domenica 27 marzo 2022

Gli scheletri dipinti di Catalhoyuk

Turchia, scheletro di un individuo di sesso maschile di età
compresa tra i 35 ed i 50 anni con tracce di cinabro sul
cranio (Foto: Marco Milella)

Un team internazionale di ricercatori, con la partecipazione dell'Università di Berna, ha fornito nuove informazioni su come gli abitanti della città più antica del mondo, Catalhoyuk, in Turchia, hanno sepolto i loro defunti.
Le ossa lunghe di questi defunti sono state parzialmente dipinte, scavate più volte e nuovamente sepolte. I risultati forniscono informazioni sui rituali di sepoltura di quest'affascinante società, vissuta 9000 anni fa.
Catalhoyuk, nell'Anatolia Centrale, è uno dei più importanti siti archeologici del Vicino Oriente, con un'occupazione che risale a 9000 anni fa. Questo insediamento di epoca Neolitica copre un'area di 13 ettari e presenta edifici in mattoni di fango aggregati. Le case di Catalhoyuk presentano le tracce archeologiche di attività rituali comprese sepolture intramurali, con alcuni scheletri che presentano tracce di coloranti e pitture murali.
L'associazione tra un utilizzo di coloranti e le attività simboliche è documentata in molte società umane passate e presenti. Nel Vicino Oriente l'uso dei pigmenti in contesti architettonici e funerari diventa particolarmente frequente a partire dalla seconda metà del IX e VIII millennio a.C. I siti archeologici del Vicino Oriente risalenti al Neolitico hanno restituito un ampio corpus di testimonianze di attività simboliche complesse, spesso misteriose, che includono trattamenti funerari secondari, recupero e circolazione di parti scheletriche, come teschi, e l'utilizzo di pigmenti sia negli spazi architettonici che nei contesti funerari.
Uno studio recente pubblicato sulla rivista Scientific Reports da un gruppo di ricerca internazionale con la partecipazione dell'Università di Berna, fornisce la prima analisi dell'uso dei pigmenti in contesti funerari e architettonici da questo essenziale sito neolitico. Secondo l'autore dello studio, Marco Milella, del Dipartimento di Antropologia Fisica, Istituto di Medicina Legale dell'Università di Berna, "questi risultati rivelano interessanti intuizioni sull'associazione tra l'uso di coloranti, rituali funerari e spazi abitativi in questa affascinante società".
Marco Milella ha fatto parte del team antropologico che ha scavato e studiato i resti umani di Catalhoyuk. Il suo lavoro consiste nel cercare di far "parlare" scheletri antichi e moderni. Lo studio mostra che l'ocra rossa era il colorante più comunemente utilizzato a Catalhoyuk ed è presente su alcuni adulti di entrambi i sessi e sui bambini. Il cinabro e il blu/verde erano, invece, associati rispettivamente ai maschi ed alle femmine. Curiosamente il numero di sepolture in un edificio appare associato al numero di strati successivi di dipinti architettonici. Questo suggerisce una contestuale associazione tra deposizione funeraria e applicazione di coloranti nello spazio domestico. "Questo significa che quando seppellivano qualcuno, dipingevano anche sui muri della casa", afferma Marco Milella.
A Catalhoyuk, poi, alcuni individui sono "rimasti" nella comunità. I loro elementi scheletrici sono stati recuperati e fatti circolare per qualche tempo, prima di essere nuovamente sepolti. Questa seconda sepoltura di elementi scheletrici è stata accompagnata anche da pitture murali.
Solo una selezione di individui è stata sepolta dopo una colorazione delle ossa e solo una parte degli individui è rimasta nella comunità con le ossa "circolanti". "I criteri che guidano la selezione di questi individui per ora sfuggono alla nostra comprensione. Il che rende questi risultati ancora più interessanti. Il nostro studio mostra che questa selezione non era correlata all'età o al sesso", ha concluso Marco Milella.

Fonte:
eurekalert.org


Mozia, il lago sacro dei Fenici


Sicilia, Mozia, la vasca costruita dai Fenici
(Foto: La Sapienza, Roma/Spedizione a Mozia)
Sull'isola di Mozia, al largo della costa occidentale della Sicilia, vi è una grande vasca costruita dai Fenici più di 2500 anni fa, per lungo tempo ritenuta un porto interno artificiale o un bacino di carenaggio. In realtà si tratta della più grande piscina sacra conosciuta dell'antico Mediterraneo, come ha affermato l'archeologo Lorenzo Nigro, dell'Università La Sapienza di Roma.
La piscina sacra e tre vicini templi erano allineati con le posizioni di alcune stelle e costellazioni in giorni chiave dell'anno, quali i solstizi d'estate e d'inverno. Ciascuno dei corpi celesti era associato ad una particolare divinità. Di notte la superficie riflettente della piscina veniva utilizzata per fare osservazioni astronomiche. Le scoperte del puntatore di uno strumento di navigazione in un tempio e la statua, piuttosto consumata, di una divinità egizia associata all'astronomia rinvenuta in un angolo della piscina, supportano questa ipotesi.
Fu un archeologo che esplorò Mozia circa un secolo fa a descrivere per primo la grande piscina come un porto collegato al mare da un canale. Un porto simile era stato precedentemente scoperto a Cartagine, sulla costa dell'Africa del nord. Gli scavi ed i risultati della datazione al radiocarbonio di quanto rinvenuti, condotti a partire dal 2002 dal Professor Nigro, in collaborazione con la Soprintendenza di Trapani e con la Fondazione G. Whitaker di Palermo, hanno ribaltato questa ipotesi.
"La piscina non avrebbe potuto fungere da porto, poiché non era collegata al mare", ha affermato il Professor Nigro. Con la sua equipe l'archeologo ha prosciugato temporaneamente il bacino, dimostrando che quest'ultimo è, invece, alimentato da sorgenti naturali. Solo dopo che gli invasori greci conquistarono Mozia in una battaglia che ebbe termine nel 396 a.C., fu scavato un canale dalla piscina ad una vicina laguna.
I Fenici si stabilirono a Mozia tra l'800 ed il 750 a.C. La vasca sacra, compreso un piedistallo al centro che originariamente sosteneva una statua del dio fenicio Ba'al, venne costruita tra il 550 ed il 520 a.C. Due indizi suggeriscono che il piedistallo abbia sostenuto una statua di Ba'al. In primo luogo, dopo aver prosciugato lo specchio d'acqua, gli archeologi hanno trovato un blocco di pietra con i resti di un grande piede scolpito. Inoltre è stata rinvenuta un'iscrizione in una piccola fossa posta in un angolo della vasca sacra, una dedica a Ba'al.
Le divinità adorate dai Fenici a Mozia e altrove erano strettamente identificate con le divinità di altre società mediterranee. Ad esempio Ba'al era una controparte del semidio Ercole della mitologia greca. La capacità di includere nella religione di stato divinità di altre culture fu, con tutta probabilità, una delle chiavi del successo dei Fenici in tutto il Mediterraneo.
Gli scavi di Mozia indicano che i Fenici hanno creato una cultura diversa da quella della loro terra d'origine, interagendo per questo con le popolazioni autoctone. Ceramiche altri manufatti indicano che gruppi provenienti dalla Grecia, da Creta e da altre regioni del Mediterraneo si sono stabilite periodicamente su quest'isola a partire da 4000 anni fa. Oggetti in metallo ed altri ritrovamenti inerenti le fasi dello sviluppo di Mozia, mostrano influenze da tutti gli angoli del Mediterraneo.

Fonte:
sciencenews.org

Egitto, scoperte cinque sepolture dipinte

Egitto, le tombe dipinte (Foto: english.ahram.org.eg)

Il ministro del Turismo e delle Antichità egiziano, Khaled el-Enany, ed il segretario del Consiglio Supremo delle Antichità, Mostafa Waziri, hanno visitato il campo di scavo archeologico a Saqqara, dove sono state scoperte delle sepolture con pareti dipinte ed ornate di decorazioni.
La prima sepoltura dipinta apparteneva ad un funzionario di nome Iry ed è costituita da un profondo pozzo funerario che conduce ad una camera decorata con scene di tavole di offerte con oli sacri. All'interno di questa sepoltura è stato scoperto anche un sarcofago di pietra calcarea.
La seconda sepoltura apparteneva ad una donna, probabilmente la moglie di un uomo di nome Yaret, che ospita un pozzo funerario rettangolare.
La terza tomba apparteneva a Pepi Nefhany, che ricopriva gli incarichi di supervisore della grande casa, sacerdote e purificatore della casa. Questa sepoltura presenta un pozzo funerario di sei metri di profondità.
La quarta sepoltura è quella di una donna di nome Petty, sacerdotessa di Hathor, responsabile dell'abbellimento dl re. All'interno un pozzo funerario di sei metri.
La quinta ed ultima tomba finora rinvenuta è quella di un uomo di nome Henu, sorvegliante e supervisore della casa reale, con un pozzo rettangolare profondo sette metri.
Le cinque sepolture appartengono a dignitari dell'Antico Regno e del Primo Periodo Intermedio, tra i 4700 ed i 4000 anni fa circa, un periodo nel quale le province egizie persero sempre maggior potere e la figura del faraone cadde in crisi anche a causa dell'arrivo di una forte carestia. Il luogo della loro scoperta è Saqqara, la necropoli faraonica posta ad una trentina di chilometri a sud del Cairo, non lontana da Giza. Tutte le tombe sono ben dipinte e decorate e gli archeologi sperano di trovarne altre.
Il sito di Saqqara è parte della grande necropoli che faceva capo all'antica capitale di Menfi e che racchiude le piramidi di Giza e quelle di Abu Sir, Danshur e Abu Ruways. Il tutto è Patrimonio Unesco dal 1970.

Fonte:
english.ahram.org.eg
repubblica.it




Francia, il mistero del sarcofago di piombo di Notre Dame

Francia, sarcofago rinvenuto in Notre Dame a Parigi
(Foto:phys.org)

Nella cattedrale di Notre Dame a Parigi sono state rinvenute diverse sepolture ed un sarcofago in piombo risalente, con tutta probabilità, al XIII-XIV secolo.
Queste sepolture sono state portate alla luce durante i lavori preparatori per la ricostruzione della guglia dell'antica chiesa nel punto centrale dove il transetto attraversa la navata. Tra le sepolture è saltato subito agli occhi dei ricercatori il sarcofago di piombo a forma umana perfettamente conservato.
Si pensa che il sarcofago sia stato realizzato per un alto dignitario del 1300, secolo successivo alla costruzione della cattedrale.
Oltre alle tombe sono stati rinvenuti elementi di sculture dipinte appena sotto l'attuale livello pavimentale della cattedrale, identificati come parti dell'originale paravento del XIII secolo, un elemento architettonico che separa l'area dell'altare dalla navata.
Sono stati rimossi un paio di mani scolpite, il busto di un uomo barbuto ed alcuni vegetali scolpiti con tracce di pittura ancora visibili. Gli archeologi hanno utilizzato una mini telecamera endoscopica per sbirciare all'interno del sarcofago, che sembra essere stato deformato dal peso della terra e delle pietre. All'interno sono stati intravisti pezzi di stoffa, capelli e soprattutto un cuscino di foglie sulla sommità della testa del defunto, un'usanza tipica della sepoltura di religiosi, considerando anche l'ubicazione del sarcofago. Questi particolari indicherebbero che il corpo contenuto nel sarcofago è in ottimo stato di conservazione.
Durante i lavori di metà XIX secolo, sono stati rinvenuti altri frammenti appartenenti al tramezzo del XIII secolo, attualmente esposti al Museo del Louvre. Le attuali procedure di scavo termineranno con la ripresa dei lavori per la ricostruzione della cattedrale che, secondo gli obiettivi prefissati, verrà riaperta al pubblico nel 2024.

Fonti:
phys.org
mediterraneoantico.it


Alaska, trovato un'antica arma indigena

Alaska, due archeologi esaminano l'arco appena trovato
(Foto: NPS)

I dipendenti del National Park Service dell'Alaska hanno fatto un'importante scoperta nell'entroterra del Lake Clark National Park and Preserve. Si tratta di un arco da caccia in legno ancora intatto.
Secondo la datazione al radiocarbonio si stima che l'arco abbia 460 anni, con un'origine compresa tra il 1506 ed il 1660. Il vero mistero non sta nell'età dell'arco, quanto piuttosto dal suo luogo di provenienza.
L'arco è stato rinvenuto nelle terre un tempo appartenenti ai Dena'ina, un popolo indigeno le cui terre ancestrali coprono gran parte dell'Alaska centro-meridionale, inclusa gran parte del Parco Nazionale. I primi risultati dell'esame dell'arma, suggeriscono che l'arco potrebbe essere proprio un'arma dei Dena'ina. La patria di quest'antica popolazione è chiamata Dena'ina Elnena e coprono anche gran parte del Parco Nazionale e della Riserva del Lago Clark.
Gli antropologi hanno appurato che i Dena'ina interagivano regolarmente con le popolazioni indigene delle regioni vicine, inclusi gli Yup'ik, che vivono nella regione costiera dell'Alaska sudoccidentale, dalla baia di Bristol lungo la costa di Bering fino al Norton Sound. Questo legame interculturale aiuterebbe a spiegare come un arco Yup'ik sia finito nelle terre dei Dena'ina.
Gli studiosi ritengono che l'arco sia stato ricavato da legno di abete rosso.

Fonte:
outdoorlife.com


domenica 13 marzo 2022

Le miniere di smeraldo egiziane, tra Romani e Blemmi

Egitto, offerte votive rinvenute nel Tempio Grande
(Foto: Progetto Sikait)

Un team di archeologi, guidato dalla Professoressa dell'UAB Joan Oller Guzmàn, ha pubblicato i risultati degli scavi condotti nel 2020-2021 nel sito romano di Sikait, nel deserto orientale egiziano. Lo studio dimostra che i Blemmi, tribù nomade che occupò la regione dal IV al VI secolo d.C., potrebbero aver acquisito il controllo delle miniere di smeraldo fino alla fine delle attività di estrazione.
La zona era, nell'antichità, conosciuta come Mons Smaragdus, dal momento che era l'unico luogo dell'impero romano dove potevano essere estratti gli smeraldi. Gli scavi di questi ultimi due anni hanno interessato l'ultimo periodo dell'occupazione romana (IV-VI secolo d.C.) ed hanno rivelato che alcuni edifici che sorgevano sul luogo vennero occupati o, addirittura, costruiti dai Blemmi, una tribù di nomadi che vivevano nell'area alla fine del IV secolo d.C. Le indagini hanno interessato il tempio principale di Sikait, il cosiddetto Tempio Grande, ed hanno consentito di documentare la presenza di due santuari rituali perfettamente conservati, uno dei quali conteneva l'ultima offerta votiva praticamente intatta, risalente ad un periodo compreso tra il IV ed il V secolo d.C.
Gli archeologi hanno scavato uno dei complessi edilizi più imponenti, l'Edificio Tripartito, utilizzato probabilmente sia come residenza che come magazzino per lo stoccaggio degli smeraldi estratti dalle miniere. Sono state accertate ben undici aree di estrazione che, un tempo, circondavano Wadi Sikait. Qui sono stati condotti, per la prima volta, studi topografici dettagliati su due delle più importanti miniere, una delle quali composta da centinaia di gallerie e con una profondità di ben 40 metri. L'indagine ha permesso, tra le altre cose, di stabilire come fosse organizzato il lavoro all'interno delle miniere.
L'attività estrattiva su larga scala veniva iniziata solo una volta individuate le vene più produttive. Queste operazioni prevedevano l'installazioni di infrastrutture logistiche quali piccoli insediamenti, necropoli, rampe, sentieri, aree di lavoro e torri di avvistamento.
La caratteristica più importante di queste miniere è la documentazione di un importante insieme di antiche iscrizioni che consentono ai ricercatori di avere informazioni su chi materialmente lavorava nelle miniere e su come erano articolati i compiti di questi lavoratori. Tra le iscrizioni ve n'è una di una legione romana, che potrebbe essere la prima dimostrazione del coinvolgimento dell'esercito romano nello sfruttamento delle miniere di smeraldi egiziane. Non si trattava solo di difesa di queste importanti risorse, ma soprattutto di costruzione delle infrastrutture di cui dovevano essere dotate.
Sono state documentate, all'interno del Parco Nazionale Wadi el Gemal, oltre 300 miniere. Sono oramai decine i nuovi insediamenti, infrastrutture ed una nuova necropoli con 100 sepolture, il prezioso tesoro che ha arricchito la conoscenza della vita in queste comunità minerarie, fornendo ulteriori informazioni sulle caratteristiche sociali della comunità che viveva in questi luoghi prima del loro definitivo abbandono.

Fonte:
uab.cat


Egitto, nuove scoperte a Kom Ombo

Egitto, resti di un silos conico nella struttura appena
scoperta (Foto: english.ahram.org.eg)

Resti di una grande struttura amministrativa del Primo Periodo Intermedio sono stati scoperti durante uno scavo condotto da una missione austro-egiziana guidata da Eriny Foster. La scoperta è avvenuta nell'Alto Egitto, a Kom Ombo, a circa 45 chilometri a nord di Assuan, sulla sponda orientale del Nilo.
La struttura è composta da molte stanze che contengono, complessivamente, più di 20 silos conici utilizzati per lo stoccaggio del grano, ma anche di cantine, scale e magazzini.
"Le pareti di questi silos eccezionalmente ben conservate, almeno fino a due metri di altezze. Alcuni silos sono anche più alti", ha dichiarato Eriny Foster. L'edificio fungeva, con tutta probabilità, da centro per la distribuzione del grano.
Abdel Moneim Saeed, responsabile delle antichità di Assuan e Nubia, ha sottolineato che Kom Ombo è un'area protetta che include il famoso tempio tolemaico, meta di visite turistiche. La città fu abitata dal Primo Periodo Dinastico fino al Primo Periodo Islamico. Dopo un lungo intervallo venne nuovamente abitata durante l'occupazione britannica dell'Egitto, quando venne costruito un forte nella città, quale parte delle difese erette per fronteggiare la rivolta mahdista in Sudan.

Fonte:
english.ahram.org.eg

Ungheria, trovata rara moneta aurea romana

Ungheria, la moneta dell'imperatore romano Volusianus
(Foto: Krisztiàn Balla)

Gli archeologi che stanno scavando in Ungheria hanno rinvenuto una rara moneta aurea romana. La moneta raffigura il volto di un imperatore romano assassinato nel III secolo d.C., si tratta dell'imperatore Volusianus, che co-regnò per circa tre anni con suo padre finché, all'età di 22 anni, finì assassinato dai suoi soldati.
Le monete di questo imperatore, a causa anche del suo breve periodo di regno, sono piuttosto rare ed è anche raro il ritrovamento di monete d'oro romane in Ungheria.
Gli archeologi pensano che qualcuno abbia perso questa moneta che anche all'epoca doveva essere piuttosto preziosa. La moneta è tornata alla luce durante lo scavo di un insediamento romano nella contea di Somogy, nel sudovest dell'Ungheria. La posizione del sito è tenuta segreta dal momento che è soggetta ad indagine.
La moneta pesa 5,6 grammi ed è nota come aureus. Venne coniata durante il regno di Volusianus, tra il 252 ed il 253 d.C. Su una delle facce è presente il ritratto dell'imperatore con una corona di raggi. Sul lato opposto è raffigurata la Libertà. La moneta non è un semplice aureus, ma un raro binio, vale a dire un doppio aureus, ha dichiarato Marjanko Pilekic, numismatico ed assistente di ricerca presso il Coin Cabinet della Fondazione Schloss Friedenstein Gotha in Germania.
Le monete di questo genere furono coniate per la prima volta, nell'impero romano, nel I secolo a.C. Il valore nominale apparve solo all'inizio del III secolo d.C., poi scomparve rapidamente.
Sulla base dei reperti recuperati nel sito archeologico, compresa questa preziosa e rara moneta, sembra che l'insediamento sia esistito nel III-IV secolo d.C., quando la regione faceva parte della provincia romana della Pannonia Superiore. Sono tornati alla luce e recuperati altri reperti quali monete romane in argento ed in bronzo (tra le quali una dell'imperatore Probo, III secolo d.C.), una chiave in bronzo, un anello d'argento con iscrizioni ed una spilla di vetro.

Fonte:
livescience.com

Grecia, scoperta una sepoltura nobile nell'antica capitale della Macedonia

Vergina, la tomba appena rinvenuta (Foto: allthatsinteresting.com) La costruzione di un nuovo sistema fognario nell'antica città macedon...