domenica 31 agosto 2014

Le antiche linee dei Paracas

Una delle linee tracciate dai Paracas in Perù
Sono state individuate, in Perù, delle linee nel terreno di due secoli più antiche rispetto a quelle, celeberrime, di Nazca. Queste nuove e antichissime linee sarebbero state tracciate dalla popolazione Paracas ed erano destinate ad essere viste dall'alto.
Secondo recenti studi, gli antichi abitanti del Perù crearono degli allineamenti nel deserto costiero per indicare, forse, luoghi dedicati agli scambi commerciali. I manufatti recuperati recentemente risalgono al 300 a.C.. I Paracas furono la prima popolazione ad insediarsi lungo la costa meridionale del Perù. Sono noti soprattutto per la costruzione di collinette cerimoniali accanto alle loro abitazioni e per aver creato degli allineamenti di rocce detti geoglifi. Alcune di queste linee si estendono per più di 3 chilometri.
Secondo lo studioso Charles Stanish le linee tracciate dai Paracas sono una sorta di vie che portano ai tumuli cerimoniali situati lungo la costa, dove la gente aveva l'abitudine di trovarsi per commerciare. Lo studio di queste nuove linee è stato finanziato dalla National Geographic Society. Sono stati mappati 71 allineamenti in un'area di 40 chilometri quadrati. Le linee dei Paracas si trovano a 20 chilometri dalla costa di Chincha, una valle del Perù meridionale ed indicano cinque tumuli cerimoniali, alcuni dei quali allineati con il solstizio d'inverno.
L'analisi al radiocarbonio delle ceramiche rinvenute durante gli scavi de tumuli hanno datato le linee a 2300 anni fa. La cultura Paracas crollò intorno al 100 a.C., mentre la cultura di Nazca prosperò tra il 100 e il 600 d.C..
Non tutti gli studiosi sono d'accordo con Stanish, ritenendo che vi sia una sovrapposizione tra le due culture, quella dei Paracas e quella di Nazca, anche se il solstizio di giugno era, indubbiamente, un momento di festa per tutte le popolazioni andine, al punto che la posizione del tramonto durante il solstizio è segnato, a nord, da torri contemporanee ai tumuli dei Paracas.

El Fuerte de Samaipata, roccaforte Inca in Bolivia

El Fuerte de Samaipata (Foto: ancient-wisdom.co.uk)
Sulle montagne boliviane, a 1920 metri di altezza, si trova il sito archeologico denominato El Fuerte de Samaipata. La sua caratteristica principale è costituita dalla formazione rocciosa di 260 metri di lunghezza per 60 di ampiezza completamente scolpita dall'uomo e conosciuta come Templo de la Roca Esculpida de Samaipata. Dal 1998 l'area della città di Samaipata è stata dichiarata Patrimonio dell'Umanità.
La Roca Esculpida è circondata da strutture di epoca Inca (XVI secolo d.C.), parte delle quali furono posizionate in punti strategici. Il rilievo di El Fuerte venne costruito con funzioni abitative e di vigilanza che non evitarono, però, l'assalto e la sconfitta degli Inca da parte dei loro tradizionali nemici, i Tupi-Guaranì.
Le rovine del Fuerte prospicienti la piazza di Samaipata
(Foto: Fotopaises.com)
Il cuore del complesso è la grande piazza in cui la Roca Esculpida, a nord, fronteggia un edificio oggi chiamato Kallank a sud. Si affacciano sulla piazza anche altre costruzioni: la Casa Espanola, il complesso della Kancha, il Tambo. Ad ovest si possono vedere i resti di quello che, un tempo, era l'alloggio delle Vergini del Sole, l'Akllahuasi. Distante dalla piazza e immerso nella vegetazione, invece, si trova il pozzo chiamato Chinkana.
Gli archeologi conoscono poco delle culture preincaica che si alternarono a Samaipata. Queste provenivano tutte dalla selva amazzonica boliviana. La Roca Esculpida potrebbe essere il prodotto di differenti sovrapposizioni culturali preispaniche che si alternarono in un lasso temporale che va dal 300 al 1500 d.C.
Uno dei canali presenti sulla Roca
Esclupida (Foto: bibliotecapleyades.net)
La Roca Esculpida è orientata secondo gli assi cardinali. Il lato sud, prospiciente la piazza, è interamente scolpito: piattaforme, gradinate, sedili, nicchie grandi e piccole, alcune delle quali in via di completamento. Tra queste nicchie si distinguono il cosiddetto Templo de las Sacristìas e il Templo de las cinco Hornacinas. Compaiono, sulla roccia, anche figure di animali, canali di scolo e vasche per la raccolta delle acque. Tutte queste indicazioni suggeriscono che la Roca Esculpida fosse un luogo sacro: il sistema idraulico che la caratterizza, tipico di altre formazioni litiche precolombiane, non aveva solo una funzione di drenaggio. L'acqua, per le popolazioni andine, era una forza creatrice, specialmente quando scorre. La Roca Esculpida potrebbe essere un omaggio alla pioggia e le numerose vasche potevano avere una funzione legata ad abluzioni rituali.
Un gruppo inca si stabilì al Fuerte de Samaipata intorno al XV secolo d.C.. Secondo la relazione di padre Diego Felipe de Alcaya, scritta tra il 1626 e il 1636, Wankane, parente del sovrano Inca Wayna Capac, fissò qui la sua residenza. In seguito lo raggiunse il fratello Condori, che divenne responsabile delle miniere d'oro e d'argento scoperte a Caypurum e Guanacopampa.
La Roca Esculpida, particolare
(Foto: bibliotecapleyades.com)
Nel 1522 l'avventuriero portoghese Alejo Garcìa, attratto dalle leggende che parlavano di enormi ricchezze amministrate da Condori, si pose a capo di un gruppo di Tupi-Guaranì ed attaccò l'insediamento di Samaipata. Nella disfatta Wankane e la popolazione maschile della città vennero trucidati. Si salvò soltanto un esponente della cultura Chané, alleata degli Inca, Gran Grigotà, il quale riarmò i suoi uomini ed affrontò in battaglia gli invasori. La vittoria gli arrise ed egli inviò a Cuzco ben 200 prigionieri, che furono sacrificati, nudi, sulle cime gelate dei monti che dominano la capitale incaica. Da allora i Guaranì boliviani vennero ribattezzati con il nome di Chiriguano, da chiri, che in lingua quechua significa "freddo" e wanuska, che vuol dire "morto".
Prima dell'arrivo degli europei i Tupi-Guaranì abitavano le coste del Brasile e del Paraguay. Giunsero in Bolivia in seguito a diverse ondate migratorie. Qui schiavizzarono i Chané e ne sposarono le donne.
Il sito archeologico di Samaipata venne studiato dall'archeologo cecoslovacco Tadeo Haenke (1795) e dal francese Alcide Dessalines d'Orbigny (1832). Gli scavi più recenti si devono ad una missione tedesca guidata da Albert Meyers (campagne 1994-2000). Nel 2013 è partito il progetto di conservazione della Roca Esculpida promosso dalla Professoressa Sonia Avilés, dell'Università di Bologna. La roccia è molto fragile, si tratta di un'arenaria altamente porosa, sulla quale fino a qualche tempo fa erano libere di salire persino le mucche. I turisti, poi, hanno contribuito non poco allo stato di cattiva conservazione di questo prezioso reperto, "ornandolo" di firme, cuori e dediche varie. Dal 1998, anno dal quale il sito è stato dichiarato Patrimonio dell'Umanità, la roccia è severamente sorvegliata.

Vita e morte ad Abu Tbeirah

Reperti umani ritrovati ad Abu Tbeirah (Foto: Adnkronos)
Gli scavi condotti dagli archeologi italiani nel sito di Abu Tbeirah, in Iraq, antichissima città-satellite della più nota Ur, stanno portando nuove conoscenze sulla società sumera, sugli usi, sulle consuetudini e sulle abitudini di vita.
Abu Tbeirah è un grande tell di 43 ettari diviso a metà dalla traccia di un antico canale che, a sua volta, è intersecato dal percorso di un moderno oleodotto. Il tell è stato datato al III millennio a.C., al passaggio tra il cosiddetto periodo Protodinastico III e l'epoca sargonica (2400-2150 a.C.). Fu un periodo di svolta nella storia sumerica, segnato dall'avvento di un sovrano semitico del nord, Sargon (che governò dal 2335 al 2279 a.C.), originario della città di Akkad, dalla quale partì alla conquista della Bassa Mesopotamia dove erano stanziati i Sumeri.
Durante gli scavi è stato trovato un sigillo ricavato da una conchiglia che ha fatto pensare che il tell abbia una storia molto antica da raccontare. Sul sigillo compaiono due personaggi seduti uno di fronte all'altro che stanno bevendo con una cannuccia da un contenitore. Gli archeologi hanno datato il reperto al 2750 a.C., datazione che è stata confermata dal ritrovamento, in un saggio di scavo al centro del tell, di ceramica plasmata nei primissimi secoli del III millennio a.C.
L'area di scavo di Abu Tbeirah (Foto: Corriere.it)
Nell'area a nordest del tell sono emersi due edifici contigui di cui sono stati scavati tre vani. Nell'edificio più occidentale è stata scoperta una fossa che conteneva lo scheletro di un asino accanto alla quale, anche se non collegata alla sepoltura dell'animale è stata ritrovata la sepoltura di un bambino di circa tre anni databile al periodo tra il Protodinastico e l'Accadico. Alla base della fossa della sepoltura del piccolo è stata rinvenuta un'impronta di canne intrecciate: il bambino era stato seppellito in una culla realizzata proprio con questo materiale. Si tratta di un uso che perdura nel tempo, dal momento che ancor oggi i bambini della regione che muoiono vengono inumati nella culla nella quale hanno dormito da vivi.
Culla infantile di 4200 anni fa (Foto: Corriere.it)
A sud del tell gli archeologi stanno continuando a scavare un edificio di natura istituzionale, dalla pianta rettangolare, risalente al XXV secolo a.C.. I vani di quest'edificio si aprivano su una corte centrale. Sull'intero settore del tell su cui era installato quest'edificio si estende una vasta area adibita a necropoli e risalente all'ultimissima fase di uso del sito, quando l'edificio precedente non era più visibile. Nella necropoli sono state scavate tombe che presentano diverse procedure di inumazione. E' stata rintracciata una tomba bisoma in cui le ossa del primo inumato (un uomo) furono ricomposte e collocate ai piedi del secondo inumato (una donna), probabilmente entrambi legati tra loro da vincoli di parentela. Sono finora 15 le sepolture indagata, caratterizzate da una varietà di disposizione dei defunti e da un'altrettanta varietà di corredi che suggerisce una differenza sia di condizione sociale che di epoca di sepoltura. E' stato anche rinvenuto un sarcofago in argilla simile a quelli scavati ad Ur da Sir Leonard Woolley.
Dallo studio dei materiali organici rinvenuti durante le campagne di scavo, si è accertato che gli antichi abitanti di Abu Tbeirah consumavano carni suine ed ovine. Non sono state ritrovate molte ossa di bovini che, forse, erano impiegate essenzialmente come forza lavoro. Rari i mammiferi selvatici quali il cinghiale. All'epoca il mare - che oggi dista 240 chilometri - arrivava fino ad Ur, che si trovava alla foce dell'Eufrate, all'estremità nord del Golfo Persico. Ma Abu Tbeirah era circondata anche da fiumi e canali per cui le risorse acquatiche erano notevoli: pesci e molluschi soprattutto. I gusci di questi ultimi trovavano impiego sia come contenitori che come materia prima per la manifattura di altri oggetti quali i sigilli, per esempio.
I pochi resti umani recuperati ad Abu Tbeirah parlano di una vita difficile e dura. Le aspettative di vita, innanzi tutto, erano piuttosto basse e sono frequenti i segni di stress muscolare, collegabile ad un'intensa attività fisica. Nelle ossa dei bambini sono state individuate sofferenze metaboliche dovute alla scarsa nutrizione.

Woseribre Senebkay e il sarcofago usurpato

La sepoltura e i resti del faraone dimenticato Woseribre Senebkay
(Foto: lonews.ro)
Il ritrovamento del sarcofago di uno sconosciuto faraone, Woseribre Senebkay (1650-1600 a.C. circa), ha consentito agli archeologi di aprire una finestra su un periodo tra i più bui della storia dell'antico Egitto. Si tratta del Secondo Periodo Intermedio, che va dal 1650 al 1550 a.C..
L'interessante scoperta è l'ultima, in ordine di tempo, che gli archeologi dell'Università di Pennsylvania hanno fatto nella località conosciuta come Montagna di Anubis, 150 chilometri a nord di Luxor. Responsabile della missione di scavo americana è il Dottor Josef Wegner.
Purtroppo la mummia di Woseribre Senebkay venne letteralmente frantumata sin dall'antichità. Gli archeologi, però, sono riusciti a ricomporre lo scheletro del sovrano e sono riusciti a stabilire che morì all'età di quarant'anni. E' stata anche ritrovata la sua maschera mortuaria e un vaso canopo.
Dalla posizione del sarcofago e da altri indizi, però, gli archeologi hanno dedotto che il sarcofago in quarzite in cui sono stati trovati i resti del faraone dimenticato non era stato realizzato per il sovrano. Si trattava, insomma, di un riutilizzo in piena regola. Il proprietario del sarcofago in cui era stato deposto Woseribre Senebkay era, in realtà, Sobekhotep I, vissuto intorno al 1780 a.C. circa e ritenuto il fondatore della XIII Dinastia (Medio Regno), la cui tomba si trova poco distante da quella del faraone dimenticato.
All'interno del sarcofago gli archeologi hanno trovato alcuni frammenti in legno di cedro pertinenti la cassa di Sobekhotep I che recano il nome di quest'ultimo. Il riutilizzo di sarcofago e cassa da parte di un sovrano del Secondo Periodo Intermedio lascia intuire le grandi difficoltà in cui si dibatteva l'Egitto all'epoca.

sabato 30 agosto 2014

Antiche tecnologie ed operai specializzati

Nel 1934 l'archeologo americano Nelson Glueck ha esaminato uno dei più grandi siti di produzione del rame del Medio Oriente, situato nel profondo della Arava Valley, in Israele. Dalle sue ricerche emerse che vi erano segni della presenza di un campo in cui erano custoditi uomini utilizzati come schiavi per le miniere e di un muraglione che serviva a prevenire eventuali fughe. Nuove scoperte archeologiche dell'Università di Tel Aviv, però, capovolgono completamente questa visione.
Nel corso di recenti scavi nella Timna Valley, il Dottor Erez Ben-Yosef ed il Dottor Lidar Sapir-Hen, del Dipartimento di Archeologia dell'Università di Tel Aviv, hanno analizzato i resti del cibo consumato da chi lavorava nelle fonderie di rame di 3000 anni fa. Il risultato di queste ricerche indica che gli operai che lavoravano alle fornaci ed all'estrazione del minerale erano abili artigiani che godevano di un elevato status sociale.
Le condizioni climatiche della regione di Timna hanno permesso un'eccellente conservazione dei materiali organici del passato: ossa, semi, frutti e tessuti, che risalgono al X secolo a.C.. Gli archeologi, dunque, hanno le prove che gli operai che lavoravano in questi luoghi godevano di un'alimentazione ricca e variata. Costoro, soprattutto chi lavorava nelle fornaci, avevano il meglio di tutto. Potevano mangiare anche il pesce, portato loro da centinai di chilometri di distanza. Dunque non doveva trattarsi di schiavi, ma di manodopera estremamente apprezzata.
Del resto il rame, usato all'epoca per produrre utensili ed armi, era una risorsa preziosissima. Coloro che lo lavoravano dovevano possedere conoscenze ed abilità particolari per rendere il metallo lavorabile ed utilizzabile. Questa conoscenza, molto avanzata per l'epoca, avrebbe potuto essere anche considerata una sorta di magia, di dono soprannaturale.
La produzione del rame è un'operazione piuttosto complessa che richiede diversi livelli di competenza. Gli antichi lavoratori delle miniere di Timna non erano, dunque, né schiavi né prigionieri. I forni per la fusione dei metalli erano costruiti in argilla, fornire la giusta quantità di ossigeno e carbone e mantenere costante la temperatura di 1200 gradi centigradi. Inoltre gli addetti dovevano, tramite un soffietto, modulare l'aria necessaria per raggiungere l'esatta miscela di minerali.
Secondo il Dottor Sapir-Hen il cibo riflette la stratificazione sociale nella quale erano divisi gli operai del sito di Timna. La differenziazione è data innanzitutto dal consumo della carne, legato alla specializzazione di ciascun operaio. Anche il muro di difesa che, un tempo, si riteneva essere stato eretto per prevenire la fuga degli schiavi, ora acquisisce un'altra, importante, funzione: quella di tenere segreta la tecnologia legata alla fusione del rame.

Il trono di Euromos

Il sedile in marmo ritrovato ad Euromos, in Turchia
(Foto: Hurriyet)
Lavori di scavo nell'antica città greca di Euromos, che si trova vicino alla città di Milas, nella provincia occidentale turca di Mugla, hanno rivelato un trono antico di 2300 anni.
Euromos ospita alcuni dei templi meglio conservati dell'Anatolia. Quest'anno gli scavi sono stati curati dal Professor Abuzer Kizil, che si è detto estremamente entusiasta delle nuove scoperte. Il trono è, in realtà, un sedile in marmo ed è stato ritrovato molto vicino al palcoscenico del teatro cittadino. Probabilmente apparteneva ad una persona nobile che viveva in città. Accanto al trono è stato trovato anche un altare cilindrico.

Trovato un sarcofago egizio in Inghilterra

Misteriosa scoperta all'interno di un muro di una casa al mare in Gran Bretagna: è stato ritrovato un sarcofago egizio risalente a 3000 anni fa. Il banditore Stephen Drake stava procedendo alla valutazione del contenuto di una proprietà alla morte del suo proprietario, quando ha trovato lo "strano" oggetto ricoperto da ragnatele. Il sarcofago era stato posto in posizione verticale, nella cavità di una parete esterna e presenta, dipinte, una faccia e delle iscrizioni in geroglifico.
Il Signor Drake ha consultato, quindi, degli storici dell'Università di Cambridge i quali hanno affermato che il sarcofago sembra essere un prodotto del 700 a.C. ma rimane un mistero sul come il reperto sia arrivato nella parete della vecchia casa.
Il periodo in cui fu forgiato il sarcofago risale all'epoca in cui era faraone Shebitku, noto anche come Shabatka, terzo sovrano della XXV Dinastia, che governò l'Egitto dal 707 al 690 a.C.. Egli era il nipote e il successore di Shabaka e figlio di Piye, fondatore di questa Dinastia. Il nome di intronizzazione di Shebitku era Djedkare.
All'interno del sarcofago non è stata rinvenuta alcuna mummia.

giovedì 28 agosto 2014

Una città nascosta sotto la città di Ani

Uno dei cunicoli scoperti ad Ani (Foto: AA)
Ani, città di almeno 5000 anni di età situata al confine turco-armeno, nella provincia di Kars, ha rivelato agli archeologi i suoi sotterranei segreti. Si tratta di canali per l'acqua, alcune celle di qualche monaco sconosciuto, sale di meditazione, enormi corridoi, tunnel intricati, labirinti in grado di far perdere a chiunque il senso dell'orientamento.
A fare l'importante scoperta è stato il ricercatore storico Sezai Yazici nel 2011. E' stato lo stesso studioso a presentarla, di recente, ad un simposio internazionale. Fu George Ivanovic Gurdjieff, che aveva trascorso la maggior parte della sua giovinezza a Kars, ad aver individuato la "vita sotterranea" di Ani. Con un amico, Gurdjieff aveva liberato qualche tunnel dalla terra ed aveva trovato mobili tarlati, vasi rotti ed un pezzo di pergamena scritta in armeno antico appartenente ad una lettera scritta da un monaco ad un altro monaco.
Con il tempo Gurdjieff apprese che aveva casualmente scoperto una famosa scuola esoterica mesopotamica che era stata costruita proprio nel luogo dove era tornato alla luce il frammento di pergamena. Questa scuola fu attiva tra il VI e il VII secolo d.C., dopo venne trasformata in monastero.
La maggior parte delle strutture sotterranee e delle grotte furono, negli anni, utilizzate come case. Attualmente se ne contano 823, alcune delle quali difficili da raggiungere.

Novità da Vindolanda

La seduta da toilette ritrovata a Vindolanda
(Foto: Sonya Galloway)
Una scoperta davvero singolare ha permesso agli archeologi britannici di approfondire la conoscenza sulla vita nella fortezza romana in Northumberland. Si tratta di una toletta in legno ritrovata a Vindolanda, vicino al Vallo di Adriano.
Il sedile da toletta ritrovato è in ottime condizioni. Nello stesso forte, tempo fa, sono state ritrovate delle tavolette in legno utilizzate come lettere, una moneta d'oro, un bicchiere. Si sono conservati molti esempi di seduta da toilette in marmo in tutto l'impero romano, ma quello ritrovato a Vindolanda è l'unico in legno ad essersi conservato. I bagni di Vindolanda, secondo gli archeologi erano alimentati da acqua corrente.

martedì 26 agosto 2014

Medioevo siberiano

La sepoltura del guerriero medioevale trovato in Siberia
(Foto: Siberiantimes)
E' stato ritrovato, in Siberia, un "signore della guerra" dell'XI secolo, senza il braccio sinistro, probabilmente perduto durante una battaglia.
Il terribile guerriero era molto più alto di quanti vivevano nello stesso periodo. I suoi resti sono stati ritrovati vicino ad Omsk, in una tomba a tumulo. I ricercatori sono stati molto colpiti dalla sua maschera mortuaria e dalla natura piuttosto complessa della sua sepoltura, che stava ad indicarne l'importanza all'interno della sua comunità.
Il guerriero è stato battezzato Bogatyr, "Grande Guerriero", ed era stato sicuramente addestrato per il combattimento fin dall'infanzia. Venne seppellito accompagnato da una massiccia zanna di orso conficcata nel naso a sottolinearne ulteriormente la potenza e la forza. Sul petto era stato deposto uno specchio di bronzo, avvolto in una custodia di corteccia di betulla. Forse lo specchio era uno strumento per comunicare con gli dei. Nella tomba sono state ritrovate anche 25 frecce di guerra, ancora taglienti, e strumenti in bronzo.
Particolare del teschio con la maschera funeraria
(Foto: Siberiantimes)
Gli archeologi che hanno scavato la sepoltura sono stati guidati dall'archeologo Mikhail Korusenko. La tomba ed i resti del guerriero sono stati rinvenuti quando si stava per completare la quinta stagione di scavo. La maschera mortuaria era stata ricavata dal tessuto custodito in alcuni scrigni in corteccia di betulla. Essa copriva le orbite e la bocca dell'uomo. Ai piedi del guerriero c'era un calderone di bronzo con i resti del cibo deposto affinché potesse nutrirsene nell'aldilà.
Nelle vicinanze del corpo sono stati ritrovati resti di pelle e pelliccia, forse parte dell'abito o delle decorazioni della faretra dell'uomo. Le punte di freccia che accompagnavano il guerriero erano state realizzate in metallo ed osso. Dietro al cranio è stata rinvenuta una briglia, segno che il guerriero era un cavaliere. Il braccio sinistro dell'uomo è stato reciso, probabilmente in battaglia, e posizionato accanto al corpo; la spalla era stata rotta. Il rito di sepoltura conferma che l'uomo ricopriva un ruolo piuttosto importante nella sua comunità.
Gli archeologi ritengono che l'uomo sia stato ucciso intorno ai 40 anni di età. Era alto circa 180 centimetri, molto più alto rispetto alla maggior parte degli indigeni siberiani vissuti al suo tempo. Apparteneva alla cultura Ust-Ishim, antenate delle attuali tribù Khanty e Mansi, solitamente composte di individui di altezza piuttosto contenuta.

domenica 24 agosto 2014

Piramidi giapponesi

Una parte appena scavata del tumulo di Asuka
(Foto: Asuka Mura Public Office)
E' stato scoperto, in Giappone, un grande tumulo sepolcrale nel villaggio di Asuka, nella prefettura di Nara, contenente una tomba piramidale. I lavori di scavo sono ancora in corso, ma gli archeologi hanno già ipotizzato una possibile data di costruzione: metà del VI secolo d.C.
La scoperta va ad aggiungersi a quella di misteriose pietre di granito dalle forme particolari rinvenute in tutta la regione. La sepoltura piramidale è stata chiamata tomba Miyakozuka. Si tratta di una piramide a gradoni formata da più strati di pietra. Finora gli archeologi hanno scavato tre lati della piramide. Il tumulo di terra che la ricopriva era alto 7 metri. Secondo gli esperti la struttura di questa sepoltura è molto simile a quelle risalenti al regno di Koguryo (III secolo a.C. - VII secolo d.C.), che regnò sul nordest della Cina e sulla parte settentrionale della penisola coreana.
La tomba Mihyakozuka ad Asuka vista dall'alto
(Foto: Masaki Yamamoto)
Il villaggio di Asuka è conosciuto per la sua antichità e l'interesse storico dei monumenti che vi si trovano. Gli archeologi non hanno ancora identificato chi fosse sepolto sotto la piramide a gradoni. Probabilmente si tratta di Soga no Iname, un governatore della dinastia Yamato morto nel 570 d.C.. Soga no Iname era uno statista di grande spessore, che si occupò, tra l'altro, di tenere sotto controllo l'immigrazione dalla Cina e dalla penisola coreana e che si impegnò nel progresso culturale e tecnologico della sua gente. Egli aveva uno stretto legame con il regno Koguryo.
La nave di pietra di Masuda (Foto: Asuka-park.go.jp)
Nel villaggio di Asuka si trova anche un altro monumento funebre, quello di Ishibutai, costruito nel VII secolo d.C. per Soga no Umako, figlio di un Soga no Iname, morto nel 626 d.C.. Il monumento più grande del villaggio, però, resta la nave di pietra di Masuda, una scultura in pietra che si erge vicino una delle colline di Asuka, alta 4,7 metri per una lunghezza di 11 e una larghezza di 8. La scultura pesa ben 800 tonnellate, la sua parte superiore è stata completamente squadrata.
Numerose sono le ipotesi avanzate per questa straordinaria ed unica struttura. Si pensa che il monumento sia stato scolpito per commemorare la creazione del lago Masuda, che era un tempo situato nelle vicinanze e che ora non è visibile in quanto prosciugato e parte della città di Kashiwara. Alcuni studiosi, però, hanno suggerito che la nave di pietra di Masuda sia, in realtà, una tomba incompiuta oppure un osservatorio astronomico.
La linea di cresta della parte superiore della nave di pietra di Masuda corre parallela alla cresta della montagna di Asuka ed è allineata con il tramonto in un determinato giorno dell'anno, all'inizio della primavera, importante nel calendario agricolo giapponese basato sui cicli della luna.

Trovato un altro "henge" in Inghilterra

Il cercio di pietre scoperto nel Kent visto dall'alto
(Foto: Ancient-Origins)
In Inghilterra gli archeologi hanno riportato alla luce un antico cerchio di pietre neolitico nel Kent. La struttura era probabilmente utilizzata come complesso funerario durante l'Età del Bronzo, durante la quale venne aggiunto anche l'anello più interno. Il monumento, secondo i ricercatori, è molto simile a Stonehenge.
La scoperta è opera del Dottor Paul Wilkinson e degli archeologi da lui diretti, che hanno indagato un'area destinata all'edificazione di un complesso residenziale a Iwade Meadows, nel Kent. I ricercatori si sono serviti anche di droni per effettuare riprese e fotografie aeree.
Il cerchio di pietre misura trenta metri di diametro e si trova in una posizione che permetteva, quando venne edificato, di guardare all'estuario dello Swale e oltre l'isola di Sheppey. La struttura del complesso litico è formata da due anelli di pietra, quello esterno con un ingresso rivolto a nordest. L'anello interno, invece, venne aggiunto nell'Età del Bronzo e il Dottor Wilkinson ritiene che sia stato utilizzato come una sorta di via sacra percorsa da un corteo che doveva dirigersi verso un importate luogo cerimoniale. Gli archeologi ritengono, tuttavia, che l'utilizzo del cerchio di pietre sia cambiato nel corso dei millenni.
Le prove finora raccolte portano a ritenere che il cerchio esterno sia stato edificato nel Neolitico e poi trasformato, nell'Età del Bronzo, in monumento funerario con l'aggiunta del cerchio interno. Accanto all'anello esterno si trova un secondo monumento più piccolo, forse un tumulo secondario dell'Età del Bronzo, nel quale, però, non sono stati rinvenuti resti umani. Gli archeologi hanno anche ritrovato una serie di pozzi, accanto al cerchio di pietre, opere che stanno a dimostrare che la zona in cui sorge il cerchio di pietre era frequentata ancor prima che sorgesse quest'ultimo.

Misteriosi riti bruzi a Kaulonia

Il mosaico del drago scoperto nell'antica Kaulonia
(Foto: Il Sole 24 Ore)
Eccezionale e recente scoperta nell'antica Kaulonia, colonia magnogreca che sorgeva nell'attuale territorio del comune di Monasterace, in provincia di Reggio Calabria. In un edificio termale ellenistico del IV secolo a.C., trasformato in statuario nel III secolo a.C., gli archeologi guidati dal Dottor Francesco Cuteri e dalla Dottoressa Maria Teresa Iannelli, quest'ultima della Soprintendenza Archeologica della Calabria, hanno individuato ben venti buche votive risalenti al III secolo a.C.. Nelle buche erano state deposte falangi umane, monete e ossa animali.
Questi depositi votivi, secondo gli archeologi, sono opera dei Bruzi o Brettii, una popolazione italica che, arrivata dal centro Italia, abitò la Calabria e la cui capitale era l'attuale Cosenza. I Bruzi erano, un tempo, schiavi dei Lucani che, ribellatisi ai loro padroni, riuscirono a guadagnare la libertà emigrando verso sud.
Una delle fosse votive recentemente scoperte a Kaulonia
(Foto: Il Sole 24 Ore)
Furono i Bruzi, intorno al III secolo a.C., a trasformare le vecchie terme di età greca, in cui l'acqua aveva una funzione sacrale di importanza eccezionale, in un luogo cultuale. Nell'antico luogo già consacrato dai Greci, i Bruzi presero a celebrare i loro riti. Un luogo, quello appena rinvenuto, che non ha paragoni in tutto il Meridione.
L'individuazione del luogo è il frutto di un lavoro certosino partito alcuni anni fa, quando fu rinvenuto un mosaico raffigurante un drago, il più grande tra i mosaici tornati alla luce in Magna Grecia. Nella stessa campagna di scavi che permise il rinvenimento di questo mosaico, venne scoperto anche un vaso contenente una falange umana e due monete combuste, che gli archeologi compresero pertinente un rito religioso.
Le buche votive risalgono al periodo in cui i Bruzi erano alleati di Annibale durante la Guerra Annibalica. Sul significato dei riti legati a queste fosse votive, gli archeologi non si pronunciano, in attesa di ulteriori e più approfondite analisi dei reperti all'interno di esse rinvenuti. L'unica cosa che può dirsi con certezza è che le ossa umane rinvenute non presentano segni di traumi. Forse si tratta di reliquie di avi offerte in omaggio alle divinità.

Sorprese dagli scavi di Carsulae

Archeologi al lavoro a Carsulae
(Foto: Il Messaggero-Umbria)
Le rovine della città di Carsulae stanno offrendo agli archeologi nuove prospettive. Si è conclusa la terza campagna di scavo nel quartiere nordest del sito della cittadina, che ha permesso di raddoppiare la superficie sulla quale quest'ultima si estendeva.
In particolare sono tornate alla luce diverse murature pertinenti, pensano gli archeologi, alle botteghe ed ai negozi di età augustea che si affacciavano sulla via Flaminia. Sicuramente, però, la scoperta più interessante e importante è quella che riguarda una strada finora sconosciuta, delimitata da due cordoli che dividevano la parte percorribile da parte dei carri dalla parte riservata al passaggio dei pedoni. Quest'ultima era lastricata da grandi lastre in travertino. La strada era stata tagliata e collegata con alcuni ambienti. Gli archeologi la collocano, temporalmente parlando, al II-I secolo a.C., mentre gli ambienti ai quali è collegata sono di epoca augustea (I secolo d.C.).
Questa eccezionale scoperta porta a pensare che l'area di Carsulae abbia subito, in età augustea, un importante riordino urbanistico che ne ha modificato l'aspetto. Le operazioni di scavo sono state finanziate dalla Fondazione Carit ed hanno impegnato gli studenti delle Università della Tuscia e di Perugia unitamente ai loro colleghi dell'Università di Sidney.
Tratto della Flaminia all'interno
dell'area archeologica di Carsulae
La campagna di scavi precedente all'attuale aveva riportato alla luce, oltre a strutture anch'esse sconosciute, una maschera teatrale in marmo, bronzi, monete e ceramiche, queste ultime prodotte in una piccola fornace di età augustea. La maschera teatrale è in fase di restauro da parte della Soprintendenza di Perugia ed era stata utilizzata come tamponatura in epoca tardo imperiale.
L'attuale campagna ha restituito anche le tessere rosa su sfondo bianco di un prezioso mosaico lungo almeno due metri. Il mosaico presenta anche delle figure non ancora ben leggibili, poiché ricoperte dalle concrezioni di calcio, che gli archeologi credono essere dei mostri marini che adornavano il pavimento delle antiche terme. Si tratterebbe delle stesse decorazioni menzionate in una lettera al papa del 1783 quando, molto probabilmente, le terme erano ancora visibili. Oltre al mosaico i ricercatori stanno riportando lentamente alla luce le fornaci (almeno cinque e di grandezza considerevole) in cui si ardeva la legna per riscaldare gli ambienti termali.
Le antiche terme si trovavano all'interno dell'area sacra con funzione probabilmente curativa. Si ritiene fossero riservate alle donne, dal momento che quanto è stato finora ritrovato all'interno dell'area da esse occupata è riferibile al mondo femminile: fermagli per capelli in osso, monete, frammenti di vetri di quelli che dovevano essere unguentari, un braccio in miniatura riferibile ad un oggetto votivo in bronzo.

sabato 23 agosto 2014

Un mosaico per la villa romana del Gloucestershire

Gli archeologi al lavoro nella villa di Chedworth
(Foto: Gloucestershire Echo)
Entusiasmo degli archeologi inglesi per una scoperta eccezionale del passato romano del Gloucestershire. E' stato riportato alla luce, nella villa romana di Chedworth, un mosaico romano. Responsabile dello scavo che ha portato alla straordinaria scoperta, il Dottor Martin Papworth.
Il mosaico è stata una vera sorpresa per i ricercatori. In precedenza il sito era stato scavato da Sir Ian Richmond, nel 1960, il quale non aveva lasciato memoria di alcun pavimento a mosaico. Il suo assistente, interpellato dagli archeologi che stanno effettuando gli scavi, ha dichiarato che lo scavo di allora si era concentrato solo sul tracciato delle mura romane.
Il mosaico si trova in quella che un tempo era una grande sala per ricevimenti nell'ala nord della villa. La sua scoperta permette agli archeologi di farsi un'idea precisa dell'ampiezza di questa sala. Lo scavo attuale fa parte di un progetto che è partito lo scorso anno e della durata di cinque anni. 

Proseguono i ritrovamenti a Despotiko

Frammento di acroterio da Dispotiko (Foto: TOC)
Gli scavi sulla disabitata isola di Despotiko, ad ovest di Antiparos, hanno restituito reperti molto importanti per tracciare la topografia e l'organizzazione spaziale del santuario di Apollo che sorgeva nell'area di Mandra.
Negli ultimi 17 anni l'archeologo Giorgos Kouragios ha condotto a Despotiko un'indagine sistematica che ha rivelato l'esistenza di un grande e ricco santuario arcaico, fondato probabilmente dagli abitanti dell'isola di Paros. Il centro di culto era protetto da un cortile che conteneva un tempio di marmo le cui colonne erano alte circa 7 metri. Accanto a questa zona vi era l'altare rituale. Gli ultimi scavi hanno individuato, accanto all'ingresso del santuario, un nuovo grande edificio che si va ad aggiungere ai dodici precedentemente individuati ed ai cinque che sono stati scavati sull'isolotto di Tsimintiri che, nel periodo arcaico, era collegato con Despotiko.
Frammento di statua di kouros arcaico (Foto: To Vima)
Lo scavo di questo nuovo grande edificio non è stato ancora completato, ma è stato subito chiaro che la sua pianta doveva essere piuttosto complessa, con almeno cinque stanze. L'identificazione del palazzo conferma la continuità di funzionamento del santuario nel tempo e l'organizzazione complessa di quest'ultimo, indice di una frequentazione costante nel corso dei secoli.
L'edificio arcaico denominato D è uno degli edifici più importanti del complesso templare, realizzato interamente in marmo, come di marmo sono le sue colonne. Al di sotto di questo ricco edificio sono state rintracciate le fondamenta di un edificio precedente contenente una gran quantità di ceramiche del Periodo Geometrico, unitamente ad una gran quantità di ossa di animali bruciati (cavalli, suini, ovini, caprini, uccelli).
Questi ritrovamenti provato che la pratica religiosa, all'interno del santuario, era già viva nel IX secolo a.C.. Ad ovest dell'edificio D sono stati rinvenuti vasti depositi di oggetti che sono stati studiati nel 2013. Gli scavi di quest'anno hanno rivelato tegole arcaiche appartenenti ad un tetto, tegole in argilla che coronavano il tetto dell'edificio, figurine di animali, un rhyton a forma di testa di leone, oggetti in bronzo, gioielli e vasi con iscrizioni dedicatorie ad Apollo. Sono stati anche recuperati i resti di una statua raffigurante un kouros arcaico che vanno ad aggiungersi ai 65 altri pezzi relativi a diverse sculture, tra i quali il dito di una statua che doveva essere colossale e che era, probabilmente, la statua di culto.

Il più antico reperto in metallo del Medio Oriente

Il punteruolo in rame ritrovato in Israele (Foto: University of Haifa)
Uno dei più antichi oggetti metallici ritrovati, finora, in Medio Oriente. Si tratta di un punteruolo in rame scoperto durante gli scavi a Tel Tsaf, secondo i ricercatori dell'Istituto di Archeologia di Zinman e del Dipartimento di Archeologia dell'Università di Haifa.
Secondo uno studio quest'oggetto risale al VI millennio o agli inizi del V millennio a.C.. Tel Tsaf è un villaggio dell'Era Calcolitica datato al 5200-4600 a.C., situato vicino al fiume Giordano, ai confini con la Giordania. Il sito venne scavato la prima volta nel 1950 e gli scavi, allora, si protrassero fino al 1970. Fin da questi primi scavi la zona si è rivelata di estrema importanza, fornendo agli archeologi una quantità di informazioni e di resti preziosi.
L'ultimo, in ordine di tempo, progetto di scavo è stato guidato dal Professor Danny Rosenberg, dell'Università di Haifa, in collaborazione con il Dottor Florian Klimscha, del Dipartimento Eurasia dell'Istituto Archeologico Germanico di Berlino. I ricercatori hanno potuto confermare la grande prosperità di cui godeva la comunità che qui abitava, prosperità data dai legami commerciali intessuti con le località vicine ma anche quelle più lontane. Ne sono esempio i ritrovamenti di grandi edifici in mattoni crudi e il gran numero di silos ritrovati, utilizzati per lo stoccaggio di orzo e grano.
Nei cortili delle case, inoltre, sono stati recuperati resti di ossa di animali bruciati, testimonianza dello svolgimento di diversi riti cerimoniali, ed alcuni reperti tra i quali oggetti di ossidiana, un vetro vulcanico proveniente dall'Anatolia e dall'Armenia, conchiglie dal Nilo e da altre aree del Mediterraneo, figurine di uomini e animali.
Gli scavi di Tel Tsaf (Foto: Yosef Garfinkel)
La scoperta più importante, però, rimane questo punteruolo in rame di 4 centimetri di lunghezza e di un millimetro di spessore, fissato ad un manico di legno ritrovato in una tomba sigillata in cui era stata sepolta una donna di circa 40 anni. La tomba era stata scavata in un silos. Attorno ai fianchi della defunta è stata rinvenuta una cintura formata da 1.668 conchiglie ricavate dalle uova dello struzzo. La sepoltura era stata ricoperta con diverse pietre di grandi dimensioni. L'elevato status sociale della donna è testimoniato dal luogo stesso della sua sepoltura: l'interno del silos.
Il punteruolo, seppellito con la defunta, fungeva forse da offerta a quest'ultima ma poteva esserle anche appartenuto quando era in vita. Finora gli archeologi ritenevano che i residenti nell'area avessero iniziato a utilizzare i metalli solo nel Tardo Calcolitico (seconda metà del V millennio a.C.), il punteruolo sposta indietro il limite temporale finora creduto assodato. L'esame chimico del rame in cui è stato forgiato il punteruolo ha dimostrato che esso proviene dal Caucaso, a circa 1.000 chilometri di distanza da Tel Tsaf. Questo dimostra l'esistenza di saldi legami commerciali a lunga distanza dalla comunità che abitava il villaggio. Gli archeologi sono ancora in dubbio sugli usi a cui poteva essere destinato il punteruolo.

Terminato lo scavo di un'importate tomba a Corinto

Il sarcofago di calcare ritrovato a Corinto
(Foto: American School of Classical Studies)
Gli archeologi che stanno lavorando agli scavi dell'antica città greca di Corinto hanno terminato di esplorare e riportare alla luce una tomba risalente a 2800 anni fa, contenente ceramica decorata con motivi a zig zag. La tomba venne edificata tra l'800 e il 760 a.C., quando Corinto era tra le maggiori città-stato greche e mandava i suoi coloni ad occupare le coste del Mediterraneo.
La sepoltura conteneva un sarcofago in pietra calcarea di circa 1,76 metri di lunghezza per 0,86 di ampiezza che, una volta aperto, ha mostrato i resti di un solo individuo qui sepolto, di cui rimangono solo pochi frammenti di ossa.
Uno dei vasi in ceramica scoperti
(Foto: American School of Classical Studies)
I ricercatori hanno trovato anche diversi pezzi di vasellame in ceramica attorno al sarcofago. La sepoltura conteneva anche una nicchia che ospitava 13 vasi quasi integri. Il grado sociale ricoperto in vita dal defunto è indicato proprio dal numero e dalla qualità del vasellame che lo ha accompagnato nell'ultimo viaggio. Al di fuori di due vasi importati da Atene, tutti gli altri erano di fabbricazione locale. Questi erano decorati con una varietà di disegni comprendenti, onde e linee a zig zag. Questi motivi erano molto popolari all'epoca della costruzione della tomba e si riferiscono a quello che gli archeologi chiamano Periodo Geometrico Greco.
Diversi secoli dopo la costruzione di questa sepoltura, in età romana, la tomba fu in parte distrutta dall'edificazione di un muro. Quando gli archeologi hanno riportato alla luce questo muro hanno scoperto anche una colonna in pietra calcarea che, originariamente, doveva servire come segnacolo per la tomba.
Nel 747 a.C., pochi decenni dopo la costruzione della tomba appena ritrovata, un gruppo di governanti, soprannominati Bacchiadi, presero il potere a Corinto. Costoro promossero la fondazione di colonie nell'attuale Sicilia ed a Corfù, contribuendo, in questo modo, all'incremento del commercio di Corinto e alla sua prosperità. Una volta che queste colonie furono ben avviate, Corinto, grazie alla sua posizione favorevole, divenne il più importante centro commerciale tra le colonie e la madrepatria greca. I prodotti di Corinto, incluse la caratteristica ed elegante ceramica, furono commercializzati in tutto il Mediterraneo.
La tomba venne individuata nel 2006 durante gli scavi dell'American School of Classical Studies. Nello stesso anno vennero ritrovate altre quattro sepolture accanto a questa.

Ritrovata moneta d'oro romana in Svezia

I resti degli abitanti massacrati nel forte di Sandby Borg
(Foto: NBC News)
Gli archeologi svedesi hanno ritrovato una rara moneta d'oro dell'antica Roma che potrebbe, a loro parere, offrire la chiave di interpretazione di parte della loro storia. La moneta è stata rinvenuta sull'isola di Oland, che è stata da molti assimilata alla città di Pompei.
Una piccola squadra di archeologi del museo della contea di Kalmar, in collaborazione con l'Università di Lund, ha condotto, negli ultimi tre anni, scavi ad Oland. Gli studiosi stanno indagando sul Periodo delle Migrazioni nella storia scandinava, periodo che va dal 400 al 550 d.C.
Le monete ritrovate sono diverse, ma quella scoperta di recente è davvero eccezionale. Si tratta della prima del suo genere nel contesto archeologico di un villaggio dove molte persone, in un dato momento storico, furono trucidate. La moneta, in oro e di dimensioni ridotte, nota come solido, risale all'impero romano e potrebbe essere un importante pezzo del puzzle che si sta componendo sulla storia svedese. Gli archeologi ritengono che proprio monete d'oro come questa siano alla base del massacro al forte di Sandby Borg. Quella rinvenuta potrebbe essere sfuggita inavvertitamente al saccheggio che seguì al massacro.
Il solidus ritrovato nell'isola di Oland (Foto: Museiarkeologi sydost)
I soldati dell'impero romano guadagnavano, ogni anno, approssimativamente 5 solidi ed il valore di ciascun solido era pari, grosso modo, a quello di una Volvo nuova. Il denaro custodito nella cosiddetta Pompei svedese, secondo gli archeologi, era un ottimo motivo per mettere fine all'insediamento fortificato che qui sorgeva. Circa 1500 anni dopo il massacro del forte di Sandby Borg si conservava ancora la memoria di quello che qui era accaduto e questa località era considerata maledetta e pericolosa. Gli abitanti del circondario avevano perso memoria degli eventi che vi erano accaduti, ma ricordavano bene, invece, l'aura di pericolosità che circondava il luogo.
Nel 2013 gli archeologi hanno ritrovato, sull'isola di Oland, all'interno di un'abitazione, i resti di cinque individui morti violentemente e lasciati là dove erano caduti. I resti risalgono al Periodo delle Migrazioni, quando le locali tribù si spostarono fuori dalla Scandinavia e da altre aree del nord Europa verso l'Impero Romano allora in decadenza, e costituiscono, finora, un unicum. I ricercatori hanno raccolto, lo scorso anno, centinaia di altri resti insepolti di persone uccise durante un'incursione ben pianificata all'interno del forte di Sundby Borg.
La moneta ritrovata sarà presto visibile nel museo di Kalmar, unitamente ad altri reperti provenienti dall'area.

Riemerge Lagunita, città dimenticata nella giungla

L'enorme porta di Lagunita (Foto: Ivan Sprajc)
Dalla giungla messicana sono emersi i resti di un'antica città maya, si tratta, tra gli altri imponenti resti, di una porta d'ingresso a forma di mostruosa bocca, un tempio piramidale piuttosto danneggiato ed i resti di un palazzo. Il ritrovamento è stato fatto nella parte sudorientale dello stato messicano di Campeche, nel cuore della penisola dello Yucatan. La città era nascosta dalla folta vegetazione e difficilmente accessibile. Ad aiutare la localizzazione, le fotografie aeree. La scoperta è stata fatta dalla spedizione archeologica capeggiata da Ivan Sparjc, del Centro di Ricerche dell'Accademia Slovena di Scienze ed Arti.
Sprajc e la sua squadra hanno ritrovato questi imponenti resti durante un'ulteriore esplorazione dell'area intorno Chactun, una grande città maya scoperta dagli archeologi Sloveni nel 2013. Sia Chactun che la città appena scoperta, presentano un interessante stile architettonico, sviluppatosi durante il tardo e l'ultimo periodo classico, tra il 600 e il 1000 d.C.
La città appena riscoperta venne esplorata per la prima volta negli anni '70 del secolo scorso dall'archeologo americano Eric Von Euw, che documentò la porta d'ingresso al sito a forma di bocca spalancata ed altre pietre monumentali con alcuni disegni non pubblicati in precedenza. Malgrado questo, l'esatta dislocazione della città, che Von Euw chiamò Lagunita, rimase un mistero e tutti i tentativi di individuarla fallirono. Le informazioni riportate da Von Euw erano vaghe e praticamente inutili.
Una stele inscritta da Lagunita (Foto: Ivan Sprajc)
Lagunita venne identificata solo quando gli archeologi compararono i nuovi ritrovamenti con i disegni lasciati da Von Euw. La facciata di edificio con l'apertura a forma di grande bocca è così diventata l'esempio meglio conservato di questo tipo di porta, che è molto simile allo stile architettonico del periodo tardo e finale della vicina regione del Rio Bec.
Questa enorme porta a forma di bocca spalancata rappresenta la divinità maya della terra, collegata alla fertilità. L'ingresso era una sorta di simbolico accesso al mondo sotterraneo, luogo originale da cui erano emersi gli antenati.
Sprajc ha ritrovato anche i resti di grandi edifici di forma palaziale, che circondavano la piazza principale. La città ospitava anche una piramide e una decina di stele in pietra, tre basse pietre circolari che fungevano da altare, rilievi scolpiti ben conservati e iscrizioni geroglifiche.
Secondo una prima analisi operata dall'epigrafista Octavio Esparza Olguin, della National Autonomous University del Messico, una delle stele è stata incisa nel novembre del 711 d.C.. Sfortunatamente quanto rimane del testo, che comprende il nome del governatore del tempo e, forse, quello di sua moglie, sono stati erosi gravemente.
L'imboccatura di un pozzo-cisterna a Tamchen (Foto: Ivan Sprajc)
Lagunita, a giudicare dai reperti rimasti, doveva essere una città piuttosto importante, con stretti rapporti commerciali e politici con la vicina e più grande Chactun, distante solo 10 chilometri a nord. Rovine altrettanto grandiose sono quelle di un'altra città scavata da Sprajc, precedentemente sconosciuta ma successivamente identificata come Tamchen, che vuol dire "pozzo profondo", situata nello Yucatan abitato dai Maya. Qui sono stati individuati più di 30 chultuns: si tratta di camere sotterranee, una sorta di riserve dove immagazzinare l'acqua piovana.
Al pari di Lagunita, anche Tamchen aveva delle piazze circondate da edifici su tutti i lati. Sono stati anche identificati i resti di un'acropoli sulla quale era stato costruito un grande cortile contenente tre templi. Tamchen sembra essere stata contemporanea di Lagunita, anche se le prove della sua esistenza rimandano al tardo periodo preclassico, tra il 300 a.C. e il 250 d.C.
Entrambe le città, Lagunita e Tamchen, aprono il dibattito sulla presenza di diversità civili e sociali all'interno della cultura maya e sul ruolo di queste estese aree finora inesplorate nella storia di questa popolazione. Le campagne di scavi dal 1996 a quest'anno sono state sempre guidate da Sprajc e supportate dall'Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (Inah) del Messico.

Le prove di un terremoto nell'anti Kourion

Il Dipartimento delle Antichità cipriote ha annunciato il completamento della stagione di scavi 2014, diretti dal Dottor Thomas W. Davis, dell'Istituto Tandy per l'Archeologia al South Baptist Theological Seminary di Fort Worth, in Texas.
Gli scavi, quest'anno, hanno permesso di recuperare i resti di alcune vittime di un terremoto che distrusse Kourion nel IV secolo d.C.. Le analisi hanno indicato che i resti appartenevano a due adulti, ad un ragazzo e ad un bambino. Costoro sono stati ritrovati tutti insieme, lo scheletro del bambino è stato ritrovato sotto le ossa del braccio destro di uno degli adulti. I corpi sono stati letteralmente schiacciati ed alcune ossa sono state ritrovate al di sotto delle parti crollate di un edificio che si presume fosse la loro abitazione.
Gli scavi all'interno dell'edificio hanno restituito una serie di oggetti, alcuni dei quali di importazione, tra i quali una sorta di lastra di vetro ricavata da più pezzi di vetro giallo fusi insieme. Questo materiale è stato realizzato in Egitto e, prima di ora, è stato rinvenuto nei cimiteri copti.

venerdì 15 agosto 2014

Scoperte terme romane in Georgia

Gli scavi alle terme romane scoperte in Georgia
(Foto: R. Karasiewicz-Szczypiorski)
Un gruppo di archeologi polacchi ha riportato alla luce a Gonio, a sud di Batumi, in Georgia, dei balnea costruiti e utilizzati dall'esercito romano circa duemila anni fa. La scoperta è avvenuta durante gli scavi all'interno dell'antico fortilizio di Apsaros, costruito dai Romani nel I secolo d.C.. Vicino alla fortezza corre una strada che dalla Georgia occidentale (antica Colchide) portava alle provincie romane dell'Asia Minore.
In generale le terme costruite per i militari non erano lussuose, ma queste appena scoperte in Georgia aveva pavimenti musivi, almeno nel frigidarium, l'ambiente finora esplorato. Un'altra sorpresa per gli archeologi è stata la datazione dei balnea, che dalle strutture sembra potersi fissare al II-III secolo d.C.. Questi balnea sono la prova della presenza precoce dei Romani nella zona.
Gli scavi a Gonio sono svolti dall'Istituto di Archeologia e dal Centro di Archeologia del Mediterraneo dell'Università di Varsavia in collaborazione con il locale museo. Gli scavi proseguiranno per altri due anni in modo da riportare alla luce l'intero complesso termale.

Ritrovata la tomba di Alessandro Magno?

La sepoltura regale trovata ad Anfipoli
(Foto: Intime News)
Gli archeologi hanno scoperto, in Grecia, una tomba molto grande risalente al regno di Alessandro Magno (IV secolo a.C.). Sono corse molte voci che vogliono che nella tomba sia stato seppellito proprio il corpo del grande macedone, sicuramente si tratta del luogo dell'ultimo riposo di un personaggio molto importante del regno macedone.
La sepoltura è caratterizzata da due grandi sfingi e da pareti affrescate e si trova nella parte nordorientale della Macedonia. Un funzionario del Ministero della Cultura ha affermato che non vi è ancora alcuna prova evidente che colleghi la tomba ad Alessandro Magno, morto nel 323 a.C. dopo la conquista di gran parte del Medio Oriente, dell'Asia e del nord Africa.
La località di Anfipoli, dove è stata fatta la scoperta archeologica, dista 100 chilometri da Salonicco, la seconda città più grande della Grecia. Gli archeologi hanno cominciato a scavare il sito dal 2012 e pensano di poter accedere alla camera sepolcrale entro fine agosto. Questo, molto probabilmente, li porterà ad accertare chi vi è stato realmente sepolto.
Le sfingi che caratterizzano la sepoltura furono probabilmente poste a guardia dell'ingresso. E' stata anche liberata una strada di circa 4,5 metri di larghezza che porta alla tomba. Gli archeologi ritengono che anche una scultura che raffigura un leone, alta cinque metri, un tempo sorgeva sulla tomba.

Emerge un'antica necropoli in Sudan

Le sepolture ritrovate in Sudan (Foto: Progetto Archeologico
Berbero-Abidiya)
Scoperto un antico cimitero con tombe sotterranee in Sudan, nei pressi del Nilo. Nelle sepolture gli archeologi hanno ritrovato diversi artefatti, un anello d'argento con incisa l'immagine di una divinità, una scatola in ceramica decorata con grandi occhi che, forse, dovevano proteggere dal malocchio.
Il cimitero è stato scoperto accidentalmente nel 2002, durante gli scavi di un fosso vicino al moderno villaggio di Dangeil. Da allora sono iniziati gli scavi archeologici. La necropoli risale al regno di Kush, che aveva la sua capitale in Meroe. Kush controllava un territorio molto vasto e venne governato, a volte, anche da regine. Sebbene i kushiti usassero costruire diverse piramidi, la necropoli che sta emergendo non contiene strutture simili.
La scatola con i grandi occhi ritrovata nella necropoli
sudanese (Foto: Progetto archeologico Berbero Abidiya)
La tradizione funeraria dei kushiti dimostra che essi credevano nella vita dopo la morte, dal momento che usavano deporre, nelle sepolture, alimenti e vasellame vario. Tra quest'ultimo vi erano alcuni grandi vasi per la birra di sorgo. L'anello ritrovato in una di queste tombe sotterranee è ora custodito in un museo. La divinità raffigurata è Amon che, nel regno di Kush, è spesso raffigurato con testa di ariete. Un tempio dedicato a questo dio si trova a Dangeil. Gli antichi funzionari usavano anelli come quello ritrovato come sigilli, ma finora sono stati rari i ritrovamenti di anelli d'argento.
Tra i reperti vi è anche una scatola di faience decorata con degli udjat, degli occhi, a protezione contro il malocchio e sette coppe collegate tra loro: sei ciotole circondano una ciotola che si trova nel mezzo. Queste ciotole erano utilizzate generalmente per il cibo.
Una delle sepolture della necropoli ha restituito punte di freccia ed i resti di un uomo che indossa un anello di pietra sul pollice, probabilmente un arciere. Il tiro con l'arco era un'attività molto importante nella società kushita: re e regine di Kush erano spesso raffigurati con anelli di pietra ai pollici, anelli che servivano per tendere la corda degli archi. Il dio kushita Apedemak, divinità guerriera con testa di leone, è raffigurato nell'atto di tirare con l'arco.

lunedì 11 agosto 2014

Continuano gli scavi italiani in Iraq

Il sito archeologico di Abu Tbeirah, in Iraq
Nell'antica città di Abu Tbeirah sta operando una missione archeologica italiana dell'Università La Sapienza di Roma. Il sito è praticamente intatto e sta restituendo un quadro archeologico estremamente interessante.
Della missione archeologica italiana fanno parate Francesca Alhaique, archeozoologa dell'Università della Tuscia (Viterbo), Franco D'Agostino, docente di Assiorologia dell'Università di Roma e direttore degli scavi, Licia Romano, vice direttore e field-director della missione ad Abu Tbeirah, Mary Anne Tafuri, antropologa del Dipartimento di Biologia Ambientale dell'Università di Roma.
Abu Tbeirah si estende su un tell di 43 ettari, divisa in due da un antico canale di cui sono visibili ancora le tracce. La città era tributaria di Ur, più celebre insediamento della bassa Mesopotamia, a cui era collegata per mezzo di un canale. Ur è famosa per essere considerata la patria di Abramo, il luogo dal quale il patriarca ebraico iniziò la sua peregrinazione verso Canaan.
L'ultima campagna di scavo ha meglio definito l'ambito cronologico e culturale di Abu Tbeirah. Gli archeologi parlano del III millennio a.C., nel momento di passaggio tra il Protodinastico III e l'epoca sargonica (2400-2150 a.C.). In questo periodo un sovrano semitico, Sargon (2335-2279 a.C.), partendo da Akkad riuscì a conquistare la bassa Mesopotamia, dove erano di stanza i Sumeri. Il suo impero dinastico durò circa due secoli.
Abu Tbeirah terminò la sua storia intorno al XXII secolo a.C.

Antichissimi reperti in Sud America

I reperti ritrovati nel sito di Kathu, in Sud America
Gli scavi archeologici nel sito di Kathu, nella provincia di Capo Nord nel Sud America, hanno permesso di recuperare decine di migliaia di manufatti risalenti all'età della pietra, tra questi delle asce. A scavare una squadra di archeologi dell'Università di Cape Town, del Sud Africa e dell'Università di Toronto, in collaborazione con il Museo McGregor di Kimberley, in Sud Africa.
Il sito di Kathu è uno dei più ricchi dal punto di vista di reperti archeologici dell'età della pietra. La sua età è stata stimata tra i 700.000 e un milione di anni fa. In realtà il sito di Kathu è un complesso formato da scavi vicini. Il sito di Kathu 1 ha restituito fossili di animali (elefanti ed ippopotami) nonché la prima prova di strumenti offensivi quali lance risalenti a mezzo milione di anni fa.
Gli archeologi pensano che Kathu fosse, un tempo, una località molto umida.

domenica 10 agosto 2014

Riemergono i resti della Battaglia delle Egadi

Il rostro recuperato nel Mar di Sicilia (Foto: La Repubblica.it)
Il recupero di un rostro in bronzo appartenente ad un'antica nave da guerra dal fondo del Mare di Sicilia, ha dato la certezza agli archeologi di aver scoperto il primo ed unico (finora) sito dove si era sicuramente svolta una battaglia navale.
Il rostro di bronzo era posto sulla prua delle antiche navi da guerre affondate nel 241 a.C. durante il primo conflitto tra Roma e Cartagine. Il rostro recuperato recentemente è l'undicesimo che giaceva sul fondo del mare di Sicilia. Il progetto, che si sta sviluppando nel mare delle Egadi, coinvolge la Soprintendenza del Mare della regione Sicilia e la RPM Nautical Foundation.
Il sito si estende su quasi 10 chilometri, ad una profondità di oltre 80 metri. A queste profondità il lavoro è condotto per mezzo di veicoli telecomandati e sistemi sonar controllati in superficie da una nave da ricerca.
La decorazione del rostro
(Foto: La Repubblica.it)
Il rostro recuperato si trova in buone condizioni e presenta numerosi chiodi e, al suo interno, delle parti in legno. E' stato ribattezzato "Egadi 10" ed è riemerso dall'area di mare posta a circa 7 chilometri ad ovest dell'isola di Levanzo, dove avvenne la Battaglia delle Egadi (10 marzo 241 a.C.) tra la flotta cartaginese di Annone e quella romana di Lutazio Catulo.
Gli undici rostri recuperati dal Mar di Sicilia sono del tipo a tridente e sono stati ritrovati tra il 2004 e il 2014 nel medesimo sito. Il nuovo rostro, che va ad aggiungersi agli altri dieci recuperati nelle precedenti campagne, è formato da un pezzo in bronzo, fuso con la tecnica della cera persa, che veniva inserito sull'intersezione delle porzioni terminali in legno della chiglia, delle cinte laterali e della struttura arcata del dritto di prua.
Il rostro è stato identificato come romano, grazie al confronto con due altri rostri recuperati nel 2012. E' ben visibile, infatti, la decorazione a rilievo raffigurante un elmo di tipo montefortino sormontato da tre piume. Al di sotto della decorazione si nasconde, forse, l'iscrizione latina con la certificato da parte del questore, ma al momento non è visibile.
La battaglia delle Egadi venne descritta da Polibio e da altri storici antichi. Essa conclude la lunga prima guerra punica e la vittoria romana fu dovuta all'audacia dell'ammiraglio romano Lutazio Catulo. In prossimità del limite meridionale e settentrionale della scogliera tra la Cala Calcare e Capo Grosso sono ancora presenti le vestigia romane in parte attribuibili alla battaglia delle Egadi. Si tratta, in particolare, dell'ancoraggio della flotta di Lutazio Catulo, vale a dire di numerosi ceppi d'ancora in piombo, localizzati sui fondali rocciosi tra i 20 e i 30 metri, a circa 100 metri dalla costa.

Azoria, la città ferma nel tempo

Il vasellame ritrovato ad Azoria e ricostruito dagli archeologi
(Foto: Azoria Project/unc.edu)
A Kavousi, sull'isola di Creta, sono ripresi gli scavi su una collina che domina la baia di Mirabello, quel mare che Omero definì "mare scuro come il vino". Gli archeologi di diverse Università americane, soprattutto da quella del North Carolina, stanno cercando un'antica città, le cui tracce si sono perse da tempo. Si tratta di Azoria, distrutta da un incendio 2500 anni fa.
Gli scavi, finora, non hanno ritrovato alcuna necropoli né scritte che possano restituire stralci di vita e di pensiero, per cui gli indizi per ricostruire la vita e le vicende di questa misteriosa città gli archeologi li devono ricercare nei resti degli edifici, negli oggetti personali ritrovati, negli attrezzi utilizzati dagli antichi abitanti e anche nei resti di cibo.
Gli scavi di Azoria (Foto: College.unc.edu)
Azoria sorgeva a 1.187 metri sul livello del mare, con una vista mozzafiato sul Mare Egeo e sui Monti Sitia. Finora sono stati scavati una serie di case e di edifici civili. A dirigere gli scavi è Donald Haggis, Professore di archeologia presso l'Università del North Carolina-Chapel Hill, un greco-americano che parla correntemente il greco ed ha ancora legami familiari con l'isola di Creta. Haggis ha condotto le sue prime ricerche qui da studente, nel 1988. Allora rimase letteralmente affascinato dall'idea di trovare la misteriosa Azoria.
Sia Haggis che la sua collaboratrice, Margaret Mook, della Iowa State University, sono convinti che le ceramiche ritrovate finora parlino di un sito molto più antico di quanto si è sempre creduto. Azoria era un piccolo centro con una popolazione stimata tra i 2.000 ed i 5.000 individui, sorta all'indomani della scomparsa della civiltà minoica. Per secoli la montagna dove sorse Azoria aveva ospitato comunità umane, che diedero vita ad una città vera e propria nel 630 a.C.
L'edificio civico di Azoria con i gradini lungo le pareti
(Foto: Archaiologia.gr)
Azoria venne distrutta da un violento incendio nel 480 a.C., conseguenza di un saccheggio. Da quel momento in poi se ne persero tracce e notizie. Gli scavi parlano di una città con una vivace vita pubblica: è stato ritrovato un edificio dove, con molta probabilità, si svolgevano dei syssitia, vale a dire dei pasti comuni. L'edificio possedeva sale per banchetti, cucine e magazzini nei quali sono stati trovati resti di uva, olive e cereali.
E' riemerso, anche, un edificio civico dalle proporzioni monumentali, con una grande sala e dei gradini - forse utilizzati come sedili - lungo tutte le pareti, costruito adiacente ad un santuario formato da due ambienti. Da questo santuario provengono delle piccole immagini di una divinità. L'edificio civile aveva anche un frantoio.
I reperti ritrovati durante gli scavi vengono portati nella vicina città costiera di Pacheia Ammos, dove l'Istituto per la Preistoria Egea e il Centro Studi Orientali di Creta possiedono un moderno edificio in cui si svolge lo scrupoloso lavoro di ricomposizione dei frammenti ritrovati.

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