lunedì 27 febbraio 2017

Belize, una placca di giada e un antico sovrano

La placca in giada con 30 geroglifici inscritti scoperta in Belize
(Foto: University of San Diego, California)
Un gruppo di archeologi ha scoperto, in Belize, una grande giada intagliata che, un tempo, è appartenuta ad un sovrano Maya. Sulla giada vi è inciso un testo che identifica il primo proprietario. L'oggetto è scolpito a forma di T, che, secondo gli archeologi, significa "vento e respiro". Si pensa che venisse portato sul petto dal sovrano durante le cerimonie. Con il pettorale è stato ritrovato un vaso con imboccatura a becco che rappresenta il dio maya del vento.
Il pettorale di giada è stato scoperto nel 2015 nel sud del Belize, a Nim Li Punit ed ha un grande valore archeologico al punto da essere considerato il secondo più grande manufatto maya in giada trovato a tutt'oggi nel Paese. Già la precisione e la finezza dell'intaglio è considerata dai ricercatori un'eccezionalità. Inoltre la giada di Nim Li Punit è l'unico gioiello conosciuto con inciso un testo storico contenente ben 30 geroglifici i quali menzionano il suo proprietario originario.
I ricercatori pensano che il gioiello di giada sia stato forgiato per una persona diversa dal re Janaab 'Ohl K'inich, nel cui sepolcro è stato trovato ed i geroglifici incisi sul manufatto enunciano le parentele del sovrano e sono stati fatti risalire al 647 d.C.. Inoltre sembra che vi possa essere un collegamento con la città di Caracol, nel moderno Belize. Gli archeologi pensano che la famiglia reale alla quale apparteneva Janaab 'Ohl K'inich sia arrivata a Nim Li Punit dove ha dato vita ad una nuova dinastia. Il testo del pettorale di giada, del resto, non è stato ancora completamente decifrato.
Gli archeologi hanno trovato il pettorale durante lo scavo di un palazzo costruito intorno al 400 d.C.. In una imponente sepoltura, risalente all'800 d.C., sono stati rinvenuti 25 vasi in ceramica, una pietra lavorata a forma di divinità e il pettorale di giada, appunto. All'infuori di alcuni denti, l'interno della sepoltura non conteneva resti umani.

domenica 26 febbraio 2017

Prima dell'alfabeto, appuntamento a Venezia fino al 25 aprile 2017

(Foto: beniculturali.it) 
Gli strani segni incisi su tavolette d'argilla possono sembrare, a prima vista, impronte lasciate da uccelli. Il cuneiforme, insieme al geroglifico egiziano, è il più antico sistema di scrittura al mondo, ideato ben oltre 5000 anni fa in Mesopotamia e da lì diffusosi fino all'Iran.
Proprio a questo particolare sistema di scrittura è dedicata la rassegna "Segni prima dell'alfabeto", ospitata a Venezia presso l'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti a Palazzo Loredan, fino al 25 aprile 2017. Si tratta di un viaggio suggestivo alle origini della scrittura, ma anche alle origini dell'Occidente. In mostra 200 pezzi, tra vasi, statuine, placche votive, gioielli ma, soprattutto, tavolette iscritte e sigilli che evocano il mito del Diluvio e le storie di dèi ed eroi. I reperti provengono dalla straordinaria collezione del veneziano Giancarlo Ligabue, grande imprenditore nel ramo del catering nonché appassionato paleontologo e archeologo, scomparso nel 2015. Ai pezzi di questa collezione si aggiungono alcuni importanti prestiti dal Museo di Antichità di Torino e dall'Archeologico di Venezia. Curatore della mostra è il Professor Frederick Mario Fales, dell'Università degli Studi di Udine.
(Foto: nationalgeographic.it)
Fu la decifrazione dell'antico persiano, una delle lingue che confluirono nel cuneiforme, ad aprire la porta degli idiomi mesopotamici agli studiosi. In primo luogo all'accadico, parlato con qualche variante dai Babilonesi a sud e dagli Assiri a nord; una lingua semitica che poteva essere confrontata con altre appartenenti allo stesso ceppo linguistico.
Fu una specie di gara, alla quale parteciparono, nel 1857, il diplomatico inglese Henry C. Rawlinson, il pastore irlandese Edward Hincks, l'archeologo tedesco-francese Jules Oppert e l'inglese William Henry Fox Talbot, pioniere della fotografia. Ognuno degli sfidanti doveva mandare, in busta sigillata, alla Royal Asiatic Society di Londra la propria traslitterazione e traduzione di un'iscrizione del re assiro Tiglat-Pileser I (1113-1074 a.C.). Quando le buste furono aperte, si constatò che le quattro versioni differivano di poco: l'assiro-babilonese poteva considerarsi decifrato, era nata l'assiriologia.
Sigillo cilindrico montato su anello in metallo
(Foto: nationalgeographic.it)
Resisteva il segreto del sumerico, la lingua della civiltà mesopotamica più antica, che intorno al 3200 a.C., in contemporanea con quanto avveniva in Egitto, aveva inventato la scrittura, mettendo a punto un sistema di segni che, con l'andar del tempo, sarebbe rimasto in uso fino ai primi anni dell'era volgare (l'ultima tavoletta in cuneiforme è del 100 d.C.). Il sumerico era una lingua di origine ignota, e fu ancora Oppert a porre le basi per la sua comprensione, poi sviluppata a cavallo tra '800 e '900 grazie anche alla scoperta di numerose tavolette di "dizionari" sumero-accadici.
La scrittura era un'arte detenuta in esclusiva da una categoria di specialisti, gli scribi, da cui dipendevano in tutto i funzionari e gli stessi sovrani. Poche le eccezioni come Shulgi, nel 2000 a.C., o Assurbanipal, nel VII secolo a.C., che si vantava di avere imparato a scrivere, ma commetteva molti errori.
Placchetta circolare con il dio Assur (Foto: nationalgeographic.it)
Sono all'incirca un milione le tavolette riportate alla luce nell'ultimo secolo e mezzo, che forniscono una visione diretta e dettagliata dell'universo materiale e spirituale di quelle antiche e lontane civiltà. Ci sono testi giuridici, contratti di compravendita, liste di persone cose e animali, lettere, liste lessicali (vocabolari monolingui e bilingui), liste astrologiche, serie di sintomatologia medica, testi letterari quali l'epopea di Gilgamesh in 13 tavolette. Tra quelle in mostra una delle più complesse riporta una minuziosa serie di prescrizioni mediche per una partoriente afflitta da coliche, a cui seguono formule magiche per favorire la nascita: "Non odono più le sue orecchie, non è più alto il suo petto, i suoi ricci sono sparsi, non porta più il velo, non ha più vergogna. O misericordioso Marduk, sii presente! [...] Che egli esca, che veda la luce!".
Cono in argilla con iscrizione in cuneiforme sumerico
(Foto: nationalgeographic.it)
La lingua dei Sumeri era monosillabica e agglutinante: le parole sono composte da una radice alla quale vengono "incollati" suffissi e prefissi per esprimere il genere, il numero, il caso o il tempo. Si tratta di una sorta di rebus. Ad  esempio nel nome di persona Enlilti ("il dio Enlil fa vivere") il concetto di vita ("ti") è difficilmente rappresentabile. Per questo si ricorre al segno quasi omofono che rappresenta la freccia ("til"). Dal 2300 in avanti il cuneiforme viene adattato all'accadico, lingua polisillabica e flessiva (che, al pari dell'italiano, declina le desinenze in modo che uno stesso morfema possa esprimere una pluralità di relazioni grammaticali) e quindi a numerose altre parlate locali come quelle dell'Elam, di Ebla, della Siria, perfino a quella indoeuropea degli Hittiti in Anatolia.
I segni, inizialmente pittografici, vanno incontro ad un processo di stilizzazione in conseguenza, tra l'altro, dell'uso dello stilo di canna a sezione triangolare, con il quale venivano impressi nell'argilla fresca. Hanno, tuttavia, valori fonetici differenti, pur nel permanere del significato. Un esempio suggestivo è quello del logogramma della parola acqua, che si legge "a" in sumerico, "mu" in accadico e (straordinaria ma assolutamente casuale assonanza con l'inglese) "wa-a-tar" presso gli Hittiti.
Vaso di clorite a destinazione funeraria (Foto: nationalgeographic.it)
A differenza della Mesopotamia, in territori come la Siria e la Paletina l'argilla scarseggia, per cui come supporto della scrittura si ricorre alla pergamena, al papiro, al coccio, materiali inadatti ad essere incisi, scorrendo sui quali il pennellino degli scribi tracciava segni che non potevano più essere cunei spigolosi. E quando per le accresciute esigenze di società più articolate, l'arte della scrittura non fu più riservata a pochi, si dovette constatare che imparare una trentina di segni è molto più facile che apprenderne 600, ognuno con una pluralità di valori. Tramontava il cuneiforme, dopo 3300 anni, e si affermava l'alfabeto.
In mostra tavolette, placchette, intarsi in osso o in conchiglia oppure in oro o avorio, bassorilievi e piccole figure, raffinati oggetti artistici e di uso comune ma, soprattutto, importanti sigilli. Questi erano creati per registrare diritti di proprietà e apposti fin dal periodo Neolitico sulle cerule, sorta di ceralacca a garanzia della chiusura di merci e stoccaggi. I sigilli, con l'avvento della scrittura, vengono apposti sulle tavolette o sulle buste di argilla per autenticare il documento, garantendo la proprietà di un individuo, il suo coinvolgimento in una transazione e la legalità della stessa.
I sigilli erano generalmente realizzati in pietre semipreziose provenienti da luoghi molto lontani: lapislazzuli, importati dal lontano Badakhshan, nell'odierno Afghanistan nordorientale; l'ematite, la cornalina, il calcedonio ma anche agata, serpentino, diaspro rosso o verde, cristallo di rocca. Con il tempo questi sigilli furono riutilizzati sotto forma di amuleti con valore apotropaico, ornamenti, oggetti votivi, talvolta indossati dai proprietari con una catenina o montati su spilloni.
In epoca accadica gli intagliatori di sigilli prestano attenzione alla resa naturalistica del corpo umano e di quello animale, curano la narrazione, la simmetria, l'equilibrio, la drammatizzazione. Si individuano e si susseguono nel tempo stili e tecniche anche con l'introduzione del trapano e della ruota tagliente, a scapito della manualità.

Fonti:
adattato da "La Stampa" e da beniculturali.it

sabato 25 febbraio 2017

Napoli e il Tempio dei giochi Isolimpici

Il basamento del Tempio dei giochi Isolimpici a Napoli
(Foto: ilvaporetto.com)
Il Tempio dei giochi Isolimpici ritrovato durante gli scavi per la realizzazione della fermata Duomo della metropolitana, sarà il biglietto da visita della nuova stazione di Napoli.
Si tratta di uno degli scavi archeologici più imponenti d'Europa, un'opera immensa e di grande impatto urbano, che ha inevitabilmente rallentato i lavori per la realizzazione della stazione metropolitana Duomo della Linea 1 di Napoli. Il Tempio dei giochi Isolimpici, pur seppellito sotto strati di tufo e cemento, era ben noto alla comunità scientifica che attendeva da secoli la sua riscoperta.
Il regolamento dei giochi Isolimpici neapolitani fu ritrovato molti anni prima ad Olimpia, la città greca in cui si svolgevano i celebri giochi dedicati a Zeus, e in cui si faceva menzione di un tempio eretto in onore dell'imperatore Augusto collocato nella città di Neapolis. Gli scavi della fermata di Duomo confermano, dunque, l'esistenza di questo luogo tramandato attraverso i millenni, un edificio di grande importanza e prestigio per la città, agognato a lungo da studiosi e letterati di ogni epoca.
I giochi furono istituiti nel 2 d.C. per onorare l'imperatore Augusto, che alcuni anni prima era intervenuto in soccorso della città partenopea devastata da un poderoso terremoto. Gli agoni neapolitani divennero in breve tempo riconosciuti come i più prestigiosi d'Occidente, attirando atleti e campioni da ogni angolo del Mediterraneo. Proprio come avveniva per i giochi ellenistici, i ludi partenopei avevano una cadenza quinquennale e comprendevano diverse discipline, dal pugilato al pentathlon passando per la corsa con le armi, oltre a prevedere gare ippiche e competizioni di recitazione e di canto.
Durante gli scavi, con il Tempio dei giochi Isolimpici sono emersi ben 800 frammenti di tavole con riportati i nomi degli atleti vincitori dei giochi partenopei. L'edificio, al momento emerso solo per metà, ornerà il vestibolo della nuova stazione metropolitana, divenendo una vera e propria attrazione turistica. Gli archeologi hanno dovuto sollevare il basamento del Tempio dei giochi Isolimpici per consentire la prosecuzione dei lavori della metropolitana. Una volta ultimati i lavori, si spera entro il 2020, il Tempio verrà in parte riprodotto con la ricollocazione delle colonne e degli elementi crollati.

Fonte:
liberamente adattato da ilvaporetto.com

La ricchezza archeologica di Roma est: trovata una biga romana intatta

La biga romana rinvenuta a La Rustica, municipio di Roma
(Foto: viavainews.it)
Un reperto archeologico eccezionale è stato rinvenuto durante i lavori della complanare nel quartiere de La Rustica, a Roma. Si tratta di una biga romana, che va ad aggiungersi lle sepolture funebri con tanto di monumenti, suppellettili e scheletri, di cui uno probabilmente appartenente ad un nobile poiché accanto vi è stato rinvenuto uno scettro.
Il professor Musco, della Soprintendenza Archeologica di Roma, in merito al reperimento della biga, ha dichiarato che al mondo, di simile valore, ne esistono solo tre ma che quella de La Rustica è di sicuro la più completa, quasi intatta.
Il Municipio Roma 7 attraverso il vice presidente Mauro Ferrari e il presidente del Consiglio Cesare Marinucci, residente tra l'altro a La Rustica, si è attivato immediatamente con il professor Musco per chiedere di organizzare delle visite guidate per le scolaresche del territorio municipale, al fine di poterne ammirare e apprezzare l'alto valore storico. Un tesoro archeologico che, a distanza di oltre 2000 anni, certifica ancora una volta la grandezza della Roma imperiale. Ferrari e Marinucci hanno anche chiesto al professor Musco di valutare la possibilità di allestire una mostra che comprenda anche i numerosi reperti ritrovati durante la realizzazione della linea Tav.
Anni or sono, in considerazione dell'elevato patrimonio archeologico esistente nei Municipi V, VI, VII, VIII e X (secondo al mondo per valore dopo il centro storico di Roma) era stata promossa, dall'associazione Amici del Parco e da altre associazioni del territorio, una raccolta di 10mila firme su una petizione che chiedeva l'istituzione di un Museo di Roma est. Un'idea che andrebbe ripresa allo scopo di valorizzare l'immenso patrimonio storico e archeologico presente nel territorio. Si era ventilata anche, tempo fa, una collocazione del Museo o nel Parco di Centocelle o nell'area del Centro Carni. Chissà cosa ne pensano in proposito i Municipi e il Comune di Roma.

Fonte:
viavainews.it

Matriarcato nel Nuovo Messico

Il sito di Pueblo Bonito visto dal Chaco Canyon, nel Nuovo Messico
(Foto: Douglas Kennet, Penn State University)
Centinaia di anni prima dell'arrivo di Cristoforo Colombo nel Nuovo Mondo, una cultura umana che viveva nel Nuovo Messico tramandava il potere in linea matrilineare. I risultati di un nuovo studio sono quanto meno sorprendenti e riguardano le culture umane di Pueblo e Chaco Canyon, che hanno lasciato tracce della loro presenza attraverso dei graffiti.
Gli scienziati sono giunti a queste conclusioni attraverso l'analisi dei genomi di nove individui sepolti in tombe elaborate. I ricercatori hanno scoperto che tutti questi individui erano collegati tra loro attraverso una linea genetica materna. L'importanza dell'ascendenza matrilineare durò circa 330 anni, dall'800 al 1130 d.C., quando vi fu un crollo della società locale.
In particolare i ricercatori hanno svolto le loro indagini su una cripta trovata nell'insediamento di Pueblo Bonito, dove è stata trovata una sepoltura collettiva di 650 vani, scavati per la prima volta nel 1896. Da allora gli scienziati si sono chiesti quale fosse la forma di governo della gente che abitava Pueblo Bonito, se avessero una dinastia che si tramandava il potere per via paterna o per via materna o se avessero scelto i loro leader in base alla loro abilità e alla loro intelligenza.
Per saperne di più i ricercatori hanno analizzato i resti di individui di estrazione sociale elevata presenti in una sepoltura di Pueblo Bonito. E' raro, del resto, trovare tombe architettonicamente elaborate nelle antiche culture di Pueblo, ma la cripta di Pueblo Bonito, che si estende su due piani, è davvero eccezionale al riguardo. La sepoltura più grande conteneva i resti di un uomo di 40 anni di età, morto per un violento colpo alla tesa. Il corpo dell'uomo è stato trovato al centro della stanza, ricoperto con più di 11.000 perline di turchese, 3.300 conchiglie ed altri reperti tra cui diverse conchiglie provenienti dalla costa del Pacifico. Accanto al corpo dell'uomo gli archeologi hanno trovato i resti della sepoltura di un altro uomo, adorno di circa 5.800 pezzi di turchese. Sul pavimento in legno che copriva entrambe le sepolture, gli archeologi hanno trovato i resti di ben 12 individui, probabilmente discendenti dai due individui seppelliti in modo così sfarzoso.
I ricercatori hanno studiato i resti di nove degli individui sepolti all'interno della cripta, per determinare se i defunti fossero tra loro collegati in qualche modo. I risultati hanno dimostrato che le nove persone condividevano lo stesso Dna mitocondriale, che è ereditato per via materna, il che indica che la cultura di Pueblo Bonito usava tramandare il potere per via matrilineare. Forme matrilineari di potere sono ancora presenti tra i Pueblos occidentali di Acoma, Zuni, Hopi e Laguna, e tra i Pueblos di Rio Grande (Cochiti, San Felipe, Santo Domingo e Zia). Sono stati identificati anche relazioni interfamiliari del tipo madre-figlia e nonna-nipote, tra i resti sepolti nella cripta di Pueblo Bonito.

Fonte:
Live Science

Sepolture medioevali in Siberia

Uno dei due scheletri femminili sepolti in posizione
fetale (Foto: siberiantimes.com)
Il ritrovamento, in Siberia, a Yamal, di quattro sepolture dell'XI secolo è stato particolarmente attenzionato dagli archeologi. Due delle sepolture appartengono a giovani donne di circa 18-20 anni di età. Tutti gli scheletri trovati sembrano essere stati affetti da gravi malattie. I corpi furono sepolti in posizione rannicchiata e ci sono tracce di quelli che risultano essere dei rituali funebri, forse anche sacrifici.
Non ci sono sepolture analoghe di età medioevale, in Siberia. La maggior parte dei defunti, di cui sono state trovate finora le tombe, sono stati deposti in posizione estesa. Solo queli di Yamal risultano essere stati sepolti in posizione rannicchiata. Inoltre i ricercatori hanno accertato che i defunti di sesso maschile erano messi su un rogo, dopo la morte. Lo scheletro non era danneggiato in modo rilevante, poiché il fuoco serviva a eliminare i tessuti molli.
Al momento i ricercatori stanno ancora indagando sulle malattie sofferte in vita dai defunti. Per ora sono state identificate lussazioni delle spalle, anomalie nei denti, sinusiti, traumi post-partum. Un uomo di età compresa tra i 45 ed i 50 anni soffriva di iperostosi, una crescita eccessiva del tessuto osseo: aveva subito un forte stress fisiologico al quale era succeduto un periodo di inedia o di malattia. Queste persone vivevano in condizioni difficili e dure ed erano malnutrite. L'altezza delle donne era ricompresa tra i 147 ed i 151 centimetri; due delle sepolture furono violate già nell'antichità e derubate dei loro corredi.
Una delle giovani donne di cui sono stati trovati i resti scheletrici venne sepolta con un bracciale in bronzo con l'immagine di un orso, un coltello con l'impugnatura in bronzo, un raschietto per la concia delle pelli, pendenti in bronzo e argento, un anello ed una sorta di maschera facciale ricavata dalla pelle di un animale. Sono stati rinvenuti anche i resti di vasellame destinato al pasto funebre. Una delle giovani donne risulta morta di parto.
Il corredo di una delle sepolture femminili (Foto: siberiantimes.com)

Fonte:
siberiantimes.com

Inghilterra pre-cristiana, gli scavi di Lincoln

Le sepolture pre-cristiane durante lo scavo (Foto: thelincolnite.co.uk)
Scavi archeologici nei pressi del luogo dove dovrebbe essere costruita una tangenziale a Lincoln, Gran Bretagna, hanno rivelato delle sepolture storicamente rilevanti, costruzioni romane di una certa importanza. Parte di una necropoli dell'Età del Bronzo unitamente a resti dell'Età del Ferro, sono stati rinvenuti in un insediamento romano pre-cristiano che risale ad un periodo compreso tra i 1800 e i 2800 anni fa.
Sul luogo ci sono anche i resti di una torre del XII secolo che gli archeologi pensano fossero stati utilizzati come un faro per avvertire di possibile minaccia, prima del 1141, anno della prima battaglia di Lincoln. Le scoperte sinora fatte includono anche attrezzi in silice del Mesolitico e del Neolitico, costruzioni romane, fornaci e quello che sembra essere stato un vigneto. Sono stati individuati anche i resti di una grange monastica medioevale, si tratta di un muro di cinta, quella che sembra essere un torre in pietra ed altri edifici ugualmente in pietra.
Quanto sinora scoperto rafforza la convinzione che qui visse una comunità umana già 12000 anni fa e che da allora il luogo era conosciuto per essere favorevole alle attività umane. Gli scavi dovrebbero concludersi nel 2017.
Una sepoltura pre-cristiana con vasellame romano quale corredo
(Foto: thelincolnite.co.uk)


Fonte:
thelincolnite.co.uk

Mitra in Corsica

Gli scavi intorno alla chiesa di La Canonica a Mariana, in Corsica
(Foto: Tertullian.org)
Gli archeologi che stanno lavorando nell'antica città romana di Mariana, in Corsica, hanno portato alla luce i resti di un santuario riservato al culto di Mitra. Si tratta di una scoperta sorprendente in quanto è la prima traccia di un culto misterico, qual è il mitraismo, rintracciata sull'isola. La scoperta è dovuta ad archeologi francesi ed è del novembre 2016.
Finora gli archeologi hanno messo in luce quello che si crede essere una stanza riservata al culto ed un'anticamera legata al culto di Mitra, divinità della luce, della purezza, della bontà, della verità che occupava un posto rilevante nel pantheon degli antichi Ariani del IV secolo a.C.. Il culto di Mitra si diffuse in tutto l'altopiano armeno, nel sud della Persia e dell'India ed arrivò nel nord Europa nel I secolo a.C..
Nel mitreo corso gli archeologi hanno trovato lampade ad olio e campane di bronzo, oltre a ceramiche e alla testa in marmo di una donna, tutti custoditi nel tempio dell'antica Mariana. I manufatti che più hanno aiutato i ricercatori ad identificare il sito sono tre pezzi appartenenti ad una scultura in marmo raffigurante la scena in cui Mitra sacrifica il toro, mentre un cane ed un serpente bevono il sangue dell'animale.
La rappresentazione del sacrificio mitraico ben si adatta con il culto della divinità così come è attestato in altri mitrei. Nelle antiche sculture Mitra è rappresentato come un giovane piuttosto aitante, con un berretto frigio o armeno, che uccide un toro sacro.
Alcuni dei manufatti ritrovati nel sito corso mostrano segni di danneggiamento intenzionale, come un altare, ritrovato in frammenti. Gli archeologi pensano che la distruzione possa essere collegata alle tensioni sociali e religiose tra i seguaci del mitraismo e quelli del cristianesimo.
Mariana era una città romana fondata da Caio Mario nel 100 a.C.. Il suo periodo aureo è fissato al III e IV secolo d.C., quando il suo porto commerciale era uno dei più importanti crocevia dielle moltissime rotte che attraversavano il Mediterraneo. I primi scavi nel sito di Mariana risalgono al 1930, ma l'interesse nei confronti del sito si è acceso intorno al 2000. Precedentemente sono stati individuati i resti di una basilica paleocristina e di un battistero, oltre a a quelli di una strada romana porticata e di parti di case e negozi.

Fonte:
ancient-origins.net

giovedì 23 febbraio 2017

Gli Etruschi e i sacrifici umani

Lo scheletro trovato nella necropoli di Poggio Renzo
(Foto: sienanews.it)
Nel febbraio 2016, a seguito di una segnalazione del Gruppo Archeologico Città di Chiusi, in una porzione della collina prospiciente il lago di Chiusi conosciuta come Poggio Renzo, furono trovate cinque sepolture a camera e a fossa. "L'area di Poggio Renzo rappresenta una delle più importanti necropoli chiusine, utilizzata dal IX al II secolo a.C., con tombe a camera famose quali la celeberrima tomba dipinta della Scimmia, la tomba dell'Iscrizione o la tomba ellenistica delal Pellegrina", ha spiegato Maria Angela Turchetti, del Polo Museale dell'Umbria (ex Soprintendenza Archeologica della Toscana) in occasione del convegno a Tourisma2017, il salone internazione dell'Archeologia svoltosi a Firenze.
Le tombe indagate coprono un arco di tempo di quasi due secoli, tra la seconda metà del VII secolo a.C. e la metà del V secolo a.C. e seppure parzialmente saccheggiate, hanno consentito di documentare una variegata casistica di situazioni riconducibili a una pluralità di rituali ed interventi umani antichi. Tra le sepolture a fossa ed inumazione si distingue la tomba 4 che per posizione stratigrafica, contesto archeologico, postura dell'individuo, dati antropometrici rappresenta una significativa anomalia: per questa deposizione non si può escludere l'ipotesi di una uccisione rituale o di un sacrificio umano. Insomma, nella tomba 4, il nostro uomo era caduto in maniera brusca e lì rimasto fino allo scavo ma si trattava di una sepoltura perché era stato ricoperto di terra e sigillato con lastre di pietra. E quando Stefano Ricci, dell'unità di ricerca Preistoria e Antropologia Dipartimento Scienze Fisiche della Terra e dell'Ambiente dell'Università di Siena è andato a ricostruire il cranio, ha anche verificato che non si trattava di tratti etruschi e nemmeno europei. Da un primo confronto statistico sulle misure del cranio, l'uomo poteva provenire dall'Africa o dall'Asia minore. Ma questo sarà il Dna a stabilirlo, lo stesso Dna utilizzato per rivelare altre sensazionali scoperte che hanno portato la fama dell'Università di Siena e dei suoi ricecatori in giro per il mondo.
Sulle ossa del tronco dell'uomo si notano segni particolari che dicono che in vita si trattava di un uomo di fatica che lavorava molto, uno schiavo quasi sicuramente. Il che fa rivoluzionare le teorie secondo le quali gli Etruschi fossero un popolo mite. I Tirreni, viceversa, erano considerati pirati e tra le loro usanze gli storici antichi contemplano anche quella del sacrificio umano.
I risultati dei recenti scavi condotti a Chiusi nella necropoli di Poggio Renzo hanno, dunque, fornito l'occasione per tornare a riflettere su un argomento di interesse storico e sociologico sul quale esiste una sterminata letteratura.
Riutilizzare una sepoltura era una pratica abbastanza diffusa anche in Etruria. Una tale operazione poteva essere, però, compiuta solo ponendo in atto determinati rituali di chiusura e purificazione, le cui modalità dovevano essere regolate dalle norme contenute nei Libri Rituales, uno dei grandi testi sacri degli Etruschi. La riapertura della tomba dell'iscrizione di Poggio Renzo, ad esempio, in concomitanza con i recenti scavi, ha consentito di riflettere nuovamente su un grande rituale di chiusura ancora perfettamente leggibile. Ad un rituale di chiusura può, forse, rimandare anche il caso della tomba 4: probabilmente un sacrificio umano in occasione della definitiva chiusura della tomba a camera nel cui corridoio lo schiavo era sepolto.

Pi-Ramses, scoperte le tracce di un grande edificio

Resti del complesso monumentale appena individuato
(Foto: Peramses mission)
Nei pressi dell'antica città di Pi-Ramses, capitale d'Egitto durante il regno di Ramses II, un gruppo di archeologi del Museo Roemer di Hildesheim, Germania ha scoperto parti di un complesso di edifici nonché una fossa in malta con orme di bambini.
Il complesso monumentale copre un'area di circa 200 per 160 metri ed era, con tutta probabilità, un palazzo o un tempio. Già l'anno scorso sono state effettuate delle misurazioni magnetiche al fine di determinare la struttura dell'antica citta e proprio queste prospezioni hanno permesso di individuare il complesso edilizio. Il luogo di scavo era stato scelto non solo per il suo alto potenziale in termini archeologici, ma anche per la vicinanza al moderno villaggio di Qantir, che mette in pericolo le antichità esistenti con il continuo espandersi delle coltivazioni.
Al momento gli archeologi non sono in grado di ricostruire idealmente gli edifici della città, a causa delle dimensioni limitate delle trincee di scavo. Tuttavia la stratigrafia è molto promettente ed ha conservato le diverse fasi costruttive. Nella parte inferiore di una fossa, su uno strato di malta, i ricercatori hanno individuato orme di bambini. La fossa era stata riempita con pezzi di intonaco di una parete dipinta, puliti in situ e successivamente rimossi.

Fonte:
english.ahram.org.eg

Turchia: il mausoleo minacciato dalle acque

La tomba di Zeynel Bey (Foto: dailysabah.com)
L'antica città di Hasankeyf, nel sudest della Turchia, corre il rischio di essere sommersa dalle acque a causa di una nuova diga. Archeologi e scienziati si sono attivati per recuperare le memorie storiche della città, partendo dalla storica tomba di Zeynel Bey.
La tomba di Zeynel Bey ha circa 650 anni ed è situata vicino al lago di Ilisu, nel sudest della Turchia sarà smontata e ricostruita in un luogo più sicuro a causa della minaccia rappresentata dalla diga di Ilisu. Un progetto realizzato in collaborazione tra scienziati olandesi e turchi permetterà di ricostruire la celebre sepoltura, ultimo luogo di riposo di Zeynel Bey, figlio del fondatore della dinastia Aq Qoyunlu Zun Hassan, a due chilometri di distanza dalla posizione attuale.
Per spostare la tomba, si è proceduto a collocare una piattaforma sotto la costruzione. Saranno ben 65 gli esperti chiamati a collaborare al progetto, che comincerà a realizzarsi nel mese di marzo di quest'anno. Hasankeyf è un insediamento fondato in tempi molto antichi, dichiarato zona naturale di conservazione dal governo turco nel 1981. La controversia sulla costruzione della diga di Ilisu è andata avanti per decenni, tuttavia il governo ha deciso di accelerare l'attività di scavo e di riposizionamento di tutte le evidenze archeologiche.
Hasankeyf è un insediamento che conserva ancora la sua atmosfera medioevale. E' diviso in due parti: una inferiore ed una superiore. Ci sono almeno 6.000 grotte, utilizzate un tempo - e fino a non molti anni fa - dai locali come alloggi. Hasankeyf conserva un gran numero di strutture storiche: innanzitutto la fortezza che domina la città, costruita dai bizantini; poi un grande ponte medioevale, un moschea del 1315, la moschea di al-Rizk risalente al 1409, la moschea del Sultano Suleyman del 1351.
La tomba di Zeynel Bey venne eretta nel XV secolo per il figlio del sultano Uzun Hassan. E' considerato uno dei primi esempi di mausolei tradizionali anatolici. La tomba reca un epitaffio sulla prota di accesso settentrionale, che cita il destinatario del mausoleo, Zeynel Bey, martirizzato l'11 agosto 1473 durante una guerra. Il mausoleo ha forma quadrata mentre l'interno è progettato come poligono ottagonale. L'architetto che l'ha progettata è Pir Hasan, figlio di Abdurrahman.

Fonte:
dailysabah.com

Keros, primitiva isola sacra delle Cicladi

Gli idoli infranti di Keros (Foto: tornosnews.gr)
Uno dei siti più misteriosi dell'antica Grecia, il più antico santuario situato sulla remota isola di Keros, ha rivelato nuovi, avanzati livelli di complessità. Il santuario risale al 3000 a.C. ed è il primo santuario marittimo al mondo, secondo quanto affermato dall'archeologo britannico Sir Colin Renfrew.
L'ultima scoperta in ordine di tempo, è una scala che collegava il monte Kavos a Daskalio, un isolotto roccioso posto al largo, esistente prima che la striscia di terra che collegava Daskalio a Keros fosse sommersa dalle acque.
Keros si trova la isole Naxos e Santorini, che hanno svolto un ruolo importante durante l'Età del Bronzo. In base ad un articolo comparso sul "Times" le nuove scoperte sono antiche come le piramidi. Ai piedi della collina sono stati ritrovati migliaia di frammenti di figurine nello stile cicladico, nonché bacini di marmo e ceramica utilizzata per bere vino, tutti utilizzati come offerte rituali.
Gli archeologi sono stati sorpresi che non tutte le parti delle figurine si adattano l'una all'altra, il che significa che le parti sono arrivate a Kavos già frammentate. Nessuna delle oltre 500 parti di figurine e dei 2.500 frammenti di bacili in marmo sono stati mai rinvenuti altrove nelle Cicladi. Sembra che ci fosse un'usanza che consisteva nel portare un frammento di statuina votiva per depositarlo nel santuario di Keros, sostando per qualche giorno fino al completamento della cerimonia religiosa.
Nel 2008 sono stati rinvenuti i resti di un santuario in pietra datato ad un periodo compreso tra il 2500 ed il 2400 a.C.; sono state trovate anche tracce di abbandono dello stesso santuario, avvenuto intorno al 2000 a.C.. Sir Renfrew ha descritto quest'edificio come il più grande conosciuto nelle Cicladi. Si trattava, a parere dell'archeologo, del più importante centro monumentale delle isole, risalente al 3000 a.C., 500 anni prima di qualsiasi altro centro cerimoniale Egeo. L'analisi delle offerte ha rivelato che queste si concentrarono soprattutto tra il 2750 e il 2550 a.C., con una graduale diminuzione nei successivi 50 anni.

Fonte:
tornosnews.gr

mercoledì 22 febbraio 2017

Scoperta una casa con affreschi in Israele

I resti dell'antica abitazione di Omrit (Foto: Dan Schowalter)
Un'abitazione di 1900 anni fa, decorata con affreschi raffiguranti scene naturali, è stata scoperta ad Omrit, nel nord di Israele. Nel sito sono stati anche trovati amuleti fallici. La casa risalirebbe all'inizio del II secolo d.C. e si sviluppava, con tutta probabilità, su due piani.
Il piano residenziale era stato intonacato e le pareti erano ricoperte di affreschi raffiguranti alberi, cespugli, uccelli, pesci e piante. Uno raffigurava due anatre. Non si sa chi fosse il proprietario di questa casa, probabilmente un alto funzionario romano di stanza nella zona, ma potrebbe essere anche l'abitazione di un rappresentante dell'élite locale che aveva adottato i costumi romani.
Finora è stata scavata solo una parte della casa, quella corrispondente al cortile. Sembra che l'abitazione sia stata demolita nel corso del III secolo d.C., gli archeologi hanno, infatti, ritrovato uno strato di riempimento con in cima alcuni resti della casa. Sopra il livello ottenuto dalla distruzione della casa venne costruito un nuovo edificio, somigliante ad una stoà (passaggio pedonale coperto o portico).
Gli amuleti di forma fallica sono stati rinvenuti nello strato di riempimento che copriva i resti dell'abitazione demolita. Lo scavo è parte del progetto relativo all'insediamento di Omrit, gestito dall'Università del Nord Carolina e dal Queens College di New York.
L'affresco della casa di Omrit raffigurante due anatre (Foto: Dan Schowalter)

Fonte
livescience.com

venerdì 17 febbraio 2017

Gran Bretagna: fiori dal passato

(Foto: La Stampa)
Felci e fiordaliso, semi di primule, ranuncoli e carici conservati benissimo. Cresciuti rigogliosi, 1500 anni fa. E' l'incredibile ritrovamento degli archeologi vicino alla città di Pewsey, nella contea di Wiltshire, di alcuni fiori che hanno resistito altempo e gettano una nuova luce sulla Britannia del 500 d.C. e del secolo successivo, l'ultimo periodo romano nella futura Inghilterra, prima della ritirata, per difendere l'Europa continentale.
Le piante sono state rinvenute all'interno di pentole di rame, nascoste con tutta probabilità a regola d'arte per impedire loro di cadere nelle mani dei predoni anglosassoni. Si sono conservate praticamente intatte, come un mazzo di fiori essiccato, che ne dimostra ancora la rigogliosità, in otto vasi imballati. La datazione al radiocarbonio fissa il periodo della sepoltura del tesoro tra il 380 e il 550 d.C., nel momento in cui i Romani si stavano ritirando e gli anglosassoni hanno espanso i loro insediamenti nella zona meridionale e orientale.
"La sopravvivenza dei fiori è davvero molto speciale", ha dichiarato al quotidiano britannico The Times Richard Henry, membro del Portable Antiquities Scheme, un programma del governo per incoraggiare i volontari a denunciare i piccoli ritrovamenti archeologici nelle campagne. "E' difficile dire se si trattava di un ex voto. Sembra che il bottino sia stato interrato in fretta, durante una fuga della popolazione, forse pensando di ritornare. Ma è veramente interessante la zona in cui sono stati seppelliti, al confine tra i Romani e gli Angli. Quella era una frontiera significativa, in un periodo di grandi cambiamenti sociali".
Dalle analisi risulta che il tesoro è stato confezionato con fiori recisi durante la metà dell'estate, in un ambiente che includeva pascoli e campi coltivati. Il materiale vegetale è sopravvissuto a causa della felice posizione dei vasi, che hanno formato una cavità sigillata. Questa tecnica, probabilmente involontaria, ha permesso il materiale organico nel corso del tempo si rivestisse di sali di rame.
Il ritiro romano dalla Gran Bretagna è datato circa 410 d.C., quando l'imperatore Onorio ordinò alle legioni di lasciare. I cittadini britannici romani, probabilmente temevano raid da parte degli Anglosassoni. I fiori e il vasellame sono stati donati al museo Wiltshire a Devizes. Non sono stati considerati, ai sensi di legge, tesoro nazionale, perchè non erano inclusi metalli preziosi come oro e argento, anche se l'operazione di ritrovamento ha partecipato anche il Dipartimento Antichità del British Museum.

Fonte:
La Stampa

martedì 14 febbraio 2017

Scoperto un antico tracciato alle porte di Roma

Un esteso complesso monumentale datato tra il V e il VII secolo a.C. è stato rinvenuto alla periferia nordest di Roma, durante gli scavi di un cantiere edile. E' quanto riferisce il quotidiano online "L'Unico".
Si tratta del sito archeologico emerso in un terreno privato in zona Selva Candida Casal Del Marmo, che comprende, al momento, una catacomba e una monumentale struttura viaria. Alla scoperta sta lavorando l'archeologa Rosaria Borzetti, della Soprintendenza ai beni archeologici di Roma. Secondo la studiosa quello che sta emergendo dal terreno può avere influenze con la più recente via Trionfale di epoca romana, la consolare che congiungeva Roma a Veio, costruita per celebrare i trionfi di Marco Furio Camillo sugli Etruschi. La via passa proprio per Casal Del Marmo e arrivava fino in Campidoglio.
Lo scavo sembra, al momento, confermare che i Romani costruirono la via Trionfale seguendo un preesistente percorso monumentale etrusco.
 
Fonte:
liberamente adattato da lunico.eu

venerdì 10 febbraio 2017

Dai mari di Gela emerge il leggendario oricalco di Atlantide

I lingotti di oricalco rinvenuti nel mare di Gela
(Foto: corrieredelmezzogiorno.corriere.it)
Il mare di Gela, nel Nisseno, continua a restituire preziosi beni archeologici, storici e culturali, dopo averli custoditi per 2700 anni. Di fronte al litorale di contrada Bulala, a est della città, i sommozzatori del reparto operativo aeronavale della guardia di finanza di Palermo, in collaborazione con la Sovrintendenza al mare, hanno proceduto al recupero di due elmi corinzi, un'ampolla massaliota (cioè dell'antica colonia greca di Marsiglia, in Francia), un'anfora arcaica e 47 lingotti di oricalco, il leggendario metallo di Atlantide costituito da una preziosa lega di rame e zinco.
Altri 39 lingotti erano stati recuperati nel dicembre 2014, frutto di una scoperta unica nel suo genere per l'intero Mediterraneo. Il materiale risalirebbe al periodo tra il VII e il VI secolo a.C. Adriana Fresina della Sovrintendenza al mare ha definito l'area sottomarina di Bulala, con i suoi tre relitti di navi arcaiche, "una preziosa, inestimabile miniera di reperti archeologici".
L'oricalco, in età arcaica, era al terzo posto per valore commerciale, dopo oro e argento. L'oricalco è simile al moderno ottone, noto come metallo prezioso per la sua somiglianza all'oro nell'antichità. Secondo le analisi con fluorescenza a raggi X, ciascun esemplare è frutto di una lega di metalli composta per l'80% di reame e per il 20% di zinco e realizzata con tecniche avanzate, la cui lavorazione i coloni geloi di origine rodio-cretese avevano appreso dai fenici.

Fonti:
siciliafan.it
spettacoliecultura.ilmessaggero.it

giovedì 9 febbraio 2017

Sardegna, riemergono i resti della necropoli della cartaginese Bithia

(Foto: Mibact Sardegna)
Chia, ancora una volta il mare porta alla luce tesori sepolti dalla sabbia e dal tempo. Dopo le violente mareggiate che recentemente si sono abbattute sulla bellissima spiaggia di Sa Colonia, nel comune di Domus De Maria, si scoprono resti dell'antica civiltà punica.
Si tratta di una porzione della necropoli pertinente alla città di Bithia, importante centro abitato almeno dall'VIII secolo a.C. al VI secolo d.C. La necropoli era già stata oggetto di scavi da parte della Soprintendenza per i beni archeologici, che aveva indagato oltre 300 tombe. Per recuperare le nuove sepolture emerse, la Soprintendenza ha effettuato, all'indomani della mareggiata, un intervento urgente che ha consentito il recupero di sepolture a cassone, sepolture a incinerazione, sepolture a "enchitrismòs" pertinenti ai diversi ambiti cronologici rappresentati nella necropoli.
Le ultime indagini archeologiche hanno riguardato la topografia della città, in particolare il santuario-tofet, le fortificazioni fenicio-puniche, oltre alla vasta necropoli litoranea.
Le prospezioni del 1964 della missione congiunta dell'Università di Roma e della Soprintendenza Archeologica di Cagliari hanno consentito l'identificazione del tofet di Bithia nell'isolotto di Su Cardulinu, ad est dell'acropoli. La piccola isola presenta un muro di cinta sul lato nord, in relazione all'istmo sabbioso che talora collega la terraferma. All'interno dell'isolotto sono stati posti in luce tre altari di grandi dimensioni legati all'offerta di bambini alla divinità, mediante il loro olocausto. Le deposizioni entro urne fittili accompagnate dalle oil bottles arcaiche e l'assenza di stele (introdotte nei tofet di Cartagine) connotano l'uso dell'area santuariale-funeraria limitatamente ai secoli VII e VI a.C. che segnarono la fase di fioritura di Bithia.
Le tombe scavate nel 1974 presentano una notevole varietà: si hanno semplici fosse aperte nella sabbia, tombe a cassone, urne fittili entro ciste litiche. Tale varietà è in sintonia con le principali necropoli fenicie della Sardegna (Nora, Monte Sirai, Pani Loriga, Tharros, S. Giovanni di Sinis, Othoca) e del resto della colonizzazione semitica occidentale.
Nei corredi delle tombe alle classiche ceramiche rituali fenice (brocche con orlo a fungo e a orlo trilobato, piatti ombelicati, oil bottles, lucerne a conchiglia) si affianca il vasellame di importazione etrusca (buccheri ceretani, oinochòe e kylix a ventaglietti, anforette a doppia spirale, olpe e alàbastra etrusco-corinzi, coppette su piede) del 630-540 a.C.; corinzia (aryballos piriforme, alàbastron); attica (coppa a figure rosse del Pittore di Winchester); ionica.
Si hanno pure gioielli d'argento, raramente aurei, armi in ferro, bronzi della metà del VII secolo a.C., uova di struzzo, amuleti. I dati della necropoli, integrati dai rinvenimenti superficiali nell'area della necropoli di Torre di Chia, documentano un centro fenicio sorto intorno alla fine dell'VIII secolo a.C. per le esigenze del mercato fenicio e decaduto per l'avvento di nuovi equilibri economici e politici imposti da Cartagine verso gli ultimi anni del VI secolo a.C.
La Bithia punica rivela una ridotta ripresa in epoca ellenistica, alla quale si deve la ristrutturazione della cinta muraria e la costituzione del Santuario di Bes, con una stipe votiva caratterizzata da figurine tornite di devoti sofferenti. Le ricerche sul periodo romano sono state estremamente limitate: ci si è limitati ad un titulus funerario medio-imperiale di Valerius Genialis, alla pubblicazione di un corredo tombale del II secolo d.C. e di un'anfora iberica.
Fonte:
castedduonline.it

domenica 5 febbraio 2017

I segreti della Puglia romana a Vagnari

Una lucerna ad olio del II secolo a.C., periodo ellenistico
(Foto: M. Carroll)
Malgrado la storia fornisca molti dati sugli eventi chiave, le campagne militari, i personaggi coinvolti nelle guerre di espansione che Roma condusse in Italia nel IV secolo a.C., è sull'archeologia che bisogna fare affidamento per meglio comprendere l'impatto della conquista romana sulla cultura, sulla società e sull'economia degli insediamenti presenti nei territori conquistati e annessi a Roma.
Uno di questi territori era l'antica Puglia, abitata da un popolo conosciuto con il nome di Peuceti, un'entità politica indipendente, ricca e culturalmente importante nel VI secolo a.C., che aveva un importante insediamento sul Botromagno, vicino all'attuale Gravina di Puglia. Brotomagno crollò intorno al IV secolo a.C., in seguito alla conquista romana della Puglia.
Le ricerche più recenti a Vagnari, in Puglia, hanno evidenziato la grande importanza rivestita da questo insediamento romano nel periodo successivo alla conquista dell'attuale Puglia. Vagnari si trova a circa 15 chilometri da Botromagno ed era collegata a Roma tramite la via Appia. Il villaggio (vicus) romano che qui sorgeva si trovava al centro di una vasta tenuta posseduta dagli imperatori romani, istituita per costituire una fonte di reddito per le casse imperiali.
Rimozione dei depositi di II secolo d.C. che rivela le fondamenta in pietra
di una struttura romana dei primi anni del I secolo d.C.
(Foto: M. Carroll)
Gli scavi nell'antico vicus hanno dimostrato che la grande proprietà aveva una base economica diversificata che andava dalla produzione metallurgica a quella delle ceramiche, alla coltivazione dei cereali ed alla viticultura, soprattutto nel II e III secolo d.C.. Gli scavi e le rimanenze archeologiche non hanno permesso di stabilire una data certa per la costituzione di questa grande proprietà o per accertare la natura del vicus a lei vicino. Nelle trincee di scavo sono stati trovati anche cocci di ceramica dell'Età del Ferro e tracce delle attività dell'insediamento pre-romano.
Al momento sono stati recuperati ceramica, pesi da telaio, lampade ad olio e attrezzi in ferro da un edificio parzialmente scavato, di età pre-romana e quasi sicuramente di periodo ellenistico (II secolo a.C.). Si trattava, probabilmente, di un ambiente appartenente ad una villa oppure ad una fattoria. Questo insediamento venne riutilizzato e ampliato nei primi anni del I secolo d.C., proprio quando questa tenuta era di proprietà degli imperatori romani. I primi edifici romani erano strutture ben arredate, con pavimenti in lastre di marmo e con finestre dotate di vetri. Sembra che questo insediamento godesse di una notevole ricchezza.
Gli scavi a Vagnari sono diretti dalla Professoressa Maureen Carrol, insegnante di archeologia romana all'Università di Sheffield, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia e The British School at Rome.

Fonte:
pasthorizonspr.com

Leicester, emergono mosaici straordinari

Uno dei mosaici romani scoperti a Leicester (Foto: University of Leicester)
Gli archeologi hanno scoperto un mosaico romano che costituisce la prova dell'opulenza in cui prosperava, più di 1500 anni, l'attuale Leicester. Si tratta di un mosaico pavimentale appartenente ad una casa il cui pavimento era riscaldato.
Gli scavi sono parte di un progetto che interessa il centro di Leicester e che mira a scoprire il passato romano della cittadina, comprese una strada romana e una domus con mosaici pavimentali. Ora gli archeologi stanno cercando di individuare la pianta dell'intero edificio. Gli scavi coprono quasi i due terzi di un'insula romana e forniscono agli archeologi una straordinaria opportunità di indagare la vita nel quartiere nordest della città romana. Oggi Highcross Street segue ancora la linea tracciata dalla strada antica, che conduce dal Foro Romano alla porta nord.
L'edificio scoperto sembra essere stato circondato da un cortile, all'interno le stanze si affacciavano su un corridoio o un portico. Almeno una delle stanze della domus aveva il riscaldamento sotto il pavimento. Probabilmente si trattava di una grande residenza signorile. Sul lato orientale del sito, vicino ad un parco, è stata rinvenuta, qualche tempo fa, una seconda domus. Tre delle sue stanze erano coperte da pavimento musivo, del quale sono stati ritrovati diversi frammenti che, messi insieme, hanno restituito una superficie musiva di 2 metri per 3, uno dei pavimenti più estesi trovati a Leicester negli ultimi trent'anni.
Gli archeologi ritengono che questo mosaico appartenga al IV secolo d.C. e che fosse originariamente posto in una stanza quadrata della domus. Ha un bordo spesso in inserti rossi che circondano un quadrato centrale. Il bordo contiene una decorazione geometrica e a fogliame; la decorazione geometrica è composta da svastiche, un antico simbolo molto comune nei mosaici romani.
Un terzo edificio romano, più piccolo, ha incuriosito i ricercatori. Si tratta di una grande camera, forse una cantina, con una piccola abside posta su un lato. Attualmente non vi è alcuna spiegazione soddisfacente sulla destinazione d'uso di questo edificio, sicuramente le strutture interrate sono piuttosto insolite nel periodo romano.

Fonte:
sciencedaily.com

Scoperta una nuova sepoltura a Luxor

Pitture della sepoltura di Khonsu (Foto: Jiro Kondo, Waseda University)
Per l'archeologo Jiro Kondo e la sua squadra della Waseda University, si trattava di un giorno come tanti nello scavo a loro affidato a Luxor, città egizia famosa per i suoi templi e per i molti monumenti antichi. Gli archeologi stavano occupandosi della tomba di Userhat, uno Scriba Reale.
Durante la pulizia della tomba, i ricercatori hanno scoperto un buco, attraverso il quale sono riusciti a raggiungere una camera sepolcrale precedentemente sconosciuta. "La tomba è splendidamente decorata e risale, con tutta probabilità, al periodo Ramesside", ha affermato Jiro Kondo. "Il proprietario della tomba si chiamava Khonsu e portava il titolo di Scriba Reale". Sia Khonsu che sua moglie, unitamente ad Osiride ed Iside, sono raffigurati sugli affreschi della tomba. "Sulla parete nord della porta d'ingresso, abbiamo trovato una scena che mostra la barca solare del dio Ra-Atum, adorato da quattro babbuini", ha affermato Jiro Kondo.
I babbuini furono portati nell'antico Egitto ed erano tenuti come animali domestici, amati e viziati. Venivano raffigurati anche negli affreschi. La parola "babbuino", inoltre, forse deriva dal nome del dio egizio Baba, venerato nel periodo predinastico. I babbuini erano associati con la saggezza, la scienza e la misura, tutte competenze appartenenti ad uno Scriba Reale.

Fonte:
seeker.com

giovedì 2 febbraio 2017

Roma, la meravigliosa domus degli Horti Lamiani

Un grande ambiente di circa nove metri di altezza per otto di larghezza, con decorazioni magnifiche tra mosaici, paste vitree, pietre preziose e marmi "del tutto simili a quelle della Domus Aurea". E in effetti, la pregiata residenza costruita nel I secolo dal console Elio Lamia nell'area occupata oggi da piazza Dante fu annessa da Nerone e divenne parte della sua reggia. Dopo duemila anni, una delle sale degli Horti Lamiani, dal nome del loro proprietario, potrebbe uscire dai sotterranei e arrivare direttamente in piazza Dante.
Opus sectile dal pavimento della galleria degli Horti Lamiani
(Foto: Wikimedia Commons)
E' questo il progetto pensato dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l'area archeologica di Roma, che ha riportato alla luce la struttura antica durante i lavori di ristrutturazione dell'ex palazzo delle Casse di Risparmio postali. Grazie alle tecniche di delocalizzazione e riposizionamento, l'aula che ancora conserva alcuni resti delle preziose decorazioni, realizzate in tre fasi diverse, verrà rimontata in piazza Dante, diventando un vero e proprio "museo a cielo aperto".
Venere Esquilina, Musei
Capitolini (Foto: Wikipedia)
Il progetto porta la firma della Soprintendenza, ma è stato condiviso con il I municipio e la presidente Sabrina Alfonsi, con l'assessore ai Lavori Pubblici, Tatiana Campioni, e il soprintendente Francesco Prosperetti lo hanno presentato alla cittadinanza per "condividere osservazioni e considerazioni". Di certo si tratta di una scoperta molto importante per i tecnici della Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l'area archeologica di Roma, responsabili degli scavi ancora in corso, che segue quelle di inizio '900, quando l'archeologo Giuseppe Gatti trovò parte degli Horti Lamiani insieme ai famosi gruppi scultorei che oggi adornano le sale dei Musei Capitolini e la Centrale Montemartini, come la Venere Esquilina e il busto di Commodo/Ercole.
Per la dimensione estesa dell'aula si è scelto di non posizionarla esattamente al centro della piazza, perché avrebbe avuto un grosso impatto sul fronte dell'edificio delle Poste, che ha, comunque, una sua importanza. La struttura antica, ha spiegato l'architetto della Soprintendenza Stefano Borghini, "sarà leggermente decentrata, seguendo quella indicazione che ci viene dall'archeologia stessa". Accanto, il progetto prevede una struttura "che al momento è stata pensata in vetro, ma è un'idea primordiale", che verrà usata come sala multimediale, "un luogo dove la storia dell'area, e quindi dell'edificio, potrà essere contestualizzata anche virtualmente attraverso nuove tecnologie".
Nel passaggio tra l'età repubblicana e quella imperiale, "due grandi personalità che erano Mecenate e Lamia, costruirono delle residenze sul modello greco, gli Hori, che sono dei palazzi straordinari con dei grandi giardini, con le caratteristiche di una villa di campagna ma dentro la città", ha spiegato l'archeologa Mirella Serlorenzi, responsabile degli scavi. "Una volta passate all'impero, questi Horti vengono inclusi da Nerone nella Domus Aurea che, così, arrivava fino all'Esquilino".
Parte degli Horti Lamiani (Foto: Ansa.it)
Le decorazioni dell'aula antica rinvenuta durante la ristrutturazione del palazzo di piazza Dante, che diventerà sede dei servizi segreti, "sono molto simili a quelle della Domus Aurea", ha detto Serlorenzi, che ha spiegato come i mosaici e le pitture che adornavano la sala provengano da tre fasi diverse, "quella augustea, quella Giulio-Claudia e poi la fase neroniana".
Oltre alla sistemazione dell'aula in piazza Dante, la Soprintendenza ha pensato anche alla musealizzazione dei reperti ritrovati durante gli scavi. "Stiamo mettendo a punto anche un'app che si chiamerà "Tra Esquilino e Viminale", per raccontare la storia di questa parte della città. I finanziamenti per la delocalizzazione dell'aula in piazza Dante "saranno sicuramente statali". I lavori del palazzo ex Poste verranno completati tra due anni, "e a quel punto i tempi di ricollocazione dell'aula antica non saranno inferiori ad un anno".

Turchia, gli "inviti" di Antioco I di Commagene...

Turchia, l'iscrizione di Antioco di Commagene (Foto: AA) Un'iscrizione trovata vicino a Kimildagi , nel villaggio di Onevler , in Tu...