sabato 20 gennaio 2024

Taranto, rinvenute sepolture all'interno di un istituto scolastico

Taranto, una delle sepolture appena rinvenute
(Foto: stilearte.it)
Durante i lavori di posa delle condotte elettriche nel quartiere Montegranaro a Taranto, condotti con sorveglianza archeologiche, sono emerse tracce del periodo greco, nel cortile dell'Istituto Professionale Cabrini.
Sono stati avviati, quindi, gli interventi di scavo archeologico d'emergenza, richiesti dalla Soprintendenza Nazionale per il patrimonio subacqueo. Gli scavi sono stati condotti dagli archeologi di ETHRA Archeologia e Turismo sotto la direzione scientifica della Dottoressa Annalisa Biffino della Soprintendenza, con la partecipazione dell'Impresa SOIGEA Srl.
Il sito sottoposto a scavo ha rivelato una fossa di scarico quadrangolare contenente ceramica a vernice nera, ceramica sovradipinta, materiale votivo, distanziatori legati alla produzione di ceramica in fornaci, ceramica da fuoco e acroma, oltre ad un'antefissa con figura di Gorgone. I frammenti ceramici sembrano appartenere al periodo compreso tra la fine del VI ed il III secolo a.C.
All'interno del cortile della scuola, gli scavi hanno individuato tre tombe a fossa scavate nel banco roccioso. La tomba 1 era priva di copertura e vuota, mentre la tomba 2, con copertura a doppia lastra lapidea, conteneva lo scheletro di un individuo in posizione supina con corredo datato al IV secolo a.C. La tomba 3, più piccola, aveva una copertura ad unica lastra in carparo e conteneva un individuo giovanile senza corredo.

Fonte:
stilearte.it


Gran Bretagna, trovato un misterioso oggetto: il dodecaedro

Gran Bretagna, il dodecaedro romano rinvenuto
(Foto: stilearte.it)
La recente scoperta di un oggetto misterioso a Norton Disney, nel Lincolnshire, in Gran Bretagna, ha catturato l'attenzione degli esperti e del pubblico per la sua eccezionale grandezza e raffinatezza.
Si tratta di un dodecaedro romano, un oggetto a dodici facce, rinvenuto in uno scavo a Potter Hill. Quello che rende questa scoperta ancora più straordinaria è il fatto che è uno dei pochi esemplari ritrovati nella parte settentrionale ed occidentale dell'Impero Romano e uno dei soli 33 rinvenuti in Inghilterra.
Il dodecaedro è stato scoperto la scorso estate in una fossa a Potter Hill, insieme a frammenti di ceramica romana e detriti di demolizione. Pesante 250 grammi e largo 8 centimetri, il dodecaedro di Norton Disney è significativamente più grande della media, e questo lo rende un'eccezione tra gli altri reperti simili. Quello che rende questa scoperta ancora più straordinaria è il fatto che è stato trovato nel contesto originale, durante uno scavo archeologico organizzato, a differenza della maggior parte degli oggetti simili che si trovano in collezioni private o musei senza informazioni sui loro contesti originali.
La zona intorno a Norton Disney è già stata oggetto di scoperte archeologiche significative, tra le quali i resti di una villa romana scoperti nel 1933, villa situata vicino alla Fosse Way, un'importante strada romana che collegava Exeter a Lincoln, ora interrata ed iscritta nella Lista del Patrimonio Nazionale. 
Il dodecaedro è ora esposto al National Civil War Center di Newark-on-Trend. 
I dodecaedri romani sono affascinanti reperti archeologici rinvenuti in bronzo o, più raramente, in pietra, risalenti al periodo compreso tra il II ed il IV secolo d.C. Questi enigmatici oggetti sono caratterizzati da dodici facce piatte pentagonali, ciascuna con un foro circolare di diametro variabile o, in alcuni casi, decorazioni senza fori.
Più di cento di questi dodecaedri sono stati scoperti in diverse regioni, dall'est dell'Italia all'Ungheria, dal Galles alla Spagna, con la maggior concentrazione di ritrovamenti in Germania e in Francia. Le dimensioni variano dai 4 agli 11 centimetri e alcuni esemplari sono stati trovati assieme a tesori in monete, suggerendo un possibile valore attribuito loro dai proprietari.

Fonte:
stilearte.it


Bulgaria, riemerge l'antica Marcianopolis

Bulgaria, il mosaico e la moneta (Foto: Comune di Devnya)

Nel terreno dell'antica città romana di Marcianopolis a Devnya, nella Bulgaria nordorientale, gli archeologi hanno compiuto di recente un viaggio nel tempo, portando alla luce musei pavimentali con disegni paleocristinai e quasi 800 manufatti che narrano la storia sepolta di questa antica città. I risultati degli scavi del 2023, annunciati di recente, hanno rivelato una ricca gamma di reperti, tra i quali un edificio mosaicato, ceramiche preziose e monete d'oro.
La città romana di Marcianopolis, oggi conosciuta come Devnya, ebbe origine come insediamento tracio, ma successivamente venne influenzata dai coloni ellenizzati provenienti dall'Asia Minore e fu rinominata Partenopoli. Fondata intorno al 106 d.C. grazie alle campagne di Traiano in Dacia settentrionale, Marcianopolis divenne un importante crocevia strategico tra Odessos (l'odierna Varna), Durostorum e Nicopolis ad Istrum. La Marcianopolis romana fu fondata dallo stesso imperatore Traiano, in onore della sorella Ulpia Marciana, dalla quale l'urbs prese il nome.
Le riforme amministrative di Diocleziano nel III secolo d.C. segnarono un periodo di prosperità per Marcianopolis, che diventò la capitale amministrativa della Mesia Secunda. Il suo apice si ebbe durante la metà del IV secolo d.C., quando l'imperatore Valente utilizzò la città come quartier generale invernale durante le campagne contro le incursioni visigote nella regione, stabilendo, in essa, temporaneamente, la capitale dell'Impero d'Oriente.
La più recente stagione di scavi ha rivelato un edificio contenente mosaici pavimentali con disegni paleocristiani, datati alla prima metà del IV secolo d.C. Gli archeologi sono ancora incerti se l'edificio fosse di carattere pubblico o appartenente ad un cittadino romano di rango elevato.
La scoperta non si ferma ai mosaici, poiché migliaia di monete di bronzo, lampade di argilla e vasi di argilla sono emersi durante gli scavi. La datazione dei reperti suggerisce un'ampia gamma di periodi storici, dal II al VI secolo d.C.
Nel corso della precedente stagione archeologica, i ricercatori hanno restaurato vasi di bronzo provenienti da una tomba risalente alla fine del II - inizio III secolo. Questi vasi, utilizzati in rituali e associati alla personalità del defunto, includono un recipiente per offerte liquide a una divinità e una brocca da vino. Questi indizi conducono gli studiosi ad ipotizzare che la tomba potrebbe appartenere ad un cittadino romano con ruoli specifici quali soldato, cuoco o addirittura prete.
La ceramica scoperta nei pressi di una basilica durante gli scavi del 2023 è stata restaurata, tra cui un vaso da mortaio per liquidi e uno squisito vaso per liquidi a forma di cratere, entrambi collocati in una struttura con pavimenti a mosaico. Monete dell'epoca dell'imperatore Teodosio II sono state rinvenute sparse sul pavimento, risalenti al periodo della conquista e distruzione di Marcianopolis da parte degli Unni di Attila nel 447 d.C.

Fonte:
stilearte.it


Svizzera, il castello ed il guanto di sfida

Svizzera, il luogo degli scavi ed uno dei reperti rinvenuti
(Foto: stilearte.it)

Durante la ristrutturazione di una casa unifamiliare nel villaggio di Kyburg, nei pressi del castello omonimo, in Svizzera, sono emerse scoperte inaspettate. Il castello, risalente almeno al 1027, appartenne nel XV secolo, per un periodo, alla città di Zurigo, diventando in seguito proprietà privata. Solo nel 1917 il cantone di Zurigo lo acquisì.
Data la vicinanza del castello, si supponeva che nel terreno di questa proprietà, che doveva essere sottoposta ad interventi di ristrutturazione, potessero trovarsi oggetti di valore storico. 
Gli archeologi hanno scoperto un vano contenente tre telai, ceramiche, utensili in ferro quali martelli e trapani a mano, uno stilo per scrivere e una chiave. La presenza di stampi ed utensili specifici ha suggerito che la lavorazione del ferro avvenisse nelle vicinanze o addirittura all'interno dell'abitazione. Ma sono state 25 piccole tessere a destare particolare interesse.
La responsabile del progetto, Lorena Burkhardt, ha dichiarato che i sospetti sulla loro natura sono stati successivamente confermati in laboratorio: si tratta di frammenti di un guanto da sfida per la mano destra risalente al XIV secolo.
Le parti in ferro del guanto sono incredibilmente ben conservate, mostrando minima ruggine, e soprattutto sono integre. Il guanto di Kyburg è il solo completamente conservato in tutto il paese e, in questa condizione, rappresenta un'esclusività anche oltre i confini nazionali. Il corrispondente guanto sinistro è stato recuperato solo parzialmente.
Lorena Burkhardt ha spiegato che questi guanti facevano parte delle sofisticate armature indossate dai cavalieri nel tardo Medioevo. In Svizzera esistono solo altri cinque esemplari risalenti al periodo compreso tra il 1340 ed il 1400, ma in condizioni ben inferiori a quelle del guanto di Zurigo.
Gli altri guanti svizzeri e lo stile delle ceramiche trovate hanno contribuito a datare l'esemplare di Kyburg, utilizzato durante la Guerra dei Trent'anni fino al XVII secolo. La sua struttura complessa suggerisce che il proprietario fosse un nobile o un guerriero benestante, dato che la produzione di tali armature era costosa e complessa.
Il guanto solleva anche domande senza risposta, come l'identità del suo proprietario, un enigma che i ricercatori sperano di risolvere attraverso ulteriori ricerche documentarie.

Fonte:
stilearte.it

Bacoli, riemerge quella che potrebbe essere stata la villa di Plinio il Vecchio

Bacoli, l'area di scavo (Foto: artribune.com)

Tra le vittime dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C., si conta anche Plinio il Vecchio, scrittore e filosofo.
Come racconta suo nipote, nonché figlio adottivo, Plinio il Giovane in una lettera indirizzata a Tacito, il 24 ottobre del 79, mentre si trovava a Miseno alla guida della flotta romana stanziata nel golfo, Plinio il Vecchio fu attratto da una gigantesca colonna di fumo che si innalzava dal vulcano e decise di studiare il fenomeno da vicino e di soccorrere, nel contempo, la sua amica Rectina proprietari di una villa nei pressi di Stabia, e gli abitanti della città costiera, spingendosi con le galee dove l'aria era più impregnata di fumi ed esalazioni mortali. Plinio il Vecchio morì così all'età di 56 anni.
Proprio a Miseno, oggi frazione di Bacoli, negli ultimi mesi, alcuni lavori di scavo per la riqualificazione della villa comunale a Punta Sarparella, hanno portato alla luce i resti di un villa romana di epoca imperiale, affacciata sul mare. La costruzione è databile al I secolo d.C., realizzata in opus reticulatum di cubilia di tufo. Appare molto ben costruita e si estende, senza soluzione di continuità, fino alla spiaggia ed ai fondali antistanti. Della villa sono stati individuati una decina di ambienti di grandi dimensioni che fanno pensare a reiterate ristrutturazioni.
L'elemento, però, più suggestivo, secondo l'ipotesi avanzata dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana di Napoli, che si occupa di mettere in sicurezza gli scavi, ricondurrebbe proprio alla presenza di Plinio il Vecchio a Miseno, nel 79 d.C.: quanto rinvenuto finora infatti, sarebbe pertinente ad una delle terrazze della residenza del Prefetto della Flotta romana del Tirreno, la Classis Misenensis, incarico ricoperto all'epoca da Plinio.
Da Punta Sarparella, posizione privilegiata che garantisce un'ampia veduta sul Golfo di Napoli, Plinio l Vecchio avrebbe visto l'eruzione, prima di salpare alla volta di Stabia, per soccorrere diversi abitanti delle città costiere.
L'unico lavoro di Plinio il Vecchio giunto fino a noi integralmente è la Naturalis Historia, un'ampia enciclopedia con voci relative ad astronomia, geografia, antropologia, zoologia, botanica, medicina, metallurgia, mineralogia ed arte. Quest'opera enciclopedica rappresenta il risultato di una massiccia ricerca preparatoria basata su oltre 2.000 volumi scritti da più di 500 autori. Nel corso dei secoli successivi, soprattutto nel Medioevo e nel Rinascimento, la Naturalis Historia è stata ampiamente letta e studiata, costituendo oggi un documento essenziale delle conoscenze scientifiche dell'antichità.
La scoperta dell'illustre proprietario della grande villa, se confermata, sarebbe strategica anche in funzione degli studi che da tempo cercano di approfondire il ruolo dell'antico porto romano di Miseno e di comprendere come l'importante struttura logistica e militare si relazionasse con l'urbanistica pubblica della colonia.
Che delle strutture si conservassero in quella zona era già risaputo da alcune foto storiche di inizio '900 e da un rilievo pubblicato nel 1979 da Borriello-D'Ambrosio, il cui lavoro costituisce ancora oggi la principale fonte per ricostruire la carta archeologica di Bacoli. Così come lacerti di murature in opera reticolata sono tuttora visibili lungo la spiaggetta di Sarparella.

Fonti:
artribune.com
avvenire.it
stilearte.it

mercoledì 17 gennaio 2024

Gran Bretagna, Settimio Severo ed il suo buen retiro

Gran Bretagna, uno dei reperti
appena rinvenuti (Foto:
stilearte.it)

L'imperatore Lucio Settimio Severo (146-211 d.C.) potrebbe aver trascorso periodi, divisi tra impegno militare e svago, richiesto dalla sua condizione di infermo, a Luguvalium, in Gran Bretagna, nei pressi dell'attuale Carlisle, in Cumbria. Lo affermano gli archeologi inglesi, alla luce di consistenti testimonianze severiane individuate durante scavi archeologici.
L'ipotesi è che Settimio Severo probabilmente fece di Luguvalium, la città più a nord dell'intero impero romano, uno dei luoghi di soggiorno non episodico, coordinando l'azione dell'esercito e godendo di periodi di vacanza. Si ritiene persino che egli abbia risieduto qui per un certo tempo con la sua corte, trasformando la città in una sorta estensione temporanea di Roma.
Il grande Vallo di Adriano, costruito a protezione della Britannia dagli attacchi provenienti dal nord, correva a settentrione della città di Luguvalium. A poca distanza da quest'ultima, il cui nome potrebbe essere collegato ai termini latini "lucus" (bosco) e "vallum" (fortificazione), sorgeva il forte di Uxelodunum, la moderna Stanwix, ora sobborgo di Carlisle, il più grande dell'intera struttura difensiva romana. Nel forte si ritiene ci fosse l'Ala Pretoriana, un reggimento di cavalleria romana, temutissima unità di élite composta da poco meno di mille uomini.
Nel 2017 vennero scoperte per caso delle grandiose terme che si sviluppavano su una lunghezza di 50 metri, con uno "stile romano nordafricano" (l'imperatore era nato sul suolo libico). Gli indizi puntano, per una serie di elementi convergenti, sulla presenza attiva, qui, di Settimio Severo, di stirpe punica e nato a Leptis Magna. Probabilmente con lui c'era anche la moglie, alla quale le terme furono intitolate.
Durante gli scavi sono emersi reperti significativi, tra i quali armi, ceramiche di Samo (o ceramica sigillata, tipica dell'antica Roma), monete e una pietra scolpita con iscrizioni con vari titoli, incluso quello di "madre del Senato", probabilmente riferito alla consorte dell'imperatore. Sono stati portati alla luce anche 34 mattoni che recano un bollo con le tre lettere distintive della corte romana, "IMP", suggerendo un possibile legame con una manifattura a diretto servizio dell'imperatore.
Nell'estate 2023 nuovi indizi sono emersi con il ritrovamento di due teste di pietra di notevoli dimensioni, presumibilmente ornamenti del tetto. La presenza di un pigmento porpora-viola, il colore dei sovrani nell'antichità, ha aggiunto ulteriori elementi alla teoria che le terme potrebbero essere state commissionate dall'imperatore.
Negli ultimi anni del suo regno, dal 208 d.C., ormai infermo, Settimio Severo intraprese di persona un buon numero di azioni militari in difesa e allargamento dei confini della Britannia romana, con la previsione di interventi di restauro e consolidamento del Vallo di Adriano, prima di morire il 4 febbraio 211 d.C. a Eboracum, l'odierna York
Severo era giunto in Britannia con oltre 40.000 uomini e, per dare alloggio e servizi all'imponente esercito, fece costruire diversi accampamenti che si estendevano lungo i Lowlands scozzesi e la costa orientale della Scozia, fino all'estuario del Moray. Ordinò anche di edificare un campo militare di 67 ettari a sud del Vallo Antonino, nei pressi di Trimontium e altri due a nord dell'estuario del Forth.
Settimio Severo promosse pure gli interventi di restauro di alcune fortezze romane lungo la costa orientale. L'imperatore sarebbe stato qui con la moglie, Giulia Domna, romana di Siria. Una donna colta e potentissima. La costante presenza accanto al marito durante le spedizioni militari, valse all'Augusta la concessione del titolo mater castrorum (madre degli accampamenti), appellativo di recente coniazione, assegnato per la prima volta a Faustina minore nel 174 d.C.
Giulia Domna esercitò, fin dall'inizio, un forte ascendente sulle decisioni del marito. Partecipò attivamente all'amministrazione dell'impero, pur accontentandosi di agire a margine della scena politica, nel pieno rispetto del mos romano, da sempre riluttante al conferimento di ruoli ed incarichi ufficiali alle donne.
Durate le recenti campagne di scavo, gli archeologi hanno portato alla luce, negli scarichi delle terme, anche numerose gemme intagliate, che, in genere, avevano la funzione di portafortuna o costituivano un'impresa, cioè un fine a cui il portatore o la portatrice tendevano. Gli oggetti risalgono al III secolo d.C. Le gemme si staccarono dagli anelli o dai ciondoli, probabilmente a causa di un mastice che non resisteva all'acqua e che, probabilmente, subiva deformazioni in ambienti come il calidarium.
Scolpite su pietre semipreziose come la corniola, l'ametista, il diaspro, in dimensioni che vanno dai 5 ai 16 millimetri, le pietre semipreziose furono incise da artigiani che hanno realizzato minute immagini di divinità romane nelle quali si riconoscono Venere, Cerere, Fortuna e Apollo. Un numero esiguo di gemme incise recano immagini collegate al mondo militare. La frequentazione femminile delle terme è dimostrata anche dal ritrovamento, nello scarico, di 105 perle di vetro per collane o braccialetti e 40 forcine per le acconciature femminili. Nel condotto sono state portate alla luce anche piccole armi e monete romane, oltre che lacerti di ceramica.
Le terme da poco ritrovate furono costruite a partire dal 210 d.C. circa, con un possente intervento architettonico, testimoniato dalla presenza di muri larghi, in alcuni punti, anche un metro e mezzo. I mattoni marchiati con il timbro "IMP" indicherebbero che il complesso termale fu realizzato probabilmente da maestranze imperiali quando Settimio Severo si trovava nell'area per una campagna militare del 208 d.C. in Caledonia.

Fonte:
stilearte.it

Fabrica di Roma, Hermes ritrovato: scoperto un affresco in un antico ipogeo

Fabrica di Roma, il lacerto di affresco scoperto
(Foto: corrierediviterbo.it)

Una sensazionale scoperta archeologica è stata fatta nei pressi dell'antica città di Falerii Novi. L'artefice della scoperta, che dovrà essere ulteriormente approfondita e studiata, è il Professor Giancarlo Costa, appassionato studioso di storia locale, che all'interno di un antico ipogeo ha ritrovato alcuni affreschi conservati nel tempo.
Il Professor Costa ha individuato, in una nicchia presente sulla parete di fondo dell'ipogeo, due piccole ali azzurre e più scritte in latino. Si è subito reso conto di trovarsi di fronte al volto di una figura maschile che indossa un cappello alato e che, quasi certamente, è Hermes, il messaggero degli dei. Questa divinità era anche protettrice dei commerci, dei viaggi, dei confini, dei ladri, dell'eloquenza, degli oratori e dei poeti, della letteratura e delle discipline atletiche. Inoltre aveva la funzione di psicopompo, accompagnatore delle anime verso l'Ade.
A commissionare questo affresco sono stati, forse, i parenti del defunto sepolto nell'ipogeo. Rimane da scoprire il significato dell'epigrafe dipinta in basso a destra. La scoperta è resa ancora più singolare dal fatto che sembrerebbe che questo affresco non sia citato nella Carta Archeologica del 1881.
Hermes è raffigurato con un copricapo con piccole ali azzurre, il caratteristico elmetto alato. Altro simbolo con cui la divinità viene solitamente raffigurata è il caduceo, il bastone alato con due serpenti attorcigliati intorno. Questo oggetto manca nell'affresco, forse perché era stato collocato nella parte che è andata, purtroppo, perduta. Inoltre non è esclusa la presenza di un'altra divinità, in quanto nell'affresco compare una seconda ala.

Fonti:
corrierediviterbo.it
civonline.it
viterbotoday.it

 

San Lorenzo Isontino, rinvenute tre sepolture probabilmente longobarde

San Lorenzo Isontino, gli scavi
(Foto: ilgoriziano.it)

Durante i lavori di ristrutturazione della piazza di San Lorenzo Isontino, in provincia di Gorizia, sono stati trovati alcuni resti umani. Inizialmente si pensava si trattasse di un cimitero, in quanto un tempo i morti venivano seppelliti vicino alle chiese, ma il primo cimitero era situato a 400 metri di distanza.
"E' molto probabile che la necropoli si estenda oltre e si celi nei pressi dello scavo. Chissà che ulteriori lavori non rivelino qualche altra sorpresa", ha affermato la soprintendente alle Belle Arti Giorgia Musina.
La cittadina ha mantenuto inalterata la struttura originaria, come anche documentato dalle mappe austro-ungariche, che mostrano poche case senza sostanziali modifiche.
"Una scoperta importante che aiuta a contestualizzare l'abitato. - Spiega l'archeologa Federica Codromaz. - Si sapeva che l'abitato esistesse almeno dall'XI secolo. Questi reperti lo retrodatano ad epoca alto-medioevale. Non possiamo avere una certezza assoluta sulla datazione delle tombe, ma con buona approssimazione sono databili attorno al VII secolo d.C.".
Con l'avvento delle normative napoleoniche, per motivi igienico-sanitari venne vietata la sepoltura nei centri abitati ed i cimiteri traslati a poca distanza. Lasciando tuttavia sul posto tombe dimenticate nella terra, come quelle rinvenute ad un metro e venti rispetto al piano stradale. Nelle tombe sono stati sepolti tre individui diversi: una donna adulta, un soggetto di cui non è identificabile il sesso e frammenti che rivelano la presenza di un bambino o di una bambina di circa dieci anni. Tutti erano stati deposti supini, rivelando che potrebbe trattarsi di sepolture alto-medioevali equidistanti l'una dall'altra.
Una scoperta decisiva, che insieme a due oggetti rinvenuti - il frammento di un pettine d'osso ed una fibula - consentono di retrodatare il centro abitato all'Alto Medioevo. Tumuli verosimilmente di origine longobarda, per l'equilibrio nella disposizione. Le tombe sono collocate in uno spazio preciso, secondo l'usanza della popolazione germanica.

Fonte
ilgoriziano.it

sabato 13 gennaio 2024

Nubia, ritrovate delle schede di scavo con importantissimi dettagli sulla storia antica

Alta Nubia, sepoltura con resti umani rinvenuta agli inizi
del XX secolo (Foto: Università di Manchester)

Un ricercatore, Jenny Metcalfe, egittologa biomedica dell'Università di Manchester, nel Regno Unito, ha scoperto una serie di documenti storici che si pensava fossero andati perduti durante la Seconda Guerra mondiale. Si tratta di documenti noti come "schede di registrazione", provenienti da uno dei primi scavi condotti nella Bassa Nubia all'inizio del XX secolo.
La Nubia era un'antica regione dell'Africa nordorientale, centrata sulla valle del fiume Nilo, che si estendeva attraverso quello che oggi è il Sudan settentrionale e l'Egitto meridionale. Questa regione, abitata dal popolo nubiano, fu la patria di una delle prime civiltà dell'antica Africa.
Nel corso dei millenni, varie culture e regni sono emersi e scomparsi nella regione. Forse il più notevole di tutti fu l'impero Kushita. La regione, parti della quale erano governate anche da faraoni egiziani, è tradizionalmente divisa in due: Bassa e Alta Nubia. La parte inferiore è, in realtà, posta a nord della Nubia.
La Dottoressa Metcalfe ha trovato le schede di registrazione nascoste in un archivio presso l'Università di Cambridge mentre stava conducendo delle ricerche per un suo libro. Tra il 1907 ed il 1911, un gruppo di ricercatori condusse scavi nella Bassa Nubia durante quattro stagioni. In questo lasso di tempo vennero scavati più di 150 necropoli nubiane e vennero scoperte circa 20.000 tombe. Vennero riportate alla luce 7.000 salme e numerosi manufatti. Una documentazione unica delle antiche comunità che vivevano nella regione del Nilo, nel sud dell'Egitto.
Le necropoli più antiche, scavate durante queste campagne di scavo, appartengono alla popolazione nubiana del "gruppo A", comparsa per la prima volta intorno al 3800 a.C., anche se ci sono prove di occupazione umana antecedenti.
Le schede di registrazione rinvenute dalla Dottoressa Metcalfe sono schede prestampate che recano registrazioni di dettagli come il sito del ritrovamento, l'età di quest'ultimo, l'età ed il sesso del defunto, la misurazione delle ossa lunghe e del cranio, i denti presenti e qualsiasi prova visibile di malattie o traumi. Queste schede hanno permesso agli anatomisti sia di studiare gli individui che di confrontarli tra loro, al fine di costruire un quadro delle comunità nubiane.
La Dottoressa Metcalfe ha trovato 495 di queste schede, la maggior parte delle quali fornisce dettagli su individui rinvenuti in 20 necropoli diverse. Alcune schede registrano la scoperta di più corpi contemporaneamente. Le schede coprono un periodo che va da quello del "Gruppo A" ai cimiteri del periodo cristiano risalenti al 500-1100 d.C. circa.
Le necropoli interessate da queste schede non sono quelle dove vennero sepolti re e regine, raccontano piuttosto della gente comune che abitava in Nubia ai tempi dei faraoni, di quando morirono, del modo in cui furono preparati per la sepoltura e danno un'idea di quanto grandi fossero queste comunità in diversi momenti storici.
Migliaia di anni prima dell'avvento della medicina moderna, le schede "perdute" provano la presenza, nel passato, di individui sopravvissuti per molto tempo a malattie o lesioni molto gravi. Questo era possibile solo grazie all'attenzione costante delle loro famiglie e della loro comunità, che li teneva al sicuro fornendo loro l'alimentazione e curando le ferite.

Fonte:
newsweek.com

Paestum, individue due nuovi ed antichi templi dorici

Paestum, veduta di uno dei due templi scoperti
(Foto: @Ansa)

Due nuovi templi dorici sono stati scoperti nel Parco Archeologico di Paestum. La scoperta è frutto della campagna di scavo stratigrafico nella zona occidentale dell'antica città di Poseidonia-Paestum, a ridosso della cinta muraria e a poche centinaia di metri dal mare.
Gli edifici sacri consento di fare nuova luce sulle origini e lo sviluppo urbanistico della polis magnogreca e forniscono dati cruciali per comprendere l'evoluzione dell'architettura dorica a Poseidonia e in Magna Grecia.
Il primo tempio, inizialmente intercettato nel giugno del 2019 e indagato a partire da settembre 2022, viene datato ai primi decenni del V secolo a.C. e ad oggi costituisce, per caratteristiche architettoniche e dimensionali, un assoluto unicum dell'architettura templare di ordine dorico. E' conservato nelle porzioni dello stilobate (basamento delle colonne) e del crepidoma (gradini dove veniva costruito il tempio) e misura 11,60x7,60 metri, con una peristasi di 4x6 colonne.
Da indagini svolte nelle ultime settimane, la storia del santuario sembra tuttavia essere più antica. All'interno della struttura templare, al disotto della peristasi, sono stati reimpiegati, probabilmente a scopo rituale, 14 capitelli dorici frammentari e altri materiali architettonici. I capitelli sono di dimensioni analoghe a quelli del tempietto finora esplorato. La tipologia è, invece, differente e confrontabile con quella dei capitelli del tempio di Hera I, cosiddetto Basilica, il più antico dei tre templi maggiori di Paestum.
Questi ultimi eccezionali rinvenimenti dimostrano che si è di fronte ad un altro tempio, di modeste dimensioni ma con caratteristiche architettoniche simili a quelle dei primi grandi templi pestani e da datarsi al VI secolo a.C. Per motivi ancora da accertare, forse un crollo, all'inizio del secolo successivo questa struttura è stata sostituita, nella medesima area, da un nuovo tempio.
La portata della scoperta non si limita all'architettura e alla storia del santuario, ma amplia notevolmente la conoscenza dell'impianto urbanistico della città. Alle spalle del tempio è stato smontato il crollo del paramento delle mura di cinta della città antica che aveva investito il tempio causandone il crollo parziale. Al di sotto di tale crollo è stato individuato il tracciato di una strada battuta, che corre parallela al tempio ed ha, invece, un orientamento diverso rispetto alle mura.
Si tratta di un rinvenimento di estremo interesse in quanto documenta che alla fine del VI secolo a.C., quando il tempio più antico fu eretto, la città di Poseidonia non era ancora dotata di mura difensive. In un periodo di forte crescita e monumentalizzazione della polis i coloni di Poseidonia edificarono un santuario in un luogo strategico, a protezione dello spazio urbano e visibile direttamente dal mare.
L'importanza di questo spazio sacro è confermata dalle sue complesse fasi edilizie, che vedono la costruzione di ben due templi dorici e dalla sua lunga ed ininterrotta frequentazione, che per oltre mezzo millennio segna una fondamentale continuità di culto attraverso l'epoca greco-lucana e quella romana.

Sicilia, scoperta un'antichissima fortificazione sull'isola di Ustica

Ustica, i resti della fortificazione
(Foto: tecnologia.libero.it)

E' stata definita una "scoperta importante" e per diverse ragioni. Dalle indagini geofisiche condotte nel Villaggio dei Faraglioni di Ustica, insediamento risalente all'Età del Bronzo, è emersa una fortificazione di oltre 3000 anni fa.
La scoperta è stata possibile grazie a un lavoro congiunto dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), del Parco Archeologico di Himera, Soluto e Iato della Regione Siciliana, dell'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, dell'Associazione Villaggio Letterario di Ustica, del Laboratorio Museo di Scienze della Terra di Ustica, dell'Università degli Studi di Siena, del Dipartimento di Matematica e Geoscienze dell'Università di Trieste e del Ministero della Cultura.
L'imponente lavoro di indagine geofisica ha rivelato nuovi dettagli mai emersi prima sulle strutture fortificate presenti nel Villaggio dei Faraglioni di Ustica, un antico insediamento risalente all'Età del Bronzo Medio. La scoperta getta nuova luce sulle tecniche di costruzione delle strutture difensive nella Preistoria del Mediterraneo.
Il team di ricerca ha studiato alcune strutture semi sepolte nel terreno esterno al muraglione difensivo con alcune tecniche innovative non invasive, come il georadar e la tomografia elettrica, con le quali è stato possibile localizzare con accuratezza ed in maniera totalmente non invasiva le fondazioni profonde della struttura antemurale lunga quanto il muraglione, che svolgeva le funzioni di primo sbarramento difensivo.
Questo villaggio è un caso esemplare nel contesto mediterraneo dell'Età del Bronzo, perché fa luce sul complesso piano urbanistico messo in atto dalla comunità residente già ai tempi: una distribuzione ordinata di capanne e vie, la progettazione di un imponente muraglione difensivo lungo 250 metri e alto tra i 4 e i 5 metri e, in ultimo, le strutture antemurali di recente scoperta.

Fonte:
tecnologia.libero.it


sabato 6 gennaio 2024

Germania, il pozzo delle meraviglie...

Germania, alcuni dei reperti rinvenuti in una cassa in
fondo ad un pozzo (Foto: Marcus Guckenbieh)

All'apparenza sembra una grossa scatola di legno, chiusa da un coperchio. In realtà si tratta della parte di accesso ad un pozzo che risale a più di tremila anni fa, trasformato in un deposito di materiali preziosi portati dai fedeli. La scatola e gli oggetti sono stati rinvenuti nel corso di scavi recenti e sono ora esposti al museo Germering, un comune tedesco situato nel land della Baviera.
Quello dell'offerta all'acqua di beni preziosi è una pratica diffusa nel passato, consuetudine che si è, forse, parzialmente mantenuta con l'uso di lanciare monetine nelle fontane. Qualcosa di simile è forse avvenuto in quel pozzo profondo cinque metri. Si trattava di una fonte sacra? I fedeli portavano doni alle divinità ctonie durante i periodi di siccità? Oppure il pozzo era una sorta di cassaforte nella quale custodire oggetti preziosi?
Il pozzo trovato a Germering è stato aperto dagli archeologi che hanno trovato, accumulati gli uni sugli altri, 26 spilloni in bronzo ed oltre 70 vasi di argilla di alta qualità, tutti risalenti all'Età del Bronzo Medio (circa 1800-1200 a.C.). Le ceramiche non sono semplici oggetti di uso quotidiano, ma sono finemente lavorate e decorate, ad indicare che sono state intenzionalmente deposte nel pozzo come parte di un rituale religioso. Gli archeologi hanno documentato la presenza di ben 70 pozzi, scavati in un periodo che va dall'Età del Bronzo all'alto medioevo, ma in nessuno di questi sono stati trovati oggetti simili.
Oltre agli spilloni di bronzo - materiale all'epoca prezioso - ed ai recipienti in ceramica, i ricercatori hanno rinvenuto anche un braccialetto, due spirali metalliche, il dente di un animale incastonato, quattro grani d'ambra, un recipiente ricavato dalla corteccia di un albero, una paletta di legno, quelli che sembrano essere dei festoni vegetali intrecciati e numerosi resti botanici, tutti in fondo al pozzo.
L'Età del Bronzo medio, in Baviera (1800-1200 a.C. circa), vide l'emergere di importanti centri di produzione del bronzo. In questo periodo la Baviera era abitata da diverse tribù che avevano sviluppato una società strutturata ed un'economia basata sulla produzione di metalli, ceramiche ed altri oggetti di uso quotidiano. Le tribù bavaresi avevano anche una forte tradizione religiosa che si manifestava attraverso rituali di culto ed offerte alle divinità.

Fonte:
stilearte.it



Egitto, scoperte delle interessanti sepolture a Saqqara

Necropoli di Saqqara, i resti umani rinvenuti nella
sepoltura scavata nella roccia (Foto: english.ahram.org.eg)

La missione archeologica congiunta dell'Università giapponese di Waseda, in collaborazione con il Consiglio Supremo delle Antichità, ha scoperto una necropoli scavata nella roccia e moltissimi manufatti che abbracciano diversi periodi storici a Saqqara.
La scoperta fornisce informazioni preziose sulla storia di questa regione. Le sepolture presenti e la struttura della tomba risalgono alla Seconda Dinastia e vantano disegni intricati. Esse offrono uno sguardo interessante sulla produzione artigianale degli antichi egizi.
Tra i reperti degni di nota vi sono i resti di una sepoltura umana con maschera colorata ed un'altra sepoltura appartenente ad un bambino piccolo. Sono state rinvenute anche sepolture di epoca tarda e tolemaica nonché una bara mal conservata della XVIII Dinastia, contenente un vaso di alabastro ben conservato.
Tra gli oggetti di valore vi sono due statue di terracotta raffiguranti la dea Iside, una statua in terracotta del dio bambino Arpocrate, vari amuleti, modelli in ceramica e ostraca recanti iscrizioni in ieratico.

Fonte:
english.ahram.org.eg

Egitto, analizzata la mummia di una giovane donna morta di parto

Immagini degli appunti sul campo di scavo del 1908:
addome inciso della mummia con un feto nella cavità
pelvica (Foto: Margolis e Hunt 2023)

I resti di un feto non ancora venuto alla luce sono stati rinvenuti in una mummia priva di testa appartenente ad un'adolescente egizia. I resti confermano, secondo uno studio recente, che la giovane è morta dando alla luce due gemelli.
Quando, nel 1908, gli archeologi scavarono ed esaminarono la mummia, scoprirono i resti, avvolti in fasce, di un feto ed i resti di una placenta incastrati tra le gambe della giovane donna.
Gli appunti presi sul campo dai ricercatori dimostrano che questi ultimi conclusero che la giovane donna doveva avere, al momento della morte, tra i 14 ed i 17 anni e che era vissuto tra il periodo Tardo Dinastico (dal 712 al 332 a.C. circa) e il Periodo Copto. Incidendo l'addome della mummia, i ricercatori hanno rinvenuto il cranio del feto rimasto bloccato nel canale del parto, a dimostrazione che la ragazza era morta per complicazioni durante quest'ultimo.
Solo un secolo dopo i ricercatori scoprirono un secondo feto, questa volta misteriosamente "alloggiato" nel petto della ragazza. Le immagini in 3D di una TAC pelvica hanno mostrato i resti di un feto del quale nessun documento precedente aveva fatto menzione. Questi resti si erano depositati nel petto della giovane donna. Si tratta, secondo i ricercatori, di un ritrovamento unico per l'archeologia dell'antico Egitto.
I ricercatori hanno scoperto che la ragazza era morta durante il travaglio, dopo che la testa del primo feto era rimasta intrappolata nel canale del parto. I risultati di un'analisi effettuata nel 2019 hanno mostrato che la giovane donna era alta circa 1,52 metri e pesava tra i 45 ed i 55 chilogrammi. Sia le sue dimensioni minute che la sua giovane età potrebbero aver contribuito alla morte sua e dei due gemelli.
Manca la testa mummificata della ragazza, il che limita la conoscenza dei ricercatori circa la sua salute. Se si trovasse si potrebbero analizzare i denti presenti e fare dei testi sia su questi che sui capelli, testa che potrebbero fornire informazioni utili sulla dieta e sullo stress metabolico della ragazza.
Non è ancora chiaro come i resti del secondo feto siano finiti nel petto della ragazza. I ricercatori hanno suggerito che il diaframma ed altri tessuti si sono probabilmente dissolti durante il processo di mummificazione, consentendo al corpicino di migrare verso l'alto.

Fonte:
livescience.com

Roma, ricostruito il doppio colonnato della Basilica Ulpia progettato da Apollodoro di Damasco

Come doveva apparire la Basilica Ulpia
(da: romanoimpero.com - Ricostruzione
grafica di Gilbert Gorski)

Al suo tempo, la Basilica Ulpia era la più grande e maestosa di Roma, sviluppata in lunghezza per 170 metri e larga 60, troneggiante nel perimetro del Foro di Traiano, era intitolata alla famiglia dell'imperatore spagnolo (era nato ad Italica, come Marco Ulpio Nerva Traiano).
Fu Apollodoro di Damasco a progettarla, per volere dell'imperatore. La sua realizzazione richiese sette anni, dal 106 al 113 d.C., e già nel periodo medioevale l'edificio era crollato, oramai in disuso, saccheggiato dei suoi materiali più preziosi.
Situata sul lato più corto del Foro a delimitarlo, la Basilica Ulpia era rialzata rispetto alla piazza. Vi si accedeva attraverso tre ingressi, corrispondenti ad altrettanti avancorpi che movimentavano la facciata, sormontata da un attico con sculture in marmo raffiguranti i Daci, protagonisti anche delle storie scolpite sull'adiacente Colonna Traiana, fatta innalzare dall'imperatore proprio per celebrare la conquista romana della Dacia.
All'interno, colonnati in granito e marmo cipollino scandivano la suddivisione dell'aula in cinque navate. Sui lati brevi si aprivano due esedre. Nell'antichità, il colpo d'occhio offerto dalla Basilica e dalle contigue biblioteche greca e latina doveva essere magnifico.
Oltre alle funzioni forense e commerciale, nella Basilica aveva anche luogo, secondo la Forma Urbis, l'emancipazione degli schiavi nell'Atrium Libertatis, locale che fu distrutto per dare più spazio alla Basilica stessa. In seguito fu trasferito, con l'archivio dei Censori, in una delle due absidi non più visibili oggi. Sappiamo dai testi che il tetto della Basilica, all'interno, era rivestito da tegole in bronzo dorato.
Alla metà dell'Ottocento, nell'area corrispondente all'esedra orientale della Basilica, fu edificato Palazzo del Gallo di Roccagiovine, più di recente sede della Fondazione Alda Fendi. Già durante la prima ristrutturazione del Palazzo ad opera della famiglia Fendi, nel 2013, in realtà, i lavori avevano portato a riscoprire la porzione più vasta e meglio conservata della pavimentazione marmorea della basilica, oltre alle colonne e alle parti superstiti della monumentale trabeazione.
Un recupero interamente finanziato dalla Fondazione Alda Fendi, con la supervisione scientifica della Soprintendenza Archeologica di Roma, che allora permise di avanzare un'ipotesi ricostruttiva più precisa del monumento.
Ora l'imponenza della struttura è più facilmente immaginabile: dal 2021, nell'area del Foro di Traiano, si lavorava al cantiere di ricostruzione della Basilica Ulpia, sulla base del progetto cui le scoperte sopra citate hanno ampiamente contribuito. A finanziare l'operazione il magnate uzbeko Alisher Usmanov, che ha stanziato un milione e mezzo di euro in favore del Comune di Roma.
Nei giorni di Natale 2023 il cantiere si è concluso, rivelando uno skyline inedito e a prova di sisma: le colonne originali della Basilica sono state riallestite a formare l'antico colonnato su due ordini sovrapposti, con la ricostruzione di parte del grande architrave che sosteneva l'ordine superiore.
Il team di archeologi supervisionato da Claudio Parisi Presicce, ha applicato la tecnica dell'anastilosi (già utilizzata nel 1932, per rialzare quattro colonne in granito grigio del primo ordine), rimettendo insieme i pezzi della costruzione originale a disposizione, cioè le colonne che giacevano a terra nel sito archeologico.
Il doppio colonnato raggiunge così quasi 24 metri di altezza (circa la metà della vicina Colonna Traiana): a introdurlo, i tre gradini in marmo giallo antico che conducevano all'interno della Basilica, anch'essi restaurati in occasione del cantiere.

Fonti:
artribune.com
romanoimpero.com

Antichi rituali di sacrifici umani: l'incaprettamento femminile

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