sabato 30 marzo 2024

Gran Bretagna, rinvenuti i resti di un complesso di ville romane

Gran Bretagna, un'immagine dal drone dell'antico
complesso della villa romana
(Foto: SUMO GeoSurvey)

In Inghilterra è stato portato alla luce dagli archeologi un complesso di ville romane che ha restituito asce in miniatura ed altri manufatti che potrebbero essere stati utilizzati duranti rituali religiosi.
Il luogo, nel sud dell'Inghilterra, era stato utilizzato dagli umani già nell'Età del Bronzo. In seguito fu scelto dai romani per edificarvi una villa riccamente decorata ed edifici a navate laterali impreziositi da intonaco dipinto, mosaici, piastrelle decorate, colonnati, pavimenti in mattoni e altri ornamenti.
Nel corso del tempo il complesso arrivò ad inglobare diversi edifici a navate risalenti alla fine del I e al II secolo d.C. Contengono quattro enormi basi di colonne che sono tra le più grandi del loro genere di epoca romana in Gran Bretagna. Accanto a questi edifici, gli archeologi hanno rinvenuto una villa con ambienti collegati da un corridoio centrale.
Sulla base delle centinaia di manufatti rinvenuti in loco, i ricercatori hanno stabilito che il sito, noto come Brookside Meadows, venne occupato dai romani fino alla fine del IV o all'inizio del V secolo d.C., quando la Gran Bretagna sfuggì al controllo romano.
Gli archeologi hanno rinvenuto monete, anelli, spille, stoviglie di argilla rossa, un forno per l'essiccazione dei cerali ed una fibbia per cintura con testa di cavallo. Quest'ultima, risalente al 350-450 d.C., era probabilmente indossata dalle élite dell'esercito romano o ad esso associate.
Sono state portate alla luce anche diverse asce grandi quanto un palmo di mano ed una serie di rotoli di piombo strettamente arrotolati che, una volta srotolati, sembrano essere molto simili a tavolette di maledizione romane. Per quel che riguarda le asce, oggetti simili, utilizzati per le offerte, sono stati trovati in altri siti di culto o nei pressi di templi in tutta l'Inghilterra.

Fonte:
livescience.com
  


venerdì 29 marzo 2024

Sicilia, ritrovate le tracce dell'antica Abakaion

Sicilia, la stoà dell'antica Abakaion
(Foto: finestresullarte.info)

Importante scoperta archeologica in Sicilia, dove a Tripi, in provincia di Messina, paesino di poco più di 700 abitanti immerso tra i monti Nebrodi e Peloritani: è stata infatti ritrovata l'agorà dell'antica Abakainon, antica città citata da Diodoro Siculo che si trovava nel territorio dove oggi sorge Tripi.
Si tratta di resti di un'imponente stoà, un lungo porticato di epoca greco-romana, caratterizzata da blocchi di pietra e un terrazzamento che indicano la presenza di uno spazio porticato tipicamente adiacente alla piazza o all'agorà.
L'antica città di Abakainon, conosciuta anche come Abacaenum nell'epoca romana, è stata a lungo dimenticata. Tuttavia, un tempo era una delle città più importanti della Sicilia, prospera grazie alla sua vocazione agricola e al suo posizionamento strategico nei traffici commerciali dell'epoca. Governava un vasto territorio che si estendeva dal mar Tirreno fino alle pendici dell'Etna, vantando una florida economia. Abakainon era così influente che decise persino di coniare le proprie monete, di cui splendidi esemplari si trovano oggi al British Museum di Londra e al Museo "Santi Furnari" nel centro del paese.
La sua alleanza con Cartagine e, successivamente, la sua sottomissione a Roma portarono alla sua distruzione e alla seguente scomparsa. Questa era la narrazione accettata fino a tempi recenti. Tuttavia il rinvenimento di monete durante i recenti scavi sembra sfidare questa storia consolidata. Fin dalla seconda metà del secolo scorso, si erano diffuse ipotesi credibili sulla vera collazione di Abakainon nel territori di Tripi e sulla sua effettiva grandezza. Le campagne di scavo promosse dall'amministrazione comunale attuale hanno ora confermato in modo inequivocabile la presenza di una città antica di dimensioni significative e di grande ricchezza.

Fonte:
finestresullarte.info


domenica 24 marzo 2024

Egitto trovato il busto di una statua di Ramses scoperta nel 1930

Egitto, il busto di Ramses II appena rivenuto
(Foto: finestresullarte.info)

Un team di archeologi egiziani e di ricercatori dell'Università del Colorado hanno scoperto, dopo un anno di scavi nella località di El Ashmunein, a sud della città di Minya, sulla riva occidentale del Nilo, la sezione superiore di una scultura in pietra calcarea di Ramses II, con la testa e il busto del faraone vissuto intorno al 1200 a.C. In antichità la città di El Ashmunein era conosciuta come Khemnu e in epoca greco-romana era la capitale della regione di Hermopolis Magna.
La sezione superiore, alta 3,8 metri, raffigura la testa, le spalle e la parte superiore del busto del faraone. Ramses è raffigurato con indosso la doppia corona che indica il suo dominio sia sul regno superiore che su quello inferiore dell'Egitto (Alto e Basso Egitto), mentre sulla parte anteriore della corona è visibile un cobra, simbolo della regalità.
Le scansioni preliminari del blocco di calcare hanno confermato che fa parte della statua di Ramses II portata alla luce nel 1930 dall'archeologo tedesco Gunther Roeder. Una volta unite le due parti, la statua dovrebbe raggiungere i sette metri, ha affermato il Dottor Bassem Gehad, capo della squadra egiziana che ha preso parte alla missione di scavo. 
Al momento i lavori archeologici sono concentrati sulla pulizia del volto di Ramses II. In una fase successiva, un processo di digitalizzazione sarà utilizzato per ricreare un'approssimazione dell'aspetto originale della scultura, collegando le sezioni risalenti al 1930 e al 2024 tramite l'ausilio di computer, senza compromettere l'integrità dei reperti storici.
Ramses II fu il terzo faraone della XIX Dinastia e governò dal 1279 al 1213 a.C. I ricercatori hanno spiegato che lo scavo ad Ashmunein era iniziato con lo scopo di trovare un complesso religioso che si ritiene risalga al Nuovo Regno (1550-1070 a.C.) prima di crollare durante il dominio romano dei secoli successivi.

Fonte:
finestresullarte.info
 


sabato 23 marzo 2024

Egitto, rivede la luce la mastaba di Seneb-Neb-Af e di sua moglie Idut

Egitto, i dipinti di una mastaba scoperta
nel Dahshur (Foto: MoTA)

Nella necropoli di Dahshur, in Egitto, la missione archeologica dell'Istituto Archeologico Tedesco al Cairo ha scoperto una mastaba dell'Antico Regno. La missione tedesco-egiziana, diretta dal Dottor Stephan Seidlmayer, ex direttore dell'Istituto, ha portato alla luce la tomba di mattoni di fango appartenuta a Seneb-Neb-Af e sua moglie Idut.
Il Dottor Hesham El-Leithy, attualmente Segretario Generale ad interim del Consiglio Supremo delle Antichità, ha sottolineato l'importanza di questa scoperta, quella della necropoli, venuta alla luce nel 2002.
Seneb-Neb-Af ricopriva diverse cariche all'interno del palazzo reale, tra cui quella di "amministratore degli inquilini". Sua moglie Idut era, invece, sacerdotessa di Hathor e "Signora del Sicomoro". La mastaba è stata datata tra la fine della V e gli inizi della VI Dinastia.
Di particolare rilievo sono le pareti dipinte della tomba. Queste raffigurano scene di vita quotidiana, dal mercato alla trebbiatura del grano, dalla navigazione sul Nilo alle offerte votive. Si tratta di un tipo di iconografia raramente rinvenuto a Dahshur.
La scoperta della mastaba di Seneb-Neb-Af e Idut rappresenta un importante tassello per la ricostruzione della società egiziana dell'Antico Regno. Le raffigurazioni rinvenute offrono una preziosa finestra sulla vita quotidiana dell'epoca, arricchendo il patrimonio archeologico di Dahshur nonché il quadro storico del sito, famoso per la Piramide Romboidale e la Piramide Rossa di Snefru.

Fonte:
mediterraneoantico.it

Napoli, i tesori segreti di Villa Floridiana

Napoli, Villa Floridiana (Foto: Ministero della Cultura)

I recenti lavori di restauro e consolidamento delle antiche "grotte a finte rovine" della Villa Floridiana, nel quartiere Vomero a Napoli, hanno consentito rilevanti scoperte archeologiche, in grado di far luce ulteriore sulla storia del sito.
Le scoperte sono state rese possibili grazie al progetto di ricerca NesiS (Neapolis Information System) che punta a realizzare la carta archeologica dei quartieri Bagnoli, Fuorigrotta, Soccavo, Vomero e Posillipo del Comune di Napoli.
Le grotte, risalenti al XIX secolo, rientrano nell'area di indagine del progetto a cura dei professori Marco Giglio e Gianluca Soricelli, in collaborazione con la Direzione regionale Musei della Campania e con la partecipazione di studenti dell'Università di Napoli L'Orientale che ha la finalità di verificare la presenza di preesistenze di epoca romana nella zona occidentale di Napoli.
Durante le fasi preliminari di pulizia e consolidamento delle murature, necessarie per consentire l'esecuzione di rilievi laser scanner ad alta precisione, sono emerse due distinte fasi di costruzione delle grotte. La prima fase risalente al I secolo d.C. ha restituito una serie di pilastri realizzati con blocchetti di tufo disposti in opera vittata. Tra i reperti più significativi, è stato rinvenuto un frammento di rivestimento in cocciopesto, testimonianza tangibile dell'antica arte decorativa di epoca romana.
Alla fase successiva, quando le strutture più antiche sono integrate in una sorta di finto rudere, appartengono i raddoppi dei pilastri, realizzati con blocchetti di tufo, nonché il rivestimento in pietra lavica e intonaco in finta opera reticolata.
Nella fase conclusiva dell'intervento, inoltre, sono state individuate porzioni del rivestimento ottocentesco in pietra lavica. Le attività di pulizia hanno anche restituito frammenti di materiale ceramico (cosiddetta sigillata africana, anfore ed altro).

Fonte:
quotidianoarte.com

domenica 17 marzo 2024

Turchia, gli "inviti" di Antioco I di Commagene...

Turchia, l'iscrizione di Antioco di Commagene
(Foto: AA)

Un'iscrizione trovata vicino a Kimildagi, nel villaggio di Onevler, in Turchia, può gettare nuova luce sulla storia della Commagene.
Il regno della Commagene si faceva risalire sia ad Alessandro Magno che agli Achemenidi. Il re Antioco I (69-34 a.C.) affermava di discendere da Dario I attraverso Oronte il Battriano, un ardente sostenitore di Artaserse II contro Ciro, di cui sposò la figlia.
Questo piccolo regno cercò di equilibrare la sua eredità iraniana con la realtà politica che lo faceva essere parte del mondo greco-romano. Il regno di Commagne mantenne la sua identità dal 163 a.C. fino a quando divenne parte della provincia romana di Siria nel 72 d.C.
Antioco I sostenne Pompeo contro Mitridate VI del Ponto e si definiva Filoromaios (amico dei romani). Non solo si considerava un dio, ma aspirava anche ad essere colui che era in grado di riconciliare tutte le religioni. Oltre a se stesso, le altre divinità da lui adorate erano Zeus/Ahuramazda, Apollo, Hermes, Mitra, Helios, Artagnes, Eracle, Ares. La sepoltura di Antioco I si trova sulla vetta del monte Nemrut.
Nel 2023 gli abitanti del luogo hanno scoperto una scultura in rilievo vicino a Kimildagi e l'hanno segnalata alla direzione del Museo Adiyaman. I ricercatori accorsi sul luogo hanno affermato che l'area era, un tempo, un luogo di culto. Gli archeologi hanno anche scoperto, sul posto, un rilievo raffigurante una scena in cui due individui si stringevano la mano ed una stele con iscrizioni. A causa del terreno accidentato e dei ripidi pendii rocciosi, i manufatti recuperati vennero trasportati in aereo nell'antica città di Perre. L'opera litica vennero poi studiati da Charles Crowther dell'Università di Oxford e da Margherita Facella, dell'Università di Pisa.
Nelle iscrizioni rinvenute, si legge che Antioco I dava istruzioni alla popolazione. Si tratta, per lo più, di inviti all'obbedienza ed al rispetto delle leggi. Sul retro di questa iscrizione è presente un rilievo raffigurante Antioco I e Mitridate I. Si tratta di un'iscrizione che può gettare nuova luce sia sulla storia dell'umanità che su quella della Commagene.

Fonte:
AA

sabato 16 marzo 2024

Turchia, la tavoletta in cuneiforme che richiama antiche guerre civili

Turchia, la tavoletta in lingua cuneiforme, sia hittita che
hurrita (Foto: Kimiyoshi Matsumura, Istituto giapponese
di archeologia anatolica)
Una tavoletta di argilla di 3300 anni fa, proveniente dalla Turchia centrale, descrive una catastrofica invasione straniera dell'impero hittita. L'invasione ebbe luogo durante una guerra civile, apparentemente motivata dal tentativo di aiutare una delle fazioni in guerra, almeno questo risulterebbe dalla recente traduzione del testo iscritto sia in lingua hittita che hurrita
La tavoletta, grande quanto il palmo di una mano, è stata rinvenuta nel maggio 2023 da Kimiyoshi Matsumura, archeologo dell'Istituto giapponese di archeologia anatolica, tra le rovine della città hittita di Buklukale, che si trova a circa 60 chilometri dalla capitale turca Ankara. Gli archeologi ritengono che Buklukale fosse un'importante città hittita, la nuova scoperta aggiunge che fosse anche una residenza reale, alla pari - forse - della residenza reale che si trovava nella capitale del regno hittita Hattusha.
Secondo la traduzione di Mark Weeden, professore associato di antiche lingue mediorientali presso l'University College di Londra, le prime sei righe di testo cuneiforme sulla tavoletta riportano, in lingua hittita, che "quattro città, inclusa la capitale Hattusha, sono nel disastro", mentre i restanti 64 versi sono una preghiera in lingua hittita per favorire la vittoria. Gli hittiti usavano la lingua hurrita per le cerimonie religiose, ha detto Matsumura, e sembra che la tavoletta sia la registrazione di un rituale sacro eseguito dal re hittita.
Gli archeologi ritengono che i primi regni hittiti siano comparsi nell'Anatolia centrale - attuale Turchia - intorno al 2100 a.C. e che gli hittiti assursero a grande potenza regionale nel 1450 a.C. Sia la Bibbia che le fonti egizie riportano la presenza di questo importante regno. Gli antichi Egizi si scontrarono con gli hittiti nella battaglia di Kadesh (1274 a.C.), un'antica città vicino all'odierna Homs, in Siria.
Matsumura ed i suoi colleghi stanno scavando le rovine di Buklukale da 15 anni. Finora erano state rinvenute solo tavolette di argilla in frammenti, ma quella rinvenuta di recente è quasi intatta. Inizialmente l'hurrita era una lingua parlata dai Mitanni, che occupavano la regione ed il cui regno, alla fine, divenne uno stato vassallo degli hittiti. 
La tavoletta reca una preghiera indirizzata a Teshub, nome hurrita del dio della tempesta, divinità principale sia del pantheon hittita che di quello hurrita. Nella preghiera si loda il dio ed i suoi antenati divini e si menzionano ripetutamente i problemi di comunicazione tra gli dei e gli esseri umani. Il testo, poi, elenca diversi individui che sembrano essere stati re nemici e si conclude con la richiesta di un consiglio divino.
L'impero hittita scomparve dalla storia all'inizio del XII secolo a.C., durante l'Età del Bronzo, in un periodo nel quale molte civiltà mediterranee furono scosse da disordini. Le ragioni del collasso di questa potente civiltà non sono note, ma potrebbero essere collegate a carestie causate dai cambiamenti climatici.
Matsumaura ha affermato che la tavoletta, rinvenuta e tradotta di recente, risale al regno del re hittita Tudhaliya II, tra il 1380 ed il 1370 circa a.C., quasi duecento anni prima del crollo della civiltà hittita. Sembra che il testo sia stato redatto in un periodo di guerra civile, durante il quale il regno hittita subì diverse invasioni da altrettante direzioni contemporaneamente e molte città vennero distrutte.

Fonte:
livescience.com


Parco di Marturanum, scoperta una tomba etrusca a cubo scavata nella roccia

La sepoltura etrusca a cubo rinvenuta nella necropoli
rupestre di San Giuliano (Foto: Soprintendenza Archeologia
Belle Arti e Paesaggio dell'Etruria Meridionale)
E' stata ritrovata, recentemente, una gigantesca tomba rupestre a forma di cubo nella necropoli rupestre di San Giuliano.
La necropoli ospita circa 500 tombe che vanno dal VII al III secolo a.C. e si trova nel Parco Regionale di Marturanum, vicino al comune di Barbarano Romano, nel Lazio.
La tomba rupestre a cubo è venuta alla luce dopo alcune operazioni di bonifica e rimozione della vegetazione invasiva. E' ben conservata ed era visibile solo parzialmente.
La pianta della tomba è stata definita a "semi-cubo", in cui un lato è aperto e tre sono scavati nella parete rocciosa. Si trova accanto alla Tomba della Regina, la più grande della necropoli, che risale al V secolo a.C., con la facciata alta dieci metri.
La Tomba della Regina ha scale laterali, scavate nella roccia, e due porte doriche semilavorate che conducono a due camere funerarie gemelle. Non lontano sorge la Tomba del Cervo, che presenta sopra una gradinata laterale una singolare scultura a bassorilievo con la rappresentazione della lotta tra un cervo e un lupo.
Secondo gli archeologi, nessuna necropoli etrusca conosciuta presenta una varietà e ricchezza di tipi sepolcrali come San Giuliano. La necropoli sorge sui fianchi di una rupe tufacea occupata da un insediamento stabile già durante l'Età del Bronzo. Ma è durante il VI secolo a.C. che la città di Marturanum conobbe il massimo splendore, favorita dalla posizione naturalmente fortificata sulla via che da Cerveteri conduceva ad Orvieto, fino a diventare l'avamposto della potente Tarquinia verso Roma.

Fonti:
news.artnet.com
parchilazio.it

Pompei, rinvenuto uno splendido affresco raffigurante il mito di Frisso ed Elle

Pompei, l'affresco trovato di recente negli scavi
(Foto: pompeiisites.org)
Un'incredibile scoperta di enorme valore è stata fatta durante gli scavi archeologici nella città di Pompei: un affresco dal contenuto mitologico.
E' emerso un affresco mai rinvenuto prima, che raffigura due gemelli della mitologia greca, Phrixus, figlio del re Atamante di Beozia e della ninfa Nefele, ed Helle, da cui prende il nome lo stretto di Ellesponto, in cui cadde durante la traversata insieme al fratello.
Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico di Pompei, ha annunciato il ritrovamento, affermando che l'affresco è in ottimo stato di conservazione. "Il mito di Phrixus ed Helle è diffuso a Pompei, ma è anche di grande attualità. - Ha aggiunto Zuchtriegel. - Sono due profughi in mare, fratello e sorella, costretti a fuggire perché la matrigna Ino vuole liberarsi di loro e lo fa con l'inganno e la corruzione".
L'affresco presenta colori vividi e raffigura proprio la caduta di Helle nelle acque, mentre tende una mano verso Phrixus in cerca di aiuto. L'affresco, che raffigura i due fratelli in fuga sul manto dorato di Crisomallo, un ariete alato, è stato rinvenuto durante i lavori di restauro in corso nei pressi della Domus di Leda. E' inserito tra le decorazioni di IV stile che ricoprono le pareti di fondo.
Gli archeologi hanno trovato anche altri dipinti nella casa, molti dei quali raffiguranti figure femminili. Nell'atrio sono situati dei pannelli gialli e rossi segnati da finta architettura, con al centro quadri mitologici - uno con Narciso è emerso già nel 2018 - mentre nel tablino e nei cubicoli si preferisce lo sfondo bianco con elementi naturalistici come uccelli, vedute di alberi e paesaggi marini.
Le opere saranno ripulite dalla cenere vulcanica e successivamente restaurate. Un affresco scoperto sempre nel 2018, quello di Leda e il cigno, si trova ancora sepolto per metà sotto le rovine ed è in attesa di essere restaurato.

Fonte:
pompeiisites.org


Celleno, emergono inaspettatamente i resti di una chiesa dedicata all'Arcangelo Michele

Celleno, frammenti della chiesa di San Michele
Arcangelo (Foto: viterbotoday.it)

Sorprendente scoperta a Celleno, dal borgo fantasma in provincia di Viterbo, riemerge l'antichissima chiesa di San Michele Arcangelo. Uno spazio sacro di cui, finora, si avevano solo frammentarie notizie attraverso documenti di archivio che parlano di una chiesa, o meglio di una cripta, annessa a quella di San Donato, attualmente oggetto di interventi di consolidamento.
Durante gli scavi è emersa, inaspettatamente, una chiesa inferiore, con un'altezza di almeno 5 metri. I documenti di archivio e gli archeologi impegnati nello scavo pensano che questa chiesa avesse un ingresso separato con accesso dal versante nord. Già alla fine dell'Ottocento, però, il vescovo fece chiudere questo spazio sia perché destinato ad usi impropri, sia per la difficoltà di accedervi.
Nel 1944 se ne perdono ufficialmente le tracce: la chiesa madre crollò, anticipando di pochi anni il destino di tutto l'antico insediamento di Celleno. Seguì un lungo periodo di oblio e di saccheggi, ma negli ultimi anni l'amministrazione comunale ha intrapreso un'azione di recupero e valorizzazione, cercando di salvare quanto possibile della chiesa di San Donato. Nel corso di queste operazioni, la scoperta da parte di architetti ed archeologi dell'antichissima cripta di San Michele Arcangelo.
Lo cavo archeologico è diretto dalla società di ingegneria Alma Civita Studio insieme all'Università della Tuscia. Alla notizia della chiesa inferiore si affiancano ritrovamenti di materiali lapidei di pregevole fattura scultorea, alcuni dei quali del periodo longobardo.
Celleno sorge su uno sperone tufaceo di 341 metri s.l.m. Il suo castello è documentato dal 1026, quando l'imperatore Corrado II il Salico concesse il feudo ai Conti di Bagnoregio. Il sito venne progressivamente abbandonato a partire dalla fine dell'Ottocento, a causa di ripetute epidemie e terremoto e per l'instabilità dei pendii.

Fonte:
viterbotoday.it
storiearcheostorie.com

Bibione, riemergono parti nascoste dell'antica villa romana di Mutteron dei Frati

Bibione, i mosaici emersi dagli scavi nella villa romana
di Mutteron dei Frati (Foto: veneziatoday.it)

Lo scavo archeologico della villa romana di Mutteron dei Frati, situato all'interno della Valgrande di Bibione, continua a rivelare tesori. Sta emergendo, infatti, un patrimonio inestimabile: secondo gli archeologi, la testimonianza meglio conservata degli insediamenti che dovevano trovarsi lungo il litorale Alto-Adriatico in epoca romana.
Dopo qualche settimana - gli scavi sono iniziati a fine febbraio - si sta evidenziando che la zona residenziale della villa romana è decisamente più estesa di quanto si pensasse inizialmente. Lo testimoniano i nuovi ambienti riportati alla luce dagli studiosi guidati da Dirk Steuernagel e Alice Vacilotto dell'Università di Regensburg e da Maria Stella Busana dell'Università di Padova, con la supervisione della Soprintendenza e il sostegno di proprietà e affittuario della valle.
Nuovi reperti musivi sono stati ritrovati in una delle quattro aree oggetto di scavo, tutte localizzate ad ovest rispetto al sito precedentemente noto; da programma le zone previste erano tre, ma le anomalie del terreno segnalate dalle prospezioni geofisiche hanno portato ad un ampliamento delle indagini.
Ritrovati diversi materiali tra cui un coltello e una serie di monete, particolarmente interessanti perché in grado di confermare la presenza umana nel sito in epoca tardoantica.
L'esistenza del sito è nota fin dalla metà del Settecento. La sua rilevanza è stata segnalata a più riprese, prima dall'avvocato concordiese Dario Bertolini (inizi '800) e poi da Aulo Gellio Cassi (anni '30 del Novecento), un latisanese a cui si deve il primo scavo nell'area di Mutteron dei Frati.
Nell'area, attualmente ricoperta da bosco, sono presenti alcune dune costiere fossili, in quanto in epoca romana si trovava sulla linea di costa, mentre attualmente dista 1,5 chilometri da essa, a causa del progressivo accumularsi dei sedimenti trasportati dai fiumi.
Il nome Mutteron dei Frati deriva dal fatto che in passato gli abitanti del posto pensavano che il sito avesse ospitato un antico convento di frati, a causa dei ritrovamenti di sferette perforate in terracotta, scambiate per grandi di rosario, ma che in realtà erano pesi da rete utilizzati in epoca romana per pescare.

Fonti:
veneziatoday.it
ecomuseoaquae.it

domenica 10 marzo 2024

Turchia, un antico pezzo di pane rinvenuto tra le rovine di Catalhoyuk

Turchia, gli scavi di Catalhoyuk (Foto: aa.com.tr)

Un pezzo di pane risalente a 8600 anni fa è stato ritrovato in una struttura simile ad un forno a Catalhoyuk, nella Turchia centro-meridionale, uno dei primi luoghi al mondo in cui sono stati registrati insediamenti urbani.
Si è stimato che Catalhoyuk vivessero circa 8.000 persone durante il Neolitico. Nel cosiddetto "Spazio 66" è venuta alla luce una struttura simile ad un forno, tra case in mattoni con tetti interconnessi ai quali si accede dall'alto. In realtà, hanno scoperto gli archeologi, si trattava di una struttura che fa pensare ad una sorta di forno comunitario per la cottura di alimenti, ipotesi suffragata anche dal ritrovamento di alcuni pezzi di materiale incombusto. Vicino al forno, gravemente danneggiato, è stato trovato un manufatto grande quanto un palmo, contenente semi di grano, orzo e piselli, probabilmente utilizzato come cibo. Analisi condotte presso il Centro di ricerca e applicazione della scienza e della tecnologia dell'Università Necmettin Erbakan di Konya, hanno rivelato che il residuo spugnoso era, in realtà, quanto rimaneva di un pezzo di pane lievitato risalente al 6600 a.C.
Il pane trovato a Catalhoyuk (Foto: Centro di Ricerca e 
Applicazione di Scienza e Tecnologia dell'Università
di Necmettin Erbakan)
La sottile copertura di argilla che ha protetto il pane, lo ha preservato assieme a tracce di legno, consentendo a tutti i residui organici di arrivare fino ai giorni nostri. I primi esempi di pane lievitato sono stati rinvenuti in Egitto ma quello di Catalhoyuk può ben dirsi il pane più antico del mondo, anche se il record, almeno per ora, spetterebbe ad un analogo reperto trovato recentemente in Australia (34000 anni) che ha battuto in termini di longevità una focaccia di 14000 anni fa, prodotta da cacciatori raccoglitori. Ma queste farine cotte non erano fermentate, mentre il pane anatolico era lievitato. Si tratta di una versione in miniatura di una pagnotta di pane. Non era mai stato rinvenuto un reperto simile. Già durante i primi anni di scavo a Catalhoyuk furono scoperti i primi tessuti del mondo ed anche manufatti in legno.
L'analisi di laboratorio ha dimostrato che il reperto è un impasto che presenta residui di cereali. Il ritrovamento di pezzi macinati o rotti appartenenti a piante quali l'orzo, il grano ed i piselli ha, inoltre, rafforzato la possibilità che il reperto fosse proprio una sorta di pane. Naturalmente sono necessarie altre analisi chimiche per confortare questa prima ipotesi.

Fonti:
aa.com.tr
stilearte.it

Spagna, trovata un'antichissima necropoli in una grotta

Spagna, teschio proveniente dalla Cova deis Xaragalls,
vicino a Barcellona (Foto: Antonio Rodriguez-Hidalgo,
Instituto de Arqueologia de Mérida)

A partire da circa 7000 anni fa, gli esseri umani che vivevano nella Spagna nordorientale usavano seppellire i loro morti nelle profondità di una grotta, dando luogo ad una sorta di necropoli che ha ospitato defunti per circa quattro millenni e nella quale sono state rinvenute più di 7.000 ossa.
La Cova del Xaragalls (Grotta dei burroni) era un "luogo di sepoltura collettivo", secondo l'archeologo Antonio Rodrìguez-Hidalgo, ricercatore dell'Istituto catalano di paleoecologia umana ed evoluzione sociale e dell'Istituto di archeologia di Merida.
Le persone venivano sepolte in tombe comuni all'interno della grotta già durante il Tardo Neolitico e nella Nuova Età della Pietra, sebbene la maggior parte delle ossa appartenga a defunti vissuti nel Calcolitico e in tutta l'Età del Bronzo.
Un'analisi dei corredi funerari sepolti con i morti - ceramiche, strumenti in selce e collane - suggerisce che gli individui di alto rango venivano sepolti singolarmente nel Tardo Calcolitico e nell'Età del Bronzo, mentre le sepolture comuni erano appannaggio dei ranghi più bassi della popolazione.
Uno dei crani di un individuo vissuto nell'Età del Bronzo presenta un foro realizzato mediante trapanazione. Sembra che questo individuo soffrisse di diverse malattie e la trapanazione potrebbe essere stata un tentativo di cura. L'individuo (ancora non si sa se maschio o femmina) non sopravvisse all'intervento dal momento che non è stata trovata traccia di rigenerazione ossea nel foro. Questo è l'unico cranio con segni evidenti di trapanazione trovato finora nella Cova del Xaragalls.
Il sito archeologico è stato scavato più volte nel corso del XX secolo e nel 2008. Gli ultimi scavi hanno rivelato la presenza di ossa di capre selvatiche e carbone in parte della grotta, elementi datati a 45000 anni fa. All'epoca questa regione era abitata dai Neanderthal. I paleoantropologi pensano che esseri umani anatomicamente moderni - l'Homo Sapiens - abbiano sostituito i Neanderthal in tutta Europa circa 40.000 anni fa, anche se indagini genetiche hanno dimostrato che i due gruppi umani si sono, a volte, incrociati tra loro.

Fonte:
livescience.com

martedì 5 marzo 2024

Panama, scoperte preziose sepolture

 Panama, la sepoltura preispanica appena scoperta
(Foto: finestresullarte.info)

A Panama, nel Parco Archeologico di El Cano, è stata scoperta la sepoltura di un individuo vissuto in epoca preispanica, risalente al 750-800 d.C.
Gli archeologi stanno portando avanti il progetto archeologico relativo alla tomba n. 9, un progetto a lungo termine avviato nel 2022.
All'interno della sepoltura, oltre ai manufatti in ceramica, sono stati trovati pezzi d'oro appartenenti al corredo funerario, un tesoro di grande valore storico e culturale. Il corredo funerario include 5 pettorali, 2 cinture di perle d'oro, 4 braccialetti, 2 orecchini a forma umana, un orecchino a forma di doppio coccodrillo, una collana di piccole perle circolari, 5 orecchini con denti di capodoglio rivestiti in oro, un set di placche circolari d'oro, due campanelli, braccialetti confezionati con denti di cane e diversi flauti in osso.
Questo corredo funerario potrebbe essere appartenuto ad un uomo di alto rango. La sepoltura risale al 750 d.C. ed ospita anche altri individui che accompagnavano il defunto nell'aldilà. L'uomo "proprietario" della tomba è stato seppellito a testa in giù, secondo una pratica comune dell'epoca, unitamente al corpo di una donna.
El Cano è una necropoli risalente al 700 d.C. e abbandonata nel 1000 d.C. circa. Comprendeva anche monoliti ed un'area cimiteriale con diverse strutture. Le sepolture erano multiple e simultanee, comprendendo un numero di inumati tra 8 e 32 persone.

Fonte:
finestresullarte.info


sabato 2 marzo 2024

Francia, la coppa diatreta di Autun svela il suo segreto...

Francia, la coppa di vetro scolpito con, al centro,
le lettere applicate per la scritta "Vivas feliciter"
(Foto: Hamid Azmoun/Inrap)

Trovata nel 2020, in Francia, in un sarcofago romano, ai piedi di un defunto, una coppa di vetro detta diatreta è stata ora studiata e restaurata. Il prezioso, raffinatissimo contenitore di vetro che reca la scritta "Vivas feliciter" (vivi felicemente) conteneva tracce di ambra grigia, il "vomito di balena", una sostanza preziosa utilizzata in profumeria, ricavata dai resti digestivi dei grandi cetacei.
Questo rarissimo oggetto è stato portato alla luce dall'Inrap, in collaborazione con il Servizio Archeologico della città di Autun (Saone-et-Loire) che ha scavato parte della necropoli situata nei pressi dell'antico insediamento paleocristiano della chiesa di Saint-Pierre-l'Estrier
Gli scavi hanno portato alla luce un sarcofago in pietra che conteneva questa coppa diatreta, risalente al IV secolo d.C., completa anche se molto frammentata. La coppa è stata affidata al Romisch-Germanisches Zentralmuseum di Magonza, in Germania che, dopo il restauro, l'ha riportato in Francia, ad Autun.
La coppa diatreta è una tipologia estremamente di pregio di coppa romana in preziosissimo vetro, diffusasi intorno al IV secolo d.C. circa e considerato il vertice delle potenzialità romane nella lavorazione del vetro. Le coppe di questo tipo consistono in un contenitore interno e in una gabbia o un guscio decorativo esterno, che si distacca dal corpo della coppa al quale resta attaccata tramite dei corti supporti.
Questi capolavori dell'arte vetraria romana, scolpiti a partire da un blocco di vetro, sono piuttosto rari a trovarsi e richiedevano diversi mesi di lavoro da parte di un esperto vetraio. La coppa di Autun è, pertanto, un oggetto molto prestigioso e venne offerto come dono ad una persona importante, molto probabilmente vicina all'imperatore romano. Il diametro della coppa è di 15 centimetri per 12,6 di altezza, è leggermente inclinata su un lato ed il bordo non è perfettamente circolare. Sulla fascia laterale si sviluppa la scritta latina "Vivas feliciter", sormontata da un collare decorato con ovuli. Una rete in filigrana composta da otto ovuli cuoriformi con rosetta circolare costituisce la base del vaso.
L'iscrizione, composta da grandi lettere in rilievo, trova rari confronti nel mondo antico. Le lettere, circostanza eccezionale, sono molto ben conservate, con un arco a coste o un separatore a forma di "V" che segna la fine della frase. Il vaso ha un difetto sorprendente: la lettera C sembra, infatti, essere stata aggiunta in seguito. Il vetro in cui viene eseguita questa riparazione è chimicamente identico ma visivamente diverso nel suo aspetto opaco, quasi lattiginoso. Secondo gli studiosi, si sarebbe verificato un incidente durante la produzione della lettera: il vetro venne, quindi, fuso per sostituire la C e questa circostanza, probabilmente, ha contribuito all'aspetto insolito e alla consistenza del vetro.
Per conoscere il contenuto della coppa sono state effettuate diverse indagini. Queste hanno rivelato la presenza di una miscela di oli, piante e fiori oltre all'ambra grigia. Quest'ultima deriva dalla concrezione intestinale del capodoglio e viene solitamente raccolta sulle spiagge. Si tratta di un prodotto estremamente raro e prezioso, chiamato a volte "tartufo di mare" o "vomito di balena", utilizzato per le sue proprietà aromatiche e medicinali. Ezio d'Amida, medico greco vissuto a cavallo tra il V ed il VI secolo d.C., lo cita come componente di una ricetta a base di nardo, un profumo destinato alla chiesa. Le analisi effettuate sul contenuto della diatreta di Autun ne fanno attualmente la più antica testimonianza archeologica dell'utilizzo di questa sostanza.
L'ambra grigia è una secrezione a base di una molecola chiamata ambreina e secreta dal capodoglio. Si tratta di un lubrificante che protegge le mucose dello stomaco e dell'intestino del cetaceo da frammenti indigesti. Il capodoglio rilascia ambra grigia quando vomita o diluita nelle feci. Il prodotto è profumatissimo ed è utilizzato dall'uomo per fissare e rendere più durature le fragranze volatili delle essenze di fiori o piante.
La necropoli in cui è stata rinvenuta la coppa diatreta fu attiva dall'inizio del III secolo alla metà del V secolo d.C., con la maggior parte delle tombe che sono del IV secolo d.C. Testi antichi ci dicono anche che i primi vescovi di Autun furono sepolti in questo vasto spazio funerario di tre ettari. Tra i defunti vi erano probabilmente cristiani ma anche individui di altre religioni. I sarcofagi in pietra rinvenuti nel sito contenevano pochissimi oggetti, ma tutti molto preziosi: tessuti d'oro e porpora, spille d'ambra, gioielli d'oro.

Fonti:
stilearte.it
finestresullarate.infoFr


Egitto, scoperta una necropoli rupestre a Saqqara

Egitto, area cimiteriale rupestre appena scoperta
(Foto: stilearte.it)

La missione archeologica egizio-giapponese, in un'operazione congiunta del Consiglio Supremo egiziano di Archeologia e dell'Università di Waseda, è riuscita a scoprire un'area cimiteriale rupestre, una serie di elementi architettonici arcaici, sepolture e reperti archeologici di diverse epoche storiche.
Le scoperte sono avvenute durante l'attuale stagione di scavi all'interno ed in cima nella zona di Katacomb, nella regione archeologica di Saqqara. Saqqara è una vasta area funeraria egizia che si trova a circa 30 chilometri a sud della città de Il Cairo. Nonostante contenga diversi complessi funerari, il più rilevante e conosciuto è la piramide a gradoni di Djoser, risalente alla III Dinastia. Questa piramide è considerata la più antica tra tutte le piramidi e servì come prototipo per le successive "piramidi perfette" costruite durante la IV Dinastia. La scoperta è avvenuta in una nuova zona.
Lo stile architettonico delle sepolture, le lastre qui ritrovate e i vasi di ceramica presenti nei sepolcri si riferiscono al periodo storico della costruzione di quest'area sepolcrale che risale all'epoca della II Dinastia. La II Dinastia si inquadra nel periodo della storia dell'Antico Egitto detto Periodo Protodinastico o Arcaico e copre un arco di tempo che va dal 2925 al 2700 a.C. circa.
Il Dottor Mohamed Youssef, Direttore Generale del sito di Saqqara e capo del gruppo di archeologi egiziani, ha affermato che le sepolture tornate alla luce consistono nella tomba di un uomo con una maschera colorata e nella sepoltura di un ragazzo. L'area ha offerto anche una serie di sepolture tardive tra le quali un sarcofago della XVIII Dinastia all'interno di una tomba di alabastro.
Nazumo Kawai, capo della missione giapponese, ha detto che sono stati trovati numerosi reperti archeologici, tra i quali due statue in terracotta di Iside, sulle quali restano tracce di colorazione bianca, e la statuetta di un bambino che cavalca un uccello, sul quale restano tracce di colorazione verde e bianca. Numerose anche le ceramiche, tra le quali un'ostraca con iscrizioni ieratiche. Notevoli anche gli ushabti (quelli che rispondono), piccole statue che erano parte interante ed indispensabile del corredo funebre. Rappresentavano le forze positive all'interno di pratiche magiche e sostituivano i defunti nei "lavori" che questi avrebbero dovuto svolgere nell'aldilà.
La XVII Dinastia, alla quale si riferiscono i reperti più spettacolari, si sviluppò tra il 1543 ed il 1292 a.C. e segnò l'avvento del Nuovo Regno. Fu il periodo in cui gli Hyksos furono cacciati definitivamente dalla terra del Nilo e rappresentò il culmine dell'arte egizia e dell'espansione territoriale del Paese. A Tebe si sviluppò, in questo periodo, il culto del dio Amon e furono eretti imponenti monumenti, quali il Tempio di Karnak. La città di Tebe divenne talmente potente da non avere rivali. 

Fonte:
stilearte.it

venerdì 1 marzo 2024

Germania, restauro ed analisi dei paletti da trincea romani

Germania, i pali acuminati rinvenuti nello scavo e restaurati
(Foto: LEIZA/Sabine Steidl)

Gli archeologi della Goethe Universitat di Francoforte sul Meno hanno annunciato, lo scorso anno, di aver ritrovato a Bad Ems, nella Renania-Palatinato, due accampamenti militari romani fino ad allora ignoti, datati al I secolo d.C.
Adesso i ritrovamenti riaffiorati dallo scavo sono stati presentati al pubblico a Magonza. Sono ritrovamenti di grande importanza, tra i quali c'è anche la primissima testimonianza dei pali di legno appuntiti che i romani piantavano nel terreno all'interno dei fossati difensivi. L'esistenza di questi pali ed il loro utilizzo erano finora note solo attraverso le fonti scritte.
Questi paletti di legno appuntiti si trovavano ancora all'interno del fossato del fortino romano e costituivano un estremo sistema di difesa. Questi reperti sono eccezionalmente ben conservati nel loro contesto originario grazie al permanente ristagno di acqua. Le parti in legno risultavano quasi integre e sono sopravvissuti anche alcuni resti di tessuto. 
Questi ostacoli erano stati decritti, tra gli autori antichi, da Giulio Cesare nel "De Bello Gallico", ma questa è la prima volta, in tutto l'impero romano, che se ne anno evidenze archeologiche. I reperti - in tutto 23 - sono stati consegnati ai laboratori specializzati di Leiza per la conservazione ed il restauro dopo il ritrovamento, avvenuto nel 2019.
L'eccezionale conservazione dei paletti è dovuto essenzialmente al terreno umido, povero di ossigeno e coperto da densi strati di sedimenti. I due accampamenti militari, ritrovati e scavati tra il 2017 ed il 2019, sono molto probabilmente da collegare all'attività del governatore romano Quinto Curzio Rufo, secondo quanto riportato dallo storico romano Publio Cornelio Tacito. Secondo quest'ultimo, nel 47 d.C. Rufo fu inviato come legatus Augusti pro praetore nella Germania superiore e qui rimase fino al 49 d.C., ricevendo dall'imperatore Claudio gli ornamenta triumphalia per aver condotto una serie di importanti operazioni civili. Tra queste anche la ricerca di vene d'argento nel territorio dei Mattiaci.
La speranza in una redditizia fonte di estrazione di metalli preziosi spiegherebbe la presenza dell'accampamento militare: i romani volevano potersi difendere da eventuali attacchi o incursioni che miravano ad impadronirsi della pregiata materia prima.
Il più esteso dei due campi fortificati poteva ospitare circa 3.000 uomini. Aveva un edificio centrale, un granaio e un magazzino ed era difeso da un terrapieno, una quarantina di torri in legno e da un doppio fossato pieno di pali appuntiti. Il sito è stato datato al II-III secolo d.C., ma lo studio dei reperti ha dimostrato, attraverso il ritrovamento di una moneta coniata nel 43 d.C., una datazione anteriore.

Fonte:
storiearcheostorie.com

Iran, il rossetto dell'antica Persia...

Iran, a sinistra la fiala dell'Età del Bronzo e un'immagine
microscopica del pigmento in essa contenuto
(Foto: Massimo Vidale tramite Scientific Reports)

Un pigmento rosso brillante contenuto in una piccola fiala di pietra potrebbe essere uno dei più antichi esempi di rossetto conosciuti al mondo.
Gli archeologi hanno recuperato il cosmetico dell'Età del Bronzo nel 2001 a Jiroft, una città nel sudest dell'Iran, dopo che il fiume Halil ha allagato e travolto diversi cimiteri vicini risalenti al III millennio a.C.
La fiala, fatta di clorite finemente scolpita, è stata portata in superficie dall'inondazione unitamente a numerosi altri manufatti, molti dei quali sono stati oggetto di saccheggio da parte della popolazione locale. Gli oggetti recuperati, tra i quali il "rossetto", fanno ora parte della collezione del Museo Archeologico di Jiroft.
Per saperne di più sull'antica pittura per labbra, i ricercatori hanno analizzato la sostanza rossa utilizzando la datazione al radiocarbonio e hanno stabilito che era antica di ben 4000 anni (tra il 1936 ed il 1687 a.C.).
La sostanza estratta dalla fiala era molto scura e polverosa. "Questo contenitore, fatto di una fine roccia verde cloritica, replica la forma di un segmento di canna di palude. - Ha affermato l'autore senior dello studio, Massimo Vidale, archeologo dell'Università di Padova. - Le persone, all'epoca, tagliavano le canne in segmenti per utilizzarle come contenitori economici per vari usi quotidiani. In questo caso il supporto è fatto di una pietra elegante e preziosa".
I ricercatori hanno scoperto che la miscela del pigmento è stata realizzata prevalentemente utilizzando ematite frantumata, un minerale ossido, che conferisce il suo colore rosso vibrante, insieme ad altri minerali, come manganite e braunite. Alla miscela sono state aggiunte anche particelle di quarzo, per temperare la pasta o per aggiungere lucentezza.
Il pigmento per le labbra conteneva anche tracce di fibre vegetali, che potrebbero essere state aggiunte per profumare il prodotto. Il pigmento stesso ha una sorprendente somiglianza, a detta dei ricercatori, con le ricette dei rossetti contemporanei.
Sebbene gli archeologi non siano sicuri di chi fosse il proprietario di quest'oggetto, sanno che prodotti di bellezza simili erano comunemente usati dalle donne che vivevano all'epoca in Iran. Altri prodotti ugualmente utilizzati erano una sorta di eyeliner e l'henné, con il quale si tingevano i capelli e la pelle.
La forma snella ed il limitato spessore della fiala suggeriscono che l'oggetto poteva essere comodamente tenuto in una mano assieme al manico di uno specchio in rame o bronzo, lasciando l'altra mano libera di utilizzare un pennello o un altro tipo di applicatore.
Un esempio analogo si trova nel papiro di Torino 55001, risalente al XII secolo a.C. In una figura contenuta sul papiro, una giovane donna unge o forse dipinge le sue labbra utilizzando un lungo pennello o un applicatore nella mano destra, tenendo contemporaneamente nella mano sinistra uno specchio ed una fiala cilindrica a fondo tondo.

Fonte:
livescience.com



Pompei, gli scavi rivelano i resti di un edificio sconosciuto

Pompei, i resti del probabile criptoportico scoperto nei
pressi della Villa dei Misteri (Foto: quotidianoarte.it)

Nuova, sorprendente, scoperta a Pompei. Dopo l'abbattimento di un immobile abusivo sono riemersi i resti di un edificio situato nei pressi della Villa dei Misteri, nell'area di Civita Giuliana.
In particolare gli archeologi si sono trovati di fronte ad un criptoportico che conduce a un altro edificio. Ad annunciarlo il Direttore del Parco Archeologico, Gabriel Zuchtriegel.
"E' riemerso un muro con una breccia dal quale si entra in un criptoportico, in una parte mai esplorata: dovrebbero essere i locali servili della Villa dei Misteri. Questa è un'occasione straordinaria di gettare luce su quest'area per portare a termine l'opera di Maiuri e capire anche i danni causati dagli scavi clandestini", ha affermato il Direttore del Parco Archeologico. Nel 1929, infatti, dopo l'espropriazione del terreno da parte dello Stato, l'archeologo Amedeo Maiuri ha completato gli scavi intorno alla Villa dei Misteri, lasciando, però, una piccola parte inesplorata. Finalmente, dopo tanto tempo, sono ripresi i lavori proprio lungo quel muro perimetrale mai perlustrato.
Per il momento, come ha annunciato Zuchtriegel, della struttura sono riemersi solamente due muri riccamente affrescati e il criptoportico, all'esterno del quale sono apparse le tracce di un carro. Gli archeologi non escludono che si tratti di una villa ancora sconosciuta. "Abbiamo dati molto promettenti. - Ha spiegato il Direttore del Parco. - Ci sono resti di un altro edificio a monte della Villa dei Misteri, di cui finora conosciamo solo un muro, in cui c'era una breccia che ha consentito l'esplorazione di quello che c'è dietro. Un ambiente seminterrato che immaginiamo, come nel caso della Villa dei Misteri, correva verso un altro complesso ancora sconosciuto".

Fonte:
quotidianoarte.com


Roma, riemergono i resti del Porticus Minucia

Roma, i resti del Porticus Minucia
(Foto: artribune.com)
Tra Largo Argentina e Piazza Venezia a Roma spicca il Palazzo Lares Permarini, costruito nel primo Novecento su quella che un tempo era la Porticus Minucia, di età imperiale. Il palazzo è stato oggetto di un importante progetto di riqualificazione e cambio d'uso da parte del Gruppo Banca Finit, che ha permesso di trasformare la struttura in un albergo a cinque stelle della catena internazionale Radisson Hotel.
Durante i lavori di restauro dell'immobile, sono emerse porzioni dell'antica Porticus, che aprono ulteriori spiragli per approfondire la costruzione e la storia del quadriportico di età repubblicana realizzato Minucio Rufo, che abbracciava Campo Marzio, area dedicata alle cosiddette frumentationes, le distribuzioni gratuite di grano alla plebe.
A dirigere lo scavo effettuato tra maggio e luglio del 2020 è stata l'archeologa della Soprintendenza Marta Baumgartner, la quale ha spiegato che la scoperta è di particolare importanza "per la prima volta, vediamo i muri della Porticus Minucia in elevato e le decorazioni marmoree che li impreziosivano. Un altro dato da non sottovalutare è la collocazione del limite orientale della Porticus, noto ma ora posizionato in modo esatto".
Infatti la struttura rinvenuta si compone di due file di grandi blocchi di peperino di epoca imperiale che ne segnano il confine con precisione (fino ad ora conosciuto sommariamente grazie agli appunti presi da Guglielmo Gatti durante i lavori di costruzione del Palazzo nel 1938), contraddistinti da notevoli decorazioni in alzato. Inoltre, lo scavo ha rivelato almeno due fasi costruttive dei livelli pavimentali collocati sotto al porticato, realizzati entrambi entrambi con scagli di travertino di diversa fattura.
Dopo i ritrovamenti, in corso d'opera è stato ampliato il progetto con l'aggiunta della valorizzazione in situ dei resti archeologici che saranno visitabili al piano interrato dell'hotel, corredati da un video multimediale che propone la ricostruzione tridimensionale della Porticus Minucia. Non a caso l'hotel si chiama Radisson Roma Antica.

Fonte:
artribune.com

Antichi rituali di sacrifici umani: l'incaprettamento femminile

Francia, le sepolture neolitiche rinvenute in grotta (Foto: stilearte.it) Uno studio, pubblicato da Science advances , ha portato alla luce ...