mercoledì 30 novembre 2011

Il cuoio di Tutankhamn

Sono state scoperte le bardature di cuoio, ben conservate, di un antico carro egizio. Si trovavano in un deposito del Museo Egizio del Cairo. Con le bardature sono stati ritrovati, intatti, dei guanti ed un arco. Gli antichi Egizi usavano carri con uno o due piloti e trainati da due cavalli, per la guerra e la caccia, ma anche per le processioni rituali. I carri comparivano spesso nell'arte egizia e sono sopravvissuti alcuni resti lignei degli stessi, tra cui i resti di sei carri smantellati ritrovati nella tomba del faraone Tutankhamon, risalenti a 3.300 anni fa.
Malgrado questo i ricercatori non sapevano molto degli ornamenti di cuoio e dei finimenti utilizzati per questo genere di carri, dal momento che il cuoio si decompone con molta facilità, soprattutto in presenza dell'umidità.
Nel 2008 André Veldmeijer, un Belga specializzatosi nello studio del cuoio antico, vide, su un vecchio libro del 1950, una fotografia in bianco e nero che mostrava alcuni ornamenti pertinenti un antico carro. Il curatore del Museo Egizio del Cairo, Ibrahim el Gawad non ne sapeva niente, ma pochi mesi dopo proprio el Gawad si imbatté per caso in quegli ornamenti, che giacevano dimenticati in una serie di cassetti in una stanza sul retro del museo.
Gli ornamenti sono conservati per il 90-95% e comprendono un rivestimento in pelle che, probabilmente, copriva il carro di legno, imbracature, guanti ed un arco con faretra. Sono ancora visibili segni di usura e i dettagli delle cuciture, nonchè il disegno in colore rosso, verde e bianco.
Ora Veldmeijer sta lavorando con l'egittologa Salima Ikram per conservare, catalogare e studiare i reperti nell'ambito del Progetto "Carro" del Museo Egizio. Veldmeijer cercherà di capire che tipo di cuoio è stato utilizzato ma anche il metodo di cucitura e come il cuoio è stato tagliato e assemblato. Resta ancora un mistero da svelare, vale a dire la provenienza di questi ornamenti. Alcuni studiosi affermano che siano stati acquistati da un commerciante di antichità greco, tale Georges Tano, nel 1932, ma non si sa dove siano stati trovati. Probabilmente, dal momento che sono sopravvissuti in così buone condizioni, provengono da una sepoltura che, stando allo stile ed ai colori, doveva essere dell'epoca di Tutankhamon.

I tesori predati della Libia

Alcuni dei reperti recuperati in Libia dagli archeologi
Sabato prossimo saranno mostrati reperti di epoca romana ritrovati il Libia, che i fedelissimi di Gheddafi stavano per vendere per poter finanziare la difesa del regime. Gli oggetti sono stati sequestrati ad agosto di quest'anno, tra loro una statua di donna, alcuni busti maschili che risalgono al II-III secolo d.C.. Questi reperti sono stati ritrovati dopo la caduta della capitale libica nelle mani dei ribelli.
Le statue ritrovate, attualmente allo studio degli esperti, mostrano marcate caratteristiche libiche; probabilmente provenivano dalla Libia occidentale.
Questo ritrovamento fa ben sperare per quanto riguarda il ritrovamento di tutti gli altri reperti custoditi nel paese, che sono andati perduti a vario titolo.

La Libia e i suoi misteri

Necropoli dei Garamanti
Le immagini satellitari hanno permesso di scoprire nuove prove di una civiltà perduta nel Sahara, in Libia sud-occidentale. Una squadra di archeologi inglesi ha scoperto più di 100 masserie fortificate e castelli-fattorie, la maggior parte dei quali databili ad un periodo compreso tra il 100 e il 500 d.C.. Queste città perdute sono state costruite da una civiltà poco conosciuta, chiamata Garamanti, il cui stile di vita e la cui cultura era molto più avanzata di quanto le fonti suggeriscano.
Gli archeologi inglesi hanno individuato dei mattoni di fango pertinenti ad un complesso fortificato simile ad un castello, con pareti ancora in situ fino a quattro metri di altezza, ed anche abitazioni, cimiteri, pozzi e sofisticati sistemi di irrigazione.
La regione presa in esame è piuttosto estesa. Il clima sembra non essere mutato, nel corso dei secoli, il paesaggio è sempre inospitale e le precipitazioni inesistenti. I Romani pensavano che i Garamanti fossero una popolazione di nomadi barbari e bellicosi. In realtà costoro erano una grande civiltà che viveva in insediamenti fortificati su larga scala, soprattutto in prossimità delle oasi. I Garamanti avevano una lingua scritta ed una tecnologia avanzata.

Sacrifici umani nell'Islanda pagana?

Un sito archeologico in Islanda
Un'esplorazione archeologica alla ricerca di tombe pagane nel nord-est dell'Islanda ha trovato tracce di quelli che potrebbero essere dei sacrifici umani rituali. Una parete a forma di L ricoperta da un tappeto erboso, è stata scoperta nella zona e si ritiene che sia stata edificata prima che l'isola si convertisse al cattolicesimo nell'anno 1000.

In una grande fossa sono stati ritrovati frammenti di teschio umano, una mascella di gatto e diverse altre ossa di animali, tra cui una mandibola, una pecora e diverse ossa del bestiame. In un piccolo sepolcro ritrovato addossato al muro a forma di L sono stati ritrovati i resti di un neonato.
Ora agli archeologi spetterà l'arduo compito di scoprire se le ossa sono il risultato di un sacrificio umano.

Alla ricerca della Battaglia di Anghiari

Il dipinto del Vasari
Alla ricerca della Battaglia di Anghiari. Così potrebbe intitolarsi il tentativo posto in essere dalla squadra dell'ingegner Maurizio Seracini per cercare un supposto dipinto nascosto da secoli della famosa battaglia. Un dipinto di Leonardo, per la precisione. Dopo diverse polemiche la squadra ha inserito una sonda endoscopica in due dei sei punti individuati nel dipinto - la Battaglia di Marciano - del Vasari. L'operazione è andata avanti tutta la notte tra martedì e mercoledì della scorsa settimana.
Gli studiosi ritengono che sotto il dipinto del Vasari se ne nasconda un altro, la Battaglia di Anghiari, considerato perduto ed attribuito a Leonardo da Vinci. L'ingegner Seracini aveva chiesto di bucare un affresco di Vasari in 14 punti per consentire alla sonda di passare per cercare tracce del dipinto di Leonardo dentro il muro. La soprintendente Cristina Acidini ne ha concessi solo sette.
Ora si attende, con il fiato sospeso, il risultato di questa invasiva ricerca. Riusciranno gli studiosi a ritrovare il Leonardo scomparso?

La chiesa copta dell'oasi di Dakhla

Gli scavi della chiesa copta nell'oasi di Dakhla
Ad Ayn al-Sabil, nell'oasi di Dakhla, in Egitto, è stata ritrovata un'antica città copta risalente al IV secolo d.C.. Gli scavi hanno permesso, finora, di recuperare una chiesa a pianta basilicale ed alcuni edifici annessi utilizzati da monaci, sacerdoti e visitatori.
Gli studiosi pensano che possano esserci altri insediamenti analoghi nelle vicinanze. Tra i ritrovamenti anche un'abitazione con una grande sala, diverse stanze, una cucina, un forno ed una scala. Sono state anche recuperate diverse monete di bronzo del III e IV secolo d.C. ed una serie di frammenti di terracotta di uso commerciale.
Il modello basilicale dell'edificio religioso è tipico delle chiese egiziane, formate da un atrio aperto che conteneva il fonte battesimale e dalla sala della basilica. Quest'ultima era suddivisa in tre navate da due file di colonne ed era seguita da un tempio con un'iconostasi di legno intarsiato sul quale venivano applicate delle icone. Al centro del tempio l'altare.

Selinunte, una città pianificata

Lo scavo di un forno a Selinunte
I Greci non si trovarono sempre in crisi finanziaria, come succede, invece, oggi. Gli archeologi dell'Università di Bonn hanno scoperto da poco una grande area deputata al commercio durante gli scavi in Sicilia. Il responsabile degli scavi in questione è il dottor Martin Benz. Durante due campagne di scavi (2010-2011), gli archeologi hanno riportato alla luce uno dei quartieri artigiani più estesi della civiltà greca, nella città di Selinunte (VII-III secolo a.C.).
Il progetto è, ovviamente, condotto in accordo con le autorità italiane e con l'Istituto Archeologico Germanico. Il suo obiettivo è lo studio di un'area in cui si svolgeva la vita quotidiana dell'antica città che, almeno finora, ha ricevuto davvero scarsa attenzione.
Gli archeologi ritengono che la concentrazione di talune particolari "industrie" e di artigiani specializzati in ben determinate zone della città presuppongono un'attenta pianificazione, volta a migliorare, dal punto di vista organizzativo, sociale e politico la vita in città. Ora il quesito al quale rispondere è essenzialmente: dove si doveva risiedere e lavorare?
La concentrazione di attività artigianali in un particolare quartiere, si è applicata, a Selinunte, principalmente ai fabbricanti di ceramica, che erano concentrati principalmente alla periferia dell'insediamento umano, all'ombra delle mura cittadine. In questo modo il fumo e gli odori non certo piacevoli, emessi dalle fornaci, non disturbavano più di tanto gli altri abitanti.
Gli scavi hanno rivelato che i vasai erano riuniti in vere e proprie cooperative che condividevano l'utilizzo di un gigantesco forno del diametro superiore a 7 metri. Il quartiere degli artigiani di Selinunte si dipanava per più di 600 metri lungo le mura cittadine ed era, pertanto, il quartiere artigiano più grande che si conosca fino ad ora.
Gli scavi di Selinunte sono portati avanti da studenti delle Università di Bonn e di Roma e sono veramente faticosi. Sono, però, una grandissima opportunità per tutti per imparare sul campo le varie tecniche di scavo. Gli archeologi hanno avuto la sorpresa di trovare anche resti più antichi di quelli emergenti al di sotto dei forni di V secolo a.C.. Questo dimostra - anche se gli scavi sono ancora in fase di completamento - che i laboratori dei ceramisti erano presenti in città sin dal VI secolo a.C. e che erano stati intenzionalmente dislocati in periferia già al momento della progettazione dell'impianto urbano cittadino che, come per molte altre colonie greche, era stato prima disegnato accuratamente a tavolino.

martedì 29 novembre 2011

L'affresco occultato

Il dipinto di Andrea Sacchi ritrovato a Roma
In un appartamento del centro storico è stato scoperto un affresco di Andrea Sacchi, uno dei pittori le cui composizioni religiose sono considerate tra le più nobili del Seicento romano. Opere di Andrea Sacchi sono presenti a Palazzo Barberini a Roma, al Prado di Madrid, alla National Gallery di Londra ed anche a Washington.
L'affresco ritrovato si trova nella loggia del cardinal Del Monte, a suo tempo un vero e proprio Mecenate, considerato lo scopritore di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Il dipinto si è rivelato nel corso di un lavoro di pulitura di alcuni affreschi in un appartamento della Passeggiata di Ripetta. Autrici della scoperta tre restauratrici: Triana Ariè, Laura Principato e Arianna Ariè. L'opera si distende su ben 35 mq di superficie e finora si pensava che fosse andata perduta.
La conferma circa l'appartenenza della loggia al cardinale Francesco Maria Bourbon Del Monte Santa Maria è stata data dal rinvenimento dell'acronimo ASR e della data 1620, incisi nella parte bassa di uno degli affreschi.
L'opera di Andrea Sacchi rappresenta scene mitologiche ispirate all'alchimia, una passione del cardinal Del Monte. Ci sono tre lunette: Venere e Marte; Proserpina e Naiade, Vulcano e Apollo. Nell'affresco compaiono anche le quattro stagioni: Bacco (autunno); un agricoltore (l'inverno); una donna con lo specchio (la primavera); Venere (estate).

Nuova vita per il sepolcro dei Marci

Il restauro del sepolcro dei Marci
E' stato da poco restaurato il mausoleo dei Marci, all'interno della Necropoli Vaticana. E' stato un lavoro piuttosto complesso poichè, dai tempi di Costantino, il sepolcreto è stato interrato sotto il pavimento della basilica di S. Pietro. Fu proprio l'imperatore a volere così, quando decise di edificare un nuovo tempio religioso per onorare la memoria di Pietro.
Il mausoleo dei Marci venne così obliterato per secoli, una successione di monumenti sepolcrali allineati ai lati di una strada che raggiungeva le sponde del Tevere e che dal 1941, almeno in parte, è riemersa dall'oblìo. Le numerose campagne di scavo e di recupero hanno permesso la liberazione di diversi sepolcreti dalla terra, restituendo, anche se solo parzialmente, un contesto interessantissimo della Roma imperiale.
Le sepolture si trovano ad una profondità compresa tra i 3 e gli 11 metri ed il loro stato è risultato compromesso soprattutto a causa del grado elevatissimo di umidità. I restauratori hanno, innanzitutto, consolidato gli intonaci, le cortine laterizie e rimosso le efflorescenze saline degli agenti esterni. Sono, così, riaffiorati colori e profili e la tomba è apparsa così come doveva essere - o quasi - nel momento in cui fu ultimata.
Il sepolcro fu commissionato da una famiglia di liberti imperiali, i Marci, tra la fine del II e gli inizi del III secolo d.C.. Era uno dei più prestigiosi della Necropoli Vaticano ed era decorato con pitture a secco e affresco su fondo color rosso cinabro. I soggetti rappresentati erano prevelantemente di carattere mitologico: pavoni, ghirlande di fiori, uccelli, teste di medusa, anatre, nereidi, mostri marini e sileni.
Il mausoleo è ora protetto da una teca di cristallo per garantire la stabilità del microclima e per salvaguardare i preziosi ornamenti

Per visitare la necropoli:
L'accesso è consentito solo ad un numero limitato di persone di età superiore ai 15 anni. L'autorizzazione va richiesta per iscritto alla Fabbrica di San Pietro tramite fax (06.69873017) oppure via e-mail (scavi@fsp.va), indicando il numero di persone, la lingua, le date disponibili e un recapito per la risposta.
Le visite si effettuano dal lunedì al sabato, dalle ore 9.00 alle ore 18.00 ad esclusione della domenica e dei giorni festivi per il Vaticano.

lunedì 28 novembre 2011

Le terme private di Chichester

Il bagno romano di Chichester
I resti di un bagno romano sono stati scoperti nell'area di un parcheggio a Chichester, in Gran Bretagna. Il complesso era stato scoperto nel 1970, ma in seguito l'area era stata destinata ad un parcheggio temporaneo.
I primi indizi dell'esistenza di un edificio romano arrivarono nel 1960, con la scoperta di parte di un mosaico geometrico. Lo scavo dell'edificio è iniziato nel 1974. Gli archeologi hanno lavorato per più di un anno, in concorrenza con lo sviluppo del previsto parcheggio.
I resti delle terme sono venuti alla luce quasi al termine dello scavo del complesso abitativo. In questo complesso sono stati ritrovati anche resti di produzione ceramica sassone, abitazioni medioevali e persino le tracce di un edificio scolastico.

Le monete del Muro del Pianto

Gli scavi vicino il Muro del Pianto
Archeologi israeliani hanno scoperto delle monete antiche vicino al Muro del Pianto, nella Città Vecchia di Gerusalemme. Questo ritrovamento mette in discussione il presupposto, finora valido, che tutte le pareti del Secondo Tempio siano state costruite da Erode.
Le monete risalgono al 15 d.C. e sono state rinvenute in un bagno rituale ebraico collocato ai piedi della parete ovest del Secondo tempio, distrutto dai Romani nel 70 d.C.. Finora gli archeologi hanno accettato che Erode fosse colui che ha commissionato la costruzione sia del Tempio che delle mura, un progetto ultimato prima della sua morte nel 4 a.C.. Durante gli scavi gli archeologi hanno rinvenuto un mikveh (bagno rituale), che era stato riempito per far posto alla costruzione del muro, parte del quale è stato costruito direttamente sul bagno.
Le monete ritrovate sono datate a circa 20 anni dopo la morte di Erode, pertanto non può essere stato lui a far costruire questa parte di mura. La costruzione di queste ultime aveva richiesto almeno 40 anni. Erode cominciò a costruire nel 18° anno del suo regno (22 a.C.), mentre le monete risalgono al 15 d.C..
Il mikveh è stato scoperto a decine di metri di distanza dal Muro del Pianto, uno dei luoghi più cari all'ebraismo, venerato come l'ultimo relitto del Muro del Pianto.

Stonehenge, lavori in corso...

Stonehenge
Sono stati trovati, a Stonehenge, due pozzi precedentemente scoperti ma ignorati, che indicano come il sito era stato già utilizzato come località per il culto del sole ancor prima che fossero erette le pietre che lo contraddistinguono.
Le fosse sono posizionate sull'allineamento celeste del sito e si presume che potessero contenere pietre o paletti che indicavano il sorgere e il tramontare del sole. Alcuni studiosi pensano che le fosse, posizionate all'interno del percorso Neolitico, possano essere state l'itinerario di una processione che celebrava antichi riti connessi con il sole che si sposta nel cielo durante il solstizio di mezza estate.
Queste ultime scoperte suggeriscono che il sito era utilizzato come un centro sacro ancor prima che venissero erette le famose pietre che lo costituiscono, 5.000 anni fa.

I più antichi ami da pesca del mondo

Due degli ami ritrovati a Timor
Gli archeologi dell'Australian National University sono riusciti a scoprire le più antiche prove di pesca in alto mare. Quello che hanno ritrovato dimostra che oltre 42.000 anni fa gli uomini praticavano la pesca d'altura di tonni e altri pesci di grandi dimensioni.
La squadra della professoressa O' Connor ha scoperto il più antico amo da pesca mai recuperato all'interno di una caverna a Timor est. Gli archeologi hanno datato l'artefatto a circa 20-30.000 anni fa, il che fa dedurre che gli antichi pescatori avevano conoscenze avanzate di marineria.
L'amo da pesca fu realizzato con una conchiglia ed è sicuramente il più antico esempio del genere. Sembra essere un amo adatto a pesci di mare. Nel Pleistocene gli esseri umani avrebbero raggiunto l'Australia 50.000 anni fa ed iniziarono a raccogliere conchiglie e crostacei almeno 100.000 anni fa. Finora i più antichi reperti riguardanti la pesca risalivano a non oltre 12.000 anni fa e l'amo più antico aveva circa 5.500 anni.
Gli archeologi hanno preso in esame un sito contenente 38.000 ossa di pesce di 2.843 esemplari diversi datati a 42.000 anni fa. Prima di questo sito nelle caverne di Blombos, in Sud Africa sono stati ritrovati resti risalenti a 140-150.000 anni fa, si tratta di pesci che normalmente vivono in acque basse e, quindi, facilmente catturabili senza il ricorso a particolari tipi di tecnologia. Il sito di Timor est, invece, ha dimostrato il possesso, da parte dei suoi abitanti, di tecniche estremamente sofisticate nella pesca in alto mare da parte di uomini primitivi. Oltre 40.000 anni fa il livello del mare era inferiore di 60-70 metri rispetto all'attuale livello, il che vuol dire che molti siti del Pleistocene sono, ora, sommersi.

I giganti di Monte Prama

I giganti di Monte Prama
giganti di Monte Prama sono sculture nuragiche trovate, in modo del tutto casuale, nel marzo del 1974 in un campo nei pressi di Cabras, in provincia di Oristano. Sono stati raccolti 5172 frammenti, tra i quali 15 teste e 22 busti, dei quali si è iniziato subito il restauro.
La datazione dei reperti non è ancora certa: taluni studiosi pensano che risalgano al X secolo a.C., altri all'VIII secolo a.C.. Questo rende i giganti di Monte Prama le statue a tutto tondo più antiche del bacino del Mediterraneo occidentali, antecedenti ai famosi kuroi greci.
I frammenti di Monte Prama sono stati ritrovati nei pressi di una necropoli di 33 tombe a pozzetto irregolare, tutte prive di corredo se si eccettua uno scarabeo. La necropoli si trova, d'altro canto, su un territorio molto ricco di presenze nuragiche. Quasi ogni rilievo collinare ha, sulla sua cima, un nuraghe. Il colle Monte Prama ha il suo, di fronte al nuraghe Cann'e Vadosu. Non molto distante sorge anche un altro monumento, il nuraghe S'Uraki di San Vero Milis.
Le statue ritrovate non hanno altezza inferiore ai 2 metri e sono state scolpite in pietra arenaria proveniente dalle cave di Oristano. Raffigurano pugili, arcieri e guerrieri che non hanno simili nel mondo mediterraneo, dal punto di vista stilistico. Gli studiosi tendono a definire lo stile delle sculture "dedalico", un modello unico nel panorama addirittura mondiale.
Il volto delle sculture segue lo schema a "T" tipico della scultura bronzistica sarda. I capelli sono resi a spina di pesce, i piedi poggiano su basi semi quadrate e sono ampi e larghi, con dita ben definite.
Del ritrovamento di questi incredibili reperti non si è saputo nulla fino a qualche anno fa. Per 32 anni sono rimasti abbandonati nel museo di Cagliari, precisamente negli scantinati. Nel 2003 sono stati sottoposti a restauro a Li Punti, in provincia di Sassari. Tra le statue è presente solo un guerriero, che non è stato possibile ricostruire perchè quasi completamente distrutto. Sono state anche ritrovate, su queste statue, resti di colorazione rossa e nera. Sono state identificate, finora, 25 statue (17 pugilatori e 8 arcieri), nessuna delle quali è stata ricostruita, purtroppo, per intero.
I giganti saranno ora visibili in una mostra visitabile su prenotazione sino al prossimo 30 dicembre. Conclusa la mostra, ritorneranno a Cabras.
Molti studiosi collegano i giganti alla civiltà nuragica, della quale sono conosciutissimi i bronzetti raffiguranti arcieri, guerrieri e corridori (pugilatori) realizzati con il metodo della cera persa. Probabilmente chi ha realizzato i bronzetti, però, ritengono altri studiosi, potrebbe aver avuto come modello proprio i giganti del Monte Prama. Altri studiosi ritengono, invece, che i giganti siano stati realizzati dai fenici e si chiedono chi sia stato a distruggere e incendiare le statue e la necropoli, cosa rappresentavano anticamente questi enormi "telamoni" e dove erano collocati originariamente.

domenica 27 novembre 2011

Il forte romano di Alderney

Il monastero-fortino romano di Alderney
Una località invasa dalla vegetazione nell'isola di Alderney è risultato essere una delle strutture militari romane meglio conservate al mondo.

La tradizione isolana aveva da tempo individuato il sito, noto come un monastero, come una struttura di origine romana, anche se gli scavi, intrapresi nel 1930, avevano sempre fornito risultati deludenti. Nel 2009, però, gli archeologi hanno ritrovato tracce della preesistenza romana all'interno dell'antico monastero. Queste tracce sono rappresentate da una torre di circa 58 mq, della quale non si conosce l'altezza.
Il sito romano era ampiamente edificato. Nel Medioevo fu trasformato in una fortezza con tanto di caserma e divenne, in seguito, residenza ufficiale del governatore, una fattoria, una caserma tedesca durante la seconda guerra mondiale e, addirittura, una casa vacanze.
Il sito è in buono stato di conservazione e gli studiosi ritengono di poterlo agevolmente studiare. Il forte proteggeva la spiaggia e questo porta a pensare anche all'esistenza di un piccolo insediamento abitativo nelle vicinanze.

Le case dell'anima dei Kolla

Una delle torri di Sillustani, Perù
Presso il sito archeologico di Sillustani, in Perù, gli archeologi hanno trovato i corpi di 44 bambini che si pensa siano stati sacrificati tra i 600 e i 700 anni fa. I bambini erano stati sepolti in coppia, all'interno di ceste disposte intorno a torri funerarie di pietra. La loro età variava da pochi mesi fino ai tre anni. Gli studiosi ritengono che appartenessero alla cultura Kolla, che ha dominato la regione di Puno, nel Perù meridionale, tra il 1200 e il 1450.
Tutti i corpi presentavano una pietra vulcanica posta sul petto ed erano circondati da moltissime offerte, compresi animali, cibo, piatti e brocche. Gli archeologi pensano che le ceramiche con scene di guerra, ritrovate accanto ai corpi dei bambini, siano il segno di un conflitto tra i Kolla ed una cultura rivale.
I corpi giacevano in una torre di pietra circolare di 10 metri di altezza, conosciuta come chullpa Lagarto. Presso un'altra torre sono stati scoperti i corpi di altre 200 persone. Sillustani dista 1300 chilometri dalla capitale del Perù, Lima, ed è considerato un cimitero pre-incaico. Sorge sulle rive del Lago Umayo.
La famiglia e il culto degli antenati erano una parte integrante della cultura Aymara, alla quale appartenevano anche i Kolla. Le grandi chullpas o chulpa furono costruite proprio per ospitare l'elite Aymara nel primo periodo pre-incaico. Queste chullpas, che possono assimilarsi a delle torri, erano anche chiamate uta Amaya, "case dell'anima".


Marcahuamachuco, una nuova Machu Picchu

Particolare di Marcahuamachuco
Sta emergendo, a poco a poco, dalle nebbie dell'oblìo un misterioso complesso di 1600 anni fa, Marcahuamachuco, nelle Ande settentrionali del Perù. Si preannuncia, forse, un evento pari alla scoperta di Machu Picchu.
Il sito di Marcahuamachuco si sviluppa su 240 ettari, a più di 3.700 metri di altezza. Purtroppo sembra che abbia subìto già il saccheggio di alcuni artefatti, ma mostra ancora costruzioni monumentali, pareti arrotondate e massicce che si innalzano per 10-15 metri, gallerie, una piazza rettangolare e abitazioni, segno di un centro urbano dotato anche di un santuario religioso. Il centro urbano era protetto da mura in pietra, oltre che dalla sua posizione elevata.
Il nome Marcahuamachuco, in lingua quechua, significa "il popolo degli uomini con la testa di falco" ed è un sito che gli archeologi hanno già studiato nel 1900. Parti del sito sono ancora sepolte sotto la terra che si è accumulata per secoli. Lo splendore della città fu nuovamente rivelato nel 2010, quando il governo peruviano ha preso l'importante decisione di concedere gli scavi al Global Heritage Fund, un'organizzazione no profit, la cui missione è proteggere i siti del patrimonio culturale mondiale considerati in pericolo.
Marcahuamachuco fu il più importante centro pre-inca delle Ande, con una propria lingua, il "culli", che è sopravvissuta fino al XX secolo, con le sue divinità ed i suoi edifici, differenti da tutti quelli che si possono vedere in Perù. Tuttavia non sia ancora con certezza a quale cultura appartenessero gli abitanti di Marcahuamachuco. E' certo che le strutture in pietra, di notevole altezza, sono state costruite tra il 350 e il 400 d.C., ma non si sa ancora da dove venissero gli abitanti della città.
Non è, altresì, conosciuta la causa dell'abbandono di Marcahuamachuco, gli studiosi pensano ad un'epidemia, ma non vi è nulla di concreto, in proposito. Gli archeologi sperano di trovare qualche indizio nelle necropoli, ritrovate dietro le spesse mura di una zona del complesso che è stata chiamata il Castello, dove potrebbero essere stati sepolti sacerdoti e nobili.
Resta il fatto che Marcahuamachuco si sta dimostrando talmente imponente nelle strutture da insidiare il primato turistico finora detenuto da Machu Picchu.

Antiche ferite rimarginate

Il cranio dell'uomo di Maba
Una frattura, rimarginata, su un cranio ritrovato in Cina, potrebbe essere la più antica testimonianza mai documentata di violenza tra gli esseri umani. L'individuo al quale apparteneva il cranio è vissuto tra i 150.000 e i 200.000 anni fa ed ha subito un trauma piuttosto evidente alla tempia destra.
Non si conosce ancora il sesso dell'individuo che ci ha lasciato una così importante testimonianza. Si sa per certo, però, che la lesione temporale che aveva subìto era completamente guarita al momento della morte. Il cranio è stato ritrovato nel 1958, in una grotta nella Cina Meridionale. Un grosso roditore, con molta probabilità un porcospino, ne ha rosicchiato una parte del viso. Il professor Trinkaus, che fa parte di un team internazionale che ha esaminato il reperto, ha affermato che la frattura sulla tempia destra è il risultato di un impatto molto diretto e localizzato.
Poichè si trattava di un individuo appartenente ad un gruppo umano dedito sia all'agricoltura che alla caccia, non si può escludere che la ferita sia frutto di un incidente come, del resto, non si può altresì escludere che sia stata inflitta intenzionalmente. Comunque sia il trauma che l'uomo o la donna di Maba (dal nome della località del rinvenimento) ha subìto deve avergli o averle provocato una sorta di amnesia temporanea. L'individuo, però, è sopravvissuto per settimane se non addirittura per mesi al trauma, lo si è capito dallo stato di rimarginazione della frattura

sabato 26 novembre 2011

Le colonne normanne di Exeter

Una delle colonne ritrovate ad Exeter
Nella chiesa di Santo Stefano a Exeter sono state ritrovate due colonne con sculture dagli intrecci complicati, appartenenti ad una cripta normanna e riseppellite in un momento indeterminato del passato. Queste due colonne dovevano sostenere il tetto della cripta ed erano sormontate da capitelli con foglie scolpite. Sono le sole parti sopravvissute dell'antica cripta.
William Warelwast, vescovo di Exeter nei primi anni del XII secolo, era un uomo molto importante ed ha portato a termine diverse importanti costruzioni ad Exeter, tra le quali anche la chiesa alla cui cripta appartenevano, un tempo, le colonne ritrovate. Queste ultime sono state scavate, per la prima volta, nel 1826, ma l'unica registrazione dell'evento rimane un acquerello, almeno fino all'attuale scoperto. Tutto è stato riempito, in tempi non precisati.

Le tante vite di Nea Paphos

Gli scavi a Nea Paphos
Una squadra di archeologi australiani hanno annunciato di aver completato gli scavi a Nea Paphos, dove hanno scoperto delle mura medioevali, costruite sulla cima di un antico teatro ed hanno esplorato una fontana per l'acqua a poca distanza.
La squadra era composta da circa venti archeologi dell'Università di Sidney. Per tutto il periodo dello scavo è stato anche tenuto un blog che dava conto del progredire dello scavo. A Nea Paphos sorgeva, in epoca ellenistica e romana, la capitale dell'isola.
Il teatro fu costruito nel 300 a.C. circa, quando fu fondata la capitale dell'isola. I terremoti del IV secolo d.C. posero fine alla vita della città. Gli archeologi hanno esplorato anche un ninfeo, costruito probabilmente intorno al I secolo d.C., che forniva agli abitanti della capitale dell'isola acqua potabile. Il ninfeo era vicino alla porta nord-orientale della cità, vicino all'ingresso principale del teatro.
Il sito archeologico, tra gli altri, conserva i resti della Casa di Dioniso e della Casa di Orfeo, case del periodo greco-romano, disposte attorno ad una corte centrale e la Villa di Teseo, costruita sulle rovine di abitazioni del periodo precedente a quello ellenistico e romano. L'agorà di Nea Paphos, di cui sono visibili ancora le fondazioni, conserva una delle più grandi basiliche del IV secolo d.C. e un castello bizantino.
I primi insediamenti dell'isola sono stati datati all'epoca neolitica, dagli inizi del VII millennio a.C.. Un capitolo importante fu, senza dubbio, quello ellenistico, quando i sovrani ciprioti, aiutati da Alessandro Magno, si liberarono dalla dominazione persiana. Alla morte del macedone, l'isola fu contesa da Tolomeo e Antigono. Una personalità di spicco dell'epoca fu re Nicocle di Paphos, della famiglia dei Kinriadi, che acquistarono molto potere alla sua morte.
Nicocle trasferì il trono da Paleapaphos a Nea Paphos, dove edificò un tempio ad Artemis Agrotera. Morto Nicocle Cipro, seppure tra molte difficoltà, riuscì a sottrarre l'isola alle mire straniere. Dal 294 a.C. Tolomeo I Soter conquistò l'isola, che rimase in mano dei Tolomei fino al 58 a.C., quando divenne provincia romana.

I misteri di Galway

Lo scheletro ritrovato a Galway
In Irlanda è stato scoperto un teschio trafitto da una freccia di ferro, parte di uno scheletro sepolto in una fossa poco profonda. La località in cui è stato fatto il ritrovamento è il villaggio di Galway.
Lo scavo archeologico è stato appena completato dall'archeologo Martin Fitzpatrick, ed ha indicato che la sepoltura era collocata in uno strato poco profondo del terreno e che il defunto era un maschio adulto di età compresa tra i 17 e i 25 anni. Il corpo giaceva su un fianco e accovacciato. Un piccolo foro nel cranio era l'unico neo in un apparato scheletrico altrimenti perfetto. Ulteriori esami osteologici hanno rivelato che la ferita è stata inflitta da una piccola punta di freccia in ferro. La punta misura circa 4 centimetri di lunghezza ed è stata recuperata all'interno del cranio. Una analisi preliminare ha datato il reperto al IX o X secolo d.C.. E' stata, inoltre, ritrovata traccia di un passaggio sotterraneo in un punto diverso della stessa cava accanto alla quale è stato rinvenuto lo scheletro. Probabilmente il passaggio conduceva ad una camera per lo stoccaggio di merci che poteva, in alternativa, essere utilizzata anche come rifugio.
Sulle motivazioni per le quali il giovane sconosciuto è stato ucciso e frettolosamente seppellito a fior di terra, ancora non si sa nulla. Gli scavi sembrano aver sollevato più domande che risposte.

venerdì 25 novembre 2011

La mummia del gatto del Museo di Parma

La mummia di gatto del Museo di Parma
Giovedì 15 dicembre 2011, presso il Museo Archeologico Nazionale di Parma, sarà esposta, per la prima volta la mummia di un gatto e, al contempo, il veterinario radiologo dell'Università di Parma, Giacomo Gnudi e l'archeologa del Museo, responsabile della sezione egizia, Roberta Conversi, presenteranno al pubblico i dati emersi dallo studio della mummia.
Il reperto è di ottima fattura, non un feticcio qualsiasi. Le radiografie, conservate sempre nel Museo di Parma, hanno rivelato che, all'interno della fasciatura c'è un giovane esemplare di gatto, dell'età di 4 o 5 mesi, risalente a 2000 anni fa. E' un reperto legato ai culti della dea gatta Bastet, apportatrice di fertilità, salute e gioie terrene.
Questa mummia fu acquistata da un antiquario del XIX secolo. Il gatto era considerato protettore della casa per la sua capacità di cacciare i topi. A partire dalla XXII Dinastia (945-715 a.C.), il gatto è considerato incarnazione degli dei. L'esemplare femmina rappresenta la dea Bastet sulla terra. I templi a questa divinità felina sono sparsi un pò ovunque in tutto l'Egitto. Il primo a sorgere si trova nella città di Bubastis, lungo il Nilo.
Nei primi tempi il gatto era mummificato e sepolto all'interno del tempio, in fosse comuni. Dal III secolo a.C., i gatti cominciano ad essere allevati vicino ai templi per poterli mummificare e vendere ai fedeli che li lasciavano come offerte ai templi. Sono state recuperate migliaia di mummie di gatti morti prematuramente o innaturale, in quanto sacrificati. E' questo il caso della mummia di gatto conservata nel Museo di Parma, le cui bende sono disposte in modo da formare motivi geometrici. Gli occhi sono dipinti con inchiostro nero su piccoli pezzi di benda di lino.
Le radiografie eseguite da Giacomo Gnudi mostrano che il gatto è stato fasciato in modo da occupare il minor spazio possibile: le costole sono compresse, gli arti anteriori sono molto vicini al torace. Una frattura sul cranio conferma la morte innaturale.

lunedì 21 novembre 2011

Tas-Silg, un santuario attraverso i secoli

Gli scavi nel santuario di Tas-Silg
La missione archeologica dell'Università di Roma "La Sapienza", guidata da Alberto Cazzella, durante gli scavi condotti nel sito maltese di Tas-Silg, ha scoperto un manufatto di agata, frammentario, con un'iscrizione cuneiforme, interpretata, quest'ultima, da padre Werner Mayer del Pontificio Istituto Biblico di Roma. L'iscrizione risale al XIII secolo a.C. e si riferisce alla città mesopotamica di Nippur.
Questa iscrizione è un elemento veramente eccezionale, poichè costituisce l'iscrizione cuneiforme del II millennio a.C. trovata più a occidente. Si tratta, perciò, di un manufatto "esotico" in rapporto al luogo di rinvenimento e porta a credere che il santuario di Tas-Silg sia stato, al tempo, un punto di riferimento cultuale più ampio rispetto ad una semplice realtà locale.
L'agata, pietra non presente dell'antica Mesopotamia, sicuramente era considerata un elemento prezioso al punto da realizzare, con essa, un oggetto votivo. La pietra si estraeva sia ad oriente della Mesopotamia (India), sia ad occidente. Nell'antichità era anche conosciuta un'area estrattiva nella Sicilia sud-orientale, presso il fiume Dirillo, dal cui nome greco Achates deriva il termine stesso che ancor oggi si utilizza per chiamare questa bella pietra.
Probabilmente la pietra ritrovata nel santuario maltese proveniva da Nippur ed era stata frutto di un saccheggio da parte di un popolo in guerra con i babilonesi. Sempre probabilmente, l'oggetto passò nelle mani di mercanti ciprioti o micenei, che intrattenevano vivaci scambi con la Sicilia e il Mediterraneo centrale. Forse furono proprio costoro a portare a Malta il prezioso oggetto.
Nell'iscrizione, un gruppo di persone dedica l'agata a forma di crescente lunare, immagine del dio della luna Sin, a una divinità di Nippur, Ninurta. Questa divinità, dopo un lungo periodo di "servizio" nella città, fu sostituito da Enlil. Ninurta era il figlio del dio della luna e il suo tempio a Nippur si chiamava Eshumesha.
Il santuario maltese di Tas-Silg è un edificio templare il cui uso si protrasse durante i secoli: dal III millennio a.C. fino all'età bizantina. Fu tempio megalitico del Neolotico tardo per poi trasformarsi nella cella di un santuario fenicio-punico dedicato ad Astarte. Durante il periodo romano il tempio fu dedicato a Giunone e in epoca bizantina, infine, divenne un battistero. La longevità del santuario di Tas-Silg è paragonabile a quella della moschea degli Omayyadi a Damasco, un tempo tempio di un dio della tempesta del I millennio a.C., divenuto luogo di culto del Giove romano, poi chiesa cristiana e infine moschea.
Il santuario è stato stratigraficamente scavato e studiato negli anni '60 dalla Missione Archeologica Italiana a Malta de "La Sapienza" e dell'Università Cattolica di Milano.

Sotto le vigne di Montalcino

S. Giovanni d'Asso
I resti di quella che si preannuncia come la più antica abbazia della Toscana sono ritornati alla luce a Montalcino. La datazione dei rinvenimenti del complesso religioso di San Pietro ad Asso è del VII secolo d.C.. Questo monastero sarebbe stato costruito da Ariperto, ultimo re dei Longobardi, sulla via Francigena, ed è citato in due documenti del 715.
Per secoli la presenza del monastero è stata praticamente occultata da una proprietà viticola. Sotto il casale che sorge sul podere e che inglobava una piccola chiesa in rovina, sono emerse tracce di tre absidi, colonne, navate e capitelli. Poco sopra i vigneti, nei pressi del fiume Asso, lavori di scavo iniziati nel 2010 hanno permesso di recuperare una fortezza con torretta di avvistamento che, con tutta probabilità, svolgeva funzioni di difesa del complesso religioso.
Gli archeologi, diretti dal professor Stefano Campana, che insegna Topografia Antica all'Università di Siena, in collaborazione con Richard Hodges, professore dell'Università di Philadelphia, hanno anche recuperato dei frammenti in bronzo e numerosi altri materiali pertinenti, probabilmente, a utensili molto rari per il periodo, che fanno pensare che i personaggi che risiedevano nel monastero ricoprivano un certo rango sociale.

domenica 20 novembre 2011

Antichissimi graffiti a Qurta

Le incisioni di Qurta
Una nuova tecnica di datazione, la Optical Stimulated Luminescence, ha permesso ad alcuni studiosi belgi ed al professor John Darnell della Yale University, di datare alcune incisioni scoperte nel villaggio di Qurta, nella East Bank del Nilo, poco distante da Edfu.
Le incisioni risultano essere antiche di ben 15.000 anni, sarebbero, quindi, il più antico esempio di arte rupestre finora ritrovato in Egitto, coeve all'arte rupestre di Lascaux e di Altamira. Le incisioni di Qurta raffigurano principalmente bovini, ma anche animali selvatici.
Il professor Darnell, egittologo, ha fatto notare come l'arte rupestre è molto diffusa in nord Africa, per cui questa sorprendente scoperta non è sicuramente la sola che attende gli studiosi.

La Stonehenge del Golan

La Stonehenge del Golan
(Ansa) - In una landa delle alture occupate del Golan è custodito un segreto vecchio di cinque millenni. Un appartato Stonehenge del Medio Oriente, ignoto ai più. E' un sito, unico nel suo genere in tutta la regione, che consiste di cinque cerchi concentrici di pietre impilate, tre dei quali con un notevole spessore. Presenta due aperture: una verso nord-est, l'altra verso sud-est. Al centro c'è un tumulo monumentale, dove nella notte dei tempi fu sepolto un personaggio di spicco.

sabato 19 novembre 2011

Una piccola mummia sotto osservazione

La mummia del piccolo egizio
La professoressa Sarah Wisseman, direttrice del Programma su Tecnologie Antiche e Materiali Archeologici presso la Illinois State Archaeological Survey ha dato risposte a molte domande su una mummia egizia di un bambino, che da anni era conservata presso il Museo Spurlock della University of Illinois.
I test sono stati effettuati nel 1990 e nel 2011 per mezzo dei raggi X e di una Tac ed hanno permesso di analizzare anche frammenti di stoffa, insetti e resine che sono stati rinvenuti sulla mummia. Le analisi hanno permesso di indagare sulla mummia senza sbendarla.
Le scansioni, l'analisi del materiale utilizzato per imbalsamare il piccolo e il Carbonio14 utilizzato su una tavola di legno sono state fondamentali nelle analisi. Il cervello, i polmoni e il cuore del piccolo sono stati lasciati intatti nel corpo. Ma il cranio, trovato rotto, e la presenza di coleotteri nel corpo ha suggerito che il lavoro di mummificazione non fu troppo accurato. La professoressa Wisseman ritiene che, forse, il corpo fu lasciato un pò di tempo all'aria aperta prima di essere mummificato. Probabilmente il piccolo defunto era stata una delle vittime di qualche epidemia.
La mummia conservava ancora alcuni denti da latte mentre stavano crescendo i denti permanenti. Le indagini condotte sulle ossa hanno confermato che il bambino era ancora in fase di crescita, la sua età è stata stimata tra i 7 e i 9 anni.
"Tutte le prove, tuttavia, suggeriscono che la famiglia di questo bambino era benestante. - E' stata l'affermazione della professoressa Wisseman. - Furono utilizzati un costoso pigmento rosso proveniente dalla Spagna e decorazioni in oro. Questo bambino apparteneva a una classe sociale elevata".

Una necropoli molisana

La Soprintendenza per i Beni Archeologici del Molise ha terminato gli scavi per il recupero dei reperti di 12 tombe, rinvenute durante i lavori per la realizzazione di un'area di servizio. Si tratta di un ritrovamento straordinario, a detta della sovrintendente Alfonsina Russo.
La necropoli è datata tra il V e il I secolo a.C., gli scheletri rinvenuti sono stati prontamente prelevati per poter essere studiati ed eventualmente restaurati. Le tombe hanno una grandezza omogenea, tranne alcune che hanno dimensioni più piccole della media.

martedì 15 novembre 2011

Gli antenati degli Innuit

Il frammento rinvenuto in Alaska
Il primo manufatto in bronzo mai rinvenuto in Alaska proverrebbe dall'Asia orientale. E una scoperta dell'agosto scorso, effettuata scavando tra i resti di un'abitazione degli eschimesi Inupiat, risalente a mille anni fa e situata sulle dune di sabbia che si affacciano su capo Espenberg, nella penisola Seward, nord-ovest dell'Alaska.
Il reperto, rinvenuto dalla squadra di John Hoffecker, dell'Università del Colorado, misura circa 2,50 centimetri per 5 ed è spesso meno di 2,5 centimetri. E' smussato da un lato e concavo dall'altro. Gli studiosi pensano si tratti di un oggetto creato con uno stampo. L'oggetto era avvolto in un pezzo di cuoio datato al 600 della nostra era, ma si suppone che possa essere anche più antico. Forse si tratta di una fibbia e, prima di arrivare nelle lande dell'Alaska, poteva far parte della bardatura di un cavallo.
All'epoca la lavorazione del bronzo era sconosciuta, in questa parte del mondo, mentre era piuttosto nota in Asia orientale, dove sono stati rinvenuti manufatti simili. Gli archeologi ritengono che l'oggetto possa provenire da una località posta tra la Corea, la Cina, la Manciuria e la Siberia meridionale. In un'altra abitazione è stato rinvenuto un ago di rame.
Gli Inupiat sono gli antenati degli attuali Eschimesi e si pensa che siano migrati in Alaska dalla Siberia circa 1500 anni fa. Probabilmente hanno portato con loro l'oggetto ritrovato, ritenendolo di grande valore e di particolare importanza. Prima degli Inupiat, la penisola di Seward, che sembra un dito rivolto verso la Siberia, fu un ponte per le popolazioni che, 14.000 anni fa, passarono dall'Asia all'America, profittando del livello del mare inferiore di circa 100 metri all'attuale.

lunedì 14 novembre 2011

Un'iscrizione crociata in arabo

Federico II
Un gruppo di archeologi israeliani è riuscito a decifrare un'iscrizione araba posta su una lastra di marmo risalente a 800 anni fa. E' l'unico manufatto crociato in arabo mai rinvenuto in Medio Oriente.
L'iscrizione reca il nome dell'Imperatore del Sacro Romano Impero Federico II e la data "1229 dell'incarnazione di nostro Signore Gesù il Messia". La lastra recante quest'iscrizione è stata rinvenuta alcuni anni fa nei pressi di Tel Aviv e, in un primo momento, era stata ritenuta appartenente all'epoca Ottomana. Solo quando gli studiosi hanno cominciato a decifrarla è risultato che, invece, essa era stata incisa ben 800 anni fa.
Federico II guidò la Sesta Crociata (1228-1229), fortificò il castello di Jaffa e lasciò, incastonate nelle mura di quest'ultimo, due iscrizioni, una in latino e l'altra in arabo. Quest'ultima, molto probabilmente, fu redatta dagli attendenti di Federico II se non dallo stesso imperatore.

Veleia e Baebia Basilla

Baebia Basilla
La città romana di Veleia si sviluppa alle spalle della colonia di Piacenza, a 460 metri sul livello del mare, nella valle del Chero, subaffluente del Po. Il luogo fu abitato già in epoca protostorica, come testimonia un sepolcreto a cremazione dell'Età del Ferro.
Attorno alla metà del I secolo a.C. Veleia divenne municipium, capoluogo di un distretto montano confinante con i territori di Parma, Piacenza, Libarna e Lucca. Il nome le viene da quello di una tribù ligure, i Veleiates o Eleates anche se, già dal I secolo d.C. e per buona parte del medioevo, viene chiamata Augusta nella parlata corrente.
L'abitato è disposto su una serie di terrazze e se ne distinguono diverse fasi costruttive. Il foro, di età augustea-giulio claudia, è stato costruito su un ripiano artificiale ottenuto tramite un sostanzioso sbancamento. Del foro è tuttora conservato il lastricato. Tutt'intorno corre, su tre lati, un portico, reso più ampio in antico da pitture murali. Sul portico si aprono botteghe e ambienti a destinazione pubblica tutti dotati di un sistema di riscaldamento.
Completa il foro la parte più bassa delle terrazze, ottenuta dall'accumolo di materiali provenienti dallo sbancamento soprastante e raccordata alla terrazza superiore da un ingresso a duplice prospetto, tetrastilo, inserito nel colonnato del foro. Questa terrazza era, forse, destinata alle funzioni religiose. La basilica chiude a sud l'ascensione all'acropoli. Si tratta di un edificio a navata unica, con esedre rettangolari alle testate. Qui aveva sede il culto dell'imperatore e si potevano ammirare le dodici grandi statue in marmo lunense che raffiguravano alcuni membri della gens giulio-claudia.
Scavi recenti, ad ovest del foro, hanno riportato alla luce costruzioni anteriori al foro stesso e tracce dell'ingresso originario, sostituito, dopo la metà del I secolo d.C. da quello monumentale collocato sul lato nord. La terrazza su cui è stata costruita, nel medioevo, una pieve dedicata a S. Antonio ospitava, probabilmente, già dall'antichità un edificio di culto. Più in alto è visibile una costruzione identificata con un serbatoio d'acqua.
L'esplorazione di Veleia fu iniziata, nel 1760 da Filippo di Borbone, duca di Parma, in seguito al ritrovamento fortuito della Tabula Alimentaria Traianea, la più grande iscrizione su bronzo nota in tutto il mondo romano. Dei monumenti che un tempo abbellivano la città, restano marmi e bronzi iscritti e figurati. Tra tutti un ritratto in bronzo di giovane donna, forse Baebia Basilla, un bronzo dorato raffigurante l'imperatore Antonino Pio, una piccola Vittoria in volo sempre in bronzo, conservati tutti presso il Museo Archeologico Nazionale di Parma.
In particolare il ritratto di Baebia Basilla fu ritrovato il 28 aprile 1760, vicino alla scala dell'ingresso occidentale della Basilica, non lontano dal luogo dove era stata ritrovata la Tabula Alimentaria. Il ritratto raffigura una giovane donna con la testa leggermente inclinata sulla destra. Gli occhi hanno i bulbi in calcedonio, dei quali solo uno si è conservato. I capelli sono corti, pettinati all'indietro e fermati sulla fronte da una fascetta. A questa era applicata un'altra acconciatura, lo si deduce dai forellini presenti sulla sommità del capo. Il particolare dei capelli corti ha fatto pensare ad un ruolo religioso ricoperto dalla fanciulla. Il ritratto bronzeo è una produzione della fine del I secolo a.C. di officine locale e presenta un certo verismo nella resa del volto della ragazza. E' stato attribuito alla figura di Baebia Bassilla, citata in un'iscrizione su una grande lastra marmorea spezzata in quattro parti, ritrovata nel 1760 nell'area del foro di Veleia. L'iscrizione ricorda l'atto di evergetismo privato di una donna della gens Baebia, gens citata nella Tabula Alimentaria, nota e documentata nella regio VIII anche a Parma. Baebia Basilla era una donna nobile e facoltosa che volle ristrutturare un edificio pubblico: il calchidicum, ambiente porticato della basilica.
L'evergetismo consisteva nella pratica di donare beni privati alla collettività, sia per il sostentamento degli indigenti che per la realizzazione o ristrutturazione di edifici pubblici quali strade e teatri. Era molto diffusa nel mondo romano. Con il tempo l'evergetismo acquisì quasi la natura di un obbligo a carico dei cittadini romani benestanti. Un obbligo di natura sociale e morale dal quale derivavano a costoro prestigi e onori.

La sconosciuta domus di Palazzo Ricca a Napoli

Parte della domus di Palazzo Ricca
Palazzo Ricca, sede dell'Archivio del Banco di Napoli, si affaccia su via dei Tribunali, antico decumano della città di Neapolis. Nei suoi sotterranei vi è un segreto che non molti conoscono: i resti di una domus romana di I secolo d.C. che, anticamente, sorgeva non lontana dal circuito murario di età greca e dalla necropoli di Castel Capuano.
Grazie all'impegno dei volontari del Gruppo Archeologico Napoletano, sarà possibile visitare, con una guida, questo importante pezzo di storia partenopea. Il progetto che prevede queste visite guidate è stato denominato Domus Accessibile. Dell'antica abitazione sopravvivono un pavimento con mosaico bianco e nero, i resti di una decorazione in IV stile e i resti di una struttura porticata e di un edificio termale.
I volontari del Gruppo Archeologico Napoletano, inoltre, hanno contattato la Federazione Regionale Sordi per permettere anche ai diversamente abili di "ascoltare" l'incredibile storia di questa città e della sua domus. All'interno di Palazzo Ricca sono stati, poi, allestiti cinque laboratori didattici per gli alunni di ogni ordine e grado, anche con problemi di udito e di vista.

domenica 13 novembre 2011

L'antica comunità di Latisana

Una delle tegole ritrovate a Latisana
Latisana, in provincia di Udine, sta scoprendo sempre di più il suo passato romano. Qualche anno fa un gruppo di appassionati ricercatori dell'antichità ha scoperto un tratto di muro e numerosi piccoli reperti. L'ultimo ritrovamento è di qualche settimana fa. Si tratta di un'ulteriore prova della presenza, in questi luoghi, di un insediamento romano di dimensioni piuttosto rilevanti.
L'insediamento si trovava nei pressi della via Annia, che collegava Concordia e Aquileia. Probabilmente si trattava di una struttura residenziale chiamata, in seguito, mutatio ad Paciliam nell'Itinerarium Burdigalense. Ma potrebbe trattarsi, anche, di una villa rustica eretta durante il periodo della centuriazione dell'agro aquilese.
Il proprietario del terreno interessato, si è accorto della presenza di due frammenti di tegole, delle quali uno conteneva un'iscrizione e l'altro era decorato con un motivo figurativo. La parte della tegola inscritta reca questa menzione "tegola di Caio e Marco Epidii" e va ad aggiungersi al frammento di laterizio rinvenuto qualche anno fa dallo stesso proprietario nel suo terreno. Questo frammento laterizio reca impresso il bollo "tegola di Caio Tito Hermeros". Si pensa che questi laterizi risalgano alla metà del I secolo d.C.

Una strada romana in Valdichiana

Torrita di Siena
Gli scavi per la realizzazione di una rotatoria stradale, nel comune di Torrita di Siena, è stato ritrovato un ampio tratto dell'antica strada. A fare la segnalazione il locale Gruppo Archeologico. Si è subito avviata una breve campagna di recupero e documentazione dell'antico tracciato, del quale è rimasta memoria nel toponimo della zona, detta località "il Pino" o "lo Specchio", o "Stradella".
Finora sono stati messi in luce 50 metri lineari per 5 metri di larghezza dell'antico tracciato. Si è individuata un'ampia carreggiata e cordoli laterali, di epoca romana così come la strada, riconoscibilissima nella sua tipica fattura. Il cattivo stato in cui si trova il tracciato denotano l'utilizzo intenso della strada.
Per la prima volta si è concretamente avuta prova dell'esistenza di una via  pubblica in questo tratto della Valdichiana.

giovedì 10 novembre 2011

I primissimi migranti europei

Homo Heidelbergensis
Più di 2000 strumenti in pietra, datati a 130.000 anni fa, attribuili all'Homo Heidelbergensis, sono stati ritrovati a Creta, in grotte e ripari naturali presso Plakias, lungo la rocciosa costa meridionale dell'isola. Ad effettuare la scoperta è stato un team di archeologi greci e americani guidati da Thomas Strasser, dell'Università di providence.
I reperti litici sono costruiti in quarzo e selce. Si tratta di asce, raschiatoi, scalpelli e dimostrano che gli ominidi arrivarono dall'Africa o dall'Oriente già nelle epoche più primitive. L'Homo Heidelbergensis visse tra i 600.000 ed i 100.000 anni fa. Finora gli studiosi ritenevano che la colonizzazione dell'Europa da parte di questa specie fosse stata realizzata con migrazioni pervenute via terra. Oggi, però, questa scoperta effettuata a Creta fa ridimensionare tutte le teorie degli studiosi.

mercoledì 9 novembre 2011

Il cancro nell'antico Egitto

L'antico egizio morto di cancro alla prostata
Un uomo egiziano vissuto 2250 anni fa ha combattuto, a suo tempo, una lunga e dolorosa battaglia contro un male alla schiena che andava diffondendosi in tutto il corpo, provocando grande sofferenza durante i movimenti.
L'uomo, di cui il nome è sconosciuto, cedette al male implacabile ad un'età compresa tra i 51 e i 60 anni. I suoi lo fecero mummificare affinchè potesse risorgere in un aldilà più felice e sereno. Ora i ricercatori hanno scoperto che l'uomo è il secondo caso più antico al mondo di malato terminale di cancro alla prostata. Il primo in assoluto fu un re scita morto 2700 anni fa in Russia).
Per molto tempo i ricercatori hanno avuto difficoltà ad individuare i segni della terribile malattia nelle mummie. Nel 1998 uno studio americano aveva calcolato che solo 176 casi di tumori maligni dello scheletro sono stati documentati tra le decine di migliaia di individui esaminati. Il cancro, però, non era assolutamente una cosa rara, complice la fuliggine dei camini a legna e dei focolari e il bitume con il quale si impermeabilizzavano le navi.
Ora, con scanner migliori, ad alta risoluzione, si potranno anche individuare forme cancerose più piccole di quelle finora rilevate.

martedì 8 novembre 2011

I resti della battaglia delle Egadi

Elmi romani recuperati nel mare di Sicilia
La prima guerra punica si concluse nel 241 a.C. con la sconfitta dei Cartaginesi. Ora sono stati recuperati elmi di legionari romani e rostri delle navi da guerra di Roma, resti della battaglia navale delle Egadi, al largo di Trapani, che segnò la definitiva sconfitta degli acerrimi nemici dell'Urbe.
La ricerca che ha dato questi interessanti risultati è stata coordinata dalla Soprintendenza del Mare della Regione Sicilia. I sub hanno dichiarato di aver visto spuntare due elmi dalla sabbia e di aver, poi, ritrovato, in soli 200 metri quadrati, a 75 metri di profondità, altri 10 elmi. L'appartenenza delle armi alle legioni di Roma è stato possibile grazie alla caratteristica punta a pigna degli elmi. Poco lontano dagli elmi vi era il rostro di una nave.
Le ricerche subacquee sono iniziate nel 2006 con il contributo della Rpm Nautical Foundation americana, che ha messo a disposizione la nave Hercules, dotata di apparecchiature estremamente moderne. Finora le ricerche hanno permesso di ritrovare sei rostri, due cartaginesi e quattro romani, che portano iscrizioni latine.
La battaglia delle Egadi è la più grande a memoria d'uomo per numero di guerrieri in campo, 200 mila circa. Si svolse nella mattina del 10 marzo 241 a.C. e fu la riprova della capacità e della rapidità dei Romani di apprendere dalle sconfitte e dai nemici quanto necessario per batterli. I Romani impiegarono delle quinquiremi, con 5 file di rematori, molto più veloci delle lente navi di Cartagine. Le navi romane, inoltre, erano dotate di passerelle per l'abbordaggio e di rostri estremamente moderni e perforanti.

Turchia, gli "inviti" di Antioco I di Commagene...

Turchia, l'iscrizione di Antioco di Commagene (Foto: AA) Un'iscrizione trovata vicino a Kimildagi , nel villaggio di Onevler , in Tu...