mercoledì 31 ottobre 2012

Sovana, Dumas e il tesoro di San Mamiliano

Una delle monete del tesoro di San Mamiliano
Nel novembre del 2004, nella chiesa di San Mamiliano, un edificio sconsacrato del XII secolo che si affaccia sulla piazza principale di Sovana, gli scavi della Soprintendenza hanno individuato alcune sepolture rinascimentali, poste sotto il pavimento dell'edificio religioso. Il corredo di queste sepolture era piuttosto povero, fatto solo di medagliette, anelli, crocifissi e parti di rosari.
Al di sotto, però, dei saggi di scavo, gli archeologi hanno individuato i resti di un edificio termale di età romana e, più ancora in profondità, con grande sorpresa, è comparso un contenitore in ceramica pieno di monete d'oro. Tantissime monete d'oro, estratte una per una, con pazienza certosina, dalla terra che le aveva custodite per così tanto tempo. Ora quelle monete sono esposte al pubblico nel Nuovo Museo di San Mamiliano, a Sovana.
Il tesoro di Sovana - due chilogrammi in monete d'oro - è interamente costituito da solidi coniati nel V secolo d.C.. Il solido, all'epoca, rivestiva un valore notevole. La tipologia era quasi sempre la stessa: sul diritto l'immagine e il nome dell'imperatore, sul rovescio raffigurazioni simboliche.
Panorama di Sovana
Le monete ritrovate a Sovana coprono un periodo che va dal regno di Onorio (402-403 e 405-406) al secondo regno di Zenobia (476-491) e sono in tutto 498. Tra queste monete le più numerose sono quelle coniate a Costantinopoli, seguite dalle monete coniate a Roma, Milano e Ravenna. Pochi sono i pezzi provenienti da Tessalonica.
Una nota curiosa: Alexandre Dumas, studiando antichi documenti e raccogliendo favole e leggende, fu talmente preso dalla storia di questo tesoro che lo "adottò", trasformandolo nel tesoro del Conte nascosto sull'isola di Montecristo.
Ottanta pezzi di questo importantissimo tesoro, unitamente all'olla che lo conteneva, sono esposti nel Museo di San Mamiliano, a Sovana, allestito nella ex chiesa dove è avvenuto lo straordinario ritrovamento. Con le monete è possibile ammirare reperti ceramici del III-II secolo a.C..
La chiesa di San Mamiliano è la più antica di Sovana. Alcuni studiosi ritengono risalga al VI secolo d.C. e fu la prima sede vescovile della diocesi. In alcuni punti poggia su strutture ancora più antiche, edifici dismessi di epoca etrusco-romana. Altri ampliamenti furono effettuati entro il Duecento. L'edificio venne, però, abbandonato nei secoli successivi, a seguito soprattutto del trasferimento della cattedra vescovile presso il Duomo (cattedrale dei Santi Pietro e Paolo).
La chiesa è a navata unica con doppia area absidale, che rappresenta la parte più antica del periodo paleocristiano. Probabilmente doveva essere dotata anche di una cripta, sempre presente negli edifici dell'epoca, che doveva trovarsi nell'area sottostante alle due absidi. E' priva di copertura e le sue pareti sono in blocchi di tufo, nel cui basamento, in alcuni punti, presenta strutture etrusco-romane.
Secondo l'agiografia San Mamiliano fu vescovo di Palermo nel V secolo. Fu perseguitato dai vandali di Genserico ed esiliato a Cartagine, da dove riuscì a fuggire per ritirarsi sull'isola di Montecristo dove visse in eremitaggio fino alla morte.

martedì 30 ottobre 2012

Restituiti reperti al Messico

Statuetta in argilla, uno dei reperti restituiti al Messico
Più di 4.000 reperti archeologici trafugati dal Messico e sequestrati negli Stati Uniti, sono stati restituiti in uno di quelli che gli esperti affermano essere il più grande rimpatrio di reperti tra paesi confinanti.
Gli elementi sequestrati e restituiti risalgono ad un'epoca antecedente allo sbarco degli esploratori europei nel nord America e comprendono pietre utilizzate per macinare il grano, statue, asce di rame, frecce, archi da caccia, articoli tessili ben conservati quali sandali e pezzi di ceste
I sequestri sono stati effettuati a El Paso, Phoenix, Chicago, Denver, San Diego e San Antonio. La maggior parte dei reperti - tra i quali alcuni provenivano da un furto del 2008 in un museo di Città del Messico - si trovavano a Fort Stockton, una cittadina del Texas a circa 230 chilometri a sudest di El Paso.

lunedì 29 ottobre 2012

I Celti e le ossa umane

Uno degli scheletri ritrovati a Gordion
Gli antichi Celti praticavano omicidi "rituali", con l'esposizione di ingenti quantità di ossa umane, per intimorire i nemici ma anche coloro che governavano.
Alla morte di Alessandro Magno i Celti, originariamente mercenari, si stabilirono a Gordion, nell'attuale Turchia, governata, un tempo, da re Mida. Nel 240 a.C. Gordion risulta governata da un gruppo di Celti chiamati Galati. Di questi Celti sono giunti sino a noi case, ceramiche, pesi da telaio che hanno fornito informazioni importantissime sulle popolazioni celtiche di questo periodo storico.
Il ritrovamento più interessante, però, è stato un cimitero e le ossa ed i teschi di una dozzina tra uomini, donne e bambini, sparse un pò ovunque. Le successive sepolture di epoca romana, al contrario, sono ordinatamente disposte in bare e urne cinerarie. Il cranio di una donna di mezza età riporta i segni di tre colpi di martello. Il suo scheletro giaceva immediatamente sopra allo scheletro di una donna più giovane, incastrato tra due grosse pietre. Le ossa di due bambini erano state disposte in mezzo a loro. Un adolescente era stato, invece, decapitato e deposto assieme alle ossa di un cane. Le ossa più bizzarre sono quelle appartenenti a tre scheletri, mescolati tra di loro.
I Celti veneravano grandemente i teschi, raccoglievano le teste dei nemici per appenderle ai finimenti dei cavalli, sacrificavano criminali e nemici catturati per utilizzare le loro ossa al fine di predire il futuro. Gli studiosi pensano che le ossa delle vittime venivano appositamente lasciate esposte a chi viveva a Gordion, a mò di avvertimento sia per i nemici che per la popolazione. Le ossa ritrovate dagli archeologi finora confermano tutte la morte violenta degli individui ai quali appartenevano.

Gli avi degli tsunami

Il lago di Ginevra
Geologi dell'Università di Ginevra hanno scoperto le prove che circa 1500 anni fa il Lago Lemano (o Lago di Ginevra) creò uno tsunami alto 13 metri.
Nel 563 d.C. una enorme frana cadde dalle montagne che si trovano a 70 chilometri di distanza da Ginevra: la frana di Tauredunum. Questa frana cancellò, in men che non si dica, abitazioni e un fortino costruito sul lago. Il materiale roccioso precipitò nel lago di Ginevra spostando un'enorme massa d'acqua che diede vita ad una gigantesca onda che andò a frantumarsi contro la cinta muraria della città di Ginevra, provocando morte e distruzione.
Questo evento tragico è stato tramandato da due vescovi dell'epoca: Gregoire de Tours e San Mario di Avenches, i quali riferiscono che la base del monte Taurus franò improvvisamente durante una processione.
La conferma della veridicità di quanto affermato da queste fonti è stata trovata proprio in fondo al lago, dove è stato rilevato un vasto deposito di sedimenti, lungo 10 chilometri e largo 5, che comprende 9 miliardi di metri cubi di roccia con uno spessore di 5 metri. I campioni estratti hanno dato una data di formazione tra il 381 e il 612 d.C., periodo corrispondente con l'evento di Tauredunum.

domenica 28 ottobre 2012

Dove si svolse la battaglia di Hastings?

Il lato nord della collina di Caldbec dove si sarebbe realmente
svolta la battaglia di Hastings del 1066
Alcuni storici sostengono che il luogo in cui si è svolta la battaglia di Hastings (1066) non è quello che è attualmente ritenuto. La battaglia di Hastings portò alla conquista, da parte dei Normanni, della Gran Bretagna e fin da allora la storia ha ricordato l'evento collocandolo dove sorge ora la Battle Abbey, in un villaggio dell'est Sussex. Si pensa che siano stati uccisi circa 10.000 uomini, nello storico conflitto, ma sul luogo non sono mai stati ritrovati resti di questa battaglia.
Gli storici hanno deciso, anche per questo, di prendere in considerazione località differenti in cui potrebbe essersi svolta l'epica battaglia che portò alla vittoria di Guglielmo il Conquistatore ed alla morte di re Harold. Lo storico e scrittore John Grehan crede di aver trovato finalmente il campo di battaglia su una ripida collina, un miglio a nordovest di quello che finora si è ritenuto il campo di battaglia.
Si sa che re Harold radunò l'esercito inglese sulla collina di Caldbec, prima di avanzare verso la collina di Senlac (Battle Hill). Grehan, però, crede che re Harold non lasciò mai la sua posizione difensiva ed i Normanni finirono per vincere la battaglia. Grehan ha studiato documenti dell'epoca custoditi negli archivi nazionali ed ha raccolto le prove in un dossier che sembra essere piuttosto convincente.
Arazzo di Bayeux con la Battaglia di Hastings
Alcune testimonianze dirette sulla battaglia affermano che essa fu combattuta su un terreno ripido e non arato, circostanza che corrisponde perfettamente con la collina di Caldbec. La collina di Senlac, invece, aveva pendii dolci e coltivati. I Normanni eressero un tumulo di pietre, sul luogo dello scontro, per commemorare la vittoria. Questo tumulo era noto come Monte-joie, in francese. La vetta della collina di Caldbec è tuttora chiamata Mountjoy.
Una fonte inglese dell'epoca, John di Worcester, dichiarò che la battaglia venne combattuta a nove miglia da Hastings, la stessa distanza a cui è posta la collina di Caldbec rispetto ad Hastings, mentre la collina di Senlac dista 8 miglia da Hastings. Si pensa che re Harold abbia abbandonato la sua posizione sulla cima della collina per incontrare Guglielmo il Conquistatore in un luogo più in basso, una mossa tattica che non ha nessun senso, visto che lo avrebbe allontanato dalle sue truppe.
Grehan sostiene di aver anche individuato la fossa comune in cui furono sepolti i soldati caduti in battaglia: si tratta di un fosso ai piedi della collina di Caldbec. Se avesse ragione, dovrebbero essere riscritti tutti i libri di storia pubblicati nell'ultimo millennio. Si attende, ora, che vengano effettuati scavi e sopralluoghi che accertino le tesi esposte dallo storico.
Guglielmo il Conquistatore
Guglielmo il Conquistatore (1027-1087) era figlio di Roberto I di Normandia. L'inizio del suo regno, data la sua giovane età, fu piuttosto incerto e turbolento, ma egli riuscì, appena ventenne, a riportare presto la Normandia al prestigio di un tempo. Questo gli consentì di osare la spedizione che lo portò alla conquista dell'Inghilterra, dove venne incoronato re nell'Abbazia di Westminster (25 dicembre 1066) e rinominato il Conquistatore.
Harold II (1022-1066) era figlio di Godwin, conte di Wessex, una delle figure più importanti della corte inglese. Sua madre era Gythia Thorkelsdaettir, seconda moglie di Godwin, della quale è noto solo il nome. Harold era imparentato anche con il penultimo re anglosassone, Edoardo il Confessore, che aveva sposato sua sorella. In un primo momento pare abbia appoggiato la candidatura e le aspirazioni di Guglielmo per affermare, in seguito, che il re defunto gli aveva personalmente consegnato il potere. I nobili appoggiarono le ambizioni del nobile sassone rendendo insanabile la frattura con Guglielmo. Harold morì nella battaglia di Hastings, dove una freccia gli si conficcò nell'occhio. La sorte del cadavere di Harold è piuttosto discussa. Alcuni sostengono che Guglielmo si rifiutò di dargli sepoltura, altri affermano, invece, che Harold venne sepolto nell'Abbazia di Waltham, altri ancora che fu deposto nell'Abbazia di Battle mentre alcuni voglio che il suo corpo venne ricomposto (Harold era stato, infatti, fatto a pezzi e decapitato) e seppellito in riva al mare.
Arazzo di Bayeux, Harold II
Una versione abbastanza precisa dello scontro tra i due pretendenti al trono d'Inghilterra si ritrova nell'Arazzo di Bayeux, commissionato da Oddone vescovo di Bayeux, fratellastro di Guglielmo I. Gran parte dell'arazzo ritrae le battaglie e le schermaglie antecedenti alla battaglia ma l'arazzo riveste, comunque, un'importanza storiografica notevole perché, attraverso le sue immagini, si possono studiare le ambientazioni, avere informazioni sugli abiti e le armi dell'epoca, sulle imbarcazioni utilizzate negli approdi ed anche sulle località inglesi.
L'arazzo è un ricamo ad ago tracciato con fili di lana di otto colori differenti su una fascia di tela di lino grezzo, lunga 70 centimetri circa e larga 30. Fu probabilmente terminato in un periodo compreso tra il 1070 e il 1077 ed era destinato ad essere esposto nella cattedrale di Bayeux durante la festa annuale delle sante reliquie.
L'arazzo è stato sempre custodito nel palazzo vescovile di Bayeux. Per preservarlo dai vari eventi bellici succedutisi dalla sua confezione, è stato tenuto spesso nascosto.

Tracce di un'eclissi in una piramide in Messico

Il pavimento bruciato ritrovato dagli archeologi
Durante gli scavi archeologici nel sito di Panhu, nel comune di Tecozautla, in Messico, che aprirà presto le porte al pubblico, gli archeologi hanno ritrovato un pavimento in stucco annerito dal fuoco sul quale vi era la prova che l'edificio principale di Panhu, una piramide, fu sconsacrata circa 1350 anni fa.
La sconsacrazione della piramide di Panhu coincide con un evento astronomico, un'eclissi solare verificatasi il 3 agosto del 650 d.C., che gli abitanti hanno pensato essere l'annuncio di un cataclisma. Per quella antica società, l'eclissi era vista come un evento drammatico e definitivo, tanto che venne predisposta tutta una serie di sacrifici finalizzati a mantenere in vita il sole. Si credeva, infatti, che il sole nero (o sole infernale) imponesse loro di restituire al sole brillante la vita attraverso un sacrificio.
L'eclissi del 650 d.C. è stata interpretata come la fine di un ciclo e gli abitanti di Panhu hanno deciso di sconsacrare la piramide a nord e di scavare ed estrarre le offerte che erano state depositate al dio che ne era il titolare. Questa divinità era, probabilmente, il Vecchio Dio del Fuoco, conosciuto anche come Huehueteotl, Xiuhtecuhtli oppure, come era chiamato dagli Otomi, Otontecuhtlu. Sopra i resti della costruzione, gli abitanti di Panhu edificarono un'altra piramide, architettonicamente più vicina agli edifici del Periodo Tardo Classico (650-900 d.C.).
La città di Panhu, costruita in luogo pianeggiante, aveva fiorenti legami economici con le zone circostanti. Questi legami sono stati confermati dal ritrovamento di turchese, originario del Nuovo Messico, di giadeite proveniente dal Guatemala e di conchiglie pescate nel Golfo del Messico. Quest'area, secondo gli archeologi, è stata anche la culla di uno dei miti più importanti della cultura mesoamericana, quello del dio Serpente. Qui, infatti, il dio Huitzilopochtli sconfisse i suoi fratelli Centzohuiznahua e Coyolxauhqui.
La civiltà Otomi, che costruì e popolò Panhu, non diede un grande contributo alla cultura mesoamericana, la quale fu influenzata prevalentemente dalla civiltà Mexica.

sabato 27 ottobre 2012

Romani del Somerset

Scheletro rinvenuto nel
cimitero romano di Banwell
Nel Somerset, a Banwell, sono stati scoperti dei reperti descritti come i più importanti della regione. Tra i ritrovamenti, quello più importante riguarda un cimitero di età romana, contenente diverse sepolture e dal quale sono stati recuperati ben 9.000 pezzi di ceramica, spille di rame ed una moneta del regno di Costantino il Grande. Il cimitero riporta le prove del cambiamento dell'uso di cremare i cadaveri con quello di seppellirli.
Nell'area di Banwell, inoltre, sono state recuperate le prove dell'attività agricola durante l'Età del Ferro.
Per quel che riguarda il cimitero romano, gli archeologi pensano che sia collegato alla villa di un ricco proprietario terriero oppure ad un insediamento più vasto.
Un cucchiaio romano ritrovato a Banwell


Vichinghi del Galles

Lo scheletro vichingo di Llandbedrgoch
Gli archeologi hanno ritrovato lo scheletro di un vichingo a Llanbedrgoch, Anglesey, nel Galles. Questo ritrovamento forse consentirà di gettare nuova luce sulle interazioni tra le culture celtica, anglosassone e vichinga.
Lo scheletro si aggiunge ad un gruppo di cinque altri scheletri (due appartenenti ad adolescenti, due ad uomini adulti ed uno a una donna) scoperti tra il 1998 e il 1999. Per diverso tempo si è creduto fossero delle vittime di un'incursione vichinga dell'850 d.C., ma ora questa ipotesi è in fase di revisione.
Test condotti dalla dottoressa Katie Hemer, della Sheffield University, indicano che gli scheletri degli uomini adulti non appartenevano ad individui di Anglesey ma che avevano trascorso i loro primi anni di vita (almeno fino ai dieci anni), nel nordovest della Scozia o della Scandinavia.
Il sito di Llanbedrgoch è stato scoperto nel 1994, a conclusione di una serie di ritrovamenti fortuiti con il metal detector, tra i quali una moneta anglosassone di Cynethryt (787-797 d.C.), un centesimo di Wulfred di Canterbury (coniato nell'810 d.C.) e tre pesi di piombo di fattura vichinga. Gli scavi di quest'anno hanno permesso di recuperare manufatti del VII secolo in argento e bronzo che hanno suggerito agli archeologi la presenza di un'élite guerriera e il riutilizzo delle apparecchiature militari durante i periodi di conflitto.
Altri reperti rinvenuti nello scavo sono semilavorati in argento, scorie della lavorazione di quest'ultimo, un frammento di una moneta islamica, giunta attraverso le rotte commerciali che portarono i Vichinghi nel Mediterraneo ed oltre. Questi ritrovamenti confermano l'importanza di Llanbedrogoch come luogo di produzione e commercio di materie prime.

Nuovo tesoretto in Gran Bretagna

Busto forse di Antinoo
Cercatori di tesori dilettanti hanno scoperto, in Gran Bretagna, un tesoro di reperti romani, tra cui un busto che, forse, rappresenta l'amante di un imperatore romano, una spilla d'argento e d'oro raffigurante un delfino che salta e un pene formato di ossa di animali.
I manufatti risalgono ad un periodo compreso tra i 1600 e i 2000 anni fa, quando i Romani occupavano l'isola.
Nel busto ritrovato è stato identificato Antinoo, amante dell'imperatore romano Adriano divinizzato dopo la morte. Ne sono presenti, in Inghilterra, solo altri due esempi simili.

K'utz Chman, il primo re Maya

La sepoltura di K'utz Chman in Guatemala
In Guatemala gli archeologi hanno scoperto la tomba di un antico sovrano che, probabilmente, ha posto le basi della civiltà Maya più di duemila anni fa. Si tratterebbe di K'utz Chman, un sacerdote che si pensa abbia regnato intorno al 700 a.C.. Lo scavo è stato condotto ad Ab'aj Tak'alik, nella parte occidentale del Guatemala.
La tomba di K'utz Chman era ricca di gioielli di giada ed altri manufatti ed è la più antica sepoltura reale Maya ritrovata finora. K'utz Chman è stato, quasi certamente, una sorta di ponte che ha unito gli Olmechi e le culture Maya, conducendo i primi ad una pacifica assimilazione ai secondi. Introdusse per primo alcuni elementi distintivi della cultura Maya, come le piramidi a base quadrata e le rappresentazioni profilate dei componenti delle famiglie reali.
Bambole in ceramica ritrovate nella tomba
di K'utz Chman
La tomba è stata trovata a giugno, ma gli esperti hanno deciso di rivelare la notizia solo ora, in quanto hanno fatto approfondite indagini per verificare l'appartenenza a K'utz Chman. Non sono stati ritrovati resti umani, nella sepoltura, ma alcuni oggetti, datati al Carbonio14, hanno restituito una datazione tra il 770 e il 510 a.C.
Il Guatemala è costellato di rovine dell'antica civiltà Maya, che si estese fino all'Honduras ed al Messico centrale. L'impero degli Olmechi, invece, cessò di esistere intorno al 400 a.C., proprio a seguito dell'avvento e della progressiva espansione dell'impero Maya.
Il ciondolo a forma di testa di avvoltoio
Tra i gioielli ritrovati all'interno della tomba vi è una collana che reca un ciondolo a forma di testa di avvoltoio, il tutto in giada. L'avvoltoio rappresentava il potere e l'appartenenza ad un alto status economico, veniva solitamente conferita anche agli anziani più in vista. La presenza di oggetti in giada può aiutare gli studiosi a raccogliere indizi in merito alla produzione e al commercio di questa pietra preziosa.
K'utz Chman in lingua maya significa "nonno" Vulture.

Ciondoli neolitici in Spagna

La statuetta di Cal Sadurnì
Nel corso di uno scavo nella grotta di Can Sadurnì, l'Università di Barcellona (Studi e Ricerche della Preistoria) ha ritrovato il busto di una figurina umana in ceramica, con un braccio completo e la parte iniziale dell'altro. Si tratterebbe della statuetta preistorica più antica mai ritrovata finora in Catalogna, è stata datata a 6500 anni fa.
L'importanza del reperto sta nell'essere indicatore del punto di incontro di diverse comunità del Neolitico. La statuetta non è il primo reperto ritrovato nella grotta, dove gli studiosi stanno lavorando da ben 34 anni e dove è stata ritrovata la più antica testimonianza della produzione e del consumo della birra.
Cal Sadurnì potrebbe aver ospitato delle feste in cui sono stati consumati prodotti rari e dove si sono svolti antichi rituali di natura simbolica che hanno costituito un punto di unione tra le diverse comunità neolitiche. La figurina conserva solo il busto, il collo e il braccio destro. Raffigura chiaramente un essere umano, probabilmente di sesso maschile. Il frammento conservato è alto 8 centimetri e si pensa che la figura potesse essere complessivamente alta 16 o 18 centimetri.
Alla luce radente, la statuetta presenta due linee incise che sembrano voler rappresentare degli indumenti. Queste statuette, infatti, erano abbigliate come gli esseri umani e generalmente non recavano distinzioni sessuali, al punto che l'unico modo per determinarne l'appartenenza ad un sesso piuttosto che ad un altro è la presenza di seni. Proprio l'assenza di seni nella figurina ritrovata in Spagna fa pensare ad una statuetta maschile. Se confermata in via definitiva questa ipotesi, sarebbe una vera novità per la penisola Iberica, perché fino ad oggi più dell'80 per cento di simili rappresentazione, nel Mediterraneo europeo, si riferiscono a figure femminili.
Gli archeologi pensano che la statuetta che hanno ritrovato fosse stata fabbricata per essere portata al collo al pari di un ciondolo, oppure per essere collocata, appesa, all'interno della grotta in cui è stata ritrovata. Probabilmente la testa non si è conservata perché doveva essere mobile, intercambiabile, e veniva inserita nel collo, che si è conservato per intero. Del resto alcuni esempi di teste mobili, in terracotta o ceramica, sono stati ritrovati nei Balcani e nelle culture del Mediterraneo occidentale. Talvolta queste teste, piuttosto che in ceramica, erano forgiate in legno e questo spiega perché non ne siano state trovate molte.
Gli studiosi, esaminando il reperto, hanno dedotto che le braccia della statuetta erano tese in avanti in atteggiamento di offerta e che, probabilmente, le gambe erano piegate.

venerdì 26 ottobre 2012

Il Messico prima degli Aztechi

Uno degli idoli di Xaltocan
Il declino del popolo Otomì del Messico è una sorta di cold case antropologico. Nel XV secolo tutta la popolazione della città stato di Xaltocan era stata soppiantata dalla sempre più crescente cultura azteca.
Nel XV secolo l'attuale Messico era formato da città stato in guerra l'una con l'altra, ciascuna con una ben precisa identità culturale, diversa dalle altre. Nel 1428 molte di queste città stato si riunirono a formare una sorta di alleanza che diede vita all'impero azteco. Xaltocan, nel Messico centrale, fu tra le città stato che furono asimilate.
Alcuni documenti del XVI secolo suggeriscono che la città sia stata abbandonata spontaneamente dai suoi abitanti intorno al 1395, dopo un aspro scontro militare, e che essa fu ripopolata nel 1435 dagli Aztechi. Le prove archeologiche, invece, indicano che in città rimasero alcuni Otomì.
Jaime Mata-Migueza, antropologo dell'Università di Austin, in Texas, ha deciso di scoprire la verità ricorrendo al campionamento del Dna. Con i suoi colleghi ha mappato il Dna mitocondirale di 25 corpi recuperati dal patio fuori delle case di Xaltocan. I resti sono datati ad un periodo compreso tra il 1240 e il 1521 e possono fornire un responso affidabile circa l'etnia della popolazione prima e dopo l'occupazione azteca. Si è scoperto che il Dna dei corpi la cui morte è antecedente la conquista azteca hanno un Dna diverso da quello di coloro che sono deceduti dopo. Il che indica che la conquista portò una nuova influenza biologica.
Mata Miguez non pensa che gli Aztechi abbiano completamente sostituito gli Otomì a Xaltocan, dal momento che questi ultimi sono attestati in città, se pure in ragione di poche unità, dopo il 1395.

giovedì 25 ottobre 2012

Arbeia

Il forte romano di Arbeia
Volontari dell'archeologia hanno riportato alla luce, nel forte romano di Arbeia, nel South Shields, una serie di interessantissimi reperti. Arbeia è l'unico forte sul Vallo di Adriano dove è possible vedere e prendere parte agli scavi archeologici in corso.
I recenti ritrovamenti fanno pensare che vi sia dell'altro, custodito nella terra di Arbeia. Sono stati ritrovati frammenti della mascella di un cane ed ossa di altri animali che erano sepolti, si pensa, a fini rituali.
Il forte di Arbeia, in rovina, è stato in parte ricostruito. Fu edificato intorno al 120 d.C. ed ospita gli unici magazzini in pietra di tutta la Gran Bretagna, utilizzati per lo stoccaggio del grano.
Uno dei significati di Arbeia potrebbe essere "forte delle truppe arabe", in riferimento al fatto che, un tempo, una parte della guarnigione del forte era costituita da uno squadrone di barcaioli del Tigri. Si sa anche che era di stanza ad Arbeia uno squadrone di cavalleria delle Asturie.

Una Zeugma d'Occidente?

Un'antica città risalente a 1700 anni fa è stata riportata alla luce negli scavi del quartiere di Kemalpasa, ad Izmir, in Turchia.
In zona erano iniziati dei lavori di perforazione per la realizzazione di un magazzino. Immediatamente sono emersi i segni della presenza di importanti evidenze archeologiche risalenti al IV secolo a.C.. Gli archeologi pensano che i resti rinvenuti risalgano ad un periodo prossimo alla fine dell'era romana e all'inizio dell'epoca di Bisanzio. Si tratta, pare, di un lussuoso complesso abitativo esteso su 550 metri quadrati.
Nelle sale della villa sono stati ritrovati anche preziosi mosaici, decorati con figure di animali e vegetali che hanno fatto pensare ad una Zeugma dell'Occidente, in riferimento alla città nota, appunto, per i suoi mosaici

Ottimi frutti per gli archeologi italiani in Iraq

Bassorilievi con la processione
delle divinità assire
La missione archeologica dell'Università di Udine ha scoperto il cuore dell'impero Assiro. Si tratta di oltre 200 siti dell'Iraq settentrionale.
Gli Assiri dominarono la Mesopotamia intorno al I millennio a.C. La prima campagna di scavi ha permesso di rivelare ben 239 siti archeologici finora sconosciuti, che attraversano un periodo compreso tra il IX millennio a.C. e il periodo medioevale e ottomano. Sono stati scavati anche cinque acquedotti dell'VIII-VII secolo a.C. ed una serie di canali ad essi collegati, nonché una necropoli del XIX-XVIII secolo a.C. e di bassorilievi rupestri del VII secolo a.C.
La missione dell'Università di Udine ha promosso la prima ricerca archeologica intensiva, sistematica ed interdisciplnare nella terra di Ninive, un'area di 2.900 chilometri quadrati tra le province di Ninive (Mosul) e Dohuk. La prima campagna è durata tre mesi, da luglio a ottobre ed ha coinvolto docenti, studenti, specializzandi e dottorandi delle Università di Udine, Venezia e Verona, specialisti degli Atenei di Milano, Modena e Reggio Emilia, Venezia e dell'Istituto per le Tecnologie applicate ai Beni culturali del Cnr di Roma.
Acquedotto di Jerwan
Uno degli scopi più importanti delle ricerche è stata la ricostruzione geoarcheologica e topografica dell'imponente e sconosciuto sistema idraulico costruito tra l'VIII e VII secolo a.C. dal sovrano assiro Sennacherib per portare l'acqua alla città di Ninive.
La regione fu densamente popolata intorno alla metà del III millennio a.C. e al periodo neo-assiro (IX-VII secolo a.C.), quando nell'entroterra di Ninive si contavano cento tra città fortificate, villaggi e fattorie che godevano dei benefici della efficiente rete idraulica fatta costruire da Sennacherib.
Le ricerche di canali scavati nella roccia ha permesso agli archeologi di individuare anche sei bassorilievi scolpiti, parte di una serie di ben nove bassorilievi sepolti dai detriti accumulatisi nei secoli. Di questi bassorilievi erano noti solamente tre che contenevano una processione con le principali divinità assire.
Le necropoli scoperte dalla missione archeologica italiana risalgono al periodo paleo-assiro e si trovano nel sito di Tell Gomel, lungo il fiume Gomel. La necropoli presenta ricche tombe a camera costruite con mattoni cotti e struttura ad arco. L'area di Tell Gomel, a sua volta, possiede un'acropoli ed una vasta città bassa ai suoi piedi. Proprio nella pianura dominata dall'altura di Tell Gomel lo storico Sir Aurel Stein colloca il campo di battaglia di Gaugamela, dove nel 331 a.C. Alessandro Magno sconfisse Dario III.

Antichi naufragi nel mar ligure

Anfora greco-italica
Mille anfore sono state individuate sul fondo del mare a poca distanza da Porto Venere.
E' stato proiettato, per la prima volta, il filmato del ritrovamento della nave romana avvenuto a 17 miglia a sud dell'isola del Tino ad opera dell'archeologo subacqueo Guido Gai. Sul fondale, a 400 metri di profondità, una distesa di anfore di terracotta, che "parlano" di traffici avvenuti tra il IV e il III secolo a.C.Sono anfore greco-italiche, prodotte, con tutta probabilità, nell'area laziale, utilizzate per il trasporto di vino in Gallia. Purtroppo molte anfore sono ridotte in frammenti a causa del passaggio delle reti a strascico.

Nuove scoperte nell'ex convento di Sant'Orsola


Nuova sepoltura ritrovata nell'ex convento
di Sant'Orsola a Firenze

Un nuovo scheletro è venuto fuori dagli scavi archeologici nell'ex convento di Sant'Orsola di Firenze, indagato come ultima dimora di colei che fece da modella a Leondardo da Vinci per la sua Gioconda.
La tomba si trova nei pressi dell'altare francescano del '400 e proprio questo porta gli studiosi a pensare che sia contemporanea al periodo in cui Lisa Gherardini del Giocondo fu sepolta. Un'attenta rilettura delle note stilate dalle monache riguardo le speolture, inoltre, farebbe pensare che Lisa Gherardini sia stata seppellita nella fossa comune con le monache stesse. Queste ultime, per tradizione, venivano sepolte all'interno dell'ex convento, forse nel chiostro, mentre i laici erano seppelliti fuori dal convento. Lisa Gherardini aveva una figlia che era suora proprio nell'ex convento di Sant'Orsola e potrebbe, pertanto, aver avuto il privilegio di essere inumata proprio nel chiostro. Gli esperti ritengono, comunque, di poterla individuare dall'analisi del Dna.

lunedì 22 ottobre 2012

Vichinghi d'America

La professoressa Sutherland mentre scava
sull'isola di Baffin
Scavando tra le rovine di un antico palazzo a Baffin Island, molto al di sopra del Circolo Polare Artico, un gruppo di archeologi guidato dalla professoressa Patricia Sutherland, della Memorial University di Newfoundland e ricercatore presso l'Università di Aberdeen, in Scozia, ha trovato alcuni strumenti molto affilati, che recano tracce di leghe di rame, quali il bronzo, e che suggeriscono l'ipotesi che siano stati forgiati da fabbri vichinghi.
Gli archeologi sanno da tempo che i Vichinghi salparono alla volta del Nuovo Mondo intorno all'anno 1000. Una saga popolare islandese narra le gesta di un capo vichingo di nome Leif Eriksson, che navigò dalla Groenlandia verso ovest in cerca di fortuna. Eriksson si fermò a lungo sull'isola di Baffin, percorrendo la costa chiamata Helluland, un'antica parola norrena che vuol dire "terra dalle lastre di pietra". Poi riprese il mare dirigendosi verso sud, alla volta di un luogo che, una volta raggiunto, chiamò Vinland.
Nel 1960 due ricercatori norvegesi, Helge Ingstad e Anne Stine INgstad, scoprirono e scavarono un campo vichingo posto a l'Anse aux Meadows, sulla punta settentrionale di Terranova, il primo avamposto vichingo in America ufficialmente riconosciuto. Il campo risale ad un periodo compreso tra il 989 e il 1020 ed era composto di sale per le riunioni e capanne adibite alla tessitura, alla lavorazione del ferro ed alla riparazione delle imbarcazioni.
Il team del professor Sutherland è sulle tracce dei Vichinghi in America dal 2001. In questi anni hanno scoperto molti elementi che provano la presenza di queste genti nordiche nel Nuovo Mondo. I Vichinghi sarebbero salpati per le Americhe alla ricerca di risorse preziose. Se tutte le scoperte e le ipotesi formulate dal professor Sutherland saranno convalidate dalla ricerca scientifica, si tratterà sicuramente di una scoperta che potrebbe aprire nuove strade nella conoscenza della colonizzazione del Nuovo Mondo.

Il misterioso linguaggio proto-elamita

Esempio di scrittura proto-elamita
Gli esperti che stanno lavorando all'interpretazione della scrittura proto-elamita hanno affermato che potrebbero trovarsi ad un punto di svolta.
Il proto-elamita è la più antica scrittura rimasta tuttora indecifrata, a 5000 anni dal suo primo utilizzo. Lo studio su questo idioma misterioso è condotto dall'Università di Oxford e sta gettando maggiore luce su una delle civiltà più misteriose dell'Età del Bronzo Mediorientale. Gli studiosi si avvalgono, nella loro ricerca, degli strumenti informatici più innovativi che permettono di fornire immagini dettagliate e ad alta risoluzione delle tavolette che contengono i simboli relativi al proto-elamita.
Questa scrittura, che procede da destra verso sinistra, è stata utilizzata in un periodo compreso tra il 3200 e il 2900 a.C., in una regione che si trova a sudovest dell'attuale Iran. Finora gli studiosi sono riusciti a decifrare 1200 segni distinti ma la gran parte del linguaggio rimane oscura, in parte anche per la presenza di molti errori nei testi originali che li rende estremamente difficili da paragonare. Un'altra causa che potrebbe spiegare la resistenza alla traduzione è che il proto-elamita non somiglia a nessun'altra lingua antica e non sono stati ritrovati testi bilingue che potessero aiutare l'interpretazione. Inoltre il proto-elamita è una lingua scritta e non parlata e non c'è modo di sapere che suono avessero le parole, quindi non si è in possesso di indizi fonetici.
Il proto-elamita si è sviluppato dal vicino ceppo linguistico della Mesopotamia, con caratteri e caratteristiche peculiari. Esistono circa mille tavolette recanti questo tipo di scrittura, la quantità maggiore è stata raccolta dagli archeologi francesi ed è custodita al Museo del Louvre.

domenica 21 ottobre 2012

Il "tesoro" di Monte Pucci

La brocchetta di vetro rinvenuta "in diretta" a
Monte Pucci, Puglia
Giovedì scorso, durante una conferenza stampa sui ritrovamenti nel sito archeologico di Monte Pucci, non lontano da Vico del Gargano, in Puglia, c'è stato un ritrovamento "in diretta". Mentre le telecamere ed i giornalisti presenti erano occupati ad ascoltare i tecnici, gli archeologi sul campo continuavano ad operare.
Nell'effettuare lavori di pulizia del sito, a causa del crollo di un ipogeo, sono state ritrovate, del tutto casualmente, delle tombe sfuggite al saccheggio perpetrato negli anni '30 e '40, quando si faceva un gran parlare del tesoro del Monte Pucci. Un'intera squadra, composta dall'archeologo Francesco Colletta e dai restauratori, ha riportato alla luce oggetti estremamente preziosi dal punto di vista storico, che potrebbero influire sulle date stabilite dagli storici per l'insediamento in questione. I ritrovamenti sembrano, infatti, risalire ad un periodo compreso tra il III ed il IV secolo d.C., se non, addirittura, ai primi secoli avanti Cristo.
Tra i reperti recuperate vi è una brocchetta in vetro miracolosamente intatta, che porterebbe a pensare a defunti dallo status sociale piuttosto elevato. I contenitori in vetro, infatti, potrebbero essere stati utilizzati per profumi o essenze particolari. Ugualmente intatti sono stati ritrovati braccialetti, monili in osso, legno e bronzo, collane, orecchini e lucerne.
Monte Pucci (un tempo Monte Porcio) si innalza quasi a picco sul mare ed è una collina tufacea. Qui sono state rinvenute, già in passato, necropoli paleocristiane, riconosciute come tali grazie alla presenza di simboli prettamente cristiani quali il pesce, il gallo, il monogramma costantiniano. La necropoli paleocristiana conta circa un migliaio di deposizioni organizzate in 26 ipogei, composti da intricate gallerie che portano ad ambienti più vasti deputati al culto degli stessi defunti. Ed è la presenza di questi ultimi ambienti ad essere altrettanto eccezionale quanto i ritrovamenti effettuati di recente. Si tratta, infatti, del primo ritrovamento, nel Gargano, di locali adibiti esclusivamente al culto dei defunti. Il loculo predominante è quello rettangolare, ricavato dalla parete tufacea, ma sono stati ritrovati anche loculi al di sotto dei pavimenti ed altri completi di arcosolio e baldacchino. Il complesso sembra risalire al IV-VII secolo d.C., alcuni degli ipogei sono ancora interrati o seminterrati.
Gli scavi sul Monte Pucci sono iniziati nel 1955 e si sono protratti fino al 1962, con il contributo del CNR, dell'Istituto di Antropologia dell'Università di Padova.

Miti e mosaici come messaggi propagandistici

Mosaico romano di Poseidone trainato da ippocampi
I Romani utilizzavano, nei loro mosaici, i miti greci come simbolo di civiltà. E' questa la conclusione a cui è pervenuta una ricerca coordinata dall'Università Carlos III di Madrid, che ha preso in esame le immagini mitologiche presenti nei mosaici romani, che i membri dell'élite sociale selezionavano per meglio esprimere il potere e la raggiunta ricchezza nonché la potenza ed i valori universali di cui Roma si era fatta portatrice nel mondo allora conosciuto.
La ricerca è stata coordinata da Luz Neira, professoressa presso il Dipartimento di Lettere, Filosofia, Storia, Geografia ed Arte, che ha sottolineato come dai mosaici romani traspare il concetto di contrapposizione tra civiltà e barbarie. Alcuni miti e personaggi mitologici protagonisti dei mosaici, sono stati scelti e persino trasformati per creare uno spirito di civiltà, approfondire certi principi o richiamare alla memoria le fondamenta sulle quali era stato edificato lo stato romano e la missione di Roma nel mondo. Il valore e il significato di alcune scene musive trascendeva la mitologia e alludeva ai valori universali di civiltà incarnati dall'Urbe.
Uno dei temi più raffigurati era quello di Achille a Skyros. La scena la si ritrova, ad esempio, nella villa di Olmeda e sembra voler attirare l'attenzione sull'archetipo dell'eroe che è in grado di sacrificare la sua vita per il bene del suo Paese. Altri episodi mitologici vedono protagonisti Dioniso, Afrodite, Ercole e le sue fatiche, i viaggi di Perseo, le Amazzoni e i Centauri: tutti personaggi e storie che i Romani "adottarono" dal mondo greco per farli propri.
Finora il concetto di civiltà espresso dall'Impero Romano era stato analizzato solo servendosi di fonti scritte e dei ritrovamenti di sculture e rilievi monumentali (archi, steli commemorative, colonne). Era stato poco approfondito, invece, il messaggio di grandezza e civiltà trasmesso attraverso elementi decorativi situati in spazi privati.
I miti sono stati funzionali, per i membri dell'élite romana imperiale, per trasmettere i valori di cui Roma era portatrice nel Mediterraneo, per commemorare vittorie e battaglie identificandosi con il significato stesso di Roma quale garante della civiltà.

Zeugma, una città da salvare

Vista sull'antica Zeugma
Zeugma, Turchia. Questa località ricorda immediatamente i mosaici a rischio di definitiva perdita a causa della costruzione della diga di Birecik, sul fiume Eufrate, a meno di un chilometro dal sito archeologico. L'attenzione che i media hanno dato a questa importante località ha fatto sì che si moltiplicassero gli sforzi di salvare quanto restava del passato e le donazioni anche in denaro affinché fossero proseguiti gli scavi e l'opera di recupero. I migliori restauratori del mondo sono arrivati dall'Italia per cercare di salvare i preziosi reperti musivi dalla minaccia delle acque. Zeugma si trova a 500 chilometri da Istanbul.
La storia di Zeugma, però, non è certo recente, risale a millenni prima della costruzione della diga. Nel III secolo a.C. Seleuco I Nicatore (vale a dire il Vincitore), uno dei diadochi di Alessandro Magno, diede vita ad un insediamento chiamato Seleucia, probabilmente un katoikia, o colonia militare, sul lato occidentale dell'Eufrate. Sulla sponda orientale, invece, fondò la città di Apamea, che prese nome dalla sua moglie persiana. Le due città furono fisicamente collegate da un ponte di barche ma non è ancora chiaro se siano state amministrate da un unico governo.
Uno dei mosaici di Zeugma raffigurante una giovane donna
Nel 64 a.C. i Romani conquistarono Seleucia e ne mutarono il nome in Zeugma, che significa "ponte" o "attraversamento" in greco antico. Dopo la fine dell'impero seleucide, i Romani aggiunsero Zeugma alle terre amministrate da Antioco I Theos di Commagene, per ricompensare il re del sostegno dato a Pompeo Magno durante le operazioni di conquista.
Durante tutto il periodo del dominio romano due legioni furono stanziate a Zeugma, aumentandone il valore strategico. A causa dell'elevato volume di traffico che si svolgeva lungo le sue vie di comunicazione e della sua posizione geografica, Zeugma divenne una sorta di dogana. La città era l'ultima tappa del mondo greco-romano prima di attraversare l'impero persiano.
Una delle sepolture di Zeugma (foto Matteo Brunwasser -
Kutalmis Gorkay, Zeugma Archaeologica Project)
Per centinaia di anni Zeugma prosperò nella sua funzione di città commerciale, di centro militare ed anche religioso, raggiungendo i 20.000-30.000 abitanti. Durante l'epoca imperiale fu la più importante città sul confine orientale. Ma la prosperità di Zeugma terminò con la caduta dell'impero romano: i Sassanidi di Persia l'attaccarono nel 253 d.C., ridussero in macerie le sue lussuose ville e quel che ne rimaneva venne utilizzato come stalle per gli animali. Gli abitanti della città, in questo periodo, erano prevalentemente gente venuta dalla campagna che edificò i suoi alloggi con materiale di fortuna.
Oggi il 25 per cento della sponda occidentale della città antica si trova sotto quasi 200 metri d'acqua, mentre la sponda orientale è completamente sommersa, ma c'è ancora molto da scoprire a Zeugma. L'archeologo Kutalmis Gorkay, dell'Università di Ankara, che ha diretto i lavori a Zeugma nel 2005, ha concentrato la sua attenzione su nuovi progetti di recupero, conservazione e salvaguardia di quanto rimane visibile fuori dall'acqua. Fortunatamente questi scavi sono relativamente ben finanziati.
Il riparo in policarbonato che protegge lo scavo
delle domus romane (foto Matteo Brunwasser)
Gorkay sta ora cercando ulteriori prove di come Zeugma, città multiculturale, gestisse il suo ruolo di mondo di passaggio tra est ed ovest, tra il mondo romano e quello persiano. Sta anche cercando di comprendere come sia stato gestito il momento di passaggio dal mondo ellenistico a quello romano.
A 50 metri dalla riva dell'Eufrate è stata costruita una struttura in acciaio e policarbonato per proteggere i resti di cinque case romane. La struttura è costituita da piattaforme multilivello che consentono di ammirare le strutture delle domus e le strade che gli archeologi hanno scavato con cura. La maggior parte delle domus "sorvegliate" dalla struttura appartengono ad un periodo compreso tra il I e il II secolo d.C.. Gli abitanti di questo quartiere di Zeugma erano, con tutta probabilità, funzionari civili e militari di rango elevato e mercanti arricchitisi con il commercio. Sono state trovate le evidenze di un sofisticato sistema di depurazione delle acque e di fornitura delle stesse alle abitazioni. Le tubature portavano l'acqua da quattro serbatoi e cisterne poste sul Tepe Belkis, il punto più alto della città, e la distribuivano attraverso cannelle sormontate da teste di leone in bronzo. Alcuni cortili ospitavano vasche poco profonde, gli impluvi, per raccogliere l'acqua piovana e consentire, nel contempo, anche di rinfrescare l'aria della casa durante la calura estiva. Questi cortili, poi, contenevano alcuni tra i mosaici più famosi di Zeugma, molti dei quali hanno, come tema principale, proprio l'acqua: Eros che cavalca un delfino; Danae e Perseo salvati dai pescatori sulle rive del Seriphos; Poseidone ed altre divinità acquatiche.
Uno dei mosaici di Zeugma (foto Kutalmis Gorkay -
Zeugma Archaeology Project)
Oggi, sul sito, sono visibili solamente i mosaici con temi geometrici. In genere gli archeologi preferiscono restaurare e lasciare i mosaici in situ, in modo che i visitatori possano comprenderne ed apprezzarne il valore nel contesto in cui si trovavano anticamente. Purtroppo, però, la conservazione in loco dei mosaici è difficile ed anche molto costosa: il furto è diventata l'occupazione principale della popolazione che vive nei dintorni di Zeugma, poiché è una buona fonte di reddito. Nel 1998, in una sola notte, sono state trafugate tutte le tessere del mosaico raffigurante le nozze di Dioniso ed Arianna, al quale stavano ancora lavorando gli archeologi. Quest'episodio ha spinto le autorità a rimuovere tutti i mosaici figurati precedentemente scoperti e a far sorvegliare il sito da guardie armate.
Gorkay ritiene che i mosaici siano estremamente rappresentativi delle persone che abitavano le domus in cui sono stati trovati, la loro funzione andava ben oltre una pura decorazione degli ambienti. Molti dei mosaici sono stati accuratamente scelti in base alla funzione della stanza che dovevano ornare. Le scene, inoltre, riflettono il gusto e gli interessi intellettuali del proprietario di casa. Non solo: i mosaici erano disposti in un certo ordine. Quando gli ospiti entravano in casa, incontravano un mosaico che doveva costituire una sorta di benvenuto all'interno, un mosaico che doveva suggerire agli ospiti i gusti e gli argomenti preferiti dal padrone di casa.
Mosaico con la storia di Pasifae (foto Matteo
Brunwasser)
Attualmente Gorkay e la sua squadra di 25 studenti stanno scavando due domus del I secolo d.C.. Si spera di poter trovare altri mosaici ed altri esempi di immagini o testi scritti sul muro. I graffiti sono importanti quanto i mosaici per comprendere la religione, la professione o l'etnia degli abitanti di una casa. Gorkay ha anche supervisionato gli studi che si stanno svolgendo nell'agorà ellenistica, il centro commerciale ed amministrativo dell'antica Zeugma. Finora non vi sono state attività di scavo in questo luogo, ma Gorkay spera di poter procedere, in futuro, all'esplorazione scientifica dell'agorà per completare il quadro sulla città. Nel 2000 un team di archeologi ha effettuato un sondaggio in un edificio dell'agorà, scoprendo una stanza destinata ad archivio contenente decine di sigilli ufficiali che hanno restituito dettagli fino a quel momento sconosciuti circa la vita militare e commerciale di Zeugma. Altri scavi hanno permesso di recuperare statue di bronzo, monete e ceramica in quantità, tutti catalogati e studiati.
Nel 2008 gli archeologi hanno, inoltre, riportato alla luce, sulla cima del Tepe Belkis, un santuario nel quale giacevano tre statue colossali destinate al culto di Zeus, Athena e, probabilmente, Hera. Ci sono, però, ancora molte domande in cerca di risposta in merito a quali fossero le divinità tutelari dell'antica Zeugma.
Scoperta del mosaico di Poseidone (foto Mehemet
Gulbiz)
Gli archeologi hanno, inoltre, potuto esplorare migliaia di tombe situate alla periferia di Zeugma. Huseyin Yaman, dell'Università di Ankara, sta studiando gli elementi architettonici presenti sulle tombe, che hanno forme e dimensioni diverse: alcune sono piccoli spazi destinati ad accogliere un solo individuo o pochi membri di una stessa famiglia, altre sono camere enormi con altari e numerose sepolture. Le iscrizioni che sono state rinvenute al loro interno sono altresì molto diverse e sono state composte anche in lingue diverse. Esse elencano nomi, età e professioni dei defunti. Alcune scritte sono in latino, altre in greco, altre in lingue di ceppo semitico a conferma della multietnicità di Zeugma. Nelle necropoli vi sono poche raffigurazioni di esseri umani, nella maggior parte dei casi compare un cesto, se la sepoltura è quella di una donna, o un'aquila, se la sepoltura è maschile. Il significato delle immagini rimane ancora sconosciuto.

sabato 20 ottobre 2012

Stipe votiva sconosciuta ritrovata ai Castelli Romani

Alcuni dei reperti recuperati ai Castelli Romani
Il Nucleo Polizia Tributaria di Roma della Guardia di Finanza ha fermato quattro tombaroli che stavano trafugando pregiati ex voto in terracotta, statue a grandezza naturale e raffigurazioni di parti anatomiche del corpo umano, che i fedeli di Juno Sospita avevano offerto alla divinità tra il IV e il II secolo a.C..
Il sequestro del materiale e l'arresto dei tombaroli è avvenuto ai Castelli Romani, tra Lanuvio e Genzano. La preziosa refurtiva era custodita in un magazzino di epoca romana che fungeva da deposito di statuette votive destinate al culto di Juno Sospita, una divinità particolarmente venerata sia a Lanuvio che nel Foro Olitorio a Roma. Presto, grazie a lavori straordinari di scavo e sistemazione, il deposito votivo potrà essere visitabile dal pubblico.
Tutte le statue che non sono state vendute all'estero e che sono state recuperate, verranno inviate ai musei italiani per essere esposte, in particolare al vicino museo di Velletri, ospitato nel Municipio. All'Etruria appartengono, inoltre, altri reperti che, pur non essendo collegati al deposito votivo scoperto, sono stati trafugati sempre dallo stesso gruppo di tombaroli.
Alcuni dei reperti recuperati rivestono un valore particolare perché attestano l'esistenza, in loco, di un opificio per la produzione fittile di un tipo particolare di ex voto, collegato alla cura delle patologie dell'apparato respiratorio.
La cava in cui era stata ricavata la stipe votiva sembra essere collegata, per mezzo di una rete di cunicoli, al vicino santuario di Juno Sospita (che vuol dire "Salvatrice"). La stipe, secondo gli investigatori, si trova in acqua ed era sconosciuta alla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, non era, dunque, mai stata censita ed anche per questo la sua importanza è sicuramente notevole.

Le maschere di Stratonikeia

Le maschere teatrali di Stratonikeia
Scavi nell'antica città di Stratonikeia, nella provincia Egea di Mugla, hanno riportato alla luce 15 rilievi che si stima abbiano 2300 anni. Le maschere sono quelle di antiche divinità e sono state ricavate da blocchi di marmo.
Le figure sono state ritrovate nell'antico teatro di Stratonikeia, attualmente in fase di scavo, uno dei luoghi più importanti della cultura dell'epoca. I rilievi hanno anche delle iscrizioni che possono fornire agli studiosi, una volta completamente decifrate, molte informazioni sulla vita sociale e sugli eventi culturali dell'antica città.
I restauri e la ricollocazione delle maschere di pietra al loro posto, però, richiederà diverso tempo. Per ora si procederà alla catalogazione ed allo studio dei reperti.

La flotta di Kubilai Khan

Gli scavi di quel che resta della flotta di Kubilai Khanfc  
Kubilai Khan, nipote di Gengis Khan, estese il suo dominio dall'Oceano Pacifico al Mar Nero. Nel 1279 divenne il primo imperatore non cinese e diede inizio alla dinastia Yuan, che governò l'attuale Mongolia, la Cina, la Corea ed altre regioni asiatiche.
La sua ambizione di estendere il suo dominio su terre più lontane, però, lo portò alle più tragiche sconfitte, come quella seguita alla spedizione navale che doveva dar luogo all'invasione del Vietnam nel 1288.
Oggi, 725 anni dopo quel tragico evento, archeologi australiani stanno scavando il sito in cui la flotta di Kubilai Khan fu distrutta dagli antichi vietnamiti. Questi avevano attirato i mongoli sul fiume Bach Dang in coincidenza con il ritiro della marea. Nel fiume i vietnamiti avevano posizionato centinaia di pali di legno appuntiti, invisibili con l'alta marea. Quando le acque del mare iniziarono a ritirarsi, l'intera flotta dell'imperatore mongolo rimase praticamente infilzata nei pali, le navi furono affondate o date alle fiamme.
Gli archeologi vietnamiti scavano sul Bach Dang da diversi anni, ma le loro ricerche sono incomplete a causa della mancanza di strumentazioni idonee e di sovvenzioni in denaro, senza contare i cacciatori di tesori che hanno più volte depredato il fondo del fiume. Ora, grazie all'intervento degli archeologi australiani, che hanno portato attrezzature sofisticate ed anche sovvenzioni, sono stati individuati i pali in legno utilizzati dagli antichi vietnamiti per arrestare per sempre la marcia di Kubilai Khan verso la loro terra.

Gli antichi Romani e le orchidee

Orchidee sull'Ara Pacis
Uno studio su antichi reperti ha portato a scoprire la presenza delle orchidee fra i fiori preferiti dagli antichi Romani. La popolarità di questo particolare fiore, in seguito, venne meno con l'avvento del cristianesimo, forse a causa dell'associazione che se ne faceva con la sessualità, orchis, in greco, vuol dire "testicoli".
Qualche anno fa la botanica Giulia Caneva, dell'Università degli Studi di Roma ha assemblato in un database tutta una serie di manufatti tra i quali, dipinti, tessuti e sculture che rappresentavano la vegetazione. Con il suo gruppo di studio ha iniziato un faticoso lavoro di identificazione delle specie dalle quali avevano tratto ispirazione gli antichi artisti. Con sorpresa il team ha scoperto che le orchidee erano iniziate a comparire, nel panorama artistico italiano, già nel 46 a.C., quando Giulio Cesare aveva fatto erigere il tempio di Venere Genitrice a Roma.
Tre raffigurazioni di orchidee, inoltre, compaiono, tra decine di altre piante, sull'Ara Pacis, eretta per ordine di Augusto nel 9 a.C.. Probabilmente i fiori erano utilizzati a fini propagandistici, per esaltare la rinascita, la fertilità e la prosperità intervenute dopo un lungo periodo di conflitti e tensioni civili e sociali.
Le orchidee, come anche altre piante, iniziarono a scomparire dalle raffigurazioni artistiche con l'avvento del cristianesimo, intorno al III-IV secolo d.C., probabilmente perché la nuova religione, diventata oramai religione di stato, stava procedendo all'eliminazione di tutti i simboli pagani legati alla sessualità. Solo con l'avvento del Rinascimento le orchidee tornarono a fiorire nei dipinti e nelle sculture, con il significato di bellezza ed eleganza.

venerdì 19 ottobre 2012

La meridiana di Polichrono

La meridiana ritrovata a Polichrono
Una delle meridiane più rare, risalenti al periodo greco-romano, è stato ritrovato nella Grecia Settentrionale, a Polichrono. Si tratta di una meridiana piuttosto originale, in quanto mostra l'ora esatta in un punto determinato.
Nel mondo greco la meridiana consisteva in uno gnomone (un indicatore) della forma di un montante verticale o piolo posta su una superficie piana, sulla quale l'ombra dello gnomone segnava il tempo. La meridiana di Polichrono ha una superficie suddivisa in 12 parti rappresentanti le 12 ore del giorno ed è costituita da un'iperbole che è utilizzata per tracciare il percorso dell'ombra al solstizio d'inverno e di una seconda iperbole che indica il solstizio d'estate. Una linea alla base dello gnomone si dirige verso il sud del quadrante indicando il mezzogiorno. L'iperbole invernale si apre verso nord, l'iperbole dell'estate verso sud. 

Il sottosuolo di Roma

I fortunati scopritori della necropoli
Roma non finisce mai di stupire ed il suo sottosuolo continua a restituire tesori inaspettati ed insospettabili. Il Signor Mirko Curti si è letteralmente imbattuto in una tomba di 2000 anni fa, colma di ossa, mentre inseguiva, aiutato da un amico, il suo gatto che era scappato.
Il rinvenimento è avvenuto nei pressi di via di Pietralata. Nell'apertura nella roccia dove si era rifugiato il gatto, il Signor Curti ed il suo amico hanno visto numerose nicchie simili a quelle utilizzate dai Romani per contenere urne funerarie e molte ossa sparse in terra.
Gli archeologi, chiamati sulla scena, hanno detto che la sepoltura risale, con tutta probabilità ad un periodo compreso tra il I e il II secolo d.C..

Altre sepolture ritrovate a Nayant

Una delle tombe scoperte a Nayant
Circa 12 sepolture sono state scoperte dagli archeologi dell'Istituto Nazionale di Antropologia e Storia nella parte a sudest di Nayant. Ciascuna sepoltura conteneva una gran quantità di ossa umane che hanno fatto pensare agli archeologi ad una sorta di cimitero pre-ispanico di circa 1000 anni fa.
Secondo Lourdes Carcia Barajas e Jose Beltran Medina, gli archeologi dell'Istituto Nazionale di Antropologia e Storia di Nayarit, questo ritrovamento è unico nel suo genere poiché simili tradizioni funerarie non sono conosciute nella regione. Finora non erano stati ritrovati resti umani all'interno di casse di basalto. Gli esperti hanno ritrovato scheletri completi sia all'interno che intorno alla camera mortuaria. La maggior parte di questi resti era stata bruciata, come indicano le tracce sulle ossa.
Le sepolture sono state ritrovate ai piedi del vulcano Ceboruco (2280 metri di altezza), vulcano la cui eruzione più importante è avvenuta nel 1000 d.C.. La roccia vulcanica che copriva le tombe è stato l'elemento determinante per datare i resti ritrovati. In una delle casse sono state ritrovate anche tre statuette femminili in stile Mazapa, che rappresentano donne anziane con una camicia, una gonna, un copricapo, paraorecchie e bracciali. Queste statuette ed altri ritrovamenti sono stati datati al periodo Postclassico (900-1100 d.C.). E' stato durante questo periodo che una continua migrazione dall'Occidente pre-ispanico e l'altopiano ha percorso le vie commerciali della regione.

giovedì 18 ottobre 2012

L'agorà di Paphos

La trincea di scavo nell'agorà di Paphos
Gli archeologi che stanno scavando nell'agorà di Paphos hanno ritrovato una tavoletta con inciso, in greco, il nome di un funzionario e moltissimi altri reperti, tra i quali un ciondolo d'oro.
I reperti più spettacolari sono, senz'altro, proprio l'orecchino o ciondolo d'oro che termina con una foglia d'edera, alcuni oggetti in bronzo tra i quali una brocca, un mestolo con il manico in ferro, un anello in bronzo, numerose monete e spille.
La tavoletta con l'iscrizione in greco menziona un ufficiale di nome Seleuco, figlio dell'agoranomos (amministratore del mercato) Ioulios Bathylos. Paphos fu la capitale di Cipro in epoca ellenistica e romana. Ad effettuare queste importanti scoperte sono stati gli archeologi dell'Università Jagellonica di Cracovia, in Polonia, che hanno ritrovato anche i resti di alcune delle merci vendute nel mercato: prodotti raffinati in pianura, ceramiche da cucina, anfore per il trasporto di liquidi, datati all'epoca ellenistica e romana ma anche al periodo bizantino.
Nel 2011 sono state scoperte ed in parte esplorate cinque camere che, grazie agli attuali scavi, sono salite a dodici. Si tratta di negozi o tabernae del primo periodo romano, distrutte con tutta probabilità da un terremoto. Sotto un muro di una stanza crollato, gli archeologi hanno trovato una brocca di bronzo ed alcuni vasi rotti, tra cui un mortarium (una sorta di ciotola per triturare o miscelare alimenti) con due bolli relativi ai produttori e con il nome del proprietario inciso.

Ale Stenar, la Stonehenge svedese

Ale Stenar, in Svezia
Gli archeologi svedesi hanno riportato alla luce quello che si pensa essere un dolmen, o il portale di una sepoltura di oltre 5.000 anni fa, accanto ad alcune pietre del monumento megalitico di Ale, nel sud della Svezia.
Gli archeologi pensano che nella sepoltura appena individuata fosse stato deposto un ricco agricoltore. La tomba è costituita da rocce molto pesanti, quasi come se fossero una sorta di cemento e conserva anche i resti di quello che sembra essere un muro.
Ale Stenar, o le pietre di Ale, sono un monumento megalitico che viene spesso chiamato la Stonehenge svedese. Si trova a circa 10 chilometri a sudest di Ystad, in Scania, in vista del mare del sud della Svezia. Qui sorgono 59 massi di arenaria piuttosto grandi, del peso stimato di 1,8 tonnellate ciascuno, disposti a forma di nave per una lunghezza di 67 metri. Una leggenda svedese vuole che qui fosse stato sepolto un re di nome Ale.

La strada percorsa dagli Apostoli

Giare ritrovate in una cantina
A Betsaida è stata scoperta una strada risalente all'epoca dei primi apostoli cristiani. Gli archeologi stavano scavando in una località a soli 2 chilometri dalla riva nordorientale del Mare di Galilea, in Israele, quando hanno effettuato l'importante scoperta.
A guidare il gruppo è il dottor Nicolae Roddy, della Creighton University di Omaha, in Nebraska. Con i suoi colleghi stava esplorando una zona che aveva restituito numerosi reperti di epoca romana dell'antica Betsaida, la città di pescatori ricordata nel Nuovo Testamento, quando è tornata alla luce una strada asfaltata dei tempi dei discepoli di Gesù, che corre verso ovest, attraverso la zona residenziale, verso la valle del Giordano.
Questa strada è, in realtà, solo una delle tante scoperte fatte negli ultimi anni a Betsaida, identificata come l'antica città evangelica nel 1987, dal dottor Rami Arav, dell'Università del Nebraska, diretto del progetto degli scavi di Betsaida. Il sito, in questi anni, ha rivelato diversi strati dell'occupazione umana, dall'epoca dei primi re di Giuda, fino all'età ellenistica prima e romana poi.
La città antica vanta possenti e complesse cinte murarie e mura difensive, un palazzo e mostra i segni della distruzione subita da parte del re assiro Tiglat Pileser III nel 732 a.C.. E', questa, l'epoca del regno di Gheshur, che nella Bibbia ebraica è definito come un alleato stretto dell'antica Israele durante il periodo del regno comune di Davide e Salomone. Davide stesso aveva sposato Ma'achah, figlia del re di Gheshur.
Tra gli altri resti ritrovati nell'antica città biblica, risalenti al periodo romano, vi sono i resti di un antico tempio romano, probabilmente fatto edificare dal tetrarca Erode Filippo, dell'incenso riservato a rituali del tempio, una cantina per conservare il vino e numerosi frammenti di ceramica.
L'ultima stagione di scavi, terminata da poco, ha riportato alla luce copie artigianali di sigilli egiziani ed altri reperti. Gli archeologi ed i volontari che collaborano con loro faranno ritorno a Betsaida nell'estate del 2013.

Un mosaico romano a Sofia

Il sindaco Fandakova sul luogo del ritrovamento
Gli archeologi hanno scoperto un pavimento musivo romano vicino alla Porta Ovest di Serdica, nel centro di Sofia, in Bulgaria. La notizia è stata data dal sindaco di Sofia Yordanka Fandakova, che ha fatto visita agli archeologi sul campo.
Il mosaico ha una superficie di 40 metri quadrati e si trova tra le rovine di un edificio romano scavato, per la prima volta, tra il 1975 ed il 1980. I lavori sono stati, poi, abbandonati assieme al sito nel suo complesso. Frammenti del mosaico possono essere visti nel cortile della più grande cattedrale cattolica della Bulgaria, dedicata a San Giuseppe.
Probabilmente il mosaico appena emerso dagli scavi faceva parte di una grande basilica, il che significa che gli archeologi dovranno necessariamente allargare il campo di scavo.

Una sauna dell'Età del Bronzo?

La fossa trovata ad Assynt
Gli archeologi hanno scoperto i resti di quella che ritengono essere una sauna dell'Età del Bronzo ad Assynt, nel nordovest delle Highlands. Si tratta di una buca posta a poca profondità nel terreno, con un canale per lo scorrimento delle acque, posta vicino ad un torrente.
La scoperta è stata fatta nell'ambito del progetto Fuoco ed Acqua, gestito da alcuni gruppi archeologici di Assynt. Si è cercato di capire cosa fosse, in realtà, un tumulo a forma di mezzaluna, creato utilizzando delle pietre. I volontari hanno collaborato con gli archeologi nello scavo ed hanno riportato alla luce la fossa ed il canale al di sotto di uno strato di argilla.
Gli archeologi ritengono che gli usi di questa sorta di fossa potrebbero andare dalla sauna ad un recipiente in cui far fermentare la birra. La fossa, una sorta di pozzo, era un tempo ricoperta da lastre di pietra. Non sono state trovate ossa di animali od altro che possa suggerire l'utilizzo della fossa come cucina.

Turchia, gli "inviti" di Antioco I di Commagene...

Turchia, l'iscrizione di Antioco di Commagene (Foto: AA) Un'iscrizione trovata vicino a Kimildagi , nel villaggio di Onevler , in Tu...