domenica 30 giugno 2013

Monasteri copti d'Egitto: Deir al-Surian, il Monastero dei Siriani

Restauratori all'opera sulla raffigurazione dell'Epifania
e della Dormizione della Vergine (Foto: Università di Leida)
Il Wadi al-Natrun è una depressione geologica che si trova ad ovest del Delta del Nilo. E', tra le altre cose, una delle culle del monachesimo copto. Nel IV secolo d.C. qui si ritiravano gli eremiti in cerca di ascetismo e solitudine e ben presto vennero costruiti monasteri e si installarono qui delle comunità anacoretiche che diedero vita a centri di cultura ecclesiastica.
Uno dei monasteri che qui sorgevano, Deir al-Surian (letteralmente: il monastero dei Siriani), ha un posto particolarmente importante tra tutti. Il monastero venne fondato con il nome di Monastero della Beata Vergine di Anba Bishoi, all'inizio del VI secolo d.C., quando un gruppo di monaci del vicino Monastero di Anba Bishoi si allontanarono da quest'ultimo a causa di una disputa teologica, ed iniziarono una nuova avventura monastica. Il Monastero è strettamente connesso all'eresia di Giuliano, vescovo di Alicarnasso, in Ionia, che si diffuse in tutto l'Egitto sotto il patriarcato di Timoteo III (517-535 d.C.). Giuliano fu esiliato in Egitto per aver definito la dottrina della incorruttibilità del corpo di Cristo. I Giulianisti fondamentalmente credono che il corpo di Gesù era incapace di corruzione.
Annunciazione dipinta con la tecnica dell'encausto
(Foto: Università di Leida)
Fino a qualche tempo fa si è creduto che, all'inizio dell'VIII secolo, il Monastero sia stato venduto ad una comunità monastica siriana dopo una lite con i monaci di Anba Bishoi. Al momento dell'estinzione della comunità, nel XVI secolo, i copti hanno ripreso il Monastero. Ma ora si sa che la storia è andata in modo differente. Nel 1994 e negli anni seguenti sono state effettuate importanti scoperte nella chiesa, che hanno cambiato il punto di vista sulla sua storia e sulla storia della comunità che la custodiva.
Nel 1987 un fuoco acceso nella parte occidentale della chiesa ha danneggiato l'affresco nella semicupola occidentale. Nel 1991 un gruppo franco-olandese ha intrapreso una campagna di salvataggio che ha separato la pittura di XIII secolo da un precedente dipinto che era stato nascosto da quest'ultima. Quest'ultimo affresco è stata una vera sorpresa: rappresentava l'Annunciazione alla Vergine Maria affiancata da quattro profeti dell'Antico Testamento. Era arte copta o siriana? E da chi era stata fatta e quando? I ricercatori hanno proposto una datazione che va dall'VIII al XII secolo.
Le porte monumentali che conducono al
santuario, commissionate da Mosè di Nisibi
(Foto: Università di Leida)
Nel 1995 Karel Innemée, professore di arte paleocristiana e archeologia presso l'Università di Leiden ed Ewa Parandowska, restauratrice polacca, hanno iniziato nuove indagini scoprendo che, quasi ovunque, nella chiesa, le pitture primitive erano state ricoperte da un intonaco risalente al XVIII secolo. Si sono contati fino a tre strati di intonaco. Successivamente un gruppo di restauratori polacchi, portoghesi ed egiziani hanno lavorato alla rimozione di questi strati ed i risultati sono stati sorprendenti.
Le pitture ritrovate sono attribuibili a quattro diverse epoche, dal VII al XIII secolo, a volte disposte uno strato sopra l'altro e restituiscono uno spaccato dello sviluppo della pittura religiosa in Egitto. Oltre ai dipinti sono state recuperate diverse iscrizioni e graffiti in copto siriaco, greco ed arabo, preziose scritte che sono una miniera di informazioni sui dipinti, sulla storia del monastero e dei monaci che l'abitavano.
Da questi graffiti e dalle pitture ritrovate, gli archeologi hanno appurato che il primo gruppo di monaci siriani arrivò qui intorno all'800 d.C. e convisse con i monaci copti, formando una comunità mista che viveva sulla base delle idee teologiche comuni delle chiese copta ortodossa e siriana.
La Vergine che allatta, opera ad encausto
del 700 d.C. (Foto: Università di Leida)
Nei primi anni del IX secolo la regione di Wadi al-Natrun fu invasa dai nomadi provenienti dal deserto libico, i monasteri furono saccheggiati e i monaci uccisi o costretti ad allontanarsi. Dopo alcuni anni i monaci tornarono e cominciarono a ricostruire i loro monasteri. Un'iscrizione siriaca su una delle pareti ricorda come due fratelli, Mattay e Yakoub, presero l'iniziativa di riedificare il monastero in questione, aggiungendo, con tutta probabilità, un muro difensivo intorno ad esso. Il testo è datato 818-819 d.C., che costituisce il periodo di inizio del ripopolamento, da parte dei monaci siriani, della regione di Mosul e Tikrit (nell'attuale Iraq). Ripopolamento che avvenne in accordo con i monaci copti e che comportò l'investimento di ingenti somme di denaro nella costruzione sia del Monastero che della sua biblioteca.
Nella prima metà del X secolo il Monastero ebbe il suo periodo di massimo splendore con l'abate siriano Mosè di Nisibi. Questi fu promotore di lavori di ristrutturazione importanti, che si svolsero nella parte orientale della chiesa e commissionò, probabilmente, anche le importanti aggiunte pittoriche. Fu lui a disporre che venissero poste in loco le porte in legno che separano la navata dal transetto e il transetto dal santuario. Il recente restauro delle porte del santuario ha evidenziato che il legno costoso e l'avorio che sono stati impiegati per questi manufatti provenivano dall'Asia e dall'Africa. Gli stucchi decorativi della chiesa sono stati sicuramente eseguiti da operai provenienti dalla regione di Samarra, in Siria.
Maria sul letto di morte, dipinto a tempera del X secolo
(Foto: Università di Leida)
Anche la biblioteca del Monastero ebbe uno sviluppo eccezionale, fino a diventare la più grande collezione di manoscritti siriaci del Vicino Oriente. Fu sempre Mosè di Nisibi a volerla e per arricchirla viaggiò in Siria e in Mesopotamia alla ricerca di manoscritti. La sua ricerca durò tre anni e portò, nella biblioteca del Monastero, ben 250 manoscritti siriani. Il Monastero, in questo periodo, era un centro di scambi culturali e di cultura: pellegrini venuti da regioni lontane hanno lasciato la testimonianza della loro visita con i graffiti sui muri della chiesa. Un graffito datato al 1165-1166 ricorda un periodo di crisi, quando il Monastero ospitava un solo sacerdote siriano. Alla fine del 1088, secondo un censimento fatto da Mawhub ibn Mansur, coautore della Storia dei Patriarchi della Chiesa copta, il Monastero ospitava 60 monaci ed era il terzo Monastero per grandezza dopo quelli di San Macario e San Giovanni piccolo.
La convivenza tra monaci siriani e copti è durata fino alla fine del XVI o all'inizio del XVII secolo, quando la comunità siriana, con tutta probabilità, si estinse anche in seguito alle frequenti pestilenze. Da questo momento in poi il momento magico del monachesimo copto terminò. Nel XVIII secolo il monastero godette di un rinnovato interesse e la ricca collezione bibliografica venne scoperte dai collezionisti e dalle biblioteche occidentali. I manoscritti più preziosi furono, allora, acquistati a prezzi ridicoli, visto che i monaci avevano dimenticato il loro valore. Molti di questi manoscritti sono finiti nella Biblioteca Vaticana, nella British Library e nella Biblioteca di San Pietroburgo.
Il Monastero di Deir al-Surian
La chiesa principale del Monastero, dedicata alla Vergine, è stata edificata intorno al 645 d.C. e poco dopo è stata decorata con un primo affresco costituito da motivi decorativi e croci dipinte in semplice color ocra. All'inizio dell'VIII secolo fu applicato lo strato più ricco di affreschi, evidentemente non progettato con un programma decorativo costante. Il primo affresco scoperto è stato quello della Vergine che allatta, un'immagine impressionante, dipinta forse per prima rispetto agli altri affreschi, quando Maria era la patrona della chiesa. Il volto della Vergine ricorda, infatti, i ritratti del Fayum. Questo dipinto, come la maggior parte degli altri di VIII secolo, è stato eseguito con la tecnica dell'encausto, usando la cera d'api come fissante per il pigmento, una tecnica che finora si è pensato fosse andata perduta nell'VIII secolo.
Il terzo strato di affreschi aggiunti nel X secolo copre parzialmente il secondo strato di affreschi e mostrano chiaramente l'influenza siriana nell'iconografia. Si tratta degli affreschi commissionati da Mosè di Nisibi. Un affresco particolarmente interessante è quello che raffigura la Vergine sul letto di morte, con l'Arcangelo Michele che riceve la sua anima mentre sette vergini bruciano incenso.
Planimetria del Monastero di Deir al-Surian
La scoperta più recente riguarda la semicupola nord. Il dipinto della morte della Vergine che qui campeggiava è stato staccato e trasferito nel museo accanto alla chiesa. Nell'asportare la decorazione, gli archeologi ed i ricercatori si sono accorti che al di sotto di questo c'era un'altra decorazione ad encausto, anch'essa dell'VIII secolo, raffigurante l'Epifania, la presentazione di Cristo ai Magi ed ai pastori. L'affresco è molto danneggiato, ma la sua qualità, notevole, è tuttora leggibile, soprattutto nel volto della Vergine, che ha l'aspetto di un'icona bizantina. I lavori sono ancora in corso, al Monastero, e durante i mesi invernali, quando la chiesa non è in uso, i restauratori sperano di effettuare altre scoperte in questo vero e proprio tesoro del deserto.
Interno della chiesa di S. Maria
Il Monastero occupa una superficie quasi rettangolare. I monaci spiegano questa pianta inusuale con il fatto che il Monastero è stato costruito su un modello fatto dal patriarca Noè, anche se le mura furono edificate, in realtà, nell'XI secolo. L'ingresso al monastero si trova sulla parte ovest del lato settentrionale. L'edificio è a quattro piani, il piano inferiore serviva per conservare i prodotti per il consumo quotidiano e costituiva un'efficace magazzino di alimentari in caso di assedio. Vi fu scavato anche un pozzo per l'acqua. Il secondo piano venne edificato per contenere la preziosa biblioteca, alcune nicchie, ancora visibili, ospitavano i manoscritti. Il terzo piano contiene un corridoio con quattro camere a volta da una parte e due dall'altra, probabilmente le abitazioni per i monaci durante i momenti di pericolo. Come accade in molti monasteri egiziani, al quarto piano era ospitata la cappella dedicata a San Michele Arcangelo.
Il refettorio del Monastero
Collegata alla chiesa è la cappella dei 49 martiri, alla quale si accede attraverso la corte. Nel 444 alcuni martiri furono massacrati nel corso di una sanguinosa incursione di berberi, che saccheggiarono i monasteri di Wadi al-Natrun. E' a questi martiri che è stata dedicata la cappella. Qui i recenti restauri hanno riscoperto stucchi decorativi simili a quelli presenti nel santuario centrale della chiesa della Santa Vergine.
Un'altra chiesa, dedicata anch'essa alla Vergine, è ospitata all'interno del perimetro del Monastero. Si tratta di una struttura di IX secolo con riferimenti all'XI. Contrariamente a quello che si può riscontrare in altre chiese copte, la chiesa di S. Maria (al-Sitt Mariam o Maryam, chiesa della Signora Maria), la navata rettangolare è trasversale in relazione al principale asse est-ovest. Si tratta di una caratteristica comune alle chiese edificate in Mesopotamia. L'edificio ha una copertura con volta a botte divisa in tre campate da archi poggianti su mensole, caratteristica anche questa che richiama le chiese della Mesopotamia. La porta centrale è in legno intarsiato ed è databile al XIV-XV secolo.
Ad ovest della chiesa della Santa Vergine è l'antico refettorio, che non è più in uso. Ha una planimetria prevalentemente rettangolare (la parete est è leggermente più lunga di quella ovest), con un tavolino in muratura che corre lungo il suo asse. Vicino alla parete est è un grande pulpito in pietra dal quale i monaci, durante il pranzo comune, leggevano i testi sacri e le vite dei santi.

sabato 29 giugno 2013

Nicotina nei capelli delle mummie peruviane

Uno dei campioni di capelli analizzati
(Foto: M. Niemeyer)
I capelli delle mummie ritrovate nella città di San Pedro de Atacama, in Cile, hanno rivelato una vera e propria sorpresa: le persone che vivevano nella regione tra il 100 e il 1450 d.C. avevano l'abitudine di assumere nicotina. L'assunzione di nicotina era indipendente dallo status sociale.
La pratica di fumare e sniffare sostanze allucinogene era profondamente radicata nella cultura e nel pensiero di molte società pre-ispaniche. Nel centro-sud delle Ande esistono due fonti di sostanze allucinogene: la Nicotiana, dalla quale si estrae la nicotina e la Anadenanthera (cebil) che contiene triptamina.
Gli sciamani usavano spesso queste piante, dalle quali sapevano estrarre i principi psicoattivi che permettevano loro di connettersi alle divinità e agli spiriti dell'aldilà. A dosaggi più contenuti, le medesime sostanze sono entrate a far parte di rimedi medicamentosi per curare le più svariate malattie ed i problemi del sonno.
Per meglio comprendere l'utilizzo degli allucinogeni, sono stati estratti ed analizzati diversi campioni di capelli da 56 mummie in buono stato di conservazione, la cui mummificazione è avvenuta per cause naturali. A seconda del sito in cui sono state trovate, le mummie erano sepolte nella terra o in un ambiente pietroso. Con le mummie sono stati seppelliti alcuni oggetti, tra i quali gioielli, armi, metalli grezzi, tessuti, vasi, mortai, vassoi e tubi che venivano utilizzati per sniffare.
I ricercatori hanno trovato nicotina nei capelli di 35 mummie. Non sono state trovate tracce di alcaloidi triptamina, nei capelli, probabilmente perché il corpo li distruggono prima che essi arrivino ai follicoli. La presenza di tracce di nicotina non è stata messa in collegamento con il ritrovamento di materiale per sniffare nelle tombe.

La tomba di Alessandro è vicina...

L'allineamento della città
in una vecchia foto di
Alessandria
(Fonte: Corsera) - La ricerca della tomba di Alessandro Magno, seppellito dal suo generale Tolomeo, è uno dei sogni degli archeologi. Forse un passo in questa direzione si è compiuto con il risultato di un'indagine che ha portato a svelare uno dei tanti segreti nascosti nella più celebre città fondata da Alessandro, Alessandria d'Egitto, appunto.
La pianta della città sarebbe nata con una logica simbolica e la sua strada principale sarebbe allineata secondo la posizione del all'alba del giorno che segna la nascita di Alessandro, il 20 luglio 356 a.C. A questa conclusione è giunto lo studio di Giulio Magli e Luisa Ferro del Politecnico di Milano pubblicato sull'Oxford Journal of Archaeology di novembre. La costruzione dell'insediamento iniziava nel 331 a.C. e poi la città sarebbe diventata famosa soprattutto per il faro gigantesco e la biblioteca più grande dell'antichità, due opere che magnificavano la potenza del suo fondatore. Ma anche la sua natura divina.
"Il fenomeno dell'allineamento è visibile ancora oggi", spiega Magli, "e sullo stesso nell'antichità sorgeva anche la stella Regolo nella costellazione del Leone e nota come la stella dei re già mille anni prima da parte di Assiri e Babilonesi. Ora questo riferimento è scomparso a causa dello spostamento dell'asse terrestre". Al risultato si è giunti anche grazie a una lunga missione di studio condotta ad Alessandria a cui ha partecipato Luisa Ferro. Diverse, tuttavia, sono le conclusioni. La prima è che un significato simbolico accompagnasse spesso la fondazione delle città nell'antichità, come diversi ricercatori sostenevano; la seconda è che la stessa tomba del fondatore sia collocata secondo un particolare orientamento astronomico e in questa direzione si cercherà conferma.

La necropoli di Vicàlavaro in pericolo

La necropoli visigota di Vicàlvaro, in Spagna (Foto: A. Garcìa)
La necropoli visigota di Vicàlvaro contiene ben 1.500 corpi. Le sepolture si ritiene risalgano al V e VIII secolo d.C.. Il governo di Madrid ha intenzione di distruggerla perché, a suo parere, non ha rilevanza e per far posto ad un totale di 15.400 unità abitative. Prima della distruzione, però, il governo spagnolo ha concesso agli archeologi il permesso di cercare ulteriori tracce delle persone che abitavano, un tempo, in questi luoghi.
Le sepolture scoperte, nel frattempo, versano in gravi condizioni, coperte di erba e papaveri. Solo una mezza dozzina delle 824 sepolture conservano ancora i resti dei simboli visigoti, pietre lisce e piatte che delineano i confini delle tombe. Ci sono anche alcune ossa e molti tipi di pietre ammucchiate accanto alle sepolture.
Il cimitero visigoto si trova su un tratto di calcare biancastro che ha dato origine al nome precedente di Vicàlvaro, vale a dire Vicus Albus, villaggio bianco. Jorge Vega, archeologo responsabile della squadra che sta lavorando alle tombe, ritiene che l'insediamento al quale la necropoli fa riferimento non può essere molto lontana, ne è stato già intercettato un settore.
La zona ha restituito anche resti dell'età romana, del Medioevo e dell'epoca della dominazione spagnola. Si attendono i risultati degli esami del Dna delle ossa raccolte per comprendere meglio come viveva la comunità visigota. La città legata alla necropoli di Vicàlvaro era, con tutta probabilità, abitata da operai. Finora non sono stati individuati resti di edifici importanti e di valore e nemmeno corredi funerari di rilievo. Il villaggio era costituito da case con mura seminterrate e un tetto di legno. Probabilmente era presente anche una chiesa che andò distrutta durante l'invasione araba.
I sarcofagi hanno restituito orecchini, anelli e spille ora trasferiti al Museo Archeologico Regionale di Alcalà de Henares. Le tombe sono organizzate per famiglie, in piccoli gruppi. Le bare erano in legno con chiodi di bronzo e le sepolture sono state scavate lungo una linea est-ovest.

Una flotta cartaginese a Pantelleria

Trenta ancore di piombo, quattro anfore e quattro lingotti sempre di piombo e di dimensioni diverse, sono stati ritrovai a 60 metri di profondità nel mare prospiciente l'isola di Pantelleria.
Gli archeologi pensano si tratti di un ormeggio di una flotta punica, già nel 2011 erano state scoperte ben 3500 monete puniche. La campagna che ha permesso questi eccezionali ritrovamenti è coordinata dal Consorzio Pantelleria Ricerche (Università di Sassari, Ares Archeologia, Diving Cala Levante) e dalla Soprintendenza del mare della Regione siciliana.
La disposizione delle ancore, la tipologia del giacimento archeologico e le analogie con i ritrovamenti del sito di Capo Grosso a Levanzo (luogo in cui si combatté la battaglia delle Egadi nel 241 a.C.) fanno pensare all'esistenza di un ancoraggio di emergenza per una flottiglia di navi puniche che, probabilmente, si scontrarono a più riprese con le navi romane durante il corso del III secolo a.C. per il controllo di Pantelleria.
La scoperta attuale è dovuta al mappamento dei fondali marini realizzata con la collaborazione del Dipartimento delle Scienze della Terra dell'Università La Sapienza di Roma e del Cnr. Questo progetto ha interessato anche l'indagine stratigrafica subacquea di un reperto situato a 20 metri di profondità nei fondali di Cala Tramontana, di cui rimangono anfore da trasporto di produzione cartaginesi.

venerdì 28 giugno 2013

Scavi presso la Basilica di San Paolo Fuori Le Mura

Frammento di scultura rinvenuta nel sito della Basilica
di San Paolo
A Roma è stato presentato un nuovo, importante, sito archeologico situato all'interno delle proprietà della Basilica di San Paolo Fuori le Mura e al suo annesso monastero benedettino.
Ampi scavi hanno permesso di stabilire che il monastero era, un tempo, molto più ampio dell'attuale area.
Si trattava, a tutti gli effetti, di un santuario per i poveri, con un pozzo, una torre ed alloggi per circa 200 persone. Il lavoro degli archeologi ha rivelato la struttura del terreno e il tipo degli edifici che circondavano l'antica Basilica di San Paolo Fuori Le Mura. Più di 15.000 frammenti di ceramica, sculture e monete danno un'idea di quello che era un tempo il monastero e la vita quotidiana che conducevano le persone che vi abitavano.

Un ricordo della Rivolta Giudaica di Gerusalemme

Le pentole e la lucerna ritrovate a Gerusalemme
(Foto: Vladimir Nykhin/IAA)
Recentemente è stata scoperta, in Israele, una piccola cisterna appartenente ad un edificio. A fare la scoperta è stata la Israel Antiquities Authority vicino al Muro Occidentale, in prossimità dell'Arco di Robinson, nel Parco Archeologico di Gerusalemme. All'interno della cisterna sono state rinvenute tre pentole intatte e una piccola lampada ad olio in ceramica, che risalgono al tempo della Grande Rivolta.
I vasi si trovavano in un canale di scolo che è stato completamente riportato alla luce nella città di Davide. Secondo Eli Shukron, direttore degli scavi, è il primo dei ritrovamenti che può essere collegato alla carestia verificatasi durante l'assedio di Gerusalemme. Le pentole intatte e la lucerna ad olio indicano che alcune persone si sono rifugiate nella cisterna ed hanno mangiato, in segreto, il cibo contenuto nei vasi senza che nessuno li vedesse. Questo è in linea con quanto raccontato da Giuseppe Flavio nel suo libro "La Guerra Giudaica" in merito all'assedio di Gerusalemme da parte dei Romani.
Nel suo racconto dei fatti, Giuseppe Flavio parla della terribile carestia che investì Gerusalemme e dei ribelli ebrei che andavano in cerca del cibo nelle case dei loro confratelli. Questi ultimi nascondevano il cibo che possedevano per timore che potesse essere rubato dai ribelli. Molti, in segreto, scambiavano quanto possedevano con una misura di grano o di orzo.
I manufatti saranno mostrati in un convegno di studio sulla città di Davide che si svolgerà il prossimo 4 luglio.

L'incredibile mausoleo dei Wari

Due orecchini d'oro ritrovati nel mausoleo Wari (Foto: Daniel Giannoni)
E' stata ritrovata la prima tomba imperiale dei Wari, un'antica civiltà che ha contribuito alla storia del Sud America tra il 700 e il 1000 d.C.. Ad effettuare la scoperta è stato l'archeologo Milosz Giersz, dell'Università di Varsavia, in Polonia.
La tomba è stata ritrovata piena di oro e oggetti preziosi in argento. Per evitare che i saccheggiatori di tombe potessero aver sentore dell'eccezionale scoperta, il dottor Giersz ed il suo collaboratore Roberto Pimentel Nita hanno mantenuto finora il segreto della scoperta. Gli archeologi hanno raccolto più di mille reperti, tra cui sofisticatissimi oggetti in oro e argento, asce di bronzo e i corpi di tre regine Wari ed altre 60 persone, alcune delle quali erano state, molto probabilmente, sacrificate. L'archeologo Krzysztof Makowski Anula, della Pontificia Università Cattolica del Perù a Lima, ha affermato che la sepoltura ritrovata è una sorta di mausoleo della nobiltà Wari.
I Wari sono stati a lungo messi in ombra dalla successiva civiltà Inca. Nell'VIII e IX secolo, i Wari costruirono un vero e proprio impero che si estendeva per gran parte dell'attuale Perù. La loro capitale, Huari, era una delle più grandi città del mondo. Nel momento del suo massimo splendore, Huari vantava una popolazione di circa 40.000 persone.
Archeologi al lavoro nel mausoleo Wari (Foto: Milosz Giersz)
Le indagini archeologiche sul luogo sono state iniziate nel 2010. Gli archeologi si sono serviti della fotografia aerea e di sofisticate immagini ottenute da apparecchiature geofisiche. La stanza cerimoniale conteneva un trono in pietra e, al di sotto, vi era una misteriosa camera sigillata con ben 30 tonnellate di pietre come riempimento. All'interno di quest'ultimo è stata una mazza di legno intagliato che ha convinto gli archeologi di trovarsi in un mausoleo regale.
Una volta rimosso con cura il riempimento della camera, i ricercatori si sono trovati di fronte a file di corpi umani sepolti in posizione seduta ed avvolti in tessuti che si sono conservati pochissimo. Nelle vicinanze di questa stanza, vi erano i resti di tre regine Wari accompagnate da molti dei loro beni preziosi, quali gli strumenti per la tessitura in oro. Vi erano anche altri ornamenti: orecchini d'oro, ciotole d'argento, una rara tazza in alabastro per libagioni, coltelli, contenitori di foglie di coca, ceramiche dipinte in modo magistrale. Il dottor Giersz ed i suoi collaboratori non avevano mai visto nulla di simile.
Ma il tesoro più prezioso ritrovato dagli archeologi sono, senza dubbio, le informazioni che la sepoltura può fornire in merito alla società Wari. La costruzione del mausoleo imperiale di El Castillo, mostra che i signori Wari avevano conquistato e controllato politicamente questa parte della costa settentrionale e, probabilmente, ha giocato un ruolo chiave nella caduta del regno di Moche.
I Wari praticavano una sorta di culto degli antenati. I corpi delle regine ritrovati da Giersz recavano tracce di pupe ed insetti, che sta ad indicare che furono prelevate ed esposte all'aria. I Wari, dunque, utilizzarono le mummie delle loro regine per esporle nella sala del trono alla venerazione del popolo.

giovedì 27 giugno 2013

La moschea che non esiste

La fontana di Jaffa dove è stata trovata l'iscrizione
(Foto: Nicky Davidov/Israel Antiquities Authority)
Gli archeologi che stanno lavorando al restauro di una fontana pubblica di duecento anni fa a Jaffa, hanno scoperto una misteriosa iscrizione di epoca mamelucca, che indica l'esistenza di una moschea finora sconosciuta.
L'iscrizione, del XIV secolo, è in arabo ed è stata trovata su una lastra di marmo che è stata presa da un altro sito per essere utilizzata come materiale da costruzione per la fontana, posta vicino alla Torre dell'Orologio di Jaffa.
Il professor Moshe Sharon dell'Università Ebraica ha tradotto l'iscrizione che narra di una stupenda moschea costruita durante la dominazione mamelucca dal sovrano Al-Malik a-Din Barquq. La lastra reca due iscrizioni parallele, gran parte del testo si trova all'interno del muro della fontana e solo la parte visibile è stata tradotta.
Barquq era un ex schiavo di estrazione circassa, che governò per due periodi: dal 1382 al 1389 e dal 1390 al 1399. La lastra è stata inserita rivolta verso l'altro. Gli archeologi non hanno idea del luogo di provenienza della lastra.
Il Dott. Yoav Arbel, della Israel Antiquities Authority ha affermato che Jaffa fu distrutta nel 1300 e rimase disabitata durante il regno di Barquq, per cui la moschea non poteva trovarsi a Jaffa. La maggior parte della pietra e del marmo utilizzata in questa città proveniva dalle rovine di Cesarea e di Ashkelon, città rase al suolo dai mamelucchi più di cento anni prima del governo di Barquq.
La fontana si chiama Sabil Suleiman e fu costruita nel 1810 dal sovrano di Jaffa Muhammad Agha detto Abu Nabut.

Il medioevo a Conwy

Lavori nella rete fognaria di Conwy che
hanno permesso il ritrovamento dei
preziosi reperti
(Foto: Ashley Batten/BBC)
I resti di una casa medioevale ed un pozzo nero risalente, probabilmente, al XIII secolo, sono stati scoperti da alcuni operai nel Castello di Conwy, in Galles, durante i lavori per il ripristino di una rete fognaria. Sono emersi anche i resti di una strada a Castle Street, a circa cento metri dal castello.
I ricercatori sostengono che i reperti sono di estrema importanza per fornire una nuova comprensione della Conwy medioevale.
Si pensa che i resti risalgano alla rivolta contro le forze inglesi, quando l'intera città venne rasa al suolo, nel 1401. I resti sono piuttosto stratificati, come ci si aspetta in una zona urbana.
Sono stati ritrovati oggetti in ceramica invetriata medioevale, monete, manufatti in metallo. I reperti sono stati conservati e registrati con precisione.

Sansone e la sinagoga di Huqoq

Il mosaico della sinagoga di Huqoq, con Sansone che reca sulle spalle le porte di Gaza (Foto: Jim Haberman
Gli scavi nella sinagoga di V secolo d.C. di Huqoq, antico villaggio ebraico nella bassa Galilea, hanno permesso il ritrovamento degli straordinari mosaici che ne decoravano la pavimentazione.
Gli scavi di Huqoq sono diretti dal professor Jodi Magness, della University of North Carolina in collaborazione con Shua Kisilevitz, della Israel Antiquities Authority. L'estate passata è stato scoperto un mosaico che raffigura Sansone e delle volpi nel corridoio est della sinagoga ed un altro mosaico che ha come protagonista sempre Sansone che reca, sulle spalle, le porte di Gaza. Si tratta del primo ciclo di questo tipo conosciuto.
Un'altra porzione del mosaico scoperto nel corridoio est della sinagoga conserva una scena che comprende diverse figure maschili ed un elefante. Poi è visibile una scena ludica con archi che incorniciano giovani che stanno attorno ad un uomo anziano con un rotolo.
I mosaici sono stati rimossi dal sito per la conservazione e le aree di scavo sono state riempite in attesa di riprendere gli scavi nel 2014.

La barca solare di Khufu...in ospedale!

Il primo pezzo di legno della seconda barca solare di Khufu nel
momento della sua rimozione (Foto: AhramOnline)
Una squadra composta da archeologi giapponesi ed egiziani ha iniziato l'opera di rimozione della barca solare che da 4500 anni giace nella fossa sul pianoro di Giza.
I ricercatori ed i restauratori hanno rimosso una trave in legno, parte della barca solare costruita per il faraone Khufu (Cheope), sepolto nel 2500 a.C. circa. La barca è stata scoperta nel 1954 insieme ad un'altra identica, ritrovata in una fossa separata. Quest'ultima è stata rimossa e restaurata ed ora è visibile in un museo appositamente costruito nella piana di Giza.
Nel 2009 le travi in legno della barca ancora sepolta sono state sottoposte ad analisi di laboratorio per individuare i tipi di fungo, gli insetti e i batteri che hanno aggredito il legno, così come il grado di deterioramento dell'imbarcazione. Tutto al fine di predisporre gli interventi più idonei per ripristinare la barca solare e rimetterla, una volta restaurata, al suo posto.
Le tavole di cedro con cui è stata costruita la barca solare saranno rimossi e ripristinati in uno speciale laboratorio che è in fase di allestimento a Giza. Si spera di poter presto esporre la barca accanto alla sua gemella, all'ingresso del Museo che si sta allestendo con vista sulla piana delle piramidi.
Le immagini di una telecamera, che gli archeologi giapponesi hanno inserito nel pozzo dove si trovava l'imbarcazione, ha rivelato che la barca solare è stata costruita in legno di cedro e di acacia ed è riuscita a mostrare le immagini di corde, stuoie e resti di blocchi di calcare.
La seconda barca solare è rimasta chiusa nella sua fossa fino al 1987, quando è stata esaminata dalla American National Geographic Society in collaborazione con l'ufficio egiziano per i monumenti storici.

Nuove da Chactun

La stele n. 1, con tracce di intonaco originale
Le 19 stele ritrovate nella città maya di Chactun, recentemente scoperta nel sudest di Campeche, promettono di rivelare nuovi dati sugli abitanti di questa regione, a nord del fiume Bec.
L'archeologo ed epigrafista Octavio Esparza Olguin ha affermato che le epigrafi sono piuttosto abbonanti, in questa regione. Dei reperti ritrovati a Chactun, tre sono in buono stato di conservazione e sette permetto di riconoscere la scrittura geroglifica, anche se lo stato di conservazione è piuttosto precario. Altre nove stele sono gravemente erose. Una delle stele, la n.1, conserva miracolosamente tracce di stucco che, nel clima tropicale, solitamente si dissolve. Proprio questa stele dà il nome al sito: Chactun vuol dire "Pietra Rossa" o, secondo un'altra interpretazione, "Pietra Grande". Il nome è stato imposto alla città da un sovrano di nome K'ihnich B'ahlam.

Il cimitero ebraico di Toledo

Panorama di Toledo
Uno storico spagnolo ha catalogato 107 tombe in un cimitero ebraico del XIII secolo. Il cimitero è stato ritrovato a Toledo ed i resti dei defunti sembrano essere in buone condizioni.
Il cimitero era stato parzialmente riportato alla luce nel 2008, ma lo studio delle tombe è stato completato solo di recente. A condurre le indagini l'archeologo Arturo Ruiz Taboada, che ha scoperto le sepolture a poco più di 9 metri di profondità. L'identità della maggior parte dei defunti è ignota.
Alcune tombe contenevano i membri di intere famiglie, in alcuni casi le madri sono state sepolte con i figli neonati. Gli archeologi sono venuti a conoscenza dell'esistenza del cimitero quando, nel giardino di una scuola locale, sono emerse delle ossa.
Le autorità di Toledo, che, prima del 1492 (data dell'espulsione degli ebrei dalla Spagna), aveva un'importante comunità ebraica, volevano seppellire le ossa ritrovate in un altro luogo ma, su richiesta della locale comunità ebraica, hanno deciso di lasciare le ossa nel vecchio cimitero.

mercoledì 26 giugno 2013

I segreti di Lincoln Castle

Gli scavi effettuati a Lincoln Castle
Una casa tardo-romana è stata ritrovata sotto Lincoln Castle, questo è quanto afferma un gruppo di archeologi che sta scavando nel sito.
Sono state ritrovate evidenze di edifici che potrebbero essere parti di uno stabile medioevale. Gli archeologi sperano, attraverso il ritrovamento di reperti, di poter meglio definire l'età e le funzioni dello stabile. Al momento sono state ritrovate diverse ossa di animali e del vasellame.
E' stata ritrovata anche una chiesa finora sconosciuta, sotto Lincoln Castle. Si ritiene che sia stata costruita durante il periodo anglosassone, quando i Romani avevano lasciato da tempo la Gran Bretagna e prima della conquista normanna del 1066.

Roma oltre il Vallo di Antonino

Un tratto del Vallo di Antonino
Gli archeologi stanno cercando una fortezza romana perduta in Scozia. Comunemente si pensa che l'Impero Romano si sia arrestato nei pressi del Vallo di Antonino, mentre una serie di fortificazioni sono state ritrovate intorno a Stirling e Stracathro, vicino Brechin.
Questi forti fanno parte della più antica frontiera terrestre di Roma, nota come Ridge Gask e gli archeologi sono convinti che una delle roccaforti di questa frontiera non sia mai stata ritrovata. Si pensa che questa roccaforte sia dislocata in qualche luogo della campagna di Aberdeenshire. Più a nord del Vallo di Antonino, dunque. Presto cominceranno gli scavi da parte degli archeologi dell'Università di Liverpool e di molti volontari.

domenica 23 giugno 2013

Una misteriosa civiltà preispanica a Panama

Uno dei bracciali ritrovati negli scavi a Panama
Nuove scoperte sottolineano che nella Panama preispanica la trasmissione del potere era ereditaria.
Da cinque anni l'archeologa Julia Mayo sta lavorando in un sito chiamato El Cano, vicino alla costa del Pacifico, a sudovest di Panama City. Qui ha scoperto le sepolture di sovrani contenenti oggetti d'oro e appartenenti ad una civiltà della quale ancora non si conosce il nome, che fiorì per molti secoli prima che arrivassero gli Spagnoli.
I conquistatori Spagnoli hanno raccontato che i grandi capi di queste genti misteriose erano in continua lotta tra di loro per acquisire maggior territorio e catturare i guerrieri nemici per ridurli in schiavitù.
La dottoressa Mayo ha riesumato più di 40 corpi di questi antichi sovrani e tre di questi le hanno dato indizi su come veniva trasmesso il potere in questa comunità. Si tratta dei corpi di tre ragazzi che sembrano aver goduto di un rango e di privilegi speciali sin dalla nascita.
Nel 2009 era già stato trovato un piccolo disco, un sottile foglio d'oro, che recava in rilievo l'immagine di una sorta di grande granchio con lingua biforcuta ed artigli di coccodrillo. Sotto la figura giacevano due cilindri schiacciati con incisa l'immagine di quel che sembrava un serpente piumato. La dottoressa Mayo di convinse di essere in presenza di un cimitero di guerrieri risalente ad un periodo compreso tra il 700 e il 900 d.C.. Con l'andare avanti degli scavi ha scoperto che, lungi dall'appartenere ad un guerriero, i reperti d'oro che aveva trovato appartenevano ad un bambino, un ragazzo nato per governare.
Il giovane era stato seppellito a faccia in giù e indossava gli emblemi tipici di un capo: una corazza e due copri polso. Evidentemente non era vissuto abbastanza per salire sul trono di suo padre. Del ragazzo non sono state trovate le ossa, a causa dell'acidità del terreno.
Nel 2011 la dottoressa Mayo ha rinvenuto un'altra tomba analoga, con tre corazze ornamentali d'oro, quattro bracciali, due orecchini ed una collana di perline di pietre verdi. Ancora una volta, però, non erano presenti ossa. Infine, durante la scorsa campagna di scavi, la dottoressa Mayo ha trovato bracciali in oro incisi con le immagini del dio coccodrillo, che adornavano lo scheletro di un giovane maschio dell'apparente età di 12 anni, com'è stato stabilito dall'antropologo Aioze Trujillo. In prossimità dei resti del giovane, giaceva lo scheletro di un capo supremo, con corazze d'oro, campanelli, statuette rappresentanti figure misteriose e bracciali incisi con le immagini di un coccodrillo. Probabilmente i due erano padre e figlio, ma saranno gli esperti a stabilirlo attraverso le analisi del Dna.
Il sito panamense si sta rivelando prezioso per ricostruire l'esistenza di complesse culture preispaniche nelle foreste dell'America centrale e settentrionale. A differenza dei Maya a nord e degli Incas a sud, queste culture non hanno lasciato alcun monumento o architettura che possa rappresentarli. La maggior parte dei loro edifici era in legno e canniccio, con tetti di paglia, tappeti, pelli di animali che, purtroppo, sono andati perduti. L'unica cosa rimasta è l'oro con il quale adornavano i loro capi, lavorato e inciso con estrema abilità.

Un hammam di 1500 anni fa

I resti dell'hammam ritrovati in Turchia
I resti di un bagno turco (hammam) antico di 1500 anni sono stati scoperti durante lo scavo di un centro per il turismo termale nella provincia egea della di Denizli.
Gli scavi, in questa zona della Turchia, sono iniziati due mesi fa. Sono state individuate due diverse costruzioni nella stessa zona: una era un bagno turco con architettura circolare, l'altro era una struttura termale. Sono state le tracce di una vasca con idromassaggio naturale risalente a 1500 anni fa e canali per l'acqua che proveniva dalle sorgenti termali di Pamukkale e Karahayit. Sono state trovate anche tracce di bagni rivestiti in marmo.

Alle origini dell'America

Uno dei pittogrammi scoperti nel Tennessee
In una caverna dell'Altopiano del Cumberland, in Tennessee, sono state scoperti dei pittogrammi antichi almeno 6000 anni e, pertanto, i più antichi mai ritrovati nel continente nordamericano.
Alcuni di questi pittogrammi sono stati realizzando incidendo linee poco profonde e rappresentano battute di caccia o animali che gli aborigeni potevano osservare. Altre immagini sono, invece, molto più elaborate e raffigurano creature mitiche, riti cerimoniali, uccelli e rettili. A riportare alla luce i pittogrammi sono stati i ricercatori Jan Simek, Alan Cressler, Nicola Herrmann e Sarah Sherwood, del Dipartimento di Antropologia dell'Università del Tennessee e Mississipi.
Alcune figure antropomorfe sono state rappresentate con alcuni dettagli enfatizzati, come per esempio gli occhi o le mani con dita esagerate. Molto probabilmente queste grotte erano utilizzate dai nativi americani per scopi religiosi. La parte superiore dei disegni alluderebbero al regno celeste delle divinità, le sezioni centrali (con piante ed animali) alludo al mondo in cui vivevano gli aborigeni e le parti basse sono un richiamo alla morte, all'oscurità, al pericolo. Tutti i pittogrammi sono stati realizzati servendosi di due colori soltanto: il rosso e il nero.
L'Altopiano del Cumberland presenta rilievi di 120 metri di altezza e affioramenti di arenaria. Comprende gran parte del Kentucky orientale, parte della zona occidentale della Virginia Occidentale, parte del Tennessee e una parte dell'Alabama e della Georgia. I ricercatori stimano in 71 i siti di arte preistorica esistenti in questa regione.

sabato 22 giugno 2013

Le tombe monumentali di Petra

Petra, el Deir
Il noto geografo Strabone espresse un giudizio piuttosto duro sulle usanze funebri dei Nabatei che, afferma, "considerano i cadaveri allo stesso modo dello sterco". Strabone è l'unica fonte storica sulle abitudini sepolcrali dei Nabatei, anche se queste notizie pervengono ai moderni studiosi di seconda mano, attraverso le osservazioni del filosofo Atenodoro, che visse per qualche tempo a Petra nel I secolo a.C.
Forse Strabone era rimasto negativamente colpito dal rituale dell'esposizione dei morti o, forse, il significato originale delle sue parole è stato male interpretato. Oppure la fonte alla quale egli faceva riferimento era inaffidabile.
Petra, el Khazneh
Scavando e studiando le tombe monumentali alla base della montagna di al-Khubthah, nella zona delle Tombe Reali, gli archeologi, dal 2010, hanno rilevato che queste sepolture sono state saccheggiate e che non potevano fornire che poche informazioni sui rituali funebri, alla stregua di quello osservate nelle altre tombe scavate a Petra. Sembra, però, che i Nabatei dessero molta importanza alla custodia delle tombe ed alla tutela della memoria dei defunti. I confini tra il mondo dei vivi e quello dei morti a Petra sembra essere stato molto fluido.
Le tombe di Petra scavate nel terreno roccioso sono più di un migliaio. Di queste circa 600 hanno davvero un'impressionante facciata. Queste sepolture sono state scavate dai Nabatei tra il I secolo a.C. ed il II secolo d.C. ed hanno avuto una doppia funzione, fornendo un luogo sicuro per la sepoltura e una efficace commemorazione del defunto attraverso le facciate maestose. Queste ultime mescolano sapientemente decorazioni ed architettura locale a influssi architettonici egizi, greci e mesopotamici. Sono un riflesso della prosperità della comunità nabatea e dei felici scambi culturali e commerciali con le comunità vicine e lontane.
Nel corso dei secoli le tombe di Petra sono state saccheggiate e destinate a scopi differenti quali, ad esempio, abitazioni, magazzini e persino stalle. Una delle tombe, addirittura, nel IV secolo d.C. venne trasformata in chiesa. Queste trasformazioni, purtroppo, hanno fatto scomparire gran parte del contenuto delle tombe, quali i resti umani, i corredi funerari, le iscrizioni, indizi preziosi per ricostruire le procedure di sepoltura ed i riti funebri dei Nabatei.
Petra, la spianata del sacrificio
I Nabatei sicuramente presero in considerazione la topografia della località in cui vivevano, nel momento in cui si apprestarono ad allestire le sepolture dei loro defunti. L'accessibilità dei luoghi e la qualità della pietra erano fattori estremamente importanti. Mentre la città si è espansa e contratta nel corso dei secoli, spesso le abitazioni e gli edifici pubblici hanno invaso lo spazio riservato ai morti. Il fatto che il teatro principale sia stato ricavato in un luogo prima destinato a cimitero non sembrò mai preoccupare seriamente i Nabatei.
La decorazione e la monumentalità delle facciate delle tombe erano indizio dello status sociale e dell'identità culturale delle famiglie che ne erano titolari. Si hanno, però, ben poche iscrizioni superstiti ritrovate nelle tombe di Petra.
Petra, teatro romano
Mada'in Salih è l'avamposto più meridionale del territorio nabateo, ora situato nell'attuale Arabia Saudita. E' l'altro ed unico sito dove si trovano ancora tombe nabatee. Le sepolture qui presenti rivelano che questi veri e propri monumenti funebri erano appannaggio di individui appartenenti a famiglie di alto rango. Tra i motivi decorativi più utilizzati sulle facciate vi è quello dei merli a gradini, che sembra abbia avuto origine in area assira ed è stato utilizzato in età achemenide e nell'arte persiana. Circa il 14% delle tombe di Petra, però, non presentano questo motivo in facciata e si rifanno ad elementi dell'architettura classica, quali i divini guardiani Castore e Polluce o le temibili Amazzoni.
Scavi sotto il cortile del Khazneh, condotti dal Dipartimento delle Antichità del Regno Hashemita di Giordania, hanno rivelato che questa magnifica sepoltura, vera e propria porta d'ingresso al sito di Petra, era stata ricavata da una fila di tombe preesistenti, probabilmente appartenenti, da generazioni, alla stessa famiglia.
Le ricche decorazioni della facciata delle sepolture di Petra erano anche intonacate e dipinte ed i colonnati d'ingresso avevano lo scopo di dare alle tombe un aspetto tridimensionale, appena percettibile oggigiorno.

Nuova vita per Alacahoyuk

Uno dei simboli solari ritrovati ad Alacahoyuk
Alacahoyuk è un antico sito della Turchia, situato nella provincia centrale anatolica di Corum, visitato da moltissimi visitatori ogni anno. La sua vita è iniziata 1500 anni prima di quanto si è finora pensato.
Responsabile degli scavi ad Alacahoyuk è il professor Aykut Cinaroglu. I primi scavi hanno avuto inizio nel 1907 e, dopo una breve campagna, sono stati interrotti per essere ripresi nel 1935 su ordine di Ataturk. Gli scavi di quest'anno si sono concentrati prevalentemente su quanto è stato scoperto lo scorso anno ed hanno evidenziato che il primo insediamento umano si è installato ad Alacahoyuk prima di quanto si era pensato, vale a dire a circa 10.000 anni fa. Gli scavi attuali stanno cercando di far luce, in particolare, sul periodo ittita.
La porta delle sfingi di Alacahoyuk
L'antico insediamento è stato un centro molto importante per tutta la storia della regione. Venne utilizzato come miniera nell'Età del Bronzo e come centro religioso nel periodo di Hatti. Molti dei reperti trovati nelle tombe reali di Alacahoyuk, tra cui oggetti in oro e in bronzo del periodo di Hatti, sono custoditi attualmente nel Museo delle Civiltà Anatoliche di Ankara. Tra i reperti vi sono preziose coppe d'oro e di elettro, idoli, amuleti, gioielli, diademi, bracciali, collane, fibbie per cinture in oro, elettro, ottone o di bronzo.
Forme frequenti dei manufatti di Alacahoyuk sono dei cerchi piatti, semi cerchi o quadrati riempiti da una rete aperta di barre traverse, con croce centrale e svastiche che sono stati interpretati come dischi solari. Questi dischi solari rappresentano le prime divinità della civiltà Hatti, rappresentazioni della dea del sole.
Durante il periodo ittita (1450-1180 a.C.) il sito ebbe una notevole fioritura che durò fino alla tarda Età del Bronzo. Gli studiosi pensano che la città, in quest'epoca, si chiamasse Arinna.

La feconda stagione archeologica bulgara

Il sito di Odeon a Plovdiv (Foto: Clive Leviev-Sawyer)
Si preannuncia come una stagione feconda quella del 2013, per l'archeologia bulgara. E' stato ritrovato un santuario preistorico lungo la via Diagonalis, percorso stradale romano, e sono stati ritrovati diversi altri reperti risalenti all'antichità preromana della regione.
Tra i progetti di quest'anno c'è lo studio dell'antica città di Heraclea Sintica, vicino al tempio di Vanga, che si ritiene sia stata una profetessa. I ritrovamenti della stagione 2012-2012 risalgono ad un periodo compreso tra il IV secolo a.C. e il V secolo d.C. e comprendono catapulte, maschere teatrali, figure in terracotta, un piatto votivo con l'immagine di Nemesis, frecce ed una moneta con l'effige dell'imperatore romano Flavio Marciano. Entro quest'anno gli archeologi sperano di poter trovare i resti di un teatro, del foro e di altri edifici pubblici.
Lungo la via Diagonalis, vicino Svilengrad, è stato, invece, ritrovato un santuario preistorico contenente reperti che vanno dal tardo Neolitico, attraverso l'Età del Bronzo e del Ferro, fino all'epoca romana. Il santuario è stato datato al 5200-4900 a.C. e venne utilizzato per rituali religiosi connessi ad una vicina sorgente, elemento importante per le antiche credenze sulla fertilità e il concepimento, dal momento che l'acqua era in stretta connessione con la Grande Madre. Sono stati ritrovati ceramiche utilizzate durante i pasti rituali, corna di animali selvatici ed altri reperti.
Il tratto della via Diagonalis interessato dalla ricerche è la parte di strada che, in epoca romana e tardo romana, metteva in comunicazione Costantinopoli con l'Europa centrale.
Sono stati individuati anche cinque siti rituali utilizzati dai Traci per i sacrifici di animali alle divinità.

Ristrutturazioni e archeologia a Mosca

Il cantiere di scavo presso l'Hotel Pekin di Mosca
(Foto: Dmitry Zverev)
Archeologi ed operai edili stanno lavorando fianco a fianco nella ristrutturazione dell'Hotel Pekin di Mosca. Qui sono stati, infatti, ritrovati oggetti che vanno dal XVII al XIX secolo e che sono pertinenti una stazione di posta che, all'epoca, occupava il sito dove ora sorge l'albergo.
Tra i reperti si contano una borsa di pelle per trasportare denaro, strumenti in legno, mobili, calzature, una gran quantità di oggetti in ceramica, piastrelle per stufe e vasi di vetro. Responsabile dello scavo e del recupero degli oggetti è l'archeologo Vladimir Berkovich che ha dichiarato: "Questo sito non è mai stato studiato dagli archeologi. D'altro canto ci vuole molto tempo per drenare l'acqua dalla falda sottostante e per esaminare il terreno. Proprio il fatto che il terreno è così umido è stato il fattore che ha consentito a questi oggetti di essere così ben conservati".
Maioliche decorate ritrovate negli scavi dell'Hotel
Pekin (Foto: Dmitry Zverev)
Il primo tesoro di una certa importanza ritornato alla luce a Mosca è stato quello di Kitaj-Gorod, nel 1895. Si trattava di cinque caschi, cinque tuniche in maglia, dodici lance ed una borsa contenente monete coniate in un periodo antecedente l'incoronazione dello zar Iva IV (1547). Nel 1982, invece, è stata scoperta un'icona del XV secolo finemente decorata, raffigurante San Giorgio, durante la ristrutturazione dell'Hotel Rossiya. Altri reperti storici sono tornati alla luce nel 1990, durante la ristrutturazione della grande scala di piazza Manezh, accanto alle mura del Cremlino, una piazza ricca di storia, dove al tempo di Ivan IV il Terribile era di stanza un reggimento della Guardia Stremyanny. Per secoli questa piazza fu un vivace centro di commerci ed assunse il suo aspetto attuale solo nel 1934-1937, durante la ricostruzione voluta da Stalin a seguito della distruzione delle antiche evidenze.
Dal 2000 la costruzione o il restauro di edifici storici nel centro di Mosca ha permesso il ritrovamento di ulteriori reperti del passato. Nel 2008, per esempio, nel sito dove si trovano i negozi Tyopli, nel distretto di Kitay-Gorod, sono stati ritrovati un amuleto a forma di ascia, un pezzo degli scacchi in osso con dettagli finemente lavorati sulle facce e una piccola icona in vetro del XV secolo, di origine straniera, raffigurante il Cristo.

Cave preistoriche di selce in Polonia

Affioramenti di selce preistorica in Polonia
In Polonia sono state ritrovate cave di selce antiche di 7000 anni. La selce veniva utilizzata, dalla cultura Lublino-Volyn, per la fabbricazione di strumenti di vario genere, tra cui armi. Queste popolazioni vivevano sulle Montagne della Santa Croce tra la fine del V e l'inizio del IV millennio a.C.
Per diversi anni i ricercatori dell'Istituto di Archeologia Cardinal Stefan Wyszynski di Varsavia hanno cercato ed inventariato molti siti minerari preistorici nel nordest delle montagne della Santa Croce. L'affioramento delle cave di selce copre un'estensione di circa 100 chilometri in lunghezza ed è situato nella valle del fiume Vistola. La selce è stata cavata con estrema facilità da questo sito ed è stata utilizzata per confezionare pugnali ed altri strumenti di prestigio, i cui esemplari sono stati recentemente scoperti sempre in Polonia.
Il primo studio del tipo particolare di selce estratto da queste cave e delle comunità che qui vivevano è stato avviato nel 1920 grazie al geologo Jan Samsonowicz e all'archeologo Stefan Wyszynski di Varsavia. Le ricerche attuali sono finanziate dal Ministero della Cultura e del Patrimonio Nazionale e fanno parte di un più ampio inventario delle miniere preistoriche di selce.

Romani in America

L'America sarebbe stata scoperta dai Romani, altro che dai Vichinghi o da Colombo. Questo sembrano suggerire nuove analisi e scoperte archeologiche e scientifiche. Analisi e scoperte raccolte in un libro intitolato "Quando i Romani andavano in America - conoscenze scientifiche e scoperte geografiche degli antichi navigatori", del giornalista e divulgatore scientifico Elio Cadelo.
Le prove scientifiche sembrano confermare che i romani erano a conoscenza che, oltre l'oceano, c'era un continente. Inoltre sono state effettuate le analisi del Dna sui farmaci fitoterapici ritrovati in un relitto romano del I secolo d.C. davanti alle coste toscane. Unitamente ai farmaci sono stati trovati fiale, bende, ferri chirurgici che facevano parte del prontuario di un medico. Le analisi delle piante ritrovate, confezionate in pastiglie, hanno confermato l'uso di diverse piante officinali tra le quali due, l'ibisco ed il girasole, che secondo le cognizioni attuali arrivarono in Europa solo dopo la conquista spagnola delle Americhe.
Inoltre mosaici, dipinti e statue di età romana in cui sono inseriti ananas e mais sono la prova che tra le due sponde dell'Atlantico c'erano scambi commerciali. Sono stati ritrovati, poi, raffinati gioielli in vetro con foglie d'oro provenienti da botteghe romane in una tomba principesca giapponese, ritrovata non lontana da Kyoto.

Un giorno al Colosseo...in Germania

Alcuni dei reperti in mostra in Germania
(Foto: Il Messaggero)
Il Colosseo si "mostra" in Germania. Per la prima volta 19 reperti lasciano la sacra arena e si trasferiscono oltralpe per "esibirsi" in una mostra intitolata "Un giorno al Colosseo", organizzata dalla Società Contemporanea Progetti ed Expona, in collaborazione con la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma.
Saranno visibili, in mostra, fregi marmorei con motivi vegetali, un frammento di balaustra decorata con una cornucopia e i denti aguzzi di un coccodrillo, facenti parte di una transenna marmorea. Ma sono anche altri i pezzi che i visitatori potranno ammirare fino al 13 ottobre 2013. Per i successivi tre anni, poi, i pezzi saranno ospitati in varie sedi museali europee.
La giornata nel più famoso anfiteatro dell'antichità prende in esame il periodo immediatamente successivo alla sua edificazione (80 d.C.). La presenza di mezzi audiovisivi e il contatto con i materiali, unitamente ai suoni e agli odori di quella che doveva essere una giornata nell'antica Roma, porteranno il visitatore in una vera e propria macchina del tempo. Accanto a reperti originali e riproposizioni di armi ed armature, vi saranno, infatti, innovative tecnologie audio-visive, olfattive e tattili.
Una delle sale espositive della mostra sul Colosseo a Kalkriese
(Foto: Il Messaggero)
I 500 metri quadrati sui quali si dipana l'esposizione sono suddivisi in tre sezioni: la prima affronta il tema dell'anfiteatro come luogo di divertimento di massa ed espressione delle prodigiose capacità architettoniche ed ingegneristiche dei Romani. La seconda sezione è dedicata al re dell'anfiteatro, il gladiatore, di cui è illustrata la vita giorno per giorno, le abitudini, gli allenamenti e le tecniche di combattimento. La terza sezione riguarda il lavoro organizzativo che precedeva ed accompagnava le manifestazioni nel Colosseo. Si potrà, inoltre, ammirare nel dettaglio un'intera giornata di spettacoli. Proprio in questa sezione vengono fornite notizie sui giochi gladiatori, sulla loro origine funeraria nel IV secolo, sul loro sviluppo e la loro decadenza, coincidente con la profonda crisi socio-economica che travolse Roma all'indomani dell'invasione dei Goti (V secolo d.C.).
Anche le sedi della mostra hanno un loro significato, perché privilegiano i luoghi caratterizzati dalla presenza di anfiteatri o siti archeologici romani legati all'aspetto della presenza romana in Europa. La prima sede, Kalkriese, si trova nella tragicamente nota selva di Teutoburgo e sorge nel luogo dove, l'11 settembre del 9 d.C., il generale Publio Quintilio Varo subì una delle più grandi sconfitte subite da Roma, ad opera di tribù germaniche.

Sorprese nel sottosuolo di Roma

Le strutture scoperte nell'area della Colonna di Traiano
(Foto: Il Messaggero)
(Fonte: Il Messaggero) - Lavori di pulizia nell'area intorno alla Colonna di Traiano riportano alla luce strutture romane precedenti ai Fori Imperiali, databili dal VI secolo a.C.. Si tratta di un vasto complesso architettonico trasformato in magazzino del grano nel I secolo d.C. e una strada, l'attuale via Magnanapoli.
Svelata la Roma ai piedi di Traiano. O meglio, sotto la Colonna di Traiano, dove sono state riportate alla luce ora strutture romane più antiche dei Fori Imperiali, che scrivono una nuova pagina di storia della città eterna dal VI secolo a.C., vale a dire di una Roma probabilmente dell'epoca dei re Tarquini, passando per l'età repubblicana, fino al II secolo d.C.
Si tratta di resti di un vasto complesso architettonico fondato nel periodo arcaico o alto-repubblicano (VI-V secolo a.C.), che evidenzia profondi rimaneggiamenti. Tant'è che una parte di questo stabile è stata identificata come un magazzino di grano e generi alimentari, un cosiddetto horreum del I secolo d.C..
L'area dello scavo vista dall'alto (Foto: Il Messaggero)
E' qui, infatti, che si possono leggere distintamente in sequenza degli ambienti pavimentali in opus spicatum (il classico pavimento romano a mattoncini disposti a spina di pesce) che servivano probabilmente allo stoccaggio delle merci. "D'altronde bisogna anche immaginare che la Roma di Augusto contava già un milione di abitanti e il centro della città doveva presentare un numero adeguato di depositi alimentari", racconta Roberto Meneghini, il responsabile scientifico dello scavo condotto dalla Sovrintendenza capitolina, sotto la stretta vigilanza della Soprintendenza ai beni archeologici di Roma.
Altra particolarità, l'intera struttura si affaccia su una strada, che corrisponde all'attuale tracciato della via che passa sulla scalinata e piazza Magnanapoli. "Una strada antichissima, che risale ad ancora prima delle fondazione di Roma - dice Meneghini - e che metteva in comunicazione l'isola Tiberina, lo scalo portuale dei commerci già dal I millennio a.C. a Roma, con le mura Serviane, realizzate da Servio Tullio, uno dei re di Roma".
I lavori, partiti a maggio scorso solo per un'accurata pulizia delle strutture, hanno comportato invece queste scoperte nell'area dell'emiciclo a nord della Colonna di Traiano (113 d.C.). Completate oggi le indagini, entro luglio si procederà alla protezione e alla copertura delle strutture per ripristinare il piano della fase traianea.

giovedì 20 giugno 2013

Parassiti intestinali e crociati

Latrina di Paphos dalla quale sono stati prelevati campioni di
rifiuti organici contaminati da parassiti (Foto: Anastsiou e
Mitchell, International Journal of paleopatologia)
Sono stati trovati dei parassiti in una toilette di un castello medioevale a Cipro occidentale. I risultati compongono un quadro poco edificante della salute e dell'igiene dei crociati che erano di stanza sull'isola mediterranea. Soprattutto rimarcano lo scarso igiene delle truppe, dovuto alle forniture di cibo e di acqua contaminate da materiale fecale.
I ricercatori dell'Università di Cambridge hanno fatto queste "interessanti" scoperte nella fossa biologica posta sotto le latrine di Saranda Kolones (Quaranta Colonne in greco) a Paphos, città posta sulla punta sudoccidentale di Cipro e sito patrimonio Unesco dell'Umanità. Gli scavi del 1950 hanno rivelato che Saranda Kolones era un castello che ebbe breve vita, mentre era stato sempre creduto un tempio, a causa delle colonne di granito che erano sparse tra le sue rovine.
Il re inglese Riccardo Cuor di Leone vendette l'isola di Cipro al crociato franco Guy de Lusignan nel maggio 1192. Gli archeologi ritengono che i Franchi abbiano costruito Saranda Kolones a difesa del porto di Paphos subito dopo la loro occupazione dell'isola. Nel 1222 la città venne scossa da un violento terremoto e gran parte della fortezza crollò per non venire mai ricostruita in futuro. Solo le sue latrine, poste al piano inferiore, sono sopravvissute pressocché intatte.
Proprio in queste latrine i ricercatori inglesi Evilena Anastasiou e Piers Mitchel hanno raccolto i campioni e studiato i residui dei rifiuti che queste contenevano per studiare gli antichi parassiti. Al microscopio i ricercatori hanno scoperto che i campioni dei rifiuti umani contenevano le uova di due dei parassiti intestinali più comuni e diffusi al mondo: il Trichuris trichiura, che causa l'infezione nota come trichocephalus, e l'Ascaris lumbricoides, il più grande dei parassiti intestinali, che può arrivare fino ai 30 centimetri di lunghezza.
Le persone con una quantità scarsa di questi parassiti possono non accusare alcun sintomo, ma quando questi parassiti infestano il tratto digestivo, contendono all'organismo ospite il cibo e sottraggono, in tal modo, i nutrienti assorbiti dall'intestino. Le uova dei parassiti passano nelle feci e si diffondono in altri organismi ospiti per ingestione (quando non ci si lava le mani diffondendo il parassita su oggetti o cibo che viene consumato).
I ricercatori hanno stimato che, nel corso di una spedizione crociata di due o tre anni, nobili e clero avevano la stessa probabilità di morire in battaglia che di soccombere per malnutrizione e malattie. La recente scoperta, poi, suggerisce che i parassiti hanno contribuito in modo determinante alla scomparsa di molti soldati morti di fame o malattia.

Sulle tracce dei primi abitanti dell'Alaska

Frammenti di armi utilizzate dai primi abitanti dell'Alaska
per la caccia al mammut (Foto: NewsMiner)
Nella valle del fiume Tanana, in Alaska, su una piccola collina, sono stati ritrovati raschiatoi preistorici per la pelle in scisto, pietre di ardesia lucida e perle in vetro.
Sulla base del disegno degli strumenti e sulla base del modo in cui sono stati macellati gli animali gli archeologi sarebbero in presenza di un campo Athabascan risalente a 14.000 anni fa, quando mammut, cavalli e bisonti vagavano in quelle lande. E' il più antico sito ben documentato sulla presenza umana in Alaska.
Chuck Holmes è l'archeologo che ha scoperto il sito nel 1993, quando lavorava per l'Ufficio di Storia e Archeologia, settore del Dipartimento delle Risorse Naturali dell'Alaska.
Il livello del mare, 14.000 anni fa, era più basso e c'era un ponte di terra che collegava l'Alaska alla Siberia. Sono stati trovati, nel corso degli anni, molti strumenti in avorio ma finora non vi era alcuna prova di umani che percorressero questa terra per cacciare mammut, per cui alcuni archeologi pensavano che gli esseri umani avevano intagliato l'avorio migliaia di anni dopo. La datazione al radiocarbonio ha, invece, dimostrato il contrario: umani e mammut hanno convissuto.
Gli archeologi hanno anche esaminato focolari vecchi di 800 anni, scoperti durante la scorsa stagione di scavi e contenenti strumenti in pietra e frammenti di ossa. Probabilmente queste ossa venivano fatte bollire per separare la carne dal grasso.
La cultura Athabaskan o Athabascan attiene ad un grande gruppo di popolazioni indigene del Nord America ed è la seconda più grande famiglia, per numero di lingue parlate, del Nord America. Il termine Athabaskan origina dal nome, in lingua Cree, di un lago canadese.

Scoperta una città maya

Una delle stele ritrovate a Chactun
Gli archeologi Messicani dell'Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (Inah) hanno scoperto un città maya finora sconosciuta. La scoperta è stata fatta nello stato sudorientale di Campeche che, a causa della sua estensione, fu sede di governo circa 1400 anni fa.
La città è stata battezzata Chactun (Pietra Rossa o Pietra Grande) da un team di esperti guidati dall'archeologo sloveno Ivan Sprajc e si sta dimostrando uno dei più grandi siti delle pianure centrali, paragonabile, per la grandezza e la maestosità dei suoi edifici, a Becan, Nadzcaan ed El Palmar.
La città si estendeva su più di 22 ettari di terreno. Alcuni dei suoi monumenti sono ricoperti di iscrizioni, il che fa pensare che fosse sede di un governo piuttosto potente tra il 600 e il 900 d.C..
Un'altra delle stele di Chactun
Nel corso dei secoli Chactun è rimasta nascosta nella giungla a nord della Riserva di Calakmul. La metropoli è uno dei quasi 80 siti rilevati nel sudest di Campeche dal 1996.
Il sito comprende tre complessi monumentali, quello ovest si estende su una superficie di oltre 11 ettari al pari dell'altro, situato a sudest. In questi spazi sono state ritrovate, sparse, numerose strutture piramidali, due campi per il gioco della palla, cortili, piazze e monumenti scolpiti. La piramide maggiore è alta 23 metri ed è situata nel complesso occidentale. Delle 19 stele registrate finora, tre sono ben conservate e narrano che il sovrano K'inich B'ahlam diede alla città il nome di Pietra Rossa o Pietra Grande, secondo l'interpretazione dell'epigrafista Octavio Esparza Olguin.
Nella zona è in corso un'indagine per ottenere una mappa tridimensionale mentre un epigrafista, Octavio Esparza, sta registrando le stele e gli altari che sono stati riutilizzati in tempi più tardi rispetto a quando sono stati scolpiti la prima volta.

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