di portafortuna utilizzati dai cacciatori nel corso di cerimonie tradizionali eseguite prima della caccia.
Gli archeologi collegano queste figurine alla civiltà dei Natufiani, la cui cultura fiorì nella regione poco prima che venissero plasmati questi animali in ceramica. I Natufiani vivevano, appunto, di caccia e raccolta di cereali e furono i precursori della civiltà neolitica nella regione. Gli archeologi hanno ipotizzato che furono proprio i Natufiani ad addomesticare, in questo periodo, i cani e a sfruttare le risorse fornite dalle capre.

L'Auditorium di Adriano

Ricostruzione dell'aula principale dell'Auditorium
di Adriano, a Roma
Gli archeologi hanno ultimato gli scavi che, nel centro di Roma, hanno permesso di riportare alla luce una sorta di Auditorium filosofico di 900 posti, un centro culturale tra i più frequentati dell'antica Roma, una delle scoperte più importanti degli ultimi 80 anni.
Questa sorta di "centro studi" fu costruito dall'imperatore Adriano nel 123 d.C. e consta di tre grandi sale dove i nobili Romani potevano ascoltare poeti declamare i componimenti propri o di altri scrittori, o dove si poteva discutere di filosofia. Attualmente si possono vedere le pareti di mattoni ben disposti ed i pavimenti in marmo giallo. L'Auditorium di Adriano è il più grande complesso scoperto a Roma da quando furono riportati alla luce i Fori Romani nel 1920.
Gli scavi che hanno permesso il ritrovamento di un così importante edificio hanno avuto l'input dalla costruenda terza linea della metropolitana capitolina, che attraverserà il cuore dell'Urbe. L'Auditorium getta nuova luce sull'amore di Adriano per la poesia, per l'architettura e per la filosofia. Lo stesso imperatore, del resto, componeva poemi in greco e in latino.
Con il passare dei secoli, l'ambiente cadde in disuso e venne utilizzato per fondere lingotti di metallo. Il tetto crollò a causa di un terremoto nell'848 d.C.. L'Auditorium era a due piani. L'aula meglio conservata, probabilmente l'aula principale del complesso, ha una superficie di 1500 metri quadrati e presenta due gradonate, una di fronte all'altra, con sei gradini marmorei per parte, delimitati da grandi balaustre di marmo candido. Al centro un piano orizzontale di circa 3 metri di ampiezza, rivestito di lastre rettangolari anch'esse di marmo.
Il corridoio dell'Auditorium di Adriano
Tra le aule si srotola un corridoio sul quale si apriva l'ingresso dell'edificio che, nel II secolo d.C., aveva il suo affaccio su una strada curva che lo separava dal Foro di Traiano. La spoliazione dei marmi che ricoprivano l'Auditorium iniziò nel VI secolo, quando l'edificio subì un cambiamento di destinazione d'uso, visto lo spostamento dell'asse politico da Roma a Bisanzio. Sono state individuate tracce di fornaci, ben 50 buche con tracce di combustione e scorie di metalli e sono stati trovati lingotti di bronzo. Si pensa, proprio per questi ritrovamenti, che vi si fosse installata una zecca bizantina.
Una delle ultime destinazioni d'uso dell'Auditorium fu quella di necropoli: sono state ritrovate sepolture dell'alto medioevo. Nel tardo Rinascimento, poi, il luogo venne adibito ad ospedale dalla Confraternita dei Fornai, devoti alla Madonna di Loreto, chiesa che si trova poco lontano dagli scavi.
Gli scavi, condotti dall'archeologo Roberto Egidi, sono ora terminati e si pensa all'apertura del complesso entro tre anni. Una chicca tra le scoperte è quella di una base di statua intitolata al prefetto Fabius Pasifilus, risalente al V secolo d.C., un uomo di alto rango che aveva un posto riservato a suo nome nel Colosseo.

martedì 25 dicembre 2012

Tomba...casalinga

Gli scavi archeologici ad Atzompa
Archeologi messicani hanno scoperto una tomba di circa 1200 anni nel sito della città atzeca di Atzompa. Questa scoperta fa pensare che il complesso centrale della città aveva non solo un carattere cerimoniale, ma anche un carattere residenziale.
La scoperta è stata fatta durante i lavori di conservazione del centro zapoteco, in quella che gli archeologi ritengono essere una casa abitata tra il 750 e il 900 d.C.. La sepoltura conteneva i resti di due adulti. L'archeologa Laura Mendoza Escobar, che ha coordinato i lavori nel sito, ha affermato che la tomba è stata ritrovata sotto il pavimento di quella che, un tempo, era la stanza principale della casa, secondo un'antica usanza funeraria degli zapotechi.

domenica 23 dicembre 2012

Non c'è niente di nuovo sotto il sole...

Urkesh, in Siria
Un'interessante ricerca degli studiosi dell'Università di Sheffield ha rivelato sorprendenti parallelismi tra il mondo moderno e quello dell'Età del Bronzo in Siria, quali il declino urbano, la caduta dell'élite al potere e la siccità.
Il Dottor Ellery Frahm, del Dipartimento di Archeologia dell'Università di Sheffield, ha fatto quest'importante scoperta mentre studiava gli strumenti di ossidiana - un tagliente vetro di origine vulcanica - realizzati nella regione mesopotamica circa 4200 anni fa.
Il Dottor Frahm ha utilizzato, per la sua ricerca, i manufatti rinvenuti nel sito archeologico di Tell Mozan, noto, nell'antichità, con il nome di Urkesh. Grazie a questi strumenti gli è stato possibile tracciare le rotte commerciali e sociali delle città siriane dell'Età del Bronzo. Ed è stato anche possibile allo studioso accertarne la caduta e la scomparsa a causa di eventi naturali quali la siccità e i cambiamenti climatici.
Lama di ossidiana dall'antica Urkesh
La caduta dell'impero accadico, a detta del Dottor Frahm, ha molti parallelismi con l'attuale situazione in Siria. Gli studiosi pensano che l'impero accadico andò via via militarizzandosi e concluse nella violenza il suo periodo di dominio nella regione. Attualmente l'agricoltura nel nordest siriano dipende quasi per la totalità dalla quantità di pioggia, piuttosto che dall'irrigazione, come accadeva nell'Età del Bronzo. Inoltre, proprio come 4000 anni fa, la popolazione è aumentata in modo preoccupante, in questa parte del Paese.
L'ossidiana di Urkesh proveniva da ben sei vulcani differenti. Durante la crisi, essa veniva estratta solamente da due o tre siti piuttosto vicini alla città. Urkesh era un centro urbano cosmopolita, visitato da moltissime persone. Il fatto che l'ossidiana provenisse solamente da due fonti vicine, suggerisce agli studiosi che alcune reti commerciali erano collassate. Una delle interpretazioni offerte dagli archeologi è che il governo regionale dell'impero accadico abbia indotto Urkesh a specializzarsi in un determinato campo economico. Con i cambiamenti climatici e la fine dell'impero, gli abitanti di Urkesh avrebbero dovuto riconvertire la loro economia e la produzione locale, cercando di soddisfare i bisogni interni piuttosto che dedicarsi al commercio.

Antichissimi pozzi in Germania

Uno dei pozzi ritrovati in Germania
In Germania sono stati ritrovati quelli che gli archeologi ritengono essere i più antichi pozzi d'acqua d'Europa, vecchi di ben 7000 anni.
Lo scavo è stato effettuato fuori Lipsia dagli archeologi dell'Università di Friburgo. I pozzi, risalenti all'età della pietra, affondano nella terra per sette metri e sono stati probabilmente utilizzati per fornire di acqua dolce un piccolo insediamento. La scoperta suggerisce che i primi abitanti della zona fossero piuttosto esperti nella lavorazione del legno. Le pareti lignee dei pozzi, infatti, hanno superato la prova del tempo.

Scoperte nell'Inghilterra romana

Archeologi al lavoro nel Devon
I resti di quello che si crede essere un insediamento romano di 2000 anni fa sono stati scoperti all'interno di un cantiere per la costruzione di una nuova tangenziale a Kingskerswell, nel Devon.
Gli scavi hanno, finora, restituito frammenti di vasi e trincee utilizzate per la difesa del luogo. La quantità e la qualità dei reperti ha suggerito che le persone che abitavano l'insediamento romano erano parte dell'élite locale che stava cominciando a romanizzarsi.
I Romani conquistarono il sudovest della Gran Bretagna nel I secolo d.C.. La zona della scoperta era deputata ad un insediamento militare.

Un osservatorio maya ben nascosto...

Il cenote Ceh'Yax, nello Yucatan
Don Slater, esploratore del National Geographic nonché archeologo della Brandeis University, ha fatto un'incredibile scoperta nell'esplorare una grotta nella Penisola dello Yucatan: una piattaforma all'interno di una cavità, utilizzata come un osservatorio astronomico naturale. Accanto alla cavità naturale sorge, non a caso, una piramide, la più grande della zona, allineata con il sorgere del sole due volte l'anno.
"Quando i Maya costruirono la città, - ha affermato Slater. - allinearono la piramide più grande con l'ingresso della grotta, in modo che dalla piattaforma all'interno si vedesse la città con il panorama dominato dalla piramide allineata con il sorgere del sole durante il suo passaggio allo zenit, un giorno molto importante nel calendario solare Maya". Si trattava, con tutta probabilità, di un calendario agricolo.
"Penso che la grotta fosse accessibile a poche persone: l'ingresso non è molto grande e si trova in una zona che veniva controllata dall'élite della città. - Ha affermato Slater. - Per i Maya questa grotta era una sorta di chiesa, uno spazio sacro. Ma faceva anche un pò paura, perché le divinità che abitavano queste grotte, secondo le loro credenze, non erano proprio benevole. Avvicinandosi a questi spazi si potevano disturbare le divinità, sconvolgere gli antenati. Si poteva mettere a rischio la propria vita andando in questi luoghi e non solo per via dell'altezza e degli spazi ristretti, ma anche a causa degli spiriti che vivevano nelle grotte".
La grotta di Ikil è solo una delle centinaia di grotte che Slater ha esplorato e studiato nello Yucatan.

mercoledì 19 dicembre 2012

Antico ospedale nello Sri Lanka

Le rovine dell'antica città di Anuradhapura, nello Sri Lanka
Nello Sri Lanka gli archeologi hanno scoperto le rovine di un antico ospedale che si ritiene abbia duemila anni di storia. La struttura si trova ad Anuradhapura, capitale storica della provincia del centro nord del Paese.
Le rovine dell'antico ospedale giacciono nei pressi dell'antica Thuparamaya Dagoba e si pensa sia stato edificato nel III secolo a.C.. Finora sono stati recuperati diversi strumenti medici, tra i quali mole e coltelli ed è stata anche individuata una latrina.

martedì 18 dicembre 2012

Misteri e grandezza di Verghina

La ghirlanda e l'urna d'oro ritrovate
nella tomba ritenuta di Filippo II
Tra le rovine dell'antica Verghina, un tempo Ege (Aigai), gli archeologi hanno ritrovato le tracce dell'antico splendore della Macedonia di Filippo II e di suo figlio Alessandro.
Verghina si trova vicino all'omonimo insediamento, a 75 chilometri da Salonicco e a 515 chilometri da Atene. Qui, tra le montagne e le rare pianure, la mitologia greca  collocava la terra d'origine delle Muse e di Orfeo. Sempre la mitologia vuole che a fondare la dinastia macedone degli Argeadi fu Carano, uno dei figli di Timeno, discendente di Eracle. I capi vennero invitati dall'oracolo di Delfi ad individuare un luogo a nord ricco di animali e i Macedoni individuarono una verde valle ricca di selvaggina e di capre. Qui fondarono Ege, Aigai, il cui nome fa proprio riferimento, in greco, alle capre. Ege/Aigai fu la prima capitale dinastica. Il nome attuale, il sito lo deve ad una mitica regina vissuta nelle rovine del palazzo reale, che si suicidò gettandosi nel fiume Aliacmone per non cadere nelle mani dei Turchi.
Verghina è una città socialmente elaborata, risalente al III millennio a.C.. I suoi tumuli sepolcrali, eretti sulle rive del fiume Aliacmone, caratterizzano il panorama e narrano la storia antica della città. L'acropoli era la costruzione più elevata. Sulle colline circostanti sono state rintracciati i resti delle antiche mura cittadine e di una monumentale porta.
Scudo in oro e avorio ritrovato nella tomba
attribuita a Filippo II
L'edificio più importante di Ege/Aigai è il grande palazzo reale macedone, una costruzione di 100 x 90 metri, alta, forse, dai due ai tre piani. Il palazzo era incentrato su un ampio cortile fiancheggiato da portici e con colonne doriche. Il suo interno era decorato da mosaici fatti di piccoli ciottoli fluviali e da pavimenti in marmo policromo. Una sala circolare conteneva un'iscrizione dedicatoria a Eracle, antenato fondatore della dinastia macedone.
Il teatro di Ege/Aigai venne scoperto nel 1981. Era provvisto di due fili di sedili, di scena, passaggi laterali e di un altare dedicato a Dioniso. Proprio in questo teatro avvenne la tragica fine di Filippo II e, nello stesso anno, suo figlio Alessandro venne acclamato re (336 a.C.).
La città ospitava anche il santuario di un antico spirito femminile, Eucleia, garante della gloria e della buona fama. Eucleia era, a volte, assimilata ad Artemide ed era considerata la più giovane delle tre Grazie. Il santuario conteneva templi abbelliti da statue che recavano il nome dei membri della famiglia reale. Una recava il nome di Euridice, figlia di Sirra e, forse, di Aminta III, madre di Filippo II.
Elmo macedone e impugnatura di spada dalla sepoltura
attribuita a Filippo II
La necropoli cittadina si trova a nord del palazzo e si estende per 3 chilometri. Contiene, a quanto sembra, 300 sepolture. Un gruppo di tombe del VI-V secolo a.C. sembrano appartenere agli esponenti della classe regnante. Una tomba, in particolare, datata al 340 a.C., conteneva un trono di marmo ed è stata attribuita ad Euridice, madre di Filippo II. Il Grande Tumulo sorge all'estremo angolo nordorientale dell'area funeraria. Esso è largo 110 metri ed era alto 13 metri. Al suo interno fu ritrovata una stele funeraria in marmo, originariamente dipinta con vivaci colori, datata al IV secolo a.C.
Il Grande Tumulo fu restaurato in passato da Antigono II Gonata (319-239 a.C.) e ricoperto con i residui delle tombe distrutte dagli stranieri. Nel 1977 lo scavo archeologico rivelò un muro in mattoni crudi ed una vasta area circolare piena di cenere, ossa e resti di ceramica bruciata. Furono trovate anche alcune costruzioni funerarie adiacenti il Grande Tumulo, delle quali due erano tombe sotterranee, sepolture monumentali macedoni e si accompagnavano ad un heroon per il culto del fondatore dinastico della stirpe reale macedone. Una tomba al nord dell'heroon restituì frammenti di decorazione dipinta con immagini di Persephone che fecero pensare ad una sepoltura monumentale. Questa tomba è stata datata al IV secolo a.C.
Volto di Sileno, decorazione di un vaso ritrovato
nelle tombe reali di Verghina
Un'altra tomba emerse, sempre nel 1977, ad ovest di quest'ultima. Di questa ulteriore sepoltura si conservava la facciata con un fregio intatto alto poco più di un metro. Il fregio rappresentava una scena di caccia e tra i cacciatori gli archeologi riconobbero il ritratto di Alessandro da giovane. La tomba si preannunciava integra, al suo interno vennero trovate spade, finimenti di un cavallo e una punta di lancia. Sul pavimento vi era uno scudo di bronzo e i resti di un secondo in legno e avorio, vasi in bronzo, lampade metalliche, vasi d'argento e, al centro della parete di fronte all'entrata un sarcofago in pietra. In quest'ultimo venne ritrovata una favolosa urna d'oro, il larnax, con una stella sbalzata a rilievo all'interno, nella quale erano custodite delle ossa bruciate avvolte, in origine, in un tessuto purpureo. Ripiegata sulle ossa, una pesante corona di foglie d'oro.
Nell'anticamera venne ritrovato un altro sarcofago con una seconda corona aurea. Vicino allo stipite della porta d'ingresso era stata deposta una superba faretra in oro di manifattura scitica che ancora conteneva i resti delle frecce. Accanto a questa, alabastra e gli schinieri in bronzo di Filippo II. Il sarcofago conteneva un altro larnax e il diadema di una regina.
Faretra in oro e avorio dalla tomba attribuita a Filippo II
Nel 1984 uno specialista in anatomia di Bristol, Jonathan Musgrave, dopo aver esaminato i resti ritrovati nel primo larnax, attribuì questi ultimi a Filippo II sulla base delle tracce dell'impatto di una freccia riscontrate nell'orbita dell'occhio destro (Filippo II patì una ferita simile, secondo gli antichi cronisti, durante l'assedio alla piazzaforte di Metone, sul Golfo Termaico). Se l'identificazione delle ossa era vero, le altre ritrovate nel secondo larnax dovevano appartenere a Cleopatra, ultima, giovane, moglie di Filippo II, costretta a suicidarsi da Olimpiade, madre di Alessandro Magno. Nel 2000, però, il paleoantropologo greco Antonis Bartsiokas, dopo aver riesaminato i resti, ha affermato che le ossa avrebbero subito un processo di scarnificazione prima di essere bruciate sul rogo.
Entrata della tomba attribuita a Filippo II
Bartsiokas ha elaborato un'altra teoria. Le ossa ritrovate apparterrebbero non a Filippo II, padre di Alessandro Magno, quanto, piuttosto, a Filippo III Arrideo (359-317 a.C.), fratellastro di Alessandro e re alla morte di quest'ultimo. La seconda sepoltura apparterrebbe, invece, ad Euridice, moglie dell'Arrideo e costretta al suicidio al pari di Cleopatra, moglie di Filippo II.
Filippo III era, con tutta probabilità, malato di epilessia. Venne manipolato dai seguaci dei diadochi e fatto assassinare dalla perfida Olimpiade. Ma la tomba supposta di Euridice non contiene i resti di Kynna, madre della donna, che le fonti affermano essere stata sepolta insieme alla figlia. Inoltre la defunta doveva avere, al momento della morte, più dei 18-19 anni che Euridice è detta avere dalle fonti nel momento in cui morì.
Uno studioso greco, Triantafyllos Papaois, sostiene - ed è questa la terza ipotesi in merito - che la tomba di Alessandro sarebbe proprio nell'urna d'oro di Verghina. I resti del grande macedone, infatti, sarebbero stati rimpatriati da Antigono II Gonata (319-239 a.C.).
Al momento ognuna delle ipotesi formulate potrebbe essere valida o meno. Si attendono nuove risposte dalle ricerche, dagli studi, dalle analisi e anche dagli scavi nell'antica sede reale della monarchia macedone.

Ramsete III fu assassinato, nuove prove

Il Papiro della Congiura, custodito a Torino
Uno studio pubblicato sulla rivista British Medical Journal potrebbe aver risolto uno degli enigmi dell'antichità: quello della morte del faraone Ramsete III. Il faraone sarebbe stato sgozzato. L'autore potrebbe essere un suo congiunto, il figlio Pentawer. Tra l'altro gli studiosi ritengono anche di aver individuato la mummia di quest'ultimo, morto impiccato dopo il delitto.
Uno degli indizi più importanti si trova nel Museo Egizio di Torino: è un papiro che descrive le trame macchinate, nell'harem del faraone, dalla concubina Tij per uccidere Ramsete III e per far salire al trono proprio Pentawer, il figlio che la donna aveva avuto dal faraone. La congiura, però, fu scoperta e i congiurati vennero puniti duramente.
I ricercatori, guidati da Zahi Hawass e dal paleopatologo Albert Zink dell'Eurac di Bolzano, hanno scoperto che Ramsete, alla fine, è stato sgozzato. A rivelarlo è stata una Tac della mummia reale, che ha evidenziato una ferita alla gola nascosta sotto una benda posta sul collo.
Ramsete III morì all'età di 65 anni, nel 1156 a.C.. Tra le altre cose la Tac ha permesso di scoprire un amuleto che fu inserito nella ferita, l'occhio di Horus, che proteggeva dagli incidenti ed aveva il potere di rigenerare il corpo.
La mummia di Ramses III
Le analisi del Dna hanno permesso agli esperti che Ramsete III era direttamente imparentato con una mummia chiamata "Uomo Sconosciuto E", appartenente ad un giovane di 18-20 anni di età. Gli archeologi avevano pensato che fosse la mummia proprio di Pentawer, che con sua madre Tij era stato l'artefice del complotto contro suo padre. Sicuramente la mummia è uno dei figli di Ramsete III e presenta segni di impiccagione. E' rivestita solamente di pelle di capra, elemento all'epoca considerato impuro, e il processo di mummificazione è stato superficiale, malgrado fosse un principe reale. Proprio queste caratteristiche hanno indotto gli archeologi a ritenere che si trattasse della mummia di Pentawer. Per avere la certezza di questo, gli scienziati dovrebbero sequenziare il genoma della madre, Tij, la cui mummia non è stata mai ritrovata.
Il Papiro Giuridico di Torino afferma che a Pentawer fu offerta la possibilità di suicidarsi per evitare la pena peggiore nell'aldilà. Questo papiro, detto anche Papiro della congiura dell'harem, tratta proprio dei processi subiti da quanti parteciparono alla congiura contro Ramsete III, delle condanne e delle punizioni inflitte.

lunedì 17 dicembre 2012

Sozopol, continue e sorprendenti scoperte

Sozopol, panorama
Nella città bulgara di Sozopol, sul Mar Nero, sembra sia stato ritrovato il tempio di Poseidone, con un grande altare, relativamente ben conservato.
Durante gli scavi della città sono stati ritrovati numerosi pezzi di marmo che stanno ad indicare la distruzione dei templi pagani ad opera del trionfante cristianesimo. Il tempio di Poseidone fu sostituito da una chiesa cristiana, edificata a poca distanza dalle rovine dell'edificio sacro pagano. La chiesa venne dedicata a San Nicola, santo patrono di pescatori e marinai.
A Sozopol è stato ritrovato anche uno scheletro, quest'estate, deposto in modo tale da sembrare vittima delle credenze sui vampiri. Ultimamente è stato rinvenuto un'altro scheletro, quello di un uomo che si è portato, nella tomba, gli astragali, quasi ad indicare la sua passione assoluta per il gioco. Lo scheletro è stato datato provvisoriamente al V secolo a.C.. Il defunto è stato seppellito con un piatto greco contenente 80 astragali. Ad agosto è emerso anche, sull'isola di St Kirik, al largo di Sozopol, un vaso a forma di testa di toro, che è stato attribuito al VI secolo a.C.

Ritrovata l'antica Metelis

Una delle monete bizantine ritrovate
a Metelis
Una squadra di archeologi della Sapienza che sta lavorando nella zona del Delta del Nilo, ha ritrovato la città di Metelis. L'antica città è stata identificata con il sito di Kom el-Ghoraf, citata da varie fonti ma, finora, mai ritrovata. Metelis fu una delle città principali del Basso Egitto di età tolemaica.
Durante gli scavi è stato riportato alla luce un tesoretto di monete bizantine. Il sito, attualmente, ricopre una superficie di 32 ettari ma era certamente più grande. E' il frutto di una sovrapposizione millenaria di insediamenti, il più recente dei quali è di epoca bizantina. Le monete ritrovate, tra le quali ce ne sono due d'oro coniate a Costantinopoli nella prima metà del VII secolo d.C., erano in un ripostiglio sigillato nello strato più alto del sito e risalgono al periodo in cui la città fu distrutta. Metelis scomparve sotto il regno di Eraclio I, imperatore dell'Impero Romano d'Oriente.
Una delle monete d'oro ritrae l'imperatore Eraclio tra i due figli e fu coniata tra il 638 e il 641 d.C.. Proprio la datazione di questa moneta consente agli studiosi di fissare nel tempo la conquista araba della città sconosciuta.
Gli studiosi hanno anche ritrovato strutture abitative e cisterne per l'acqua. La vita della città copre circa un millennio. Metelis era capitale del nomos Metelites, che le fonti collocano proprio in questa zona. La missione archeologica italiana opera nel sito dal 2002 ed è una delle poche presenti, viste le difficoltà di scavo della zona a causa delle caratteristiche idrogeologiche che influiscono in modo determinante sulla conservazione dei siti. L'acqua, infatti, ha scavato profondi canyon intaccando e, a volte, cancellando le strutture.
Kom el-Ghoraf si trova nell'area della Beheira, compresa tra Damanhur e Rosetta. La missione archeologica italiana è diretta da Loredana Sist. Il sito è stato ampiamente demolito dai cercatori di sebbakh, soprattutto a partire dall'Ottocento. L'area è disseminata di strutture in mattoni crudi e di resti di ceramica domestica di età romana e bizantina.
Gli archeologi hanno identificato anche delle sepolture piuttosto modeste e undici strutture di età romana, costruite in mattoni cotti, sommerse completamente dal fango. 

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