giovedì 30 gennaio 2014

Emergono i resti del foro di Mediolanum

I resti di quel che si pensa un antico tempio dedicato alla dea Minerva sono stati scoperti sotto il Duomo di Milano. Recentemente sono stati intercettati i resti dell'antico foro della romana Mediolanum al di sotto dei seminterrati della Pinacoteca Ambrosiana e della Biblioteca Ambrosiana.
Gli scavi hanno avuto alterne vicende e sono andati avanti piuttosto a rilento. Finora è stato scavato una parte del pavimento del Foro, costruito con una materiale noto come "pietra di Verona". L'interno foro occupava una superficie di 166 per 55 metri quadrati.

Re, iscrizioni e... errori

Iscrizione achemenide custodita nel Museo di Teheran
(Foto: FarsNews)
Sono stati ritrovati frammenti di un'iscrizione in pietra che si riferisce ad un antico imperatore achemenide di Persepoli, nella provincia meridionale iraniana di Fars.
L'iscrizione è stata ritrovata presso il Palazzo di Serse (Khashayar Shah), che regnò intorno al 520 a.C.. Una squadra di esperti sta cercando di mettere insieme i frammenti per poter decifrare il testo dell'iscrizione. Il Professor Gian Pietro Basello, dell'Università degli Studi di Napoli, specialista in filologia storica di lingue iraniche. Il Professor Basello è riuscito anche ad identificare un paio di errori di ortografia nelle iscrizioni poste tra le rovine di Persepoli.
"I testi delle iscrizioni sono stati scritti da persone con un alto livello di alfabetizzazione, ma gli errori si sono verificati quando gli incisori hanno intagliato i testi nelle pietre", ha affermato il Dottor Adriano Rossi, collega del Professor Basello.

La città delle piramidi

Il bacino scoperto nei pressi di Giza (Foto: AERA)
I resti di un vivace porto commerciale con caserme per i marinai e per le truppe di terra sono stati scoperti nei pressi delle piramidi di Giza. Sia il porto che le caserme erano in uso durante il periodo di costruzione delle piramidi.
Gli archeologi stanno scavando i resti di una città che, un tempo, sorgeva proprio sull'altopiano di Giza. La città risalirebbe ai tempi del faraone Micerino, il costruttore dell'ultima piramide. Alcuni resti si estendono fino al monumento dedicato alla regina Khentkawes, forse una delle figlie di Micerino. Le caserme erano situate all'interno dell'abitato, mentre il porto scoperto recentemente si trova nei pressi del villaggio di Khentkawes.
Questi ritrovamenti suggeriscono che Giza era, un tempo, un porto fiorente. Il bacino appena scavato poteva essere una sorta di prolungamento di un porto vero e proprio. Gli archeologi hanno ritrovato a Giza anche resti di carbone di cedro, ginepro, pino e quercia, tutti alberi che crescevano nella parte del Mediterraneo chiamata Levante. Oltre ai resti carbonizzati degli alberi, sono emersi anche dei vasi in ceramica e grandi quantità di granito cavato ad Assuan.
Giza, dunque, può essere stato il porto di tre generazioni di faraoni: Cheope, Chefren e Micerino. Dove c'è un porto ci sono anche dei marinai e gli archeologi hanno trovato le prove dell'esistenza di lunghi edifici dove erano alloggiate, con tutta probabilità, le truppe di terra e di mare che prendevano parte alle spedizioni in Levante. Questi edifici a forma di galleria erano alte circa 7 metri e lunghe circa 34,5 metri. Qui potevano essere ospitate fino a 40 persone.
Un altro enigma che ha da sempre attratto gli studiosi è quello relativo agli alloggi degli operai impiegati nella costruzione delle piramidi. Gli archeologi sono convinti che alcune discariche di materiali ritrovati nei pressi delle piramidi siano l'indizio della presenza di un abitato di operai. Una di queste discariche si trova oltre il lato settentrionale della Grande Piramide, dove sono state trovate ossa di bestiame, frammenti di stoffa, corda e filo, frammenti di legno ed altro materiale che erano sicuramente utilizzato dagli antichi costruttori.

Una chiesa bizantina in fondo al lago

La chiesa ritrovata nel lago Iznik (Foto: ANSAmed)
Una chiesa che risale, forse, all'anno 500 d.C. è venuta alla luce durante gli scavi condotti nelle profondità del lago di Iznik, nella provincia occidentale turca di Bursa, come riporta la Anadolu Agency. Il Professor Mustafa Sahin del dipartimento di Archeologia di Bursa ha detto che le prime tracce della chiesa erano state individuate in precedenza, a 20 metri dalla spiaggia e che si stanno conducendo gli scavi per ottenere più indizi in merito all'edificio.
Gli esperti dell'epoca bizantina stanno ancora effettuando ricerche per cercare di capire che chiesa fosse. Si pensa che possa essere stata la chiesa dedicata a San Pietro menzionata in alcuni libri cristiana. Non si sa quando, esattamente, venne costruita, anche se gli archeologi pensano che il periodo di edificazione dovrebbe aggirarsi intorno al 500 d.C.

Gli arcaici segreti di Sant'Omobono

La chiesa di Sant'Omobono a Roma
Gli archeologi impegnati nello scavo del sito di Sant'Omobono, al centro di Roma, affermano di aver scoperto quello che potrebbe essere il tempio più antico conosciuto a Roma.
Lo scavo è stato particolarmente impegnativo, dal momento che il tempio si trova al di sotto del livello del Tevere (che scorre vicino), in un terreno pieno di infiltrazioni d'acqua. L'area di Sant'Omobono si trova ai piedi del Campidoglio, ad un centinaio di metri dal Tevere. All'epoca in cui l'area venne edificata dai Romani, intorno al VII secolo a.C., il Tevere scorreva proprio nei pressi dell'attuale chiesa, dove una curva del fiume formava un porto naturale per l'approdo di navi mercantili.
A dirigere lo scavo è il Professor Nic Terrentano, docente di archeologia classica presso l'Università del Michigan. Il tempio che sta riemergendo dagli scavi doveva essere il primo che i mercanti che approdavano qui vedevano. Le basi del tempio sono al di sotto del livello del Tevere. L'edificio era probabilmente dedicato alla dea Fortuna.
Gli archeologi hanno scoperto moltissime offerte votive, come bicchieri in miniatura, lasciate dai commercianti stranieri. Questa era una zona di libero scambio e la dea Fortuna doveva garantirne l'equità. Gli archeologi hanno utilizzato macchinari pesanti per scavare e attrezzare al meglio l'area per operare in tranquillità. E' stato anche necessario ricorrere ad una gru che ha posto i opera delle grandi lastre di metallo che hanno consentito di rendere più stabile la superficie di lavoro.
Lo scavo ha permesso anche di appurare che furono i Romani a deviare il corso del fiume, come furono i Romani a modellare le colline circostanti per ottenere una superficie più uniforme sulla quale costruire.

martedì 28 gennaio 2014

Antichi sacrifici umani a Creta

Gli scavi del palazzo minoico di Kydonia, in area Kastelli
(Foto: Moonik.WikiCommons)
Il terreno al di sotto della moderna città di Chania, a Creta, l'antica Kydonia, nasconde molti segreti. Tra questi, forse, anche la presenza di sacrifici umani nell'antica comunità che abitava Kydonia.
Gli archeologi hanno ritrovato i frammenti del cranio di una giovane donna risalenti al 1280 a.C. frammisti ad ossa animali durante uno scavo nei pressi della collina di Kastelli, nella Città Vecchia di Chania. I primi reperti sono venuti alla luce nel 2007, mentre le prime notizie in merito hanno cominciato ad aversi nel 2010. Solo ora, però, comincia ad emergere un'immagine concreta dell'antico sito.
I frammenti di cranio ritrovati hanno fatto ipotizzare l'uso di rituali che prevedevano sacrifici animali ed umani. I ricercatori devono ancora giungere ad una conclusione definitiva, dal momento che sono ancora in corso le ricerche sui resti ritrovati.
Con il tempo sta tornando alla luce un palazzo proprio a Kastelli. La stessa città di Chania è un centro urbano costruito a ridosso di un centro palaziale minoico importante quanto quelli di Cnosso, Festo, Malia e Zakros. Questo palazzo, però, non può essere esaminato con la stessa libertà di scavo dei palazzi simili, dal momento che il centro moderno vi insiste sopra.
Chania fu una delle prime città europee, i cui elementi urbani risalgono al IV secolo a.C.. Vi sono venute alla luce anche alcune tavolette in lineare B, con riferimenti a Zeus e Dioniso, che confermano il culto di Dioniso nella Grecia minoica. Le ossa frammentate della giovane donna probabilmente sacrificata, sono emerse nel 2012 in una zona fino ad allora inesplorata.
La mitologia greca registra molti esempi di sacrifici a scopo di purificazione delle vergini durante i periodi in cui la società civile si trovava ad affrontare disastri quali la peste, le carestie o le guerre. Secondo leggende locali, la stessa figlia di Kydon, il fondatore della città di Kydonia, la giovane Eulimene, fu sacrificata per onorare gli eroi del paese.
Le tracce di un violento terremoto che ha bruciato e distrutto il sontuoso palazzo nobiliare di Kydonia, preservando le sue rovine, sembrano essere legate ai riti in onore delle divinità ctonie quali, soprattutto, i sacrifici umani.

Saffo e...i suoi fratelli

Il frammento di papiro con i versi di Saffo
Sono poche le poesie della poetessa greca Saffo ad essere giunte fino a noi. Oggi, però, possiamo aggiungere a quelle già conosciute, altre due nuove opere. Queste poesie, sconosciute finora, sono ritornate alla luce quando il proprietario di un antico papiro ha consultato un papirologo di fama, il Dottor Dirk Obbink, che lavora all'Università di Oxford.
Nonostante la grande fama che ha circondato Saffo nell'antichità e l'enorme produzione letteraria che fa capo alla poetessa, una sola poesia completa è arrivata fino a noi con altre, rilevanti, porzioni di quattro poesie.
Il papiro attualmente ritrovato è uno dei meglio conservati, soltanto alcune lettere del testo devono essere restaurate e non ci sono dubbi sulla traduzione del testo. Uno dei due poemi contenuti nel papiro cita Charaxos e Larichos, che secondo gli antichi Greci erano i fratelli di Saffo, anche se i loro nomi non sono mai stati ritrovati negli scritti della poetessa. Una linea orizzontale sul papiro indica la fine della prima poesia e l'inizio del successivo brano, un'ode alla dea Afrodite. Le due composizioni condividono un metro comune, la strofa saffica, una forma di versi ideata dalla stessa Saffo.
La poetessa scrisse in un dialetto greco detto eolico, differente nel suono e nell'ortografia dal greco attico. La scrittura sul papiro ha permesso al Dottor Obbink di datare il reperto al II-III secolo d.C., diversi secoli dopo che Saffo aveva composto le sue poesie. Il papiro appena ritrovato proveniva, con tutta probabilità, dalla città egiziana di Oxyrynchus, dove risiedevano molti greci e dalla quale provengono numerosi papiri, conservati dal suo clima asciutto.

Infanticidio selettivo presso i Romani

Lo scheletro di un bambino ritrovato ad Hambleden
(Foto: Englis Eritage)
Nuove analisi sui resti di bambini ritrovati in Gran Bretagna, stanno modificando le idee in merito all'infanticidio presso i Romani.
Le bambine, in particolare, si è sempre creduto che fossero più soggette ad essere vittime di infanticidio rispetto ai maschi, anche se in tutte le civiltà si preferiva uccidere i figli maschi, come ha riferito il ricercatore Simon Mays, biologo scheletrico dell'English Eritage, organizzazione governativa che si incarica di tutelare i siti di importanza storico-archeologica.
Mays ed i suoi collaboratori hanno analizzato con tecniche all'avanguardia il Dna estratto da resti ossei di bambini vissuti in epoca romana nei pressi di Hambleden, in Inghilterra, in un sito chiamato Yewden Villa. Il sito è stato scavato nel 1912 e vi sono stati recuperati resti ossei risalenti a 1800 anni fa. All'inizio si pensava che i resti di ossa infantili fossero andate perdute, ma di recente, ad un secolo di distanza dal primo scavo archeologico, l'archeologo Jill Eyers è riuscito a ritrovare le ossa in alcune piccole scatole custodite nell'archivio del sito archeologico.
Nel 2011 Mays ed Eyers hanno pubblicato uno studio nel quale si afferma che i resti infantili ritrovati appartengono a bambini vittime di infanticidio. L'affermazione si basa sul fatto che le misurazioni delle ossa lunghe delle braccia e delle gambe portano a pensare che tutti i bambini sono morti alla stessa età, più o meno al momento della nascita.
Dal momento che le ossa infantili ritrovate sono numerose, gli archeologi hanno ipotizzato che il sito doveva ospitare anche un bordello e che i resti ritrovati appartenevano ai figli delle prostitute che vi lavoravano. Nel nuovo studio, però, i ricercatori hanno cercato di approfondire le motivazioni che hanno portato all'uccisione dei neonati in questa comunità romana d'Inghilterra. Testi romani antichi riferiscono che l'infanticidio era una pratica accettata nella società romana, era considerata una sorta di contraccezione in un'epoca in cui i contraccettivi non avevano l'efficacia degli attuali mezzi di prevenzione delle nascite. Il fatto che ad essere soppressi erano, di solito, i figli maschi, indica che i Romani praticavano una sorta di "infanticidio selettivo", in cui l'elemento discriminante era il sesso.
Il sesso di un bambino molto piccolo è difficile da stabilire, soprattutto avendo a disposizione solo delle ossa. Le differenze di genere sessuale emergono solamente con la pubertà. Questo è il motivo per cui i ricercatori sono ricorsi all'analisi del Dna, testando 33 dei 35 resti più completi. Dal momento che il Dna non si conserva bene, è stato possibile testare e studiare la sequenza solo di 12 dei resti su 33. Di questi resti, sette appartenevano a bambine e cinque a bambini.
Proprio l'analisi di questi resti hanno portato gli studiosi a rivedere le ipotesi comuni sull'infanticidio nel mondo romano.

L'arca era rotonda

Il Dottor Finkel con la tavoletta cuneiforme che descrive la
costruzione dell'arca (Foto: Sang Tan/AP)
Un esperto del British Museum afferma che alcune istruzioni, antiche di 3700 anni, se seguite permetterebbero di costruire un'imbarcazione che potrebbe essere l'antesignana della famosa arca di Noè.
Molti studiosi pensano che l'arca di Noè non sia mai stata costruita e, di conseguenza, non sia mai approdata sul monte Ararat. Ma, nonostante questo, il Dottor Irving Finkel, esperto del British Museum, ha dichiarato che una tavoletta cuneiforme custodita nel museo reca le istruzioni precise per costruire un'arca come quella che sarebbe stata utilizzata dal biblico patriarca.
Secondo le istruzioni, scritte in cuneiforme, l'arca aveva l'aspetto di un'imbarcazione circolare, impermeabilizzata con bitume sia all'interno che all'esterno. Era un'imbarcazione molto simile ad un gigantesco cesto, ben conosciuta dai Babilonesi, che la utilizzavano per il trasporto di persone ed animali lungo i fiumi.
Il Dottor Finkel sostiene che l'arca descritta dalla Bibbia si rifà ad un'imbarcazione babilonese molto più antica, rimandata nei racconti della cattività babilonese. Del resto molto più antichi del racconto biblico sono altri racconti analoghi, che narrano di un uomo timorato degli dèi, che costruì una barca per salvare se stesso e la sua famiglia da una terribile inondazione. Frammenti di racconti come questi sono stati ritrovati in diverse parti del Medio Oriente, al punto da indurre una caccia al "diluvio universale" alla quale hanno partecipato molti archeologi del XIX e XX secolo.
Inoltre la tavoletta studiata dal Dottor Finkel non è l'unica che descrive l'imbarcazione utilizzata per affrontare l'inondazione con forma circolare. Nella tavoletta in questione, poi, sono precisati i due tipi di bitume utilizzati e la quantità esatta di corda. Il Dottor Finkel è convinto che la tavoletta custodita nel British Museum sia uno dei più importanti documenti umani mai scoperto. L'arca come noi la conosciamo, pertanto, non sia mai esistita e soprattutto non è mai approdata sul monte Ararat.

sabato 25 gennaio 2014

Emerso un palazzo Filisteo

Archeologi svedesi, che operano in Giordania sotto la guida del Professor Peter M. Fischer, dell'Università di Goteborg, hanno scavato un edificio di quasi 60 metri di lunghezza, risalente al 1100 a.C.. L'edificio è tornato alla luce nell'antico insediamento di Tell Abu al-Kharaz.
Questo nuovo ritrovamento sembra incoraggiare la teoria che i cosiddetti Popoli del Mare emigrarono a Tell Abu al-Kharaz dal Sud o dall'Est Europa, stabilendosi nelle regioni del Mediterraneo orientale fino alla Valle del Giordano. A Tell Abu al-Kharaz si stabilirono, quindi, i famosi Filistei, di discendenza europea. Sono stati ritrovate, anche, ceramiche molto simili a quelle provenienti dalla Grecia e da Cipro, soprattutto per quanto riguarda la decorazione. E, inoltre, pesi da telaio cilindrici per la produzione tessile, provenienti, forse, dall'Europa centrale.
Tell Abu al-Kharaz si trova nella Valle del Giordano, vicino al confine tra Israele e la Cisgiordania. Forse corrisponde alla biblica Iabes di Galaad. La missione archeologica svedese ha esplorato la città, fondata nel 3200 a.C. e prosperata per 5000 anni. Il primo scavo ha avuto luogo nel 1989, il più recente nel 2013. L'insediamento urbano fiorì per ben tre volte: nel 3100-2900 a.C., nel 1600-1300 a.C. e nel 1100-700 a.C..
Gli scavi hanno fatto riaffiorare muri difensivi, diversi edifici e migliaia di oggetti prodotti in loco o importanti dall'Europa sudorientale. Durante lo scavo del palazzo del 1100 a.C. sono stati ritrovati contenitori ancora pieni di diverse varietà di semi. Ad Tell Abu al-Kharaz sono rinvenuti anche oggetti oggetti provenienti dall'Egitto, importati nel 3100 a.C.
L'edificio che la missione archeologica svedese ha ora esplorato più dettagliatamente, è cominciato ad emergere nel 2010. Originariamente era stato edificato su due livelli, dei quali solo quello inferiore è sopravvissuto. Le pareti raggiungevano i 2,5 metri di altezza. Qui, secondo quanto scoperto dagli archeologi, vivevano i Filistei e la popolazione locale, dal momento che il palazzo aveva anche funzioni di fortezza.
Gli archeologi concordano nel ritenere la cultura giordana come una cultura mediterranea, anche se il Paese non si affaccia sul Mediterraneo. Questa società era ben organizzata ed era stanziata nella zona prima ancora che fossero costruite le piramidi egiziane.

I Cartaginesi sacrificavano veramente i bambini...

Un tofet fuori Cartagine (Foto: Josephine Quinn)
Di nuovo la lunga diatriba sui sacrifici di bambini da parte dei Cartaginesi. Greci e Romani ritenevano che i Cartaginesi avessero l'abitudine di sacrificare i loro figli più piccoli, seppellendoli in seguito con le vittime animali, il tutto per impetrare grazia alle divinità.
La stessa tesi è sostenuta, oggi, dalla Professoressa Josephine Quinn, docente di Storia Antica ad Oxford. La Professoressa Quinn afferma, inoltre, che questi sacrifici erano celebrati da famiglie abbienti, visto che la cremazione era, all'epoca, un rito molto costoso.
Origine di tutte le diatribe sono i cimiteri cartaginesi conosciuti come tophet, da un vocabolo derivato dalla Bibbia per definire questi luoghi di sepoltura, ritrovati alle porte di Cartagine e in altri siti cartaginesi in Sicilia e Sardegna. Le tombe contenevano urne in cui erano custoditi le piccole ossa dei bambini che rimanevano dopo la cremazione. Al di sopra della sepoltura campeggiava una lapide che ringraziavano gli dèi.
Alcuni archeologi pensano che questi antichi cimiteri fossero destinati ai bambini morti prematuramente, ma la Professoressa Quinn ed il suo gruppo di studiosi sono di avviso contrario. Troppe morti "opportune", troppi bambini defunti al momento giusto per diventare delle offerte alle divinità. Inoltre gli animali sacrificati sono seppelliti esattamente nello stesso identico modo, a volte persino nelle stesse urne in cui sono stati ritrovati i resti dei bambini.
Lo storico romano Diodoro ha tramandato il rito con il quale avvenivano questi sacrifici umani ed ha anche affermato che molti Cartaginesi acquistavano i bambini dai poveri della città e li crescevano finché avevano l'età giusta per essere sacrificati.
Le ipotesi e le ricerche della Professoressa Quinn hanno turbato il mondo accademico forse perché, sostiene la ricercatrice, troppo spesso si pensa che gli antichi siano simili a noi.

Rituali di sepoltura natufiani in Israele

Resti umani proveniente dalla Raqefet Cave, in Israele
(Foto: Dani Nadel)
Gli archeologi israeliani hanno trovato la prova che le popolazioni primitive che occupavano alcune grotte nel territorio israeliano, utilizzavano piante rituali già 13.000 anni fa.
La prima prova dell'utilizzo di piante nei cerimoniali funebri risale a circa 13.700 anni fa, nella Raqefet Cave. Sul monte Carmelo sono state scoperte, la scorsa estate, ben quattro tombe risalenti al periodo Natufiano (13.700-11.700 anni fa) con resti di salvia e diverse specie di menta posti al di sotto degli scheletri umani.
Il Professor Dani Nadel, dell'Università di Haifa, sostiene che l'uso di piante così come fatto nelle grotte di Raqefet, era ben più di un rituale di sepoltura. Le comunità umane che qui vivevano utilizzavano ogni giorno diversi tipi di piante. Queste comunità facevano parte della cultura Natufiana, che visse nel Medio Oriente tra i 15.000 e gli 11.500 anni fa. Si pensa che i Natufiani siano stati i primi umani ad abbandonare la vita nomade per stabilirsi stabilmente sul territorio. Sono stati anche i primi gruppi umani a creare spazi appositi per i loro defunti.
A Raqefet sono stati ritrovati 29 scheletri di neonati, bambini ed adulti, le cui sepolture sono state scavate nella roccia. Sono state ritrovate anche degli spazi creati sempre nella roccia, a forma di piccole ciotole e coppelle, forse per macinare cereali od erbe da offrire ai defunti. Sono stati ritrovati anche tracce di rituali simbolici, all'interno delle grotte di Raqefet, come lastre di pietra poste vicino alla testa dei defunti.

giovedì 23 gennaio 2014

Una chiesa bizantina in Israele

Il Cristogramma ritrovato in Israele (Foto: Yoli Shwartz, Israel
Antiquities Authority)
Gli archeologi israeliani hanno scoperto un pavimento ricoperto di intricati mosaici in una chiesa bizantina di 1500 anni fa. Uno dei mosaici rappresentava un Cristogramma circondato da uccelli. I resti della basilica sono stati scoperti durante uno scavo di recupero all'interno del progetto Aluma, che prende nome da un villaggio a circa 50 chilometri a sud di Tel Aviv.
Gran parte dell'antica chiesa era già emersa durante gli scavi dello scorso anno. L'edificio religioso era parte di un locale insediamento bizantino, ma gli archeologi pensano che servisse anche come centro di culto cristiano per le vicine comunità, dal momento che era prossimo alla strada principale che collegava l'antica città portuale di Ashkelon e Gerusalemme. I villaggi bizantini avevano solitamente una chiesa ma le dimensioni di quella scoperta attualmente e la sua collocazione su una strada di grande comunicazione la rende un edificio piuttosto importante.
Uno dei reperti più importanti ritrovati all'interno della basilica paleocristiana è certamente il monogramma di Cristo posto all'interno di un mosaico. All'epoca i cristiano-bizantini non avevano l'abitudine di porre croci sui loro pavimenti musivi, al fine di non calpestare, se pure involontariamente, il simbolo di Cristo. Il simbolo ritrovato è molto simile al "chi-ro", che mette insieme le prime due lettere iniziali della parola greca per Cristo (un X sovrapposto ad una P). Sono presenti anche un'alfa ed un'omega (prima ed ultima lettera dell'alfabeto greco) su entrambi i lati del "chi-ro", anch'esse simbolo del Cristo.
All'interno del perimetro della basilica paleocristiana gli archeologi hanno ritrovato anche colonne in marmo ed un cortile aperto con pavimento musivo in bianco e nero. Appena fuori dal cortile, nel nartece della chiesa, è presente un pavimento in mosaico decorato con colorati disegni geometrici ed un'iscrizione di dodici righe in greco, contenente i nomi di Maria e Gesù. I mosaici della parte principale della chiesa contengono disegni di tralci di vite a formare 40 medaglioni, uno dei quali contiene il Cristogramma. Molti medaglioni recano disegni botanici e zoologici, tre riportano iscrizioni commemorative di due capi della chiesa locale, di nome Demetrios ed Eracle.
Gli archeologi hanno individuato tracce di un'occupazione più tarda, nei pressi della chiesa: si tratta di presenze di muri islamici e di discariche ottomane. 

Bisanzio, una donna di nome Maria...

La ricostruzione del volto di Maria (Foto: Hurriyet)
E' stato ricostruito il volto di una defunta il cui scheletro è stato riportato alla luce durante gli scavi portati avanti dal progetto Marmaray, a Yenikapi, Istanbul. L'operazione è stata portata a termine dalla Yildiz Technical University di Istanbul.
La donna è stata ribattezzata Maria, dal momento che era questo il nome più diffuso all'epoca in cui la donna è vissuta. Si pensa che avesse trent'anni al momento della morte, aveva i capelli rossi ed apparteneva ad una famiglia nobile di Bisanzio. I suoi resti sono stati ritrovati durante alcuni scavi ad Istanbul, ne sono state analizzate le ossa al fine di comprendere quali malattie potessero averle deformate e quali potessero essere state le cause della morte della giovane donna.

Una villa con vista piramidi...

Nei pressi delle piramidi di Giza sono stati scoperti i resti di una villa risalente a 4500 anni fa, appartenente, forse, ad un alto funzionario della corte del faraone. Nei pressi della villa sono stati ritrovati resti di bovini e denti di leopardo, mentre all'interno del perimetro della casa sono emersi sigilli incisi con titoli onorifici quali "lo scriba del palco reale" e "lo scrivano della scuola reale".
La residenza ritrovata era composta da almeno 21 camere e faceva parte di una agglomerato urbano risalente al periodo in cui era in costruzione la piramide di Menkaura (Micerino). Per quanto riguarda i denti di leopardo, i ricercatori hanno scoperto che tra il 2649 e il 2150 a.C. gli individui di alto rango, anche quelli appartenenti alla famiglia reale, avevano l'abitudine di indossare pelli di leopardo. Queste pelli erano solitamente complete di testa e questo può spiegare il ritrovamento dei denti del felino. Tra i membri di alto rango autorizzati a indossare le pelli di leopardo vi erano i cosiddetti sacerdoti "sem".
Un altro enigma che gli studiosi hanno risolto è quello del ritrovamento di molti arti posteriori appartenenti a bovini. Attraverso lo studio delle pitture ritrovate nelle tombe, si è compreso che gli arti anteriori del bestiame in generale erano considerati un'offerta alle divinità, al contrario degli arti posteriori. Il ritrovamento di questi ultimi all'interno del complesso residenziale appena rivelato a Giza, porta a pensare che chi abitava la villa godeva del privilegio di consumare i resti di offerte religiose.
Nel 2011 gli archeologi hanno scoperto anche una sorta di deposito degli arti anteriori. L'hanno convenzionalmente chiamato "complesso edilizio silo" e si trova nei pressi di un monumento dedicato alla regina Khentkawes, figlia, forse, di Menkaura. Questo complesso aveva numerosi depositi di grano che serviva per confezionare il pane delle offerte.

Gli elefanti di Tolomeo

La traversata delle Alpi da parte di Annibale sarà sempre ricordata come una delle imprese più straordinarie dell'antichità. Soprattutto per la parte che, nell'impresa, ebbero gli elefanti.
L'utilizzo degli elefanti risale ad almeno il IV secolo a.C., quando i re indiani li impiegarono nelle loro guerre. La pratica si diffuse presto in Occidente, passando per l'Impero persiano ed arrivando fino in Africa settentrionale. La storia ricorda un unico scontro tra un elefante asiatico ed uno africano: la battaglia di Rafia, vicino Gaza, il 22 giugno del 217 a.C., tra Tolomeo IV faraone d'Egitto e Antioco III, il cui regno si estendeva nell'Asia occidentale. A vincere la battaglia fu Tolomeo IV.
I ricercatori pensano che gli elefanti utilizzati da Tolomeo IV appartenessero ad una sottospecie estinta. Egli li "arruolò" nell'attuale Eritrea. Gli attuali esemplari - sono solo circa 120 - sono stati analizzati dagli zoologi. Il loro Dna ha rilevato che si tratta di elefanti della savana (gli elefanti africani si distinguono tra elefanti della foresta ed elefanti della savana), che non avevano alcun legame con gli elefanti della foresta e con quelli di origine asiatica.
Gli elefanti eritrei rappresentano una "popolazione" a se stante: le specie di elefanti più vicine vivono a 400 chilometri di distanza. Si può, pertanto, pensare che siano proprio questi gli elefanti di cui, secoli fa, si servì Tolomeo per vincere il conflitto contro Antioco.

lunedì 20 gennaio 2014

I balnea di Paphos

Gli scavi di Paphos (Foto: Cyprus Mail)
Gli scavi archeologici nella città di Paphos hanno riportato alla luce una serie di tubi di terracotta che si pensa siano parte di un acquedotto di epoca romano-ellenistica che alimentava un sistema di balneazione privato.
I risultati sono di grande importanza per la città di Paphos, dal momento che stanno ad indicare che la città antica era, un tempo, molto più elevata sul livello del mare rispetto a quanto si pensava.
Gli studiosi ritengono che il bagno privato fosse decorato con affreschi andati perduti secoli fa. Il sistema di tubazioni portava l'acqua dalle colline vicino Paphos fino ad una serie di cisterne del complesso abitativo al quale appartenevano i balnea. Sono stati scoperti anche quattro bacini, uno dei quali è intatto e misura nove metri di lunghezza per 4,7 metri di larghezza ed 1,65 di profondità, al pari di una piccola piscina. Un secondo serbatoio, più piccolo, era posto ad un livello superiore ed era collegato al primo da uno dei tubi di terracotta che, purtroppo, è andato quasi completamente distrutto.
Lo stato del più grande dei bacini fa pensare che, per un certo tempo, i bacini furono abbandonati e, poi, assegnati ad altri usi. Nel sito sono stati rinvenuti anche frammenti dei rivestimenti in marmo, dei pavimenti in mosaico e degli affreschi parietali. Il Dipartimento per le antichità pensa che i balnea fossero in uso per tutto il periodo ellenistico e che caddero gradualmente in disuso durante l'epoca romana.

Ritrovato un antico villaggio danese

I resti del villaggio Danese da poco scoperti ad Aalborg
(Foto: Nordjyllands Historiske Museum)
Durante l'esplorazione di alcuni terreni al fine della costruzione di un nuovo ospedale ad Aalborg, in Danimarca, gli archeologi si sono imbattuti in un villaggio dell'Età del Ferro. L'insediamento si differenzia da altri siti analoghi per la sua conservazione eccellente. Sono state ritrovate ben conservate un certo numero di case complete di caminetti, pavimenti in gesso e acciottolato.
Il villaggio si estende su una superficie di 4 ettari, lo scavo ha individuato, finora, 40 case ma si prevede che questo numero aumenterà ben presto. Le case non sono state costruite tutte nello stesso periodo, ma lungo un arco temporale di centinaia di anni. Non compaiono buchi per i pali, solitamente individuati durante lo scavo di case primitive, ma vi è in tutte uno spesso strato di terra.
Molte abitazioni avevano dei muri separatori creati con il gesso per la zona giorno, mentre altre parti degli edifici erano probabilmente destinate al ricovero degli animali. Le ossa ritrovate sono conseguenti alla macellazioni di bovini, suini, ovini e caprini che integravano la dieta di pesce degli antichi abitanti del luogo.
Gli archeologi hanno ritrovato anche le tracce di una cava posta a sud del villaggio. Qui veniva cavato il gesso per ricoprire i pavimenti della casa. Tracce di coltivazioni e dell'uso dell'aratro sono state individuate dai ricercatori. Queste tracce potranno dare molte informazioni ai ricercatori in merito all'economia e alla produzione agricola della zona.
Tra i resti che hanno destato stupore vi sono quelli di un gatto, una varietà domestica del felino, introdotto in Danimarca durante l'Età del Ferro dai romani. I resti del primo gatto domestico noto in Danimarca sono stati ritrovati in una sepoltura a Kastrup, nello Jutland, e risalgono al 200 a.C.. Molti sono i resti ossei di cavalli che, all'epoca, erano considerati una notevole ricchezza.
Il villaggio fa parte di una più vasta zona archeologica nel sudest della regione di Aalborg, intorno al villaggio di Sonder Tranders. La zona è ricca di metallo ed ha restituito resti che vanno dall'epoca vichinga al Medioevo.

domenica 19 gennaio 2014

I misteri di Lachis

Porta occidentale di Khirbet Qeiyafa
Secondo il racconto biblico, l'antica città fortificata di Lachis fu considerata la seconda città del regno di Giuda dopo Gerusalemme. Oggi le sue rovine si possono ammirare in cima ad una collina o tumulo situata nella pianura di Israele tra il Monte Hebron e la costa del Mediterraneo.
I resti di Lachis rappresentano un ricordo visibile della città che ha rappresentato un elemento di forza del regno di Giuda e che venne devastata dall'avanzata degli eserciti assiro e babilonese, molto prima che i Romani mettessero piede in questo Paese. L'assedio più conosciuto fu quello del re assiro Sennacherib, nel 701 a.C.
Le scoperte piuttosto discusse del Professor Yosef Garfinkel hanno riportato Lachis al centro di battaglie, questa volta accademiche. Il Professor Garfinkel attribuisce al sito di Khirbet Qeiyafa l'ostrakon inscritto con il più lungo testo proto-cananeo mai trovato ed i resti di una struttura sontuosa risalenti al re biblico Davide.
Alcuni dei resti scavati a Lakis (Foto: Pikiwiki Israele)
Altri studiosi, al contrario, sostengono che Davide e Salomone regnarono su un territorio molto meno vasto di quello che sembra intravedersi nel racconto biblico.
Al momento il Professor Garfinkel ed i suoi colleghi, con una squadra di archeologi, stanno per iniziare una nuova esplorazione ed un conseguente scavo a Lachis, sito già oggetto di numerose campagne di scavo, al fine di cercare un collegamento tra Khirbet Qeiyafa e l'antica città proto-cananea.
I passati scavi a Lachis hanno rivelato una città occupata sin dal 5500-4500 a.C. e fino al II secolo a.C.. Sono stati individuati prove abbondanti dell'assedio assiro e diversi ostraka inscritti in ebraico, nonché sigilli, timbri, vasi con manici del regno di Ezechia (VIII-VII secolo a.C.).

Carne umana per gli déi Aztechi

Ossa umane con segni di taglio e di esposizione al sole
(Foto: INAH)
Frammenti di ossa umane recanti tagli ed i segni di una prolungata esposizione al fuoco hanno permesso agli antropologi di stabilire che durante il periodo Post Classico (dal 900 al 1521 d.C.), i governati, i sacerdoti ed alcuni alti personaggi della cultura azteca praticavano il cannibalismo come rito religioso.
I risultati sono emersi dalle recenti indagini condotte dall'archeologo Gabino Lopez Arenas su crani, tibie, omeri e mascelle ritrovate tra le offerte del Grande Tempio e nei dintorni del centro storico di Tenochtitlan. Lopez Arenas ha concluso che i resti umani appartengono ad individui decapitati e poi smembrati. Subito dopo la loro uccisione, le vittime vennero private della carne, come è stato confermato dai segni e dai tagli presenti sulle ossa.
Il cannibalismo aveva lo scopo di assorbire la forza divina rimasta negli organi della vittima. Quest'ultima diventava l'incarnazione delle divinità che rappresentavano, mangiare la loro carne significava condividerne la divinità. A consumare la carne delle vittime erano individui di elevato status sociale, anche se questo non era un pasto comune nella loro dieta. Le parti più apprezzate erano le braccia e le gambe, mentre mani e piedi appartenevano esclusivamente ai sacerdoti e ai governanti, dal momento che avevano fama di essere più deliziose al gusto. Il sangue non era mai consumato, ma veniva offerto alle divinità.
Durante le feste del primo mese del calendario Mexica, diversi bambini venivano solitamente sacrificati per onorare gli dei dell'acqua e della pioggia. Dopo essere stati sacrificati, i bambini venivano cucinati e mangiati.

Corridoi segreti a Bursa

Mura e sotterranei di Bursa (Foto: AA)
Scavi archeologici effettuati nella provincia nordoccidentale della Turchia, Bursa (in greco Prusa), hanno scoperto dei sotterranei utilizzati 2300 anni fa per le torture e le esecuzioni capitali.
I sotterranei, a detta degli archeologi, contengono una sorta di camera della tortura e dei corridoi collegati alle torri. Il restauro delle antiche mura di Bursa, che si dipanano per 3400 metri, è un'esigenza continua.
I boia dell'epoca del regno Bitino erano solitamente scelti tra uomini sordi e muti. Le esecuzione erano per lo più capitali ed alle famiglie dei condannati venivano consegnati solo i corpi.
Gli archeologi hanno intenzione di realizzare, lungo le mura e nei sotterranei, un museo nel quale troveranno posto anche le ricostruzioni degli antichi strumenti di tortura.

Scoperto un cimitero Sican in Perù

Il cimitero scoperto a Lambayeque
Gli archeologi peruviani hanno scoperto, nella regione di Lambayeque, nel nord del Perù, 35 sepolture risalenti a 1000 anni fa.
Le sepolture contenevano resti scheletrici, ceramiche, tessuti e pezzi di rame placcati in oro che si pensa appartenessero ad un discendenti della civiltà pre-ispanica dei Sican. Gli studiosi hanno studiato anche un sistema per conservare e consolidare le sepolture.
La cultura Sican si sviluppò sulla costa settentrionale del Perù tra il 750 e il 1375 d.C. ed ha preceduto l'impero Inca.

sabato 18 gennaio 2014

Resti di pagani Anglo-Sassoni

Resti umani ed un vaso in ceramica ritrovati nel Northamptonshire
(Foto: Northamptonshire Archaeology)
I resti di quattro adulti di stirpe Anglo-Sassone sono stati ritrovati in alcune tombe poco profonde, durante uno scavo in Northamptonshire. Le sepolture giacevano ad appena 30 centimetri di profondità. Accanto ai resti è stata trovata una ciotola del VI secolo d.C.
Il Dottor Jim Brown, responsabile di un progetto archeologico presso l'Università del Northamptonshire, ha affermato che la scoperta di corredi funerari con resti umani, indica che certamente si tratta di sepolture pagane. Si tratterebbe, secondo il ricercatore, di coloni che hanno installato una piccola fattoria su un buon terreno agricolo.

mercoledì 15 gennaio 2014

Gusci di uova e scongiuri

Depositi di gusci d'uova ed altri oggetti ritrovati sotto i pavimenti di
un edificio civile di Sardi, in Turchia (Foto: Harvard University)
Per scongiurare i demoni e i disastri futuri, alcuni residenti di Sardi, antica città della moderna Turchia, hanno deposto dei gusci d'uovo sigillati in alcuni contenitori sotto le mura ricostruire delle loro abitazioni. I gusci dovevano garantire loro la fortuna e proprio questi contenitori con i resti dei gusci d'uovo sono stati ritrovati dagli archeologi.
Questi gusci sono stati ritrovati sotto un edificio in fase di scavo nell'antica Sardi, un edificio che venne ricostruito dopo un violento terremoto. Sotto il pavimento sono emersi due strani contenitori con alcuni utensili in bronzo. un guscio d'uovo e una moneta tutti depositati in cima ai resti di un precedente edificio piuttosto importante. Gli oggetti parlano di antichi rituali per tenere a bada le forze del male e per gli archeologi rappresentano un segno di come certi disastri naturali, quali i terremoti, abbiano colpito personalmente le popolazioni.
Uno dei gusci d'uovo ritrovati era incredibilmente intatto. Lo storico romano Plinio ha narrato del valore apotropaico dei gusci d'uovo contro i malefici. Molti gusci d'uovo, utilizzati per esorcizzare demoni, sono stati seppelliti in siti archeologici iracheni e iraniani. A volte uova intere erano sepolte nei pressi della porta di casa dei destinatari di maledizioni e malefici.
Depositi rituali simili sono stati ritrovati attorno al tempio di Artemide a Sardi durante i primi scavi del XX secolo. Nel 1960 gli archeologi rinvennero circa 30 pentole e vasi di epoca lidia, ciascuna contenente un coltello di ferro e lo scheletro di un animale con segni di macellazione. Tutti questi ritrovamenti non fanno che confermare la lunga pratica delle sepolture rituali nella regione.
Gli archeologi hanno poi cercato tracce storiche del terremoto del 17 d.C. che devastò la città e si sono trovati di fronte ad alcune fosse riempite con terra di riporto. Le fonti letterarie riportano il peso degli aiuti inviati da Roma e dagli imperatori, per ringraziare i quali gli abitanti di Sardi ribattezzarono loro stessi come Kaisareis Sardianoi, i Sardi dei Cesari.

Londra: i Romani e la decapitazione

Colonna Traiana, soldati Romani mostrano le teste mozzate di guerrieri traci (Foto: Mary Harrsh)
Una serie di teschi ritrovati nel cuore di Londra, fanno pensare ad un raccapricciante uso degli antichi Romani: quello di collezionare teste di nemici o gladiatori giustiziati nel vicino anfiteatro. Le teste erano esposte all'aperto per diverso tempo, tant'è vero che uno dei teschi rinvenuti reca tracce dei denti di canidi.
La decapitazione era uno dei modi per giustiziare i gladiatori, ma non tutti coloro che morirono nell'anfiteatro londinese erano gladiatori. Talvolta erano criminali comuni. Altri teschi potrebbero appartenere a soldati nemici uccisi durante schermaglie nei pressi del vallo di Adriano.
I teschi riportati alla luce finora sono circa 39. I test ai quali sono stati sottoposti hanno rivelato che si tratta di teschi appartenenti a maschi adulti, alcuni dei quali non hanno potuto essere identificati a causa delle numerose cicatrici presenti dovute all'intervento di animali ma anche alle ferite inferte. Molti teschi presentano ferite rimarginate, come ossa della guancia frantumate, tipiche di un violento pugno in pieno viso. Su alcuni le tracce di una decapitazione sono ben leggibili.
Le analisi hanno rivelato che i teschi sono stati lasciati per anni a decomporsi in pozzi aperti. In molti bassorilievi compaiono soldati Romani che mostrano le teste dei barbari conquistati all'imperatore in segno del trionfo conquistato. Teste di soldati nemici compaiono anche sulle pietre tombali di ufficiali di cavalleria sepolti in Gran Bretagna e altrove. I teschi scoperti a Londra, depositati per vari decenni nello stesso luogo, sono una scoperta senza precedenti nella capitale inglese.
Centinaia di crani sono stati ritrovati, nel secolo scorso, fuori dalla stazione di Liverpool Street. Sono stati interpretati sia come dei resti portati via dall'acqua da cimiteri romani oppure come resti delle vittime della rivoluzione della regina Boudicca.

Seneb-Kay, il faraone sconosciuto: ritrova la tomba

La tomba di Seneb-Kay (Foto: Luxor Time)
E' stato scoperto un nuovo faraone, un faraone del quale finora si ignorava l'esistenza. Si tratta di uno dei re che governarono, forse, Abydos durante il Secondo Periodo Intermedio nel 1650 a.C., quando l'Egitto era diviso.
La scoperta è stata fatta dagli archeologi dell'Università di Pennsylvania, nel sito di Sohag, a sud di Abydos. Il nome del re è Seneb-Kay ed appare per la prima volta inscritto in un cartiglio reale. La sua sepoltura è stata costruita con blocchi di pietra riutilizzati. Il suo sarcofago è in legno e conteneva i resti del faraone in cattive condizioni. L'altezza approssimativa di Seneb-Kay era di approssimativamente 1,85 metri. Sono stati ritrovati anche i vasi canopi ma non il corredo funebre, forse rubato già in antico.
La sepoltura di Seneb-Kay si trova nelle vicinanze di quella di Sobekhotep, scoperta dalla stessa missione archeologia all'inizio di quest'anno. Il Dottor Josef Wegner, direttore della missione, ha affermato che il periodo in cui visse il misterioso sovrano è piuttosto difficile da delineare, in quanto non si possiedono molte informazioni. La sua tomba è piuttosto piccola e sembra alludere al periodo di grave crisi che, in quel momento, attraversava il Paese.

lunedì 13 gennaio 2014

Emerge una basilica paleocristiana a Torino

Il cantiere della Lavazza (Foto: Torino Repubblica)
Un ritrovamento eccezionale durante i lavori per la creazione del nuovo quartier generale della Lavazza a Torino. Il ritrovamento ha rischiato di bloccare i lavori di edificazione previsti, fino a che il Comune e la Sovrintendenza sono riusciti a trovare una soluzione che permettesse di conservare i reperti ritrovati senza compromettere i lavori del cantiere.
Ad emergere negli scavi sono i resti di una basilica paleocristiana. Un ritrovamento eccezionale per Torino. La parte più antica del sito archeologico è una necropoli del III secolo d.C.. Nel secolo successivo la zona venne popolata da piccoli mausolei dedicati a personaggi cristiani, sui quali venne, in seguito, eretta la basilica che doveva contenere le sepolture più importanti.
"A Torino c'è poca documentazione su quell'epoca e sono pochi i ritrovamenti di resti paleocristiani", afferma la Sovrintendente Egle Michieletto. "Questo è il terzo nucleo di quel periodo riscontrato a torino. Gli altri sono il complesso dei tre edifici religiosi nell'area del Duomo e quello delle chiese dedicate ai santi Solutore, Avventore e Ottavio, nell'area della Cittadella".

domenica 12 gennaio 2014

Restauri a Vergina

L'area dell'antica Vergina, un tempo Aigaì
I membri del Consiglio Archeologico Centrale (KAS) di Grecia hanno determinato che bisogna procedere al restauro di un antico palazzo situato ad Aigai, nella prefettura greca di Macedonia.
Il palazzo in questione è niente meno che la residenza di Filippo II di Macedonia, ideato dall'architetto Pytheos. La residenza reale si sviluppava su 12.500 metri quadrati ed è sicuramente l'edificio più importante e più grande della Grecia classica.
L'edificio non era stato progettato per essere una residenza reale ma, piuttosto, un edificio a carattere statale. La sua purezza di forme e l'armonia che lo contraddistinguono continua a stupire anche a distanza di millenni. L'edificio era completato da due colonnati imponenti (stoas), i primi colonnati su due piani sviluppati in tutta la Grecia. L'ingresso era monumentale e avveniva attraverso il portico (propileo). Il cuore dell'edificio era il peristylion, dove si svolgevano le udienze e i giudizi e che operava similmente ad un'agorà.
Aigai, l'antica Vergina, si trova nel nord della Grecia, sulle pendici dei monti della Pieria. La località salì agli onori della cronaca nel 1977, con la scoperta della sepoltura di Filippo II, che confermò l'identità della città con l'antica capitale macedone. La mitologia vuole che Archelao, figlio di Temeno, cacciato da Argo, giungesse in questi luoghi per aiutare il re Cisseo contro i suoi nemici. Il re, però, cercò di assassinarlo. Archelao, allora, uccise Cisseo e scappò seguendo i consigli di un oracolo che lo invitava a seguire una capra. Là dove la capra (Aix-aigòs) si fermò, Archelao fondò la città di Aigaì, prima capitale dei macedoni fino al trasferimento a Pella. I re macedoni, però, conservarono l'usanza di farsi seppellire nella prima capitale.
Il nome Vergina, invece, deriva da una leggendaria regina macedone, morta suicida nel fiume Aliakmone per non cadere prigioniera dei Turchi.

Un'altra tesi sulla morte di Alessandro Magno

Chissà se resterà uno dei misteri irrisolti dell'antichità o se veramente questa volta la morte di Alessandro Magno ha trovato una soluzione, una causa.
Il tossicologo Dottor Leo Schep, del Centro Nazionale Veleni dell'Università di Otago, in Nuova Zelanda, crede di aver scoperto il segreto della morte di Alessandro Magno. Secondo il Dottor Schep, il grande comandante macedone è stato avvelenato da una pianta che è stata trasformata in bevanda e trasfusa nel vino.
Nel 2003 il Dottor Schep ha condotto una ricerca, per conto della BBC, sulla morte di Alessandro Magno, non aspettandosi di aggiungere molto a quello che già si sapeva. Per anni gli studiosi sono stati divisi sulla natura della morte del grande macedone. Alcuni sostengono che sia morto per cause naturali, altri affermano, al contrario, che sia stato avvelenato da uno o più dei suoi stretti collaboratori durante la celebrazione di un banchetto.
Alessandro Magno morì nel 323 a.C., dopo aver costruito uno dei più grandi imperi mai esistiti. La sua agonia durò ben 12 giorni, durante i quali egli fu comunque in grado di camminare e parlare. Gli scienziati che sostengono che la morte potesse essere stata causata da avvelenamento, mettono sotto accusa l'aconito, la cicuta, il crocus, l'assenzio o il giusquiamo pur riconoscendo che tutte queste piante velenose non avrebbero provocato una morte tanto lenta.
Il Dottor Schep, in collaborazione con il Dottor Pat Wheatley, esperto in classici presso la Otago University, ha pubblicato su una rivista le conclusioni della sua ricerca: Alessandro Magno sarebbe stato avvelenato dal Veratrum album, l'elleboro bianco, utilizzato comunemente per provocare il vomito, la pianta sarebbe stata in grado di provocare una lenta agonia, quale quella sopportata da Alessandro Magno. La teoria del Dottor Schep è che la pianta sia stata fatta fermentare nel vino e servita ad Alessandro durante il banchetto. Oppure potrebbe essere stata mescolata con il vino per mascherarne il gusto amaro. Probabilmente Alessandro era così ubriaco da non notare la differenza.

sabato 11 gennaio 2014

Le sorprese del castello di Zucco

Resti del castello medioevale di Zucco (Foto: mondimedievali.net)
Nel castello medioevale di Zucco, a Faedis (Udine), gli archeologi hanno rinvenuto una serie di reperti risalenti ad un periodo compreso tra il 1400 e il 1500. Si tratta di circa 30.000 pezzi che comprendono oggetti utilizzati in ambito cavalleresco, artigianale e domestico, ornamenti personali e oggetti di uso quotidiano.
Sono emersi, dagli scavi, vasetti in miniatura, monete, elementi di armatura, sonagli in bronzo, ganci per vesti, fibbie, spille, ditali, lame di coltello, punte di freccia, frammenti di bicchieri, bottiglie e coppe in vetro e numerosi resti di vasellame. Gli scavi sono stati condotti dalla Cattedra di Archeologia Mediovale, sotto la direzione di Simonetta Minguzzi. Gli scavi hanno preso in esame prevalentemente un'area che anticamente era stata utilizzata con funzioni difensive e successivamente era divenuta una sorta di discarica.
Il castello di Zucco, che si trova su un promontorio lungo la valle del torrente Grivò, è un esempio di occupazione feudale del territorio in epoca medioevale. I suoi ruderi sono imponenti e ricordano le diverse fasi costruttive a cui andò incontro la fortezza nel corso di tre secoli. La fondazione è stata fissata, pur se tra diverse perplessità, al 1248. La frequentazione del castello è stata attestata fino al 1600.
Le fonti affermano che il 13 novembre 1248 il patriarca Bertoldo concesse ad Adalpretto di Cucagna il permesso di erigere un castello sul colle Rodingerius, sopra Faedis. Il nuovo castello, chiamato di Zucco da zuc, "colle", sottolineava la ricchezza e l'importanza della famiglia Cucagna. In un momento successivo il maniero venne ceduto ad un ramo collaterale di questa famiglia che finì per prendere nome dal castello stesso. 

I tunnel segreti di Neokaisareia

Uno dei tunnel scoperti in Turchia
Due tunnel segreti sono stati scoperti al di sotto del secondo castello più grande della Turchia, situato nella provincia settentrionale di Niksar (Neokaisareia), nel quartiere di Tokat. Le gallerie risalgono al periodo romano e pare siano state utilizzate dalle figlie di un sovrano per raggiungere i bagni situati nella zona di Canakci.
Gli scavi dei tunnel sono ancora in corso da parte degli archeologi. Le strutture sono state trovate nelle murature nord e sud del castello e sono lunghe circa 100 metri. Finora è stata rimossa una gran quantità di terra che le ostruiva, ma i lavori si sono dovuti fermare perché il permesso di scavo era scaduto e gli archeologi non disponevano di personale sufficiente.
Uno dei tunnel conduce al vicino ruscello, l'altro è parallelo al primo.
Neokaisareia, ora Niksar, è stata un tempo governata dagli Ittiti, dai Persiani, dai re del Ponto, dai Romani e dai Bizantini prima di passare tra i possedimenti dell'Impero Ottomano. Nel periodo classico era nota con il nome di Cabira e fu una delle residenze preferite di Mitridate il Grande, che vi costruì un palazzo.
Nel 72-71 a.C. si svolse, nei pressi di Niksar, la battaglia di Cabira che determinò l'esito favorevole ai Romani della terza guerra mitridatica. Durante il dominio romano la città prese i nomi di Diospolis, Sebaste e Neocesarea. Non si sa con esattezza quando la città assunse il nome di Neocesarea, che viene menzionato da Plinio per la prima volta nella sua Naturalis Historia.
Nel 344 d.C. Niksar venne completamente distrutta da un terremoto. Nel 395 divenne parte dell'Impero romano d'Oriente. Un altro devastante terremoto si verificò nel 499.
Cristiani e musulmani si contesero a lungo il possesso di Niksar, finquando, nel 1068, i Bizantini la conquistarono, la persero e la riconquistarono nuovamente nel 1073. Il conquistatore musulmano di Niksar fu Melik Gumustekin Ahmet Gazi, conosciuto come Danishmend Gazi. Egli ne fece la sua capitale e Niksar si trasformò in un centro di scienza e di cultura. Il mausoleo di Danishmend Gazi si trova appena fuori città.

venerdì 10 gennaio 2014

Barbecue micenei

La ricostruzione di un "barbecue" portatile miceneo
(Foto: Julie Hruby)
Gli antichi Micenei godono, giustamente, di una chiara fama di costruttori di palazzi e guerrieri. Ma ultimamente i Micenei risultano essere stati piuttosto abili anche in un'altra arte, quella culinaria. Più di 3000 anni fa hanno, infatti, introdotto l'uso di una primitiva griglia portatile per cuocere carne allo spiedo e fare il pane. E' quanto è recentemente emerso dagli esperimenti di archeologi e ricercatori.
Nei luoghi dove sorgevano, un tempo, le dimore dei sovrani micenei, gli archeologi hanno ritrovato artefatti piuttosto interessanti, come vassoi e piastre a base di argilla. All'inizio non si era molto sicuri del loro utilizzo presso quest'antichissima civiltà. Non si possiedono vere e proprie ricette micenee, ma soltanto degli elenchi su tavolette che parlano di quanto veniva utilizzato per le feste. Attraverso queste tavolette, gli studiosi possono avere un'idea degli ingredienti che sono stati utilizzati per preparare le vivande.
Alcune padelle rettangolari venivano usate per cuocere spiedini di carne. Esse venivano poste direttamente sul fuoco come una sorta di barbecue portatili. Gli archeologi hanno ricreato due di queste piastre micenee con i quali hanno provato a cuocere carne e pane. Hanno così compreso che la cottura migliore era quella che comportava la disposizione del carbone all'interno delle padelle, non fuori.

Un'eruzione di 6000 anni fa

Il vulcano Hasan Dagi (Foto: Janet C. Harvey)
Gli studiosi hanno analizzato le rocce del vulcano Hasan Dagi, in Turchia, per capire se sia questo monte ade essere raffigurato a Catalhoyuk, il famosissimo sito neolitico del Paese, risalente al 6600 a.C..
Per determinare se l'Hasan Dagi era attivo all'epoca in cui fiorì la civiltà di Catalhoyuk, gli scienziati hanno raccolto e analizzato diversi campioni di roccia vulcanica prelevati dai fianchi e dalla vetta del vulcano.
Al momento le prime analisi sembrano suggerire che i residenti di Catalhoyuk abbiano assistito ad un'eruzione dell'Hasan Dagi intorno al 6900 a.C., più o meno nello stesso periodo in cui è stata riprodotta la figura del vulcano.

giovedì 9 gennaio 2014

Il faraone dimenticato

Il sarcofago di Sobekhotep I (Foto: AFP)
Un team di archeologi statunitensi hanno scoperto, in Egitto, a sud di Abydos, la tomba del faraone Sobekhotep I, ritenuto il fondatore, 3800 anni fa, della XIII Dinastia.
Gli archeologi, che provengono dall'Università della Pennsylvania, hanno scoperto il sarcofago in quarzite in cui venne seppellito il faraone. Il sarcofago pesa circa 60 tonnellate. La scoperta è stata fatta l'anno scorso ma non è stato possibile identificare il proprietario del manufatto fino alla scorsa settimana. L'identità del faraone è stata stabilita dopo il ritrovamento di alcuni frammenti di quelli che un tempo erano dei piatti, che riportavano il nome di Sobekhotep. Altri frammenti mostravano il faraone seduto sul suo trono.
Frammenti recanti il nome e l'immagine del faraone Sobekhotep
(Foto: AFP/Egyptian Ministry of Antiquities)
Si ritiene che Sobekhotep I sia stato il primo faraone della XIII Dinastia a guidare l'Egitto durante il secondo periodo intermedio. La scoperta acquista importanza dal momento che non si hanno molte informazioni su questo faraone, che restò alla guida dell'Egitto per quattro anni e mezzo. In realtà gli storici non sono ancora sicuri di quando sia iniziata la XIII Dinastia, se nel 1803 a.C. o nel 1781 a.C.
Gli archeologi hanno anche scoperto i resti di vasi canopi, utilizzati per conservare le viscere del defunto, e con questi vasi hanno recuperato anche oggetti d'oro appartenenti a questo sconosciuto faraone.
Questo ritrovamento è piuttosto importante perché le tombe reali sono piuttosto rare e la maggior parte si trova a Dahshur, a sud del Cairo. Il calcare del sarcofago di Sobekhotep risulta essere stato estratto dalle cave di Tura, vicino la città del Cairo, mentre la camera sepolcrale è in quarzite rossa. Originariamente la tomba era sormontata da una piramide.

Antica tabellina cinese

Le strisce di bambù che contengono un'antica
tabellina cinese (Foto: Tsinghua University)
Gli storici cinesi hanno rimesso insieme una serie di strisce di bambù di 2300 anni fa, scoprendo quello che dicono essere l'esempio più antico al mondo di una tabella di moltiplicazione sulla base del 10.
Cinque anni fa l'Università Tsinghua di Pechino ha ricevuto una donazione di quasi 2500 strisce di bambù ammuffite, provenienti, probabilmente, dallo scavo illegale di una tomba. Il donatore le aveva acquistate in un mercato di Hong Kong. La datazione al Carbonio 14 dei reperti ha restituito una datazione pari al 305 a.C. circa, durante il periodo degli Stati Combattenti, prima dell'unificazione del paese.
Le strisce sono larghe dai 7 ai 12 millimetri e sono lunghe fino ad un metro e mezzo. Sopra vi sono iscrizioni nell'antica grafia cinese, fatte con inchiostro nero. Gli storici si sono resi conto che i pezzi di bambù che avevano avuto in dono formavano 65 antichi testi e li hanno riconosciuti come i più importanti artefatti del periodo degli Stati Combattenti. Le strisce erano mescolate tra loro, dal momento che erano state utilizzate per legare un manoscritto a mò di rotolo. Per gli studiosi è stato come comporre un puzzle.
Tra le quasi 2500 strisce, 21 si distinguono per contenere, scritti, solamente numeri nello stile delle antiche scritte cinesi. Queste 21 strisce costituiscono una sorta di tavola pitagorica. La riga superiore e la colonna più a destra contengono, disposti da destra verso sinistra e dall'alto verso il basso, gli stessi 19 numeri: 0,5, i numeri interi da 1 a 9 e i multipli di 10 da 10 fino a 90. Le voci all'intersezione di ciascuna riga e colla nella matrice, forniscono i risultati ottenuti moltiplicando i numeri corrispondenti.
Gli studiosi pensano che i funzionari di stato cinesi usavano la tavola pitagorica per calcolare la superficie della terra, la resa delle colture e gli importi delle imposte dovute. Le matrici potevano essere usate per fare divisioni e radici quadrate ma non si sa ancora se potessero essere utilizzate per operazioni più complesse.
Il Professor Joseph Dauben, storico della matematica alla City University di New York, ha definito "straordinaria" la scoperta, aggiungendo che si tratta della prima tabella di moltiplicazione decimale mai ritrovata al mondo.

La spilla dimenticata...

La spilla celtica ritrovata nei magazzini del British Museum
(Foto: Andy Hall per l'Observer)
Un tesoro celtico saccheggiato dai Vichinghi più di 1000 anni fa, è stato scoperto nei magazzini del British Museum. Una spilla a forma di disco, risalente all'VIII-IX secolo d.C. è stata così ritrovata per caso e definita come una scoperta inaspettata, dal momento che nessuno sapeva della sua esistenza.
Il tesoretto era stato nascosto tra la terra e il materiale organico scavato in una necropoli vichinga di Lilleberge, in Norvegia, da un archeologo britannico nel 1880. Il British Museum lo aveva acquistato nel 1891. Il curatore del British Museum, esperto nella storia e nella cultura vichinga, ha individuato, nel composto terroso, un bagliore metallico ed ha chiesto l'esame ai raggi X del reperto.
La spilla a forma di disco celtico è un raro esempio che mostra i contatti tra le isole britanniche e la Norvegia all'epoca dei vichinghi. Oggetti del genere erano spesso saccheggiati dai vichinghi come bottino di guerra. Il curatore del British Museum è convinto che l'oggetto sia stato realizzato in Irlanda e che fosse custodito in un santuario o in un reliquiario. Egli è convinto che l'oggetto venne trasformato in spilla proprio dai saccheggiatori vichinghi.
La spilla, che ha quasi sei centimetri di diametro, era seppellita nella tomba di una donna vichinga di alto rango. Sono ancora visibili i resti di una notevole duratura sulla sua superficie superiore e i disegni elaborati comprendono tre creature simili a delfini ed un quadrifoglio. Altri reperti sono emersi dal medesimo luogo di sepoltura, quali due spille ovali e fili di perle. Era usanza, tra i vichinghi, seppellire le persone con i loro beni personali. Era un rito di sepoltura vichingo.
Il campo dove giacevano i resti della donna vichinga era segnato da grandi tumuli. Gli archeologi sperano, ora, di riprendere gli scavi interrotti nel XIX secolo e di trarre altre informazioni dal prezioso reperto ritrovato. Attaccato alla spilla, infatti, sono stati individuati resti di tessuto forse a spina di pesce.

lunedì 6 gennaio 2014

Un cimitero per bambini in Egitto

Braccialetto ritrovato in una delle sepolture di Gebel Ramlah
(Foto: Czekaj-Zastawny)
Un cimitero per bambini e neonati è quello che è stato scoperto in Egitto da una squadra di archeologi polacchi guidata dal Professor Kabacinskiego, dell'Istituto di Archeologia ed Etnologia di Poznan.
Il cimitero è stato rinvenuto nella regione desertica di Gebel Ramlah, vicino al confine meridionale egiziano, a 140 chilometri ad ovest di Abu Simbel. Gli archeologi pensano che la necropoli risalga a 6500 anni fa. Finora non si conoscevano necropoli dedicati a bambini e neonati nel deserto occidentale. In molti casi i bambini appena nati sono stati seppelliti con un adulto, forse per rappresentare la morte di parto della madre. In un caso gli archeologi sono stati in grado di determinare con precisione l'età della madre di un bambino: appena 14 anni.
Le sepolture sono estremamente piccole e poco profonde e non era possibile vederle in superficie. Tuttavia nel caso della sepoltura di una madre e di suo figlio, gli archeologi pensano che doveva esserci anche una struttura ben visibile, sul terreno, che potesse identificarla. Si sono, infatti, rintracciati i resti di alcuni cordoli posti a delimitazione della camera sepolcrale. Purtroppo lo stato di conservazione dei resti umani è piuttosto scadente: è stato possibile recuperare solo crani e frammenti di ossa lunghe.
Tutte le sepolture contengono solo pochi e modesti oggetti di corredo. Ogni fossa conteneva grumi di ocra rossiccia che gli archeologi ritengono parte integrante del sistema di credenze ultramondane della popolazione che qui ha vissuto. In poche tombe gli archeologi hanno estratto braccialetti in avorio o conchiglie provenienti dal Mar Rosso.

domenica 5 gennaio 2014

Ritrovate particolari sepolture in Bulgaria

La donna ritrovata nella necropoli a Svestari
(Foto: BGNES)
Gli archeologi bulgari hanno scoperto i resti di una donna che, ben 6000 anni fa, è stata seppellita mentre era incinta. Il ritrovamento è stato effettuato in una necropoli scoperta di recente nel villaggio di Svestari, nel nordest della Bulgaria.
Dagli scavi nella necropoli sono emersi ben cinque scheletri, tutti seppelliti in posizione piuttosto insolita, con le gambe legate e la testa rivolta a sud. La donna sepolta aveva raffinati ornamenti di perle. Lo scavo è stato condotto dalla Professoressa Diana Gergova.
La stessa Professoressa Gergova è stata autrice della scoperta, sempre nel villaggio di Svestari, dei resti di un carro tracio di 2500 anni fa, con i due cavalli che sono stati sepolti verticalmente nel terreno. Il sito di Svestari, noto anche come Sboryanovo, ospita un gran numero di reperti dell'antica tribù tracia dei Geti, la cui città principale, Helis, si pensa si trovi nelle vicinanze di Svestari.

sabato 4 gennaio 2014

Un ponte in granito emerge da un lago prosciugato in Cina

Persone che passeggiano accanto all'antico ponte in pietra sul fondale
prosciugato del lago Poyang (Foto: AFP)
Un ponte di pietra risalente alla dinastia Ming è stato scoperto in Cina, dopo che i livelli d'acqua del più grande lago d'acqua dolce della nazione, il lago Poyang, nella provincia centrale dello Jiangxi, si sono abbassati.
Il ponte era lungo 2.930 metri ed è stato realizzato interamente in granito. Risale a quasi 400 anni fa. Il lago, estremamente esteso in passato, si è prosciugato moltissimo negli ultimi anni a causa delle scarse precipitazioni e dell'impatto della diga delle Tre Gole. L'abbassamento del livello delle acque ha fatto temere per il plancton, i pesci e gli altri organismi viventi che lo popolano ed ha recato notevoli disagi al 70 per cento dei residenti locali, la cui fonte principale di sussistenza è la pesca.
Il progetto della diga delle Tre Gole ha abbassato il livello del fiume Yangtze, generando un deflusso delle acque sia da Poyang che da Dongtin, un altro lago della vicina regione dello Hunan.

Assos, un bouleuterion di 2400 anni fa

Il bouleuterion di Assos, in Turchia (Foto: Erkmen Senan)
E' stato datato l'antico bouleuterion, luogo in cui si riuniva il consiglio cittadino, dell'antica città di Assos. Il monumento si trova nel quartiere di Ayvacik, nella provincia nordoccidentale di Canakkale, in Turchia. Sede della seconda accademia di Platone, Assos ha ospitato, nel IV secolo a.C., un altro famosissimo filosofo: Aristotele.
Il responsabile degli scavi, il Professor Nurettin Arslan, ha affermato che i bouleuteria hanno iniziato ad essere edificati tra il VI e il V secolo a.C. ad Atene e da lì si sono estesi rapidamente nelle altre città greche quali simboli di democrazia. Il Professor Arslan ha anche affermato che finora il primo bouleuterion che si pensava essere stato costruito in Anatolia era quello di Mileto, risalente al II secolo a.C.; in questi anni, però, è emersa un'iscrizione riguardante il bouleuterion di Assos.
Il bouleuterion di Assos fu costruito a spese di Ladomos e di sua moglie, membri di una delle famiglie più importanti dell'antica città. L'iscrizione che cita l'edificio risale al IV secolo a.C.. A differenza degli altri bouleuteria, quello di Assos aveva i sedili in legno piuttosto che in pietra. L'esempio più vicino a quello di Assos è il bouleuterion di Atene, dove i cittadini maschi si riunivano per discutere l'amministrazione della città, la politica e gli affari commerciali.
Probabilmente, sostiene il Professor Arslan, la costruzione dell'edificio deve molto alla presenza, ad Assos, del filosofo Aristotele, che qui soggiornò intorno alla metà del IV secolo. In seguito la regione in cui sorge Assos venne occupata dai Persiani ed in seguito da Alessandro Magno. Il Professor Arslan ritiene che Assos fu la prima città della storia ad essere gestita da filosofi.

I pavimenti della Sala del Trono di Nestore

Acquerello che ricostruisce la Sala del Trono di Nestore
fatto da Piet de Jong (Foto: Cincinnati University)
I pavimenti dei palazzi greci dell'Età del Bronzo erano fatti in gesso, spesso dipinto o inciso con motivi a griglie contenenti disegni dai colori vivaci o figure di animali marini. E' questo il risultato di una lunga ricerca nella Sala del Trono del Palazzo di Nestore, uno dei meglio conservati della civiltà micenea, da parte della dottoranda Emily Catherine Egan, dell'Università di Cincinnati.
Secondo la studiosa, si è sempre ritenuto che i pavimenti micenei subissero un trattamento piuttosto superficiale. A Pylos, dove sorgeva, un tempo, la reggia di Nestore, i diversi tipi di pavimento della sala del Palazzo Reale suggeriscono che questi furono volutamente progettati per rappresentare più materiali contemporaneamente, al fine di impressionare i visitatori e guidarli nel muoversi nello spazio.
La Dottoressa Egan ha condotto ricerche sul pavimento dipinto del Palazzo di Nestore, esaminando in prima persona diverse sezioni dello stesso e pubblicazioni e documenti di scavo inediti. Ha così notato che alcuni degli intricati motivi pavimentali della Sala del Trono, ricordano modelli di muratura dipinta con screziature e venature, mentre altri elementi imitano, invece, raffigurazioni di tessuti che sono state trovate nei dipinti murali di Creta e della Grecia continentale.
Acquerello del pavimento dipinto della Sala
del Trono con la diagonale ritenuta uno sbaglio
di Piet de Jong (Foto: Cincinnati University)
La Dottoressa Egan sostiene che la combinazione di screziature e motivi "a tessuto" presenti sul pavimento della Sala del Trono di Nestore sono stati volutamente creati per dare l'impressione di qualcosa molto simile alla pietra ed al tappeto insieme. Il pavimento, in questo modo, era il veicolo per comunicare il potere soprannaturale del monarca regnante che, tra l'altro, aveva il potere di manipolare e trasformare anche l'ambiente fisico in cui viveva.
Un disegno diagonale raffigurante una griglia è stato, poi, ritrovato nei pressi della soglia della Sala del Trono. Studi precedenti avevano ipotizzato che questo disegno pavimentale, che contrastava con il resto del pavimento della stanza, doveva essere stato un errore che non era stato corretto. Ma in altre parti del pavimento della Sala la Dottoressa Egan ha potuto scoprire piccoli errori riparati dagli antichi operai, per cui non poteva essere sfuggito loro un errore così grande. La diagonale, nel disegno e nella decorazione di questa parte di pavimento deve, pertanto, essere stata intenzionale. Può trattarsi di un escamotage per attirare l'attenzione del visitatore sul pavimento stesso e dirigere i suoi passi verso il trono, posizionato lungo la parete destra della stanza.
La Dottoressa Egan ha poi individuato una tecnica precisa, da parte dell'artista che ha progettato il pavimento della Stanza del Trono di Nestore. Fino a questo momento le griglie per la progettazione di disegni erano state individuate solo nei dipinti murali presenti quasi tutti a Creta. Un frammento di pittura murale da Pylos, invece, mostra segni dell'utilizzo della griglia da parte dell'artista che ha lavorato qui. Anche diverse parti del pavimento della Sala del Trono presentano tracce della medesima progettazione grafica.

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Turchia, l'iscrizione di Antioco di Commagene (Foto: AA) Un'iscrizione trovata vicino a Kimildagi , nel villaggio di Onevler , in Tu...